Una tentazione per il pediatra: Harmony Bianca
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Una tentazione per il pediatra - Wendy S. Marcus
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
NYC Angels: Tempting Nurse Scarlet
Harlequin Mills & Boon Medical Romance
© 2013 Harlequin Books S.A.
Traduzione di Giacomo Boraschi
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3050-450-9
1
Scarlet Miller, caposala dell’Unità di Terapia Intensiva Neonatale presso l’Ospedale Pediatrico Angel Mendez, chiamato familiarmente Angel dallo staff, entrò nella nuova unità che aveva contribuito a progettare, sentendosi a casa più che in qualsiasi altro luogo. Era orgogliosa dei risultati ottenuti in quattro anni con l’aiuto dei suoi meravigliosi colleghi. Rinomato in tutti gli Stati Uniti per l’eccellente qualità delle sue prestazioni, l’ospedale vantava una delle più basse percentuali di mortalità neonatale. Fra l’altro associava alla sua tecnologia di avanguardia una calda capacità di accoglienza e i sessantadue letti disponibili erano sempre occupati.
«Sembra che qualcuno abbia finalmente passato un weekend hot» osservò Linda, una delle infermiere più anziane, andandole a fianco.
«Se per qualcuno ti riferisci a me...» Scarlet si fermò presso l’ufficio delle infermiere, prese il fascio di messaggi che una centralinista del reparto le porgeva e ringraziò la giovane donna con un sorriso prima di rivolgersi nuovamente a Linda. «E se per hot intendi la notte che ho passato a rivoltarmi nel letto in un bagno di sudore, l’undici maggio più caldo della storia a Weehawken, New Jersey, sedici terribili ore senza corrente elettrica e quindi senza aria condizionata, allora hai proprio fatto centro. Ho passato un weekend molto hot.»
«Uh oh.» Linda sbirciò un enorme vaso con almeno due dozzine di rose rosse sul banco alla loro sinistra.
«Uh oh che cosa?»
«Ti avevo detto che non avremmo dovuto farlo» interloquì Ashley, la giovane centralinista, scrollando la testa.
Scarlet la guardò. «Fare che cosa?»
Cindy, una nuova infermiera che stava osservando i monitor dei pazienti, guardò sopra il banco e indicò una scatola dorata di cioccolatini con il coperchio parzialmente sollevato.
«Volete dirmi che cosa sta succedendo?»
Scarlet non aveva tempo da perdere, doveva tornare al lavoro dopo una mattinata di riunioni e di colloqui con la famiglia della loro ultima neonata prematura, Gupta, arrivata durante la sua assenza, che pesava soltanto seicentoventitre grammi e misurava trenta centimetri.
«Credevamo che fossero per te» disse Cindy.
«Che cosa?»
«I fiori. E i cioccolatini» specificò l’infermiera.
«Perché...»
Perché qualcuno avrebbe dovuto mandarle delle rose rosse, il simbolo floreale dell’amore e della passione? Di solito quei fiori venivano regalati dagli uomini alle mogli, alle fidanzate e alle amanti, mentre lei passava praticamente tutta la vita all’interno dell’ospedale e non aveva un uomo da... mmmh, da...
Scarlet rinunciò, preferendo non riconoscere il triste fatto che per evocare il ricordo doveva risalire all’anno precedente o forse addirittura a due anni prima. Non che si sentisse umiliata dalla difficoltà di ricordare. Ma a propria difesa doveva riconoscere che nessuna donna poteva arrivare al suo livello professionale... di cui beneficiavano l’ospedale, i piccoli pazienti e le loro famiglie... senza dedicare praticamente tutta la vita al lavoro.
«Perché il biglietto che li accompagna è indirizzato a te.»
Linda indicò la piccola busta verde che spuntava fra i fragranti boccioli. Sì, c’era effettivamente scritto il suo nome. Con una sola t
, a differenza della famosa Scarlett di Via col Vento. Purtroppo, al momento di registrarla all’anagrafe, sua madre aveva commesso un errore. Scarlet prese la busta e l’aprì.
