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Una madre per mia figlia: Harmony Bianca
Una madre per mia figlia: Harmony Bianca
Una madre per mia figlia: Harmony Bianca
Ebook194 pages2 hours

Una madre per mia figlia: Harmony Bianca

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About this ebook

Quando la passione per la medicina incontra le ragioni del cuore, la famiglia diventa il posto in cui sentirsi a casa
L'ostetrica Evelyn Saunders si è lasciata il ricordo di un'infanzia dolorosa alle spalle, insieme al rigido clima dell'Alaska. Tuttavia un incarico inaspettato la costringe a ritornare a casa e a collaborare con il dottor Derek Taylor. L'attrazione fra loro è immediata, ma nessuno dei due ha la minima intenzione di intraprendere una relazione. Derek è un papà single che ha già sofferto molto e che ha come unico obiettivo quello di fare in modo che tragedie come quella accaduta a sua moglie non capitino mai più. Evelyn invece non è ancora in grado di fare pace con il proprio passato. Spesso però l'unica medicina in grado di curare due cuori feriti è l'amore, e la famiglia il luogo giusto in cui poter guarire.
LanguageItaliano
Release dateMay 20, 2019
ISBN9788858997949
Una madre per mia figlia: Harmony Bianca

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    Una madre per mia figlia - Amy Ruttan

    successivo.

    1

    Io odio volare.

    Evelyn chiuse gli occhi e strinse più forte i braccioli, mentre il Cessna C207 della Skycraft con a bordo sette persone veniva sbatacchiato su e giù da una turbolenza. Anche se sentiva lo stomaco contorcersi per la paura, sapeva che la causa di tutto ciò non erano solo quei forti spostamenti d'aria.

    Infatti, aveva pensato che nei vent'anni che era stata via da Wolf's Harbor, potessero aver costruito una strada che unisse Sitka alla cittadina in cui era nata; invece non era successo.

    Nulla sembrava essere cambiato da allora. Wolf's Harbor faceva ancora affidamento su un servizio aereo composto da piccoli velivoli come quello in cui era ora. E anche se esistevano dei traghetti da Juneau, ci volevano tre ore per raggiungere in auto il porto e altre quattro ore per attraversare il canale.

    Anche da Sitka si poteva raggiungere Wolf's Harbor via mare – e lei lo avrebbe di gran lunga preferito – ma quel giorno non c'erano partenze in programma, e così il Cessna era stato l'unica possibilità.

    L'aereo subì un nuovo scossone, ma le altre persone a bordo non vi prestarono molta attenzione. Erano calme e si limitarono ad assecondare gli spostamenti come se niente fosse. Molto probabilmente dovevano esserci abituate.

    Ma lei no. Lei era abituata alla prima classe dei Boeing e non alle scomodità agli aerei da turismo, né tanto meno a questo tipo di perturbazioni che avrebbero probabilmente costretto il pilota a un atterraggio difficile per via delle improvvise variazioni del vento.

    La prima volta che aveva volato su un Cessna era stato quando aveva lasciato Wolf's Harbor. O forse era meglio dire, quando era stata portata via da Wolf's Harbor.

    E da quel giorno, lei pensava che non l'avrebbe più rivista.

    Certo, aveva solo dieci anni quando era andata a vivere a Boston. Suo padre, che era stato per anni il medico del paese, aveva perso la vita investito da un camion, e sua madre, che era di origini Tlingit, era morta quando Evelyn aveva quattro anni. Così erano rimasti solo lo zio e la nonna materna a Wolf's Harbor, ma non aveva loro notizie da vent'anni.

    Subito dopo essere arrivata a Boston aveva scritto loro delle lettere, ma non aveva mai ricevuto alcuna risposta.

    Quel silenzio l'aveva distrutta, ma la nonna paterna le aveva insegnato a essere forte, a indurire il cuore di fronte alle delusioni.

