Rapita dallo sceicco: Harmony Collezione
By Trish Morey
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About this ebook
Khaled Al-Ateeq, sceicco del Jebbai, ha commissionato a Sophia Clemenger, giovane stilista affermatasi sulla scena milanese, il lavoro che lei ha sempre sognato: confezionare un abito nuziale. In realtà l'incarico non è così semplice come lei immagina all'inizio: non solo dovrà accompagnare il magnetico principe nel suo palazzo nel cuore del deserto, ma le sarà anche proibito incontrare la prescelta. Sophia inizia persino a dubitare che esista davvero, e le incertezze aumentano quando le misure dell'abito che le vengono fornite sono... identiche alle sue! Possibile che sia lei la promessa sposa dello sceicco?
Trish Morey
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Rapita dallo sceicco - Trish Morey
successivo.
1
Se ne accorse anche senza girarsi.
Un improvviso rossore al volto e uno sconcertante brivido lungo la schiena avvisarono Sophia Clemenger che la persona entrata nell'atelier Bacelli non era uno dei soliti clienti. L'atmosfera di colpo surriscaldata e il suo istinto le dissero che non si trattava di una delle signore della Milano bene che arrivavano cinque minuti prima dell'ora di chiusura in cerca di un vestito spettacolare con cui ammaliare il marito o l'amante.
Sophia si mise in guardia, e persino il click attutito della porta imbottita le fece l'effetto di un rumore assordante.
Cercò di calmarsi, ripetendosi che il suo nervosismo era dovuto alle lunghe notti insonni trascorse durante la settimana di presentazione delle nuove collezioni, quando non era mai andata a dormire prima delle tre del mattino. Poi si girò, con un sorriso di benvenuto incollato sulle labbra.
Ma niente e nessuno avrebbe potuto prepararla a ciò che vide: nero, nero assoluto, circondato da un'aura di potere.
Il magnetismo dell'uomo la colpì come una scarica elettrica. Era un monumento alla forza e all'autorità. Maglione nero a collo alto, jeans neri di ottimo taglio, stivali fatti a mano di pelle nera. Persino i suoi capelli erano così neri da sembrare quasi blu alla luce dei faretti.
Furono però i suoi occhi a ipnotizzarla: anche quelli nerissimi e profondi, con un balenio quasi intermittente, simile a una stella cadente nella notte.
Era possibile percepire la dilatazione delle proprie pupille? Sì, rispose lei mentalmente, almeno a giudicare dalla sensazione che aveva appena provato. E forse non c'era da stupirsi, considerando lo stato mentale in cui si trovava da circa trenta secondi.
Quando lo sconosciuto si avvicinò in silenzio, senza smettere di fissarla, lei ebbe la certezza che non fosse entrato per caso.
Era venuto a cercare lei.
Con un brivido rimpianse di aver mandato a casa presto Carla, la sua assistente. In quel momento un appoggio le avrebbe fatto comodo, pensò, ma rimase dov'era, anche perché non era sicura di riuscire a muoversi. Mentre lui copriva a grandi passi la distanza che li separava, tutto ciò che Sophia riuscì a fare fu deglutire.
«Buonasera» esordì l'uomo in italiano, con una voce profonda e uno strano accento. Chissà da dove veniva. «Preferisce che parli in inglese?» Sulle sue labbra si disegnò un sorriso che tuttavia non riuscì a illuminare il viso dai lineamenti duri.
Lei strinse gli occhi. Quell'uomo sapeva che non era italiana. Che altro sapeva? E perché?
«Grazie, l'inglese va benissimo» replicò, con una disinvoltura che era ben lungi dal provare. Era sempre meglio esprimersi nella propria lingua madre. Dopo quattro anni di lavoro in Italia, lontano dalla sua Australia, Sophia parlava un ottimo italiano, ma davanti a quello sconosciuto temeva di poter commettere qualche errore, nella sua seconda lingua. «Che cosa desidera?»
«Immagino che lei sia Sapphire Clemenger.»
Sapphire. Nessuno la chiamava con il suo vero nome da molto, molto tempo. Da dove veniva quell'accento? Aveva una sfumatura britannica, una punta di americano e una traccia di qualcosa difficile da identificare. Era sicura che non fosse italiano, nonostante l'aspetto vagamente mediterraneo: era troppo alto e aveva le spalle troppo larghe.
Ed era decisamente troppo vicino a lei.
Emanava un calore che la fece arrossire. Con la bocca secca come il deserto, incapace di spiccicare parola, non le restò che annuire.
