Per ripicca o per amore
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About this ebook
Appena Lady Annemarie Golding scopre che il tavolino da toeletta che ha appena acquistato interessa anche al Principe Reggente, si rifiuta categoricamente di cederlo. In principio la sua è soltanto una ripicca nei confronti degli uomini, che ritiene freddi e calcolatori. Poi, però, quando scopre che il gentiluomo mandato a recuperare l'oggetto ha modi impeccabili e un volto affascinante, si ritrova a sognare di essere lei al centro della sua attenzione. Decisa a uscire vittoriosa dalla battaglia, Annemarie pensa che la sua unica arma sia usare il tavolino della discordia come alleato: finché lo terrà in casa propria, infatti, Lord Verne sarà costretto ad andare a trovarla...
Juliet Landon
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Book preview
Per ripicca o per amore - Juliet Landon
Immagine di copertina:
Nicola Parrella
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Mistress Masquerade
Harlequin Mills & Boon Historical Romance
© 2014 Juliet Landon
Traduzione di Daniela Mento
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3051-597-0
1
Londra, giugno 1814
Lord Benistone posò il giornale che stava leggendo con l’aiuto di una lente di ingrandimento e fissò distrattamente, per qualche istante, il barattolo della marmellata di arance sul tavolo della colazione, prima di voltarsi verso le sue tre figlie.
«Povera donna...» si limitò a mormorare.
Due di loro temettero che si stesse riferendo alla loro madre, piuttosto che alla gentildonna che il Times menzionava per l’ennesima volta.
«Un necrologio?» gli chiese Annemarie, la sua secondogenita.
«No, mia cara. Lady Emma Hamilton ha messo di nuovo all’asta i suoi oggetti. Ormai non le resterà molto da vendere. Devi assolutamente andare a vedere, Annemarie.»
«Andare a un’asta? Papà, preferirei di no. Ci sarà tutta Londra e io...»
«Chiederò a Christie’s che tu possa esaminare in privato gli oggetti messi all’asta. Non ti piacerebbe avere qualcosa in suo ricordo?» insistette il padre.
«Mi dispiace per il modo in cui è stata trattata, dopo la morte di Lord Nelson. Aveva tanti amici e parenti, avidi e ricchi, che non hanno cercato in alcun modo di aiutarla a pagare i suoi debiti. Ormai sarà disperata.»
Naturalmente c’era da aspettarsi che la sorella minore, Marguerite, esprimesse la propria opinione non richiesta su un argomento di cui sapeva molto poco, dato che aveva diciassette anni e ignorava cosa fosse la discrezione.
«Non spreco la mia compassione per una donna del genere» dichiarò infatti, allontanando il piatto della colazione, anche se non aveva ancora finito di mangiare. «Se l’è andata a cercare.»
Così suo padre perse del tutto la pazienza.
«Marguerite, vorrei che imparassi a riflettere, prima di parlare, o non riuscirò mai a fare di te una vera signora. Innanzitutto, la colpa non può essere tutta sua, e poi... No, non importa, tanto non capiresti.»
Perfino Marguerite, a quel punto, comprese che Lord Benistone stava pensando alla loro madre. Oriel, la figlia maggiore, rimise a posto il piatto della sorella.
«Adesso dovresti scusarti» consigliò a Marguerite.
«Mi dispiace, papà» mormorò la giovane. «Ho parlato senza pensare.»
«Non preoccuparti, bambina mia» replicò lui, annuendo comprensivo.
Il sole del mattino accarezzò i suoi capelli grigi, mentre leggeva un’altra volta l’annuncio dell’asta.
«Va’ comunque a dare un’occhiata, Annemarie» insistette. «Chissà, magari potresti trovare qualche oggetto che ti piacerebbe portare con te a Brighton.»
A sessantotto anni era ancora un bell’uomo, nonostante la mancanza di esercizio che gli provocava un’incipiente pinguedine.
«Dubito che tu e Lady Hamilton abbiate gli stessi gusti. I suoi sono un po’ troppo appariscenti» osservò Oriel, rivolta alla sorella. «Che cosa sceglieresti, comunque?»
«Non lo so. Qualcosa di piccolo, suppongo.»
Annemarie vide che il padre sorrideva, divertito. Non c’era un palmo di spazio libero nella loro residenza di Montague Street, tutto era occupato dalla sua famosa collezione di antichità. Mandava lei all’asta, invece di andarci di persona, così non sarebbe stato tentato di acquistare qualcosa, pur soddisfacendo la propria curiosità. Anche quel poco che era rimasto a Lady Hamilton sarebbe potuto essere interessante, se non addirittura raro, dato che lei e Lord Nelson avevano ricevuto regali da ogni parte del mondo.