    Del resto era colpa sua se suo padre era morto, e quindi non c'era da meravigliarsi che i parenti di sua madre avessero smesso di considerarla una di famiglia. Essersene andata era stata forse la cosa migliore.

    Eppure, quell'allontanamento le aveva lasciato un vuoto nel cuore. Certo, aveva fatto esperienza del mondo e aveva ricevuto un'istruzione eccellente, ma da bambina non avrebbe mai voluto lasciare Wolf's Harbor.

    Tuttavia, un giorno, un'assistente sociale era arrivata da Juneau per portarla via. La sua nonna paterna, che non aveva mai conosciuto e che abitava a Boston, aveva ottenuto la sua custodia. Ed essendo una bambina, lei non aveva avuto alcuna voce in capitolo...

    «Non voglio partire» protestò Evelyn, stringendo forte la bambola di pezza e guardando con malinconia la piccola casa di legno di suo padre.

    Amava quell'accogliente cottage nella foresta, dove era solita aspettare il ritorno del suo genitore. Ma lui non sarebbe più tornato.

    Suo padre era morto.

    Era morto perché stava andando a trovare quella donna. La donna che voleva prendere il posto di sua madre.

    «Non hai scelta» disse l'assistente sociale, inginocchiandosi di fronte a lei.

    Evelyn vedeva il dolore negli occhi di quella signora.

    «Mi dispiace, Evelyn, ma tua nonna a Boston non vede l'ora che tu arrivi. È lei, adesso, il tuo tutore legale. Tuo padre non ha fatto testamento e un giudice si è espresso in favore di tua nonna. Devi andare a vivere con lei.»

    «Non voglio andare a Boston.»

    «Lo so.» La donna l'afferrò con delicatezza per le spalle. «Anch'io vorrei che tu potessi restare.»

    Evelyn raccolse lo zainetto che conteneva tutte le sue cose e prese per mano l'assistente sociale mentre salivano sul taxi per l'aeroporto.

    Il Cessna era fermo in pista e i passeggeri stavano salendo a bordo. Mentre si voltava a guardare la città, strinse la mano dell'assistente sociale.

    Il tassista – suo zio Yazzie – aveva le lacrime agli occhi mentre la salutava con la mano.

    «Perché non posso stare con lo zio? Perché non posso restare con la nonna? Possono occuparsi loro di me.»

    «La corte ha deciso così, Evelyn. Mi dispiace tantissimo.»

    Evelyn sentì un nodo serrarle la gola. Stava lasciando tutto ciò che conosceva, tutto ciò che amava, per vivere con una sconosciuta.

    Zio Yazzie si passò una mano sul viso. «Non preoccuparti, Evie. Ci rivedremo presto.»

    Evelyn annuì e cercò di cacciare indietro le lacrime, mentre si allontanava dall'unica famiglia che conosceva.

    Non si era mai perdonata per non avere impedito a suo padre, quella sera, di uscire per vedere Jocelyn, la donna che voleva sposare. Se lo avesse fermato, sarebbe stato ancora vivo...

    «Signore e signori, stiamo per atterrare a Wolf's Harbor. Vi preghiamo di allacciare le cinture di sicurezza.»

    Il pilota ripeté l'annuncio in tlingit ed Evelyn provò tristezza per avere quasi dimenticato la lingua di sua madre. Grazie al cielo, la capiva ancora, ma quando era stata l'ultima volta che l'aveva parlata?

    Non se lo ricordava. Del resto sua nonna aveva proibito qualsiasi discorso sull'Alaska e sul suo passato; incolpava quella terra di averle portato via il figlio. Così, per evitare di turbarla, lei aveva assecondato le sue richieste. Ma non l'aveva fatto solo per quello. Aveva infatti paura che trasgredendo quella regola, sua nonna l'avrebbe mandata via, e lei non voleva restare sola. Non voleva essere allontanata di nuovo.

    Aveva già provato un profondo senso di solitudine quando ancora non sapeva cosa fosse ? durante quel viaggio a Boston... Era stato terribile, e non voleva sentirsi mai più così.