Cara Scarlet,
purtroppo non mi hai detto il tuo cognome. Spero che questo piccolo omaggio ti arrivi. La notte di sabato è stata meravigliosa. Non avrei mai pensato di poterne passare una così con una donna.
Scarlet capì subito che il biglietto non era indirizzato a lei. Ma continuò a leggere... non per curiosare, naturalmente, ma per identificare la destinataria del messaggio.
Spero che presto faremo il bis.
Buona fortuna per il tuo nuovo lavoro.
Contattami.
Brandon.
Sotto il nome c’erano un numero di telefono fisso, un numero di cellulare e un indirizzo e-mail.
«Chiama l’ufficio del personale» disse Scarlet ad Ashley. «Chiedi se c’è una nuova arrivata di nome Scarlet e dove lavora.»
Mentre Ashley eseguiva l’istruzione, Cindy tolse il biglietto dalla mano di Scarlet e lo lesse. «Wow.»
Usò il biglietto per farsi vento, poi lo porse a Linda.
«Oh, santo cielo» commentò Linda. «Le ragazze di oggi...»
Scosse la testa con disapprovazione.
Ashley riattaccò il ricevitore e alzò lo sguardo con aria mortificata. «Una Scarlett con due t
che di cognome fa Ryan ha cominciato a lavorare oggi al Pronto Soccorso Pediatrico come segretaria dell’unità.»
«E voialtre...» Scarlet indicò a turno le mangiatrici di cioccolatini, aggrottando le sopracciglia in un’ironica accusa. «... mangiate i cioccolatini che quella povera ragazza si è guadagnata con il sudore della fronte.»
«Non soltanto noi» replicò Linda. «Una regola non scritta vuole che i cioccolatini nell’ufficio delle infermiere siano a disposizione di tutte. Serviti pure o non lamentarti se resti a bocca asciutta. Non devi domandare il permesso.»
«Il nostro è un lavoro duro» aggiunse Cindy. «Le infermiere mangiano cioccolatini per tenersi in forma e offrire il meglio di se stesse.» Schioccò le dita. «Se mi date cinque minuti, scommetto che trovo una ricerca scientifica per sostenere la mia tesi.»
Scarlet sorrise. «Perché no?»
Alzò il coperchio. I trenta piccoli quadrati della scatola erano tutti vuoti meno quello dell’angolo in alto a destra. E il cioccolatino in questione appariva leggermente schiacciato, tanto da rivelare il suo contenuto rosa.
«Ho detto loro di lasciartene uno» disse Ashley.
«Dev’essere alla fragola» aggiunse Cindy.
«Ti piace la fragola, vero?» interloquì Linda.
Scarlet prese il cioccolatino parzialmente sbocconcellato e se lo mise in bocca. Sì, fragola. E c’era anche della crema. Un cioccolatino delizioso. Non lo inghiottì subito per poterne gustare il sapore. Chiuse gli occhi per assaporarlo meglio. Patetico. «Tornate al lavoro. Tutte quante» ordinò, agitando la mano.
«Che cosa farai dei cioccolatini?» domandò Ashley.
Tu. Non noi. Perché Scarlet difendeva sempre il suo staff. In qualunque occasione. Rimise il coperchio e gettò la scatola nel cestino. «Quali cioccolatini?» chiese con un sorriso innocente.
Lo staff ricambiò il sorriso.
«E i fiori?» chiese Ashley.
Scarlet rimise il biglietto nella busta. «Li porterò al Pronto Soccorso dopo avere dato un’occhiata alla nostra piccola Gupta.»
Era una giornataccia e il dottor Lewis Slater, primario del Pronto Soccorso Pediatrico, ne aveva conosciuto di terribili nel corso degli ultimi nove mesi, da quando aveva scoperto di essere padre e nuovo tutore di una figlia ora tredicenne. Ma quella giornata si stava rivelando la peggiore. Due infermiere assenti per malattia. Una nuova centralinista dell’unità che, per quanto carina, aveva chiaramente sopravvalutato le proprie capacità e Jessie arrestata per furto e assenteismo scolastico in un supermercato.