Annemarie doveva tornare a casa sua, a Brighton, il giorno dopo, quindi sarebbe stata l’ultima opportunità per comperare anche una piccola cosa.
Soltanto un’ora dopo venne consegnato a Montague Street un messaggio da parte del direttore di Christie’s, il quale assicurava a Lord Benistone che Lady Annemarie Golding sarebbe stata la benvenuta, se avesse voluto visitare privatamente la casa d’aste.
Così, a metà pomeriggio, Annemarie non aveva scelto la piccola cosa che aveva pensato, ma un tavolino da toeletta di Chippendale, che forse non era all’ultima moda, ma che sembrava fatto apposta per la sua camera da letto.
A dir la verità i tavolini erano due e lei avrebbe volentieri preso anche l’altro, ma era vedova e non aveva un marito a cui regalarlo. Lady Hamilton e Lord Nelson, a quanto pareva, se li erano divisi, e adesso avrebbero portato un po’ di denaro alla loro padrona, più dell’altra paccottiglia che stava vendendo. Il direttore della casa d’aste garantì a Lady Golding che avrebbe trovato certamente un altro acquirente per il tavolino rimasto, il che rassicurò Annemarie, che si sentiva in pena per i problemi economici della gentildonna.
Il tavolino venne consegnato in Montague Street quel giorno stesso e Lord Benistone ne accarezzò la superficie intarsiata e le belle maniglie d’ottone, come se le sue dita potessero leggere la storia che quel mobile raccontava.
«Te lo farò imballare per domani mattina, così potrai portarlo via.»
«Grazie, papà» rispose Annemarie.
Il mobile di legno scuro sembrava fuori posto nell’atrio chiaro e luminoso in stile neoclassico della loro residenza, fra busti di matrone romane, urne e bassorilievi. Fu inutile ripetere a suo padre l’invito ad andare con lei a Brighton. Non avrebbe mai lasciato, neppure per pochi giorni, la sua adorata collezione di antichità per respirare un po’ di buona aria di mare, proprio adesso che tutta Europa stava per giungere a Londra e celebrare la fine della guerra.
Avrebbe avuto la possibilità di incontrare altri appassionati e lei non si sentiva di biasimarlo, dato che per lo stesso motivo preferiva fuggire a Brighton, dove non avrebbe incontrato nessuno che conosceva. Anche perché la bella residenza di Montague Street le sembrava ormai un museo e desiderava gli spazi semplici e lineari della sua casa al mare, senza sculture di enormi proporzioni e dipinti che ricoprivano ogni parete.
C’erano antichità dappertutto, ammassate l’una all’altra in modo tale che le cameriere non riuscivano nemmeno a spolverare. I soli ospiti che Lord Benistone accoglieva volentieri erano altri collezionisti e l’argomento di conversazione era sempre uno solo, si parlava sempre di antichità.
Non era difficile capire perché Lady Benistone se ne fosse andata, l’anno prima, e non passava giorno che Annemarie rimpiangesse la madre e soffrisse per il modo in cui li aveva lasciati.
Lei, il padre e le sorelle non ne parlavano mai, ma adesso che si avvicinava la sua partenza sembrava che Lord Benistone avesse qualcosa da dirle, in proposito.
«Sono preoccupato per te, bambina mia» affermò infatti, smettendo di accarezzare il tavolino. «Hai sofferto più delle tue sorelle per quanto è successo. Hai ventiquattro anni ed è ora che trovi qualcun altro che si curi di te. Non mi sembra che andare a rifugiarti sulla riva del mare sia il modo migliore per risolvere il problema. Quando non ci sarò più...» La sua voce ebbe un tremito. «Avrei dovuto accorgermene in tempo, vero?»
Annemarie non lo aveva mai visto così, sull’orlo delle lacrime. Cercò di calmarlo, quasi fosse una madre che confortava il figlio, e suo padre si riprese. Tornò a essere quello di sempre, composto e dignitoso, deciso a non mostrare quale ferita gli avesse inferto la moglie.
In fondo era un sentimentale, accecato dalla sua passione per le antichità, il che gli aveva impedito di accorgersi che stava per perdere la moglie. Lui e Marguerite, che volesse ammetterlo o no, erano molto simili.
Si ritrasse dalle carezze di Annemarie, asciugandosi in fretta una lacrima. «Tu le assomigli tanto» mormorò, sfiorandole una guancia. «Intendo dire fisicamente. Com’era bella, quando l’ho vista per la prima volta, con quei capelli neri, la pelle di velluto, gli occhi di ametista...»
