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Un motivo per restare
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Ebook152 pages2 hours

Un motivo per restare

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About this ebook

Appena arrivata da Londra, Beth Seymour è ottimista e fiduciosa di riuscire a rifarsi una vita nella soleggiata Australia. Le tocca però tornare con i piedi per terra non appena incontra il suo terribile - ma così sexy! - nuovo capo, il primario di Pronto Soccorso Matthew Harrison.

Un tempo allegro e pieno di vita, Matt è oggi un uomo disilluso e refrattario all'amore. Le sue maniere brusche e autoritarie riescono a tenere tutti a debita distanza. Tutti tranne la nuova infermiera Seymour. Quando le è accanto, la dolcezza che aveva sepolto anni prima torna prepotentemente a galla. È possibile che Beth possieda la chiave in grado di aprire di nuovo il suo cuore?
LanguageItaliano
Release dateJun 10, 2020
ISBN9788830515918
Un motivo per restare

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    Un motivo per restare - Susanne Hampton

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Unlocking the Doctor’s Heart

    Harlequin Mills & Boon Medical Romance

    © 2014 Susanne Panagaris

    Traduzione di Francesca Tessore

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-591-8

    1

    «Assomiglio forse a un mocio per lavare i pavimenti?»

    Beth si chiese se quella fosse una domanda trabocchetto, visto che il giovane uomo che gliel’aveva posta era abbastanza alto e magro, non così dissimile da un bastone, e con una testa piena di riccioli.

    «Scusami?»

    «Sono arcistufo di come mi tratta Harrison! Sembra quasi che noi praticanti non abbiamo diritto di stare alla sua augusta presenza.»

    Beth lanciò un’occhiata di sottecchi all’uomo che condivideva con lei l’ascensore. «Naturalmente non ti stai riferendo al dottor Harrison, primario del Pronto Soccorso, vero?»

    «Temo di sì.»

    «Speravo che...»

    «Be’, sei stata sfortunata» tagliò corto lui. «Al confronto di Hannibal Harrison gli altri primari sono dei santi.»

    L’ascensore si fermò al terzo piano, le porte si aprirono su un atrio vuoto e dopo un’attesa prolungata si richiusero.

    «Perché la gente chiama l’ascensore, se non ne ha bisogno?» borbottò il ragazzo, prima che le labbra gli si incurvassero in un sorriso. «Sarà meglio che mi controlli... comincio ad assomigliare a Harrison!»

    Beth si lasciò scappare un sospiro. Quell’uomo aveva appena confermato le voci che le erano arrivate all’orecchio durante l’appuntamento di pochi minuti prima nell’ufficio del personale. Voci che, sulle prime, aveva deciso di ignorare come se fossero solo dei pettegolezzi.

    «Meraviglioso» ironizzò. «Ho iniziato a lavorare con lui questa mattina.»

    «Quindi ti accingi a diventare la sua nuova vittima.» Sorridendo, l’uomo si strofinò le mani, poi gliene porse una. «Stavo solo scherzando. È una mia brutta abitudine, ti ci dovrai abituare. Comunque, piacere, sono Dan Berketta, e tu devi essere la nostra nuova collega da Londra. Benvenuta all’Eastern Memorial

    Beth gli strinse la mano. «Beth Seymour.»

    L’ascensore si fermò di nuovo, stavolta al primo piano.

    «Scendo qui» le spiegò Dan. «Ci vediamo dopo.»

    Le porte si richiusero, lasciando Beth sola con i suoi pensieri, mentre scendeva al pianterreno. In qualche modo avrebbe dovuto cavarsela, nonostante la terribile prospettiva evocata dalla descrizione di Dan. Non aveva altra scelta, si disse, cercando di sistemare una ciocca di capelli sfuggita dalla treccia castana. Il clima umido dell’estate australiana stava mettendo a dura prova i suoi riccioli... una complicazione in più, di cui in quel momento avrebbe fatto volentieri a meno. I capelli scomposti l’avrebbero fatta sembrare più giovane, mentre quel giorno voleva dimostrare tutti i suoi ventotto anni.

    Dopo aver provato a combattere per qualche istante con la ciocca ribelle, si arrese e uscì dall’ascensore. Il Pronto Soccorso, nonostante fossero appena le otto di lunedì mattina, era in fermento. Non c’era una sola sedia libera in tutto il corridoio.