    E invece ora era ancora sola.

    Si era fidanzata con Nathan per due anni, ma per lei la carriera era sempre stata più importante. Lui gestiva un'importante clinica specializzata in chirurgia in Minnesota, e voleva sistemarsi e sposarsi. Solo che questa era l'ultima cosa che lei voleva. Primo, perché non se la meritava una famiglia; in secondo luogo perché non voleva che le venisse tolta di nuovo.

    Una parte di lei avrebbe voluto dispiacersi per aver perso Nathan; invece non provava nulla se non un po' di sollievo.

    Una volta lui l'aveva accusata di essere fredda. E forse aveva avuto ragione. La freddezza era l'unico modo che conosceva per tenere intatto il suo cuore. Era la sua armatura, la sua protezione contro il dolore. Sua nonna le aveva insegnato che le emozioni erano per i deboli, e questo le tornava utile anche come chirurgo.

    Fece un profondo respiro e guardò fuori dal piccolo finestrino mentre Wolf's Harbor diventava visibile nella fitta pioggia estiva che abbracciava le montagne.

    Aveva il batticuore e i palmi delle mani sudati, ma non sapeva se fosse per la turbolenza o perché vedeva sotto di lei il paese dove era nata, un luogo che aveva pensato di non rivedere mai più.

    La vista delle barche ormeggiate nel porto del paese le rimescolò lo stomaco per l'attesa. Era esattamente come lo ricordava. Un posto bellissimo.

    Durante il primo anno a Boston aveva continuato a sognare Wolf's Harbor e suo padre, poi i ricordi avevano iniziato a dissolversi a mano a mano che si integrava nella vita della città.

    Purtroppo sua nonna soffriva ancora molto per la scomparsa del figlio, e quel dolore si era infiltrato nella loro vita. Così si erano messe a viaggiare, mantenendo Boston come la loro casa base, anche se in realtà lei non l'aveva mai sentita come una vera casa.

    Era sempre andata bene a scuola, e dopo le superiori si era iscritta all'università di Dartmouth e poi all'Istituto di medicina di Harvard. Sua nonna era morta durante il suo ultimo anno a Harvard, ma era sembrata felice che Evelyn studiasse là. Più Evelyn eccelleva, più sua nonna era stata contenta di lei.

    Aveva svolto il praticantato a Seattle e aveva vinto una borsa di studio in ostetricia e medicina neonatale. Stava cercando una nuova sfida quando era stata contattata da un'amica che lavorava come chirurgo a Sitka e che l'aveva pregata di sostituirla mentre lei era in viaggio di nozze per tre mesi.

    Evelyn aveva pensato che fosse un'occasione interessante, ma non aveva idea che parte di quel lavoro l'avrebbe svolto alla clinica di Wolf's Harbor dove ostetrici e ginecologi si alternavano a rotazione ogni tre mesi. E il giorno in cui era atterrata a Sitka, Evelyn cominciava il suo periodo a Wolf's Harbor.

    All'inizio aveva pensato di non andare, di scaricare la sua amica, ma desiderava vedere di nuovo la cittadina in cui era nata, dare una mano alla gente che vi abitava.

    Lo doveva a suo padre.

    Alla sua casa.

    Non è casa tua!

    Doveva tenerlo bene a mente. Per lei non c'era posto lì. Non più. Doveva solo adoperarsi per i prossimi tre mesi e poi poteva andarsene con la coscienza più leggera.

    Il dottor Pearson, il ginecologo che stava terminando il suo periodo a Wolf's Harbor, l'avrebbe aspettata alla clinica del paese, dove le avrebbe lasciato le chiavi degli ambulatori e quelle dell'appartamento in uso al personale medico. Poi, dopo averle fatto vedere il posto, sarebbe tornato a Juneau.

    L'aereo atterrò con un leggero sobbalzo sulla pista di ghiaia e si avvicinò lentamente al terminal. Quando i motori si spensero, il pilota aprì il portello e sbarcò, mentre il personale di terra avvicinava la scaletta.