Forse perché il papà era medico, forse a causa dell’eccellente reputazione dell’Angel o delle difficoltà della ragazza nel corso dell’anno precedente, il poliziotto aveva convinto il direttore del supermercato a non sporgere denuncia. Così Jessie se l’era cavata con una semplice ramanzina.
Lasciato il commissariato, Lewis alzò la mano per chiamare un taxi. «È la cosa più stupida che tu abbia fatto da quando sei con me» disse a sua figlia.
E di stupidaggini ne aveva fatte una quantità. Un taxi giallo si fermò davanti a loro e Lewis aprì la portiera posteriore, poi spinse dentro la ragazza. «Ospedale Pediatrico Angel Mendez» disse al tassista. «Se arriva in venti minuti le do venti dollari di mancia.»
Stimolato dall’incentivo, il tassista s’inserì nel traffico tagliando la strada a un altro taxi e a un autobus. Per poco non investì un ciclista. I clacson strombazzarono, gli insulti fioccarono, numerosi medi furono alzati e agitati. Una tipica corsa in taxi a New York.
Lewis si rivolse a Jessie. «Che cosa ti è saltato in mente?»
Aveva marinato la scuola. Vagabondato per le vie di Manhattan. Da sola. Al pensiero di quello che sarebbe potuto accaderle, Lewis sudò freddo.
Come al solito, Jessie non lo guardò. Fissò diritto davanti a sé, ignorandolo ostentatamente. Ma quando Jessie tolse di tasca l’amata cuffia che usava per danneggiarsi i timpani con musica dozzinale, Lewis gliela strappò di mano. «Sto parlando con te, carina. E stavolta mi ascolterai.»
Per tutta risposta lei gli gettò un’occhiata torva.
«Il tuo comportamento è inaccettabile e ne ho abbastanza. Mi dispiace che tua madre sia morta. Mi dispiace che non mi abbia mai parlato di te.» E gli dispiaceva ancora di più che lei lo avesse odiato a prima vista senza nemmeno offrirgli un’occasione. «Mi dispiace di averti strappato dal Maryland per portarti a New York. Ma sono tuo padre, e sto facendo del mio meglio.»
Aveva rinunciato alla propria privacy, alla propria libertà e a una soddisfacente vita sessuale per essere un buon modello per sua figlia. Aveva assunto governanti che la sorvegliassero dopo la scuola quando lui doveva lavorare, governanti che non avevano mai resistito più di un mese. Aveva assunto un autista perché l’accompagnasse a scuola e andasse a prenderla quando lui non poteva, un autista che spesso aveva dovuto aspettare che Jessie si degnasse di presentarsi all’appuntamento, facendogli pagare fino all’ultimo minuto di attesa. Aveva portato a casa cucina cinese e lei aveva reclamato quella italiana. Le aveva comprato un costoso cellulare per restare in contatto con lei durante il lavoro e lei non si era degnata di rispondere alle sue chiamate. Lo aveva contattato solamente quel giorno per chiedergli di venire al commissariato.
Stava facendo del suo meglio, accidenti. Perché non s’impegnava anche lei? Almeno un poco...
«Mi hai lasciato al commissariato per due ore» lo accusò Jessie.
«Stavo lavorando, lo sai benissimo. E nel mio lavoro non posso andarmene su due piedi. Ho delle responsabilità nei confronti dei pazienti. Ho dovuto farmi sostituire da un medico libero e aspettare il suo arrivo.»
Jessie incrociò le braccia. «Ti odio» borbottò.
Niente di straordinario. «Be’, vuoi proprio saperlo?» Lewis incrociò le braccia come sua figlia e la guardò con un’espressione altrettanto torva. «In questo momento ti odio anch’io.»
Come ebbe pronunciato le parole, si odiò anche lui. Lewis Slater, il professionista che non falliva mai, stava fallendo come genitore single.
Il taxi si fermò davanti alla loro destinazione con un minuto di anticipo. Jessie balzò dal veicolo e corse verso le porte automatiche ancora prima che Lewis avesse pagato la corsa. Dopo