Annemarie sorrise. Quale padre non riteneva bellissime le proprie figlie?
Più tardi cercò di persuadere Oriel.
«Vorrei tanto che tu venissi con me» le disse, non appena Marguerite salì al piano di sopra.
«E io vorrei che tu rimanessi qui con noi» replicò la sorella.
Sentirono sbattere una porta, Marguerite sembrava essere ancora agitata.
«Non so mai che cosa stia per combinare, che cosa dirà, o farà. Perciò è meglio che resti qui a tenerla d’occhio, e poi...» riprese Oriel.
«Sì, lo so, c’è il colonnello Harrow. Non ti porterei mai via da lui, soltanto perché mi tenessi compagnia.»
Oriel arrossì, mentre un sorriso illuminava il suo bel viso sereno. Annemarie le prese la mano per ammirare ancora una volta l’anello di fidanzamento, di zaffiri e diamanti. Il colonnello Harrow era fortunato ad averla conquistata e Annemarie non li avrebbe mai separati, proprio adesso che lui era finalmente tornato dalla guerra. Il sollievo di Oriel nel rivederlo sano e salvo, dopo tante battaglie contro Napoleone, l’aveva fatta piangere di gioia, anche perché lei non era stata altrettanto fortunata con suo marito.
Oriel e il suo William avrebbero partecipato insieme ai festeggiamenti per la fine della guerra, che avrebbero dovuto durare un mese intero, sempre che il Principe Reggente fosse in grado di trovare il denaro necessario.
«Non è solo per William, ma anche per papà. Preferisce che sia una di noi ad accompagnare i visitatori a vedere la sua collezione, e Marguerite non ne sa niente. Almeno io sono in grado di distinguere un pezzo egizio da uno assiro.»
Risero per l’ignoranza della sorellina, dietro la quale si nascondeva una buona dose di furbizia.
«Sa benissimo che se imparasse qualcosa sarebbe costretta a fare da cicerone, dunque cerca di evitarlo. Anche papà l’ha capito, e dovrebbe essere più severo con lei.»
«A colazione l’ha sgridata.»
«Dovrebbe farlo più spesso.»
«Per fortuna c’è Cecily» aggiunse Oriel, passando un dito sulla barba di pietra di un imperatore romano. «Questo non l’hanno spolverato da un po’.»
«Cecily è una santa» commentò Annemarie.
Cecily era una cugina vedova di Lord Benistone, che viveva nella sua lussuosa residenza di Park Lane, ma che spesso faceva loro visita. Marguerite dormiva spesso da lei e ricorreva a Cecily tutte le volte in cui aveva bisogno di qualcuno che l’accompagnasse a qualche avvenimento mondano. Era stata Cecily a organizzare il ballo in cui la sorellina aveva fatto il suo debutto in società, l’estate precedente, un ballo che aveva avuto un seguito funesto per tutta la famiglia.
«Non dovresti viaggiare da sola fino a Brighton» osservò Oriel. «A papà non fa piacere, lo sai. Non chiederesti a Cecily di accompagnarti?»
«No, grazie, preferisco che rimanga qui con Marguerite. Stasera nostra sorella ha intenzione di recarsi al ballo di Lady Sindlesham. E comunque non viaggio affatto da sola, ma con una cameriera e due cocchieri. Che cosa vuoi che mi succeda?»
«Finirai per diventare una reclusa, Annemarie, e questo non è un bene per te.»
«A me piace così.»
«Pensa a tutti i begli abiti da sera che potresti indossare, se rimanessi a Londra. Ti piaceva vestirti per andare ai ricevimenti.»
«Non insistere, Oriel, tanto non serve a niente.»
Tuttavia era vero che gli abiti all’ultima moda le erano sempre piaciuti. Erano una sua debolezza, ma ormai preferiva non attirare l’attenzione della gente. L’avrebbero guardata soltanto per chiedersi come fosse sopravvissuta allo scandalo di sua madre. Non era preparata per affrontare la curiosità altrui.
Oriel capiva. Sperava che un giorno la madre tornasse, e solo allora lei e il suo colonnello avrebbero stabilito la data delle nozze. Né Annemarie né Oriel avevano mai perso la speranza di rivedere Lady Benistone ed erano convinte che dopo il suo ritorno la loro vita sarebbe tornata a essere quella di un tempo.
«Grazie, milord! Sempre al vostro servizio» esclamò il fattorino di Christie’s toccandosi il berretto, mentre intascava la moneta che gli era stata lanciata. Poi rimase a guardare il gentiluomo alto e atletico che si allontanava, dicendosi che era stata una vera fortuna che avesse chiesto proprio a lui le informazioni che gli servivano.
