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Dire sì alla passione: Harmony Destiny
Dire sì alla passione: Harmony Destiny
Dire sì alla passione: Harmony Destiny
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Dire sì alla passione: Harmony Destiny

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About this ebook

Blake Kemp è un uomo caparbio e duro. Come avvocato alla giuda della città ha una reputazione da difendere mentre come uomo ha deciso che amore e passione non devono far parte della sua vita. Per questo non vuole che la sua dolce e gentile assistente, Violet Hardy, si prodighi in mansioni che non le competono solo per far colpo su di lui. Quella donna è fantastica, non c'è bisogno che faccia dell'altro per attirare la sua attenzione su di lei. Se vuole mantenere fede a ciò che si è ripromesso, non gli resta che allontanarla. Gli basta poco però per comprendere che senza quella donna la sua vita risulta buia e priva di scopo. Per questo metterà gli affari da parte e tenterà di riconquistarla ipotecando finalmente il cuore.
LanguageItaliano
Release dateSep 12, 2019
ISBN9788830504417
Dire sì alla passione: Harmony Destiny
Author

Diana Palmer

Stella indiscussa nel firmamento degli "autori rosa", Diana Palmer ha al suo attivo un centinaio di romanzi e la presenza, da qualche anno a questa parte, nella prestigiosa New York Times Bestselling List, una certificazione di eccellenza in ambito editoriale!Le sue storie toccano il cuore delle lettrici con atmosfere intriganti e sensuali, e con personaggi a tutto tondo, delineati con maestria e grande intensità.Alle spalle di Diana, un passato di giornalista, lavoro che ha svolto per sedici anni, prima del passaggio al mondo dei romanzi rosa. Le sue passioni, tuttavia, non si esauriscono con la scrittura; donna dai mille interessi, si dedica alla famiglia, non trascura l'impegno nelle associazioni assistenziali ed è riuscita a ritagliarsi del tempo per lo studio, arrivando alla soglia dei quarantanove anni alla laurea con lode. Non avere il tempo per annoiarsi: questo sembra essere il motto di Diana Palmer.

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    Book preview

    Dire sì alla passione - Diana Palmer

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Boss Man

    Silhouette Desire

    © 2005 Diana Palmer

    Traduzione di Letizia Montanari

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    HHarlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2006 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3050-441-7

    1

    Violet Hardy si sedette alla scrivania chiedendosi come diavolo le fosse venuto in mente di accettare un lavoro di segretaria in quel posto. Il suo capo, il procuratore distrettuale di Jacobsville, Texas, Blake Kemp non l’apprezzava minimamente. Eppure lei aveva semplicemente tentato di salvarlo da morte sicura per un prematuro attacco cardiaco servendogli un decaffeinato al posto del caffè normale! Per questo motivo era stata apostrofata nel peggior modo possibile e proprio dall’uomo che amava al di sopra di qualsiasi altra cosa al mondo! Sapeva bene che tutte le colleghe erano sconvolte quanto lei: si erano mostrate così gentili per cercare di risollevarle il morale! Ma niente poteva cancellare il fatto che Blake Kemp pensasse che Violet fosse grassa!

    Violet abbassò lo sguardo sul proprio corpo voluttuoso inguainato in un abito viola dal colletto alto, il corpetto increspato e la gonna dritta, vagamente conscia che quello stile non l’aiutava molto. E lei aveva deciso di indossarlo proprio quel giorno! Offrendosi allo sguardo di disapprovazione di Kemp! Sua madre aveva tentato di convincerla facendole osservare con gentilezza che increspature e seno abbondante mal si accordavano. E che, ancora peggio, le gonne dritte mettevano in risalto i fianchi generosi.

    Eppure Violet si era tanto sforzata per perdere un po’ di peso... aveva rinunciato ai dolci, si era iscritta in palestra e si era dedicata anima e corpo nel cucinare piatti leggeri che fossero adatti a lei e alla sua anziana madre che aveva problemi di cuore. L’anno prima suo padre era morto per quello che a dire dei medici doveva essere stato un attacco cardiaco. Ma negli ultimi tempi c’erano in giro parecchie voci che accusavano la matrigna della sua collega Libby Collins ritenendola responsabile per la morte improvvisa del signor Hardy. Janet Collins era sospettata di aver avvelenato un anziano in una casa di riposo. Inoltre aveva ottenuto una bella somma di denaro dal signor Hardy prima che questi morisse all’improvviso, poco dopo essere stato visto insieme a lei in una stanza di motel. La signora Hardy non era arrivata in tempo per bloccare l’assegno: si era resa conto dell’ammanco solo a funerali avvenuti.