    «Coraggio, Beth Seymour» mormorò a se stessa. «È qui che vuoi stare, nonostante tutto.» Beth aveva lavorato troppo sodo e atteso quel giorno troppi anni, viaggiando nel frattempo in giro per il mondo, per permettere a qualsiasi cosa di spegnere il suo entusiasmo. Nemmeno a un primario di Pronto Soccorso dal carattere impossibile. E poi nessuno poteva essere così tremendo, decise. O forse sì?, si chiese, accorgendosi dell’uomo che tamburellava con impazienza le dita al banco dell’accettazione.

    Pur sapendo di non essere in ritardo, guardò l’orologio.

    Non esagerare, si rimproverò. Non puoi esserne intimidita prima ancora di conoscerlo. Mostrati decisa e professionale, come si addice a una specializzanda del secondo anno.

    Aveva riconosciuto il dottor Harrison immediatamente. La descrizione dell’impiegata dell’ufficio del personale era stata chiarissima. Alto, tra i trentacinque e i quaranta, capelli ondulati e scuri e profondi occhi azzurri.

    L’uomo al banco dell’accettazione rispondeva alla descrizione, anche se non lo avrebbe definito esattamente alto. Per quanto l’altezza fosse, comunque, molto soggettiva...

    Beth trasse un profondo sospiro e gli si avvicinò. «Lei deve essere il dottor Harrison» esordì, porgendogli la mano. «Mi hanno detto che l’avrei potuta trovare qui. Sono Elizabeth Seymour, la nuova specializzanda, ma mi chiami pure Beth. Sono stata assegnata qui al Pronto Soccorso.»

    Senza stringerle la mano, l’uomo si limitò a fissarla, come se non capisse. «Mi spiace, signorina. Io non sono un medico, ma un odontotecnico, ed è da un’ora che aspetto che qualcuno dia un’occhiata al mio sfogo. Ho un sacco di lavoro da fare e devo ritornare in studio il prima possibile.»

    Beth abbassò la mano, imbarazzata.

    «Be’, ha sentito il paziente, no?» esclamò una voce alle sue spalle. «L’ambulatorio quattro è vuoto, quindi lo conduca lì e controlli il suo sfogo, dottoressa Seymour.»

    Beth si voltò e per guardare le pozze azzurre a cui corrispondeva la voce fu costretta ad alzare non solo gli occhi, ma anche il viso.

    Quella voce e quegli occhi appartenevano al vero primario del reparto, Beth ci avrebbe scommesso tutta la sua futura carriera. Bastò uno sguardo al cartellino per dare corpo all’incubo. Matthew Harrison.

    «Ha problemi di udito o solo di comprensione, dottoressa?» la incalzò. «Le ho detto di accompagnare il paziente nell’ambulatorio numero quattro e di visitarlo, a meno che, naturalmente, qualcuna delle vostre pittoresche tradizioni inglesi non le impedisca di lavorare prima delle dieci del mattino.» Gli occhi azzurri si alzarono dalla cartella clinica che stavano esaminando e incontrarono lo sguardo attonito di Beth. «E se si tratta di questo, dottoressa Seymour, allora sarà meglio che si presenti immediatamente nel mio ufficio, perché non so cosa farmene di un secondo specializzando che lavora per me seguendo solo le sue regole.»

    E senza aggiungere altro, le girò le spalle e se ne andò.

    Beth si morse l’interno della guancia, lanciando un’occhiata intorno. La sala d’aspetto era piena di gente e tutti, sarebbe stata pronta a scommetterci, avevano perfettamente sentito la ramanzina che aveva appena ricevuto.

    «Ecco la cartella clinica del paziente, dottoressa Seymour» interloquì un’infermiera che cinque minuti dopo Beth non avrebbe saputo riconoscere nemmeno se le fosse andata a sbattere contro, tanto era sconvolta. L’attacco di Matthew Harrison le aveva obnubilato la mente. Chissà come riuscì a percepire le ultime parole della donna. «...l’ambulatorio di cui parlava il dottor Harrison è il secondo sulla sinistra.»

    «Grazie» replicò Beth, prendendo la documentazione e cercando di focalizzare il nome del paziente. «Bene, allora, signor... Somers, se vuole seguirmi, proverò a capire come aiutarla.»

    «Spero proprio che possa fare qualcosa. Sono quattro giorni che questo prurito mi sta facendo impazzire.»

    Beth entrò nell’ambulatorio e si lasciò scappare un sospiro. Non era così che si era immaginata il suo primo giorno di lavoro ad Adelaide. Appoggiò la cartella clinica sulla scrivania e andò al lavandino a lavarsi le mani, prima di infilarsi un paio di guanti di lattice. Poi si girò verso il paziente, che nel frattempo si era abbassato i pantaloni e si stava sdraiando a pancia in giù sul lettino.