    Evelyn fece un profondo respiro. Ce l'hai fatta.

    Slacciò la cintura di sicurezza e prese la borsa col computer. Quando uscì dal Cessna fu colpita dall'odore di acqua salmastra, pioggia e umidità. Sentiva anche il rumore delle boe sull'acqua coperta dalla foschia.

    Non era cambiata.

    Casa.

    Evelyn chiuse gli occhi per fermare le lacrime che incalzavano.

    «Vieni qui, Evie.»

    Suo padre teneva le braccia aperte e lei gli corse incontro, premendo il viso contro la soffice flanella della sua giacca.

    «Ti voglio bene, papà.»

    Gli occhi grigioblù di suo padre brillavano di gioia mentre la baciava sulla testa e le sorrideva.

    «Anch'io ti voglio bene, Evie.»

    «Le serve aiuto, signorina?»

    Evelyn scacciò quel ricordo e guardò il pilota che le tendeva la mano. Indossava una giacca di flanella simile a quella che portava sempre suo padre.

    Raddrizzò la schiena e gli sorrise afferrando la mano.

    «Ha bisogno di aiuto per i bagagli?» le chiese ancora l'uomo.

    «No, grazie, ce la faccio da me.» Evelyn si avvicinò alla sua valigia che era appena stata scaricata, sollevò la maniglia e iniziò a trascinarla sulla pista.

    Una folata di vento le spostò i capelli sul viso e subito lei si rimproverò per non averli raccolti. Poi si diresse verso il piccolo terminal.

    Chissà se qualcuno si ricorderà chi sono.

    Lo stomaco le si strinse per l'emozione. Erano passati vent'anni da quando era stata portata via... e dal giorno in cui suo padre era morto. Ricordava alcune facce, ma era sicura che gran parte della gente avesse lasciato Wolf's Harbor da tempo.

    Come la sua nonna materna.

    E di certo anche i suoi compagni di scuola non l'avrebbero riconosciuta.

    Meglio così.

    Era colpa sua se suo padre quella sera se n'era andato sotto la pioggia ed era morto investito da un camion. Lei avrebbe dovuto fermarlo.

    A causa sua Wolf's Harbor aveva perso il suo medico migliore. E ora lei era lì per rimettere le cose a posto. O per lo meno ci avrebbe provato nel poco tempo che avrebbe avuto a disposizione.

    Il terminal era tranquillo. Tutto il personale di terra era impegnato con le merci, più che con i pochi passeggeri nella sala d'attesa. Quelli che erano sull'aereo con lei se n'erano andati da un pezzo. Sicuramente avevano un posto dove rifugiarsi. Persone care da visitare.

    Lei invece non aveva nessuno.

    «Posso aiutarla?»

    Evelyn si girò verso l'impiegata dietro il bancone della reception.

    «Avrei bisogno di indicazioni per andare alla clinica.»

    La giovane donna sorrise raggiante. «È a circa quindici minuti a piedi da qui. Vuole che le chiami un taxi?»

    «Sarebbe fantastico. Grazie» rispose Evelyn.

    La receptionist annuì, ma invece di prendere in mano il telefono, si alzò dallo sgabello. Subito Evelyn notò la rotondità del suo ventre.

    La donna aprì la porta sul retro e gridò: «Ho una corsa per te!».

    Evelyn sentì il cuore batterle in gola, e non poté fare a meno di chiedersi se la persona a cui l'impiegata si era rivolta fosse suo zio Yazzie.

    Vent'anni prima, il suo era stato l'unico taxi in paese. Quando suo padre lavorava per infinite ore alla clinica o in ospedale a Juneau, zio Yazzie la veniva a prendere a casa col taxi e la portava a scuola. Poi, il pomeriggio, restava spesso con lui e con la nonna.

    Qualche istante dopo, un giovane uomo dall'aspetto molto familiare

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