    Violet e sua madre erano uscite devastate da quell’esperienza, non solo per la perdita del loro caro, ma anche per la disastrosa situazione finanziaria che si era lasciato alle spalle. Avevano perduto tutto, compresa la casa e la macchina. Non era stato possibile inchiodare legalmente la donna, che aveva convinto il signor Hardy a darle un quarto di milione di dollari. La madre di Violet aveva avuto un infarto poco dopo il funerale del marito. Una piccola eredità ricevuta dalla ragazza aveva permesso alle due donne di sopravvivere per alcuni mesi. Ma quando era finita, Violet era stata costretta a trovare un lavoro per mantenere entrambe. Fortunatamente Violet aveva seguito un corso per segretarie contro il volere del padre, che aveva continuato a ripeterle che non avrebbe mai avuto bisogno di lavorare.

    Era stata assunta nello studio di Kemp. Andava d’accordo con le colleghe, Libby Collins e Mabel Henry, ed era una brava segretaria. Ma il suo capo non l’apprezzava. Quel giorno meno che mai. Per almeno cinque minuti si sfogò con le due donne e arrivò persino a confessare quello che provava per il suo taciturno capo.

    «Non prenderla così a cuore, tesoro» le disse alla fine Mabel, in tono comprensivo. «Tutti abbiamo le nostre brutte giornate.»

    «Lui pensa che io sia grassa» disse infelice Violet.

    «Non ha detto niente del genere.»

    «Be’, avete visto tutti come mi ha guardata e che cosa ha insinuato» borbottò Violet, lanciando uno sguardo di fuoco in direzione dell’ufficio di lui.

    Mabel fece una smorfia. «Ha avuto una brutta giornata.»

    «Anch’io» dichiarò secca la ragazza.

    Libby Collins le diede una lieve pacca sulle spalle. «Lascia perdere, Violet» le consigliò gentilmente. «Concedigli un paio di giorni. Verrà a scusarsi. Ne sono certa.»

    Violet non era altrettanto sicura. Anzi, era pronta a scommettere che al suo capo non passasse nemmeno per la mente l’idea di scusarsi.

    «Vedremo» replicò, tornando alla sua scrivania. Ma non era convinta.

    Si era appena seduta quando sentì Mabel e Libby sussurrare che l’interfono era rimasto acceso quando lei aveva dato libero sfogo ai propri sentimenti. Gli occhi le si riempirono di lacrime. Il capo aveva ascoltato tutte le sue parole! Compresa la confessione che era pazza di lui! Aveva sentito. Come avrebbe potuto guardarlo ancora in faccia senza voler sprofondare sottoterra?

    E fu peggio di quanto avesse potuto aspettarsi... Per tutta la giornata, lui continuò imperterrito a uscire dall’ufficio per andare incontro ai clienti, fissare appuntamenti e bere caffè. Ogni volta, incrociando Violet, la fulminava con lo sguardo, come se si fosse macchiata di tutti e sette i peccati capitali. Così Violet cominciò a farsi piccola ogni volta che sentiva il rumore dei suoi passi nell’atrio.

    Al termine della giornata si rese conto che non poteva più restare lì: era troppo umiliante. Doveva assolutamente andarsene.

    Libby e Mabel notarono in lei un’insolita solennità, atteggiamento che si accentuò quando Violet si alzò, ritirò dalla stampante un foglio e si diresse verso l’ufficio di Kemp, dopo aver tratto un profondo respiro.

    Pochi secondi dopo lo sentirono esplodere: «Ma che cosa diavolo...?».

    Violet uscì dall’ufficio e riattraversò l’atrio con passo malfermo, rossa in volto, mentre un furibondo Kemp la inseguiva a meno di due passi agitando in aria il foglio di carta.

    «Lei non può darmi un solo giorno di preavviso!» urlò. «Ho alcuni casi in sospeso. Lei deve selezionarli e notificarne i supplicanti...»