«Mai guadagnato soldi più facilmente, Rookie» confidò al suo collega, risalendo sul carretto delle consegne e sedendosi a cassetta, accanto a lui.
«Chiudi il becco!» ribatté l’altro, invidioso, poi incitò i cavalli.
Anche il gentiluomo risalì sulla sua elegante carrozza e, dopo aver preso le redini e la frusta dalle mani del palafreniere, si diresse verso Montague Street.
Lì abitava infatti Lord Benistone, noto collezionista di antichità greche e romane. Il Principe Reggente sosteneva che fosse uno dei maggiori intenditori d’arte, a Londra. Purtroppo era appena uscito da un brutto scandalo. L’anno precedente, la bella moglie era fuggita con il fidanzato di una delle sue figlie.
Il gentiluomo non sapeva niente di quella storia perché a quel tempo era in Spagna, con Wellington, a combattere contro Napoleone. Lord Benistone non era un tipo mondano e, delle sue figlie, sapeva soltanto che una di loro aveva ereditato la bellezza materna, il che aveva aumentato la sua curiosità.
Il maggiordomo di Lord Benistone affermò che il padrone non era in casa. Si era recato al British Museum, come faceva regolarmente ogni quindici giorni. Chiese al gentiluomo se volesse tornare il giorno dopo, o lasciare il suo biglietto da visita.
Jacques Verne cercò di non mostrare la propria impazienza, ma, mentre parlava con il maggiordomo notò qualcosa che si muoveva, nell’ombra dell’atrio, dietro il piedistallo di una statua antica.
«Mi stavo chiedendo se... Non ho ancora avuto il piacere di conoscere le figlie di Lord Benistone, ma il Principe Reggente...»
L’ombra si mosse di nuovo e si fece avanti una fanciulla di incredibile bellezza, vestita di mussolina bianca, con la pelle di alabastro e i lunghi capelli neri raccolti sul capo, tranne che per alcune ciocche che ricadevano lungo il collo flessuoso.
Non capitava spesso che Jacques rimanesse senza parole, essendo noto come una persona colta ed eloquente, capace di cavarsela in ogni circostanza, ma in quel caso restò ad ammirare incredulo la meravigliosa apparizione.
Per non apparire scortese, cercò disperatamente di dire qualcosa.
«Miss... Benistone... Spero che vorrete perdonarmi...»
Due splendidi occhi color ametista lo fissarono e un ricciolo nero ricadde su una delle sue sopracciglia arcuate. Su di un’altra donna sarebbe stato indice di disordine, su di lei invece era il tocco finale che la rendeva ancor più desiderabile.
Doveva essere la figlia che assomigliava a Lady Benistone, rifletté. Se la madre era così, come biasimare l’uomo che l’aveva rubata al marito?
I suoi occhi ametista, però, non tradivano alcuna emozione, né interesse per lui.
«Sono Lady Golding, la secondogenita di Lord Benistone. E voi siete...»
«Lord Verne, al vostro servizio.»
«Suppongo debba bastare, dato che non c’è nessuno che ci possa presentare. Come state?» gli chiese lei chinando appena il capo, in segno di cortesia.
Anche Jacques rispose con la medesima sobrietà, evitando l’inchino, dato che lei non gli aveva fatto alcuna riverenza.
Il maggiordomo prese in consegna il cappello e i guanti del visitatore e li posò su un angolo del tavolo in mezzo all’atrio, carico di libri d’arte, prima di fargli strada verso il salotto, che, come tutte le altre stanze della casa, era diventato un piccolo museo.
Non era rimasto davvero molto spazio libero nella residenza di Lord Benistone, constatò Jacques. C’erano antichità dappertutto e per poco non rise, quando vide che il maggiordomo usava il calco in gesso del piede di una statua per tenere aperta la porta del salotto, prima di allontanarsi e lasciarlo solo con Lady Golding.
«È un calco del piede del David di Michelangelo» lo informò Annemarie. «E qui ci sono i calchi del naso e delle mani» aggiunse, soffiando via la polvere dai due oggetti. «Posso chiedervi perché siete qui, milord?» gli domandò ancora senza sorridere.
Lui, per qualche irrazionale motivo, desiderò invece farla sorridere. «Sarebbe stato difficile farlo entrare tutto intero qui dentro, vero? Meglio farlo a pezzetti» commentò, cercando di essere spiritoso.
«Avete appena menzionato il Principe Reggente. Perché?» ribatté Annemarie, ignorando i suoi sforzi per rendersi simpatico. Non aveva mai apprezzato i