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Un irresistibile avvocato: Harmony Destiny
Un irresistibile avvocato: Harmony Destiny
Un irresistibile avvocato: Harmony Destiny
Ebook142 pages2 hours

Un irresistibile avvocato: Harmony Destiny

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About this ebook

Un matrimonio fallito alle spalle. Questa è la dolorosa esperienza che accomuna Jake e Rebecca quando il destino li fa incontrare. Entrambi sono rimasti profondamente feriti e non hanno la minima intenzione di affrontare un'altra storia d'amore, ma dal momento in cui i loro sguardi s'incontrano, Rebecca deve ammettere che lui è irresistibile. Sebbene avesse giurato a se stessa che non si sarebbe mai più innamorata di un avvocato, accetta la proposta di Jake di organizzare la festa di Natale...
LanguageItaliano
Release dateDec 9, 2016
ISBN9788858958322
Un irresistibile avvocato: Harmony Destiny
Author

Elizabeth Bevarly

Elizabeth Bevarly é nata e cresciuta a Louisville, nel Kentucky e si é laureata con lode in letteratura inglese all'università di Louisville nel 1983. Nonostante abbia sempre desiderato diventare una scrittrice, prima di riuscire a coronare il suo sogno, ha lavorato con contratti a termine in sale cinematografiche, ristoranti, boutiques e grandi magazzini.

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    Un irresistibile avvocato - Elizabeth Bevarly

    successivo.

    1

    «Questo matrimonio è riuscito benissimo, Rebecca, ancora meglio dell'ultimo.»

    «È vero, mia cara, ogni volta sono più belli. Quanti ne hai organizzati in tutto?»

    Rebecca rivolse un sorriso alle due anziane signore sedute al suo tavolo e guardò con soddisfazione le coppie che ballavano e ridevano nel salone del Peterson-Dumesnil-House, il locale che preferiva per i suoi ricevimenti. «Ventidue» rispose, allisciandosi i lunghi capelli scuri. «Ci credereste se vi dicessi che sto già programmando il ventitreesimo?»

    Le due donne si scambiarono un'occhiata e annuirono con approvazione.

    «Continua così, tesoro» la esortò una delle due, dandole un colpetto sulla mano.

    Accampando la scusa di dover dare un'occhiata al buffet, Rebecca le ringraziò e si alzò. Nei circoli eleganti di Louisville si parlava molto dei matrimoni organizzati da lei e lei ne era orgogliosa. In cinque anni aveva fatto molta strada.

    Occuparsi delle nozze di altre persone la ripagava in parte dell'amarezza di non essersi ancora potuta dedicare alle proprie, ma sperava di poterlo fare al più presto. Il fatto che il suo primo matrimonio fosse finito male non significava che lei dovesse restare sola per tutta la vita. Tutto quello che doveva fare era trovare il compagno perfetto, anche se tale ricerca pareva richiedere più tempo del previsto.

    La sposina, la signora Daphne Duryea-Prescott, le apparve davanti simile a una nuvola, i capelli color platino acconciati in un nodo elaborato e un lungo velo che l'avvolgeva tutta. L'abito doveva costare più di quello che gli altri clienti di Rebecca pagavano per l'intero matrimonio. Daphne aveva ventitré anni, sette meno di Rebecca, ma la sua espressione innocente ed entusiasta la faceva apparire ancora più giovane.

    «Vieni subito, Rebecca!» esclamò la sposa in tono concitato.

    «Che cos'è successo?» le domandò, allarmata.

    Daphne sollevò la gonna con una mano e con l'altra agitò un mazzolino di fiori legati con nastri di raso. «Sono pronta a lanciare il mio bouquet.»

    Rebecca sorrise con indulgenza. «Dovresti chiamare il fotografo, Daphne. Questo piccolo rito non mi riguarda.»

    «Ma tu sei nubile» protestò Daphne. «Perciò devi esserci. Vorrei che fossi tu a prenderlo.»