    Lei si voltò, mandando fiamme dagli occhi. «Tutte le informazioni sono nel computer, insieme ai numeri di telefono! Libby sa che cosa fare. Ha dovuto aiutarmi a rintracciare alcune persone nei giorni in cui avrei dovuto essere a casa a curare mia madre a causa del suo infarto! La prego di non fingere che abbia importanza chi batta a macchina le lettere o faccia le telefonate, perché so benissimo che non le importa niente! Io adesso vado a lavorare per Duke Wright!»

    Lui, che stava schiumando di rabbia, si calmò di colpo. «Dunque passa al nemico, signorina Hardy?»

    «Il signor Wright è meno eccitabile di lei, signore, e non va su tutte le furie a causa di un caffè. Anzi, a dire il vero se lo prepara da solo!» concluse con una certa audacia.

    Lui cercò una replica pepata, ma non la trovò, così serrò le labbra sensuali soffocando un’imprecazione che avrebbe potuto portarlo in tribunale: ritornò in ufficio e chiuse con fragore la porta, sempre stringendo in mano il foglio di carta.

    Libby e Mabel si sforzarono di non ridere. Il signor Kemp aveva licenziato in tronco due persone nel giro di un mese. Il suo carattere peggiorava di giorno in giorno e la povera Violet ne era stata investita in pieno. Così adesso se ne andava anche lei: avrebbero sentito la sua mancanza. Libby pensò tristemente che adesso il carico di lavoro sarebbe aumentato.

    Violet si scusò con le colleghe, ma dichiarò che non sarebbe riuscita a sopportare la situazione nemmeno un minuto di più. Al termine della giornata, spense il computer e notò che le due ragazze erano uscite prima ancora che lei avesse avuto il tempo di radunare le sue cose. Libby aveva promesso di tornare per gli straordinari non appena avesse finito di mangiare: aveva accettato di finire di preparare il materiale per due casi che Kemp doveva presentare il giorno successivo. Violet sarebbe stata anche disposta a darle una mano: la povera Libby aveva un sacco di guai con quell’orrenda matrigna decisa a vendere casa Collins a discapito di lei e di suo fratello, Curt. Ma la ragazza aveva assicurato che non era un problema.

    Violet infilò la giacca e proprio in quel momento Kemp uscì dall’ufficio e si avvicinò a grandi passi. Era ancora in collera: gli occhi azzurri lampeggiavano dietro le lenti degli occhiali, il viso scarno era tirato, i capelli, neri e ondulati, erano stati lievemente scompigliati sulla fronte da dita irrequiete.

    Si fermò davanti a lei, fissandola con occhi di fuoco. «Spero che abbia capito le mie ragioni riguardo al caffè» disse brusco. «Per caso ha ripreso in considerazione le sue dimissioni?»

    Violet deglutì, poi si drizzò in tutta la sua statura e lo affrontò. «No. Ma me ne andrò non appena lei avrà trovato una sostituta, signor Kemp» ritrattò lei all’ultimo.

    Lui inarcò le sopracciglia. «Lei sta scappando, signorina Hardy?» le domandò sarcastico.

    «Faccia pure come le pare» replicò lei.

    Gli occhi di Kemp scintillarono per l’ira. «Stando così le cose, può considerare questo come il suo ultimo giorno di lavoro. Lasciamo pure perdere il preavviso. Chiederò a Libby di concludere i lavori da lei iniziati e le spedirò per posta la paga di due settimane. Se per lei questo è un accordo soddisfacente.»

    Violet si irrigidì e gli tenne testa. «Mi va benissimo, signor Kemp. Grazie.»

    Lui le rivolse un’occhiataccia, furibondo di non riuscire a suscitare alcuna reazione nella donna. «Molto bene. Mi dia la chiave dell’ufficio, allora.»

    Violet prese la chiave e gliela consegnò, attenta a non sfiorare le sue dita. Si sentiva spezzare il cuore, ma era troppo orgogliosa per mostrargli quanto fosse sconvolta.

    Kemp abbassò lo sguardo sulla testa di Violet mentre gli consegnava la chiave. Improvvisamente provò un’insolita e spiacevole sensazione di perdita. Non riuscì a capire come mai. Frequentava poco le donne in quegli ultimi tempi, pur avendo solo trentasei anni. Alcuni anni prima aveva perduto la donna che amava e da allora non aveva più avuto alcuna voglia di mettere di nuovo a rischio il suo cuore.

    Violet, tuttavia, minacciava la sua libertà. Quella donna possedeva una capacità di comunicativa sconvolgente ma era anche molto facile ferirla. Kemp poteva rendersi perfettamente conto come

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