«Lo sospettavo» continuò lui. «Sapevo che era bella, ma non mi aspettavo fino a questo punto.»
Sophia batté in fretta le palpebre, sempre più sconvolta dalla propria reazione. Com'era possibile che quelle parole la turbassero così profondamente? In quegli anni si era abituata alle lusinghe e all'ammirazione degli italiani, e aveva sperimentato il loro debole per le belle donne, anche se in genere i complimenti le venivano rivolti in tono quasi scherzoso.
Ma con lo sconosciuto la situazione era completamente diversa, forse a causa degli occhi neri che non si staccavano un attimo da lei, come per memorizzare ogni singolo particolare del suo viso, e studiavano il suo corpo con il calore di una torcia accesa.
E lei non sapeva ancora chi fosse.
Si raddrizzò, cercando di sembrare più alta e di tenere a bada il nervosismo. Non intendeva restare sulla difensiva un istante di più. «Nessuno mi chiama con il mio vero nome. Da quando sono in Italia sono Sophia. O Sapphy, per gli amici. Mi ha colto di sorpresa, signor...»
«Mi chiami Khaled» replicò lui, porgendole la mano.
Sophia la strinse subito, e altrettanto rapidamente se ne pentì. Il coraggio che era riuscita a chiamare a raccolta svanì come neve al sole, perché le dita lunghe e forti che stringevano le sue, comunicandole una forza inusitata, le dissero che l'uomo aveva assunto il comando, come se lei fosse stata di sua proprietà.
Figuriamoci... Che assurdità!
Lei non apparteneva a nessuno, meno che mai a quell'estraneo bruno e misterioso. Neppure Paolo, con il quale stava da oltre due anni, con alterne vicende, era mai riuscito a comunicarle un tale senso di possesso.
Ritrasse in fretta la mano, sapendo che lui l'aveva trattenuta troppo a lungo. Cercando di respirare normalmente, si diresse verso l'ingresso dell'atelier. Forse se non avesse dovuto fare un simile sforzo per restare in piedi sarebbe riuscita a pensare con un minimo di razionalità. Indicò al visitatore una poltrona, lanciando una rapida occhiata alla porta, nella speranza che qualcuno, chiunque fosse, entrasse proprio in quell'istante. «Si accomodi» lo invitò, oltrepassandolo, «e mi dica in che modo posso aiutarla.»
Khaled notò divertito la sua ansia e lo sguardo disperato che aveva rivolto ai passanti. Aveva fatto bene ad aspettare quel momento per giocare le sue carte: ormai era tardi, ed era improbabile che qualcuno entrasse a salvarla.
Lei si girò a guardarlo, senza più curarsi di dissimulare lo stupore nei grandi occhi azzurri, ma cercando di nascondere la propria vulnerabilità, combattuta fra sospetto e curiosità, e lui riuscì quasi a sentire il sapore della sua paura.
Quella donna era molto più interessante di quanto gli avessero fatto credere, e infinitamente più bella. Persino con le occhiaie a causa della stanchezza, il suo sguardo splendeva di vita e di promesse, illuminando lineamenti perfetti. I capelli biondo oro erano ravviati da un lato, rivelando il collo elegante.
Il viso di una modella e il corpo di una dea. Paolo aveva proprio scelto bene.
Sarebbe andata benissimo.
«Che cosa posso fare per lei, signor Khaled?» chiese Sapphy mentre lui si accomodava disinvolto sulla poltrona in stile veneziano. «Cerca qualcosa di speciale per una donna speciale?»
Lui sorrise fra sé. «Proprio così. Tutta Milano parla dei suoi modelli, la sua sfilata ha avuto un successo straordinario. Per essere straniera se l'è cavata benissimo, su una piazza così competitiva.»
«Sono stata molto fortunata.»
«No, ha molto talento» replicò Khaled. «Altrimenti non sarebbe arrivata così in alto.»
«Grazie» rispose lei, arrossendo come se non fosse stata abituata a ricevere lodi per il suo lavoro. «Nella mia collezione c'era qualcosa che le è piaciuto in modo particolare?»
«Era tutta stupenda, ma io non sono qui per quello. Voglio che lei mi disegni un abito.»
Negli occhi di Sapphy si accese una fiamma interessata, e lui se ne accorse. «Certo, non è un problema, realizzo modelli esclusivi per molti clienti.»