    Rebecca si sentì salire il cuore in gola. L'ultima volta che aveva afferrato al volo un bouquet, si era ritrovata sposata nel giro di un anno, ma cinque anni dopo aveva divorziato. Adesso erano trascorsi altri cinque anni e lei cominciava a raccogliere i frutti del suo lavoro. Sebbene non fosse contraria all'idea di rimaritarsi, non era sicura di voler compiere subito un passo tanto impegnativo.

    «Oh, non credo che sia il caso, Daphne» rispose. «Ma ti ringrazio comunque. Mescolarmi alle ragazze presenti per acchiappare il bouquet non fa parte del mio lavoro.»

    «Oh, andiamo» piagnucolò la sposina. «Hai detto che eri disposta a fare qualunque cosa per me. Ricordi?»

    «E i tuoi genitori mi hanno pagata profumatamente» ribatté Rebecca. «Io sono qui in veste di organizzatrice, non di ospite.» La sua espressione si addolcì. «Lancia il bouquet a una ragazza che desidera riceverlo. Io devo andare a controllare il buffet.»

    «Rebecca...»

    «È per questo che mi hai assunta.»

    «Lo so, ma proprio perché hai reso indimenticabile il mio matrimonio, vorrei fare qualcosa di gentile per te.»

    Rebecca inalberò l'espressione di un'astuta donna d'affari. «Allora raccomandami ai tuoi amici.»

    Daphne curvò le spalle, sconfitta. «L'ho già fatto» borbottò. «Sai una cosa? Per essere una che organizza i matrimoni, non sei molto romantica.»

    Rebecca non si scompose. «Al contrario. È il lato romantico della gente che mi permette di lavorare.»

    «Sei peggio di mio zio Jake» brontolò Daphne. «Voi due andreste d'accordo.» D'improvviso i suoi occhi si dilatarono. «Ehi, hai già conosciuto lo zio Jake?»

    La domanda era subdola e Rebecca, fiutando l'insidia, rispose con decisione. «Senti, Daphne, devo proprio dare un'occhiata al buffet. Magari un'altra volta, va bene?»

    «Ma...»

    «Sono sicura che scarseggino i funghi ripieni e i gamberi. Devo andare.»

    Mentre si allontanava tra la folla, il timore di essere chiusa in un angolo da uno zio grasso e calvo che probabilmente faceva il venditore porta a porta cominciò a svanire e Rebecca ritrovò il suo buon umore.

    C'era qualcosa di magico nei matrimoni, pensò. Il suo era stato preparato in fretta quindi non era stato impreziosito da tutti quei dettagli raffinati per i quali lei era diventata famosa a Louisville. Mentre frequentavano l'università, lei ed Elliot si erano incontrati alle Bermuda durante le vacanze primaverili e una notte, dopo aver bevuto troppe piña coladas, si erano recati dal primo prete che avevano trovato e si erano sposati all'alba, sulla spiaggia.

    Quando Rebecca lo aveva raccontato in famiglia, i suoi genitori erano rimasti sconvolti e avevano preso delle contromisure. Sospettando che Elliot fosse interessato soprattutto alla ricchezza dei Bellamy, Ruth e Dan avevano comunicato ai due sposi che non avrebbero dato loro il becco d'un quattrino.

    Ripensandoci a distanza di tempo, Rebecca era convinta che i suoi genitori avessero agito in quel modo per assicurarsi che Elliot l'amasse davvero e, se ne avessero avuta la prova, di certo avrebbero allentato i cordoni della borsa. Il ragazzo aveva però dimostrato ben presto che il suo non era un affetto sincero e, quando il matrimonio era andato in fumo, i suoi avevano riaccolto la figlia a braccia aperte senza mai rivolgerle una parola di rimprovero.

    Ma ormai quella storia apparteneva al passato. Elliot si era risposato e viveva in California dove aveva aperto uno studio legale e lei non pensava quasi mai a lui.

    Persa nei suoi pensieri, Rebecca si accorse con ritardo di essere stata bloccata da un gruppo di signore che chiacchieravano in mezzo al salone. All'inizio non udì la loro conversazione, ma quando sentì pronunciare il suo nome a voce alta, sollevò la testa e vide piombare dall'alto una composizione di gardenie, rose e gigli. Sollevando le mani per difendersi da quel proiettile, scoprì con sommo sgomento di aver afferrato il bouquet della sposa.

    «L'hai preso!» gridò Daphne, battendo le mani.

    Facendo buon viso a cattivo gioco, Rebecca annusò i fiori. Avevano un profumo fresco, dolce e vivo, come doveva essere l'atmosfera tra due persone che si amavano.

    «Te la farò pagare, Daphne» dichiarò tra il serio e il faceto. «Fosse l'ultima azione della mia vita.»

    «Invitami alle tue nozze» rispose la sposina, ridendo.

    Rebecca scosse la testa, annusò il bouquet ancora una volta e poi se lo mise sulla spalla come se fosse un fardello da portare, certa che nel giro di pochi giorni quelle corolle profumate sarebbero appassite.

    Dalla parte opposta del salone, Jake Raglan stava sorseggiando uno scotch al bar e osservava con disgusto la folla presente. Dio, ecco là un'altra donna pronta ad accalappiare un marito a cui succhiare il sangue. Doveva finire il suo whiskey e filarsela prima che quell'arpia gli mettesse gli occhi addosso. Mai e poi mai si sarebbe infilato di nuovo in una trappola simile a quella che gli aveva allestito la sua ex moglie. Piuttosto si sarebbe tagliato un piede.

    «Desidera un altro drink, signore?»

    Jake sollevò la testa, deciso a dire di no al barista e invece annuì, pensando che, se se ne fosse andato, Daphne si sarebbe accorta dell'assenza del suo unico zio e se la sarebbe presa a morte.

    Involontariamente il suo sguardo si volse di nuovo verso la donna che aveva afferrato il bouquet della sposa, notando le curve che il suo abito rosa non faceva niente per dissimulare. Si era data un gran daffare, ammise. La guardò sorridere alla sposa e poi correre via, portando con sé i fiori.

    Come faceva quella donna a conoscere così bene Daphne? Dall'aspetto sembrava molto più adulta della nipote, per cui non doveva essere stata una sua compagna di scuola. E dato che Daphne aveva preferito trovare marito che dedicarsi a una carriera, non doveva nemmeno essere stata una sua collega di lavoro. Tra l'altro sembrava provenire da una famiglia ricca.

    Notando che l'oggetto dei suoi pensieri si stava dirigendo al bar, Jake tornò a impensierirsi e si sentì come un cerbiatto abbagliato dai fari di un'auto in mezzo alla strada. Quell'analogia lo fece sorridere. A giudicare dalla taglia della donna era meglio immaginare un cervo adulto abbagliato dai fari di un ciclomotore. Probabilmente il danno maggiore lo avrebbe ricevuto lei.

    Bevendo lo scotch, continuò a studiare la donna che gli si avvicinava per il semplice motivo che valeva la pena guardarla. Piccola di statura, ma snella, dava l'impressione di essere più alta, a parte il fatto che calzava delle scarpe dal tacco inverosimile. La sua capigliatura era un ammasso di riccioli neri che le scendevano sulle spalle e i suoi occhi erano di un incredibile color verde oliva.

    La osservò scambiare dei convenevoli con il barista e ruotò sullo sgabello per poterla guardare in faccia. Lei aveva posato il bouquet sul banco del bar come se fosse un oggetto fastidioso. Quel comportamento lo incuriosì. Acchiappare il bouquet della sposa non era forse un gran successo per una donna ancora nubile?

    Mentre il barista metteva davanti alla sconosciuta un drink, Jake, senza rendersi conto di quello che faceva, si alzò e le si avvicinò.

    «Scappa finché sei in tempo» sussurrò, sedendosi accanto a lei.

    La donna parve sconcertata. «Come... come ha detto?» balbettò.

    Jake si accorse che i suoi occhi non erano completamente verdi. L'iride aveva delle screziature più scure, del colore delle foglie in autunno. Di colpo sentì il desiderio di stringerla tra le braccