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Quelle notti nel cottage: Harmony Destiny
Quelle notti nel cottage: Harmony Destiny
Quelle notti nel cottage: Harmony Destiny
Ebook151 pages1 hour

Quelle notti nel cottage: Harmony Destiny

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About this ebook

Condividere il cottage è stata un'idea di Maggie Holm, famosa fisioterapista. Da quando Pete Morgan è diventato un suo paziente è lei che detta le regole. Se solo lui non fosse così sensuale e così duro da convincere! Lei vuole che capisca quanto sia salutare trascorrere la convalescenza al lago per il suo corpo e la sua anima. Poi, la terapia comincia a funzionare, ma gli incubi notturni tormentano Pete. Dopo diversi tentativi, Maggie capisce che, il solo modo per rendere tranquillo il sonno dell'uomo, è infilarsi lentamente sotto le sue lenzuola.
LanguageItaliano
Release dateMay 10, 2016
ISBN9788858948422
Quelle notti nel cottage: Harmony Destiny
Author

Michelle Celmer

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Quelle notti nel cottage - Michelle Celmer

    successivo.

    1

    Sentendo sbattere una portiera, Pete Morgan si spinse lungo la libreria fino alla finestra che dava sul vialetto d'ingresso, però arrivò troppo tardi per vedere il proprietario del fuoristrada scuro, parcheggiato di sotto.

    Che differenza faceva? Era andato alla finestra solo per abitudine. Non che avesse ricevuto molti visitatori ultimamente. O che ne volesse.

    I fiori e gli auguri di pronta guarigione avevano smesso di arrivare subito dopo che era stato dimesso dall'ospedale, e dopo aver sopportato per settimane gli interminabili sguardi di compassione da parte di amici e colleghi, aveva cominciato a evitare le visite. C'era voluto diverso tempo, ma alla fine la gente aveva compreso e non era più andata a trovarlo. Adesso trascorreva i giorni nell'ala della casa a lui riservata. La solitudine che gli offriva gli andava benissimo.

    Si mise a guardare fuori della finestra, cercando di ricordare l'ultima volta che era uscito. Il sole pomeridiano appariva caldo e invitante, e una leggera brezza faceva oscillare gli alberi che delimitavano i dieci ettari della tenuta. Di tanto in tanto provava il desiderio di uscire. Gli mancava il pungolo del sole sulla schiena mentre scivolava sull'acqua del lago con gli sci d'acqua, il dolore bruciante dei muscoli quando scalava la parete scoscesa di una montagna, il vento tra i capelli mentre sfrecciava in bicicletta sui percorsi dello Stone Creek Park. Era per quello che aveva vissuto, per quei giorni in cui si era sentito veramente libero.

    Ma ora erano finiti.

    Fissava fuori, ricordando tutto quello che aveva perduto, tutto quello che non sarebbe tornato più. Quando sentì aprirsi la porta, potevano essere trascorsi cinque minuti o un'ora.

    «Pete?» disse una voce fredda, come se solo pronunciare quel nome provocasse enorme rammarico.

    Lui non si curò neanche di girarsi verso di lei. Sapeva quel che avrebbe visto dipinto sul volto della donna, se lo avesse fatto: disappunto, pietà. Non era dell'umore giusto.

    «Cosa c'è, mamma?»

    «Io e tuo padre vorremmo parlare con te.»

    Dando un'occhiata alle sue spalle, vide il padre in piedi sulla soglia vicino a lei, o meglio, che svettava su di lei. C'era stato un tempo, ormai lontano, in cui Pete aveva avuto rispetto dell'imponente figura del padre, addirittura timore. Ora non più. Ne era diventato immune da un pezzo. «Temo che dovrete chiedere un appuntamento alla mia segretaria. Sono piuttosto impegnato oggi pomeriggio.»

    Lo sguardo piccato, irritato, che ricevette in cambio dal padre, gli diede enorme soddisfazione.

    «Il tuo sarcasmo non è divertente» tuonò. «Chiedi immediatamente scusa a tua madre.»

    «Altrimenti?» Ruotò la sedia a rotelle verso di loro. «Mi metterete in punizione? Mi chiuderete in casa? Mi leverete la patente? Be', vi informo che sono tutte punizioni inutili, considerata la mia situazione.»

    «Ne ho abbastanza del tuo atteggiamento.» Una vena pulsò sulla tempia di suo padre. «Da settimane non fai altro che commiserarti, invece di lavorare alla riabilitazione.»

    «La vostra opinione non mi riguarda. Se volete insistere a farmi stare qui, dovrete imparare a convivere in questo modo.» Pete gettò la rivista medica che stava leggendo sul tavolo, accanto al divano e tornò verso la finestra. «Forse sto bene così.»

    «Sciocchezze» disse la madre, con tono meno duro ma altrettanto fermo. «Sei un medico. Non puoi dirti soddisfatto finché non ti ristabilisci completamente.»

    «Vi è mai venuto in mente che forse non posso ristabilirmi completamente? Avete dimenticato che la mia gamba è quasi saltata via?»

    «I Morgan non si arrendono» replicò suo padre, come se la sua parola fosse legge. Come se potesse annullare il danno che Pete aveva subito. A proposito di arroganza...

    «Ricomincerai a camminare» aggiunse il padre. «A partire da oggi.»

    Ebbe la sensazione che sua madre stesse attraversando la stanza, e con la coda dell'occhio la vide sollevare una mano fino alla sua spalla, per poi ritrarla prima di toccarlo. Il contatto fisico non era una consuetudine in casa Morgan. Suo padre aveva sempre creduto nell'amore senza smancerie. Non c'era posto per la tenerezza. Ovviamente le cose non erano cambiate da quando era andato via di casa.

    «Pete» mormorò lei dolcemente, prima che la voce del padre rimbombasse alle sue spalle.

    «Stiamo perdendo tempo. Non vuole ascoltarci.»

    La sentì esitare, come se fosse sul punto di sfidare il marito ed esprimere per la prima volta nella vita la propria opinione, ma poi lasciò ricadere la mano sul fianco e indietreggiò. Il suono dei passi che si allontanavano gli fece capire che la conversazione era terminata.

    «E se non potessi più camminare...» disse a voce alta, spingendosi nuovamente verso la finestra. «Cosa dovrei fare in questo caso?»

    «E se la smettesse di comportarsi come un bambino e facesse almeno un tentativo?»

    Non era la voce dei suoi genitori, e Pete girò la sedia a rotelle, sorpreso di scoprire che non era solo. «Prego?»

    Era in piedi nel mezzo della stanza, di schiena, un'armonia di deliziose curve e rotondità strette in un paio di jeans aderenti e una camicetta rossa attillata. Lei fissò la libreria a muro che occupava tutta la parete. «Non ho mai visto tanti libri tutti insieme» affermò ridendo tra sé e sé. «Voglio dire, ho visto un sacco di libri in biblioteca e in libreria, ma mai in casa di qualcuno. Davvero li ha letti tutti?» Prese dallo scaffale una copia rilegata in pelle di Lo Hobbit, accarezzandone la copertina consunta. Era uno dei libri che lui preferiva. Lo aveva letto così tante volte che se si fosse concentrato lo avrebbe potuto recitare a memoria.

    «Mi piace molto l'odore di carta e pelle, a lei no?» Si portò il libro al naso e inspirò. «Mmh, mi ricorda i weekend a casa di mio nonno. Anche lui aveva un sacco di libri. Non così tanti però.»

    Pete si spinse più vicino, quasi ipnotizzato. Quella donna aveva qualcosa di familiare, anche se non ne aveva ancora visto il volto. «Chi è lei?»

    Rimise a posto il libro sullo scaffale con cura. «Considerando i capricci che fa con i suoi genitori, potrebbe definirmi il suo peggiore incubo.»

    Quando lei si voltò, Pete dovette ricordarsi di respirare. Peggiore incubo? Difficile da credere. Somigliava di più a un sogno a occhi aperti. Corti capelli scuri che ricadevano in soffici riccioli intorno a un viso grazioso.

    Grazioso? Santo cielo, da dove aveva pescato un tale aggettivo? Non era il tipo d'uomo che usava certe parole, anche se doveva ammettere che calzava alla perfezione. Sembrava anche sveglia. Si vedeva chiaramente che i suoi occhi brillavano d'intelligenza. Erano tondi e scuri, e avevano la stessa impudenza che vedeva quando si guardava allo specchio. Gli sembrava anche familiare.

    «Ci conosciamo?»

    «Sa benissimo che scaricare la rabbia sui suoi genitori non serve a nulla» disse lei. «Dovrebbe incanalare le sue emozioni per cercare di rimettersi.»

    Lui aggrottò le sopracciglia. «È per caso uno strizzacervelli?»

    «Oddio, no» rispose lei con una risata argentina. «Le insegnerò a usare il suo ginocchio nuovo. Sono Maggie Holm, la sua fisioterapista.»

    Maggie seguì il suo nuovo paziente che si spingeva fuori della porta, sorpresa della sua velocità. Sicuramente sapeva essere rapido quando doveva scappare da qualcosa. Non era stato facile per lei dissimulare la sorpresa che aveva avuto di fronte ai suoi cambiamenti fisici. Si erano scambiati solo un saluto breve e superficiale. Durante la pausa pranzo, però, lei non aveva smesso di guardarlo, di guardare quel fisico meticolosamente scolpito in anni di lavoro in palestra. Era un vero fusto.

    E pure simpatico. Non ostentava quell'arrogante autorità tanto comune tra i medici. Pete era cordiale e accomodante. Aveva sempre il sorriso sulle labbra.

    Ora però non sorrideva. Se l'avesse incontrato per la strada quel giorno, non lo avrebbe riconosciuto, come lui non aveva riconosciuto lei. Gli uomini non le davano mai una seconda occhiata. Non con quei venti chili di troppo che si portava dietro. Erano entrambi sensibilmente cambiati.

    Non si poteva dire che il cambiamento di lui fosse in meglio.

    Il Pete che adesso sedeva di fronte a lei indossava una maglietta stropicciata e i pantaloni della tuta. I capelli scuri e mossi erano tutti arruffati vicino alle orecchie. Il suo perpetuo buonumore, che lei ricordava, era sparito, così come la magnifica aura che una volta emanava come fosse un faro. Rughe profonde gli solcavano la fronte, facendolo sembrare parecchio più vecchio dei suoi trentun anni.

    Lei lo seguì in silenzio, notando quanta massa muscolare avesse perso negli ultimi quattro mesi, in seguito alla sparatoria. Anche se il suo fisico era ancora sopra la media, nella parte superiore aveva perso diversi centimetri. Doveva essere stato un duro colpo per il suo ego. Fu quasi spaventata al pensiero di quello che l'inattività aveva potuto fare alle sue gambe, e dell'estenuante lavoro che l'attendeva. Senza considerare, dato l'atteggiamento negativo di lui, che avrebbe dovuto trovare il metodo migliore per motivarlo a dovere.

    Uno stimolo.

    Lui si girò a guardarla con un'espressione scocciata. «È ancora lì?»

    Lei lo osservò con un bel sorriso. «Scusi, voleva che me ne andassi? Credevo che mi avrebbe mostrato la casa.»

    Lui si fermò voltandosi. «Senta, capisco che è il suo mestiere, ma qui sta solo perdendo tempo.»

    «Non sono d'accordo» replicò lei.

    «Ah, no?» Inarcò il sopracciglio e per un attimo lei rivide il vecchio Pete, quello che si celava dietro il sarcasmo. Per fortuna da qualche parte esisteva ancora. Adesso doveva soltanto trovare la maniera per tirarlo fuori, e volgere la sua rabbia in senso costruttivo.

    Ridacchiò tra sé e sé. Sembrava proprio uno strizzacervelli.

    «No» dichiarò. «La farò alzare da quella sedia a rotelle, nonostante la sua cocciutaggine.»

    Lui serrò la mascella. «E se io non volessi camminare?»

    Lei scrollò le spalle. «Questo non mi ha mai fermato in passato.»

    Lui girò la carrozzina e continuò lungo la sala.

    Lo seguì. «Ho letto la sua cartella. Completa sostituzione del ginocchio. Ha perso l'osso, e ciò ha reso la gamba sinistra leggermente più corta della destra, e ha subito un lieve danno permanente al sistema nervoso. Ho visto di peggio. Ho avuto donne di sessant'anni con tutte e due le ginocchia sostituite e non può immaginare cosa significa. Non mi dica che ha

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