Dal modo in cui si muoveva, Khaled capì che lei si stava finalmente rilassando: giocava in casa, sul terreno familiare della moda. Aveva le spalle meno rigide e il suo respiro si era fatto regolare. Probabilmente lo riteneva un cliente come tanti, il che gli facilitava le cose. Forse anche troppo.
«Non si tratta di un abito qualunque» continuò. «Mi sposo fra quattro settimane e voglio che lei disegni il vestito da sposa per la mia futura moglie.»
Un abito da sposa. Sapphy adorava il suo lavoro, ma nulla la esaltava e la emozionava quanto creare l'abito per il giorno più importante di una donna, che doveva esaltare i pregi della sposa, minimizzandone i difetti e trasformandola in una vera principessa. Affrontava sempre quel compito con particolare entusiasmo, ma in quel caso il tempo era davvero poco.
«Un abito da sposa in sole quattro settimane? In genere per un incarico simile ci serve almeno il triplo del tempo.»
«Con il suo talento non avrà problemi.»
Sapphy ebbe un tuffo al cuore all'idea di una simile occasione, ma mentalmente stava già enumerando le difficoltà che le impedivano di accettare. «Grazie, la sua proposta mi lusinga moltissimo. Le confesso che sono molto tentata, ma ho altre responsabilità e altri clienti con i quali mi sono già impegnata.»
Khaled si sporse in avanti. «Ma ha appena presentato la sua collezione, quindi quel lavoro è finito. Lei creerà questo vestito, punto e basta.»
Sapphy spalancò gli occhi, colpita non solo dalla sua prestanza fisica, ma anche da quell'ultima frase. Finora le aveva dato l'impressione di volere veramente che fosse lei, e soltanto lei, a disegnare l'abito da sposa, ma forse aveva già interpellato altri stilisti, che gli avevano dato una risposta negativa, e aveva assunto quel tono imperioso soltanto perché ora era disperato.
Per quanto l'idea fosse entusiasmante, Sapphy sarebbe stata pazza a fare una promessa che non era in grado di mantenere, soprattutto perché il cliente le stava manifestamente forzando la mano. «Non sono ancora una stilista indipendente. È vero che adesso ho la mia linea, ma lavoro sempre per Gianfranco Bacelli.»
«Ho già parlato con Gianfranco, ed è disposto a lasciarla libera.»
«Capisco...» In realtà non era vero. Sapphy si morse il labbro, perplessa. Era un incarico fuori dal comune, visto che l'anziano stilista proprietario dell'atelier aveva già concesso il suo permesso. Chiunque fosse quel Khaled, doveva avere una certa influenza, e ovviamente si aspettava che lei obbedisse senza fiatare.
«Avrà un ottimo compenso» proseguì lui avvicinandosi.
Sapphy si alzò, ergendosi nel suo metro e settanta, per dimostrargli di non essere arrendevole. Peccato che Khaled la sovrastasse di almeno venti centimetri. «Avrò anche il consenso di Gianfranco, ma è comunque troppo tardi. Come sa le mie creazioni sono di altissimo livello, e in quattro settimane è semplicemente impossibile realizzare un abito secondo i miei canoni.»
«Mi dica quanto vuole.»
Sapphy sussultò, offesa. «Signor Khaled, lei non ha capito. Non miravo a ottenere un prezzo più alto, volevo solo farle notare che il tempo a disposizione è troppo poco per disegnare un vestito da sposa degno della sua futura moglie. Anzi, sarebbe troppo poco per creare qualunque abito nuziale.»
Lui alzò le spalle con aria annoiata. «Lo deve disegnare lei, sarà padrona di decidere quello che vuole.»
«Ma la sposa potrà pure esprimere il suo parere, no? Perché non la porta qui? Possiamo parlare, magari buttare giù uno schizzo.»
Khaled le lanciò un'occhiataccia. «No, non è possibile!» Si voltò e si avviò alla finestra. «Conosce il suo lavoro, e vuole che sia Sapphire Clemenger in persona a creare il suo abito da sposa. Nessun altro.»
Lei scosse la testa. «Temo che sia impossibile. Devo conoscere i gusti della sposa, sapere quali colori le donano e che stile le si addice meglio...»
«Non può conoscerla, almeno non ancora.»
«Ma perché? Quale sposa non vorrebbe scegliere il proprio abito?»
Lui strinse gli occhi scuri. «Lei... non può. Il matrimonio sarà già un impegno gravoso, non è il caso di sottoporla a un altro stress.»
«Capisco.» Chissà qual era il problema?, si chiese Sapphy.