    «Qual è esattamente il problema, signor... signor...?» Oddio, non se lo ricordava più! Imbarazzata, abbassò lo sguardo sulle natiche nude dell’uomo.

    «Somers» le ricordò lui. «Barry Somers, ma gli amici mi chiamano Bazza.»

    «Sì, certo, signor Somers» ripeté Beth. Tuttavia non le fu necessario chiedergli nuovamente quale fosse il problema, perché le mani dell’uomo glielo stavano già indicando.

    «Qui, dottoressa. Ero a caccia con i miei amici e a un certo punto ho sentito, mettiamola così, il richiamo della natura e mi sono accovacciato dietro a un cespuglio. Be’, non mi sono accorto che c’era dietro un fico d’india e... oddio, è stato davvero imbarazzante! Speravo che il bruciore sarebbe passato, ma non è così.»

    Beth lo visitò e, quando ebbe finito, si tolse i guanti e scrisse una ricetta. «Ecco, applichi per tre giorni questa crema sulla zona irritata e dovrebbe andare a posto in pochi giorni.»

    L’uomo la fissò con aria vacua.

    «Signor Somers, mi ha sentito?»

    «Sì...» L’uomo abbozzò un sorriso. «È proprio carina, sa, dottoressa? Le hanno mai detto che ha dei bellissimi occhi castani?»

    «Signor Somers, si rivesta, per favore.»

    «È single?»

    Beth decise di ignorare la domanda. «Non voglio metterle fretta, ma la sala d’attesa è piena, quindi se gentilmente potesse rimettersi i pantaloni e lasciare libero l’ambulatorio...»

    «Non può biasimare un uomo, se glielo chiede.» L’uomo si sistemò la maglietta. «Viene dal Regno Unito, vero? È qui da tanto?»

    «Sì, sono inglese e no, sono appena arrivata» tagliò corto Beth. «Adesso, a meno che non abbia dubbi clinici da espormi, sarà meglio che lei vada.»

    «Che ne dice di un caffè o magari di un cinema una sera?»

    Mentre Beth stava per aprire bocca per rifiutare la proposta e chiamare qualcuno della sicurezza, una voce profonda echeggiò alle sue spalle.

    «Dottoressa Seymour, direi che posso tranquillamente parlare a nome del resto del personale ospedaliero, direzione sanitaria inclusa, nel dirle che le saremmo eternamente grati se organizzasse la sua vita privata nei momenti liberi e non mentre è in servizio. In caso non l’avesse notato, là fuori c’è molta gente che aspetta. Quindi la smetta di chiacchierare e veda di sbrigarsi.» Il dottor Harrison si voltò per andarsene, ma all’improvviso parve ripensarci. «Voglio essere franco con lei, dottoressa Seymour. Non ero favorevole a questo scambio di specializzandi. In un reparto come questo può creare dei problemi e, a quanto ho potuto constatare questa mattina, dubito di sbagliarmi.»

    «Io... Io...» Beth era talmente nervosa che le mancavano le parole. «Stavo solo cercando di spiegare al signor...» Ecco, le stava succedendo di nuovo... le si era oscurata la mente. Non le era mai capitato prima. Non aveva mai perso il controllo così.

    «Somers» concluse per lei il primario, dopo aver dato un’occhiata all’intestazione della cartella clinica. «Cerchi di ricordarsi i nomi, dottoressa Seymour. È un tocco di professionalità molto incoraggiato, da queste parti.»

    «Come dicevo» si riprese Beth, «stavo spiegando al signor Somers che doveva recarsi in farmacia.»

    «Ma il messaggio non gli era arrivato, è così?» Le sopracciglia incurvate, Harrison incrociò le mani sul petto e si mise a fissare il paziente, in silenzio. Che fosse la sua statura imponente o il suo atteggiamento minaccioso, Beth non avrebbe saputo dirlo, ma qualcosa spinse il signor Somers a guadagnare la porta e sparire.

    «Be’, non è stato poi tanto difficile, dottoressa Seymour. Mi chiedo se il suo problema non sia forse la mancanza di determinazione. O magari non aveva fretta.»

    Beth giudicò quella critica ingiusta e decisamente intollerabile. Prima di replicare lasciò passare un istante, sperando di recuperare ogni briciolo di autocontrollo che possedeva. Lì in Australia non avrebbe dovuto essere tutto diverso? Un nuovo inizio, dove finalmente venire apprezzata come dottore e come persona. Meglio essere chiara fin da subito.

    «Le sue supposizioni sono entrambe errate, dottor Harrison» lo sfidò, fingendo una calma che non provava affatto. «A quanto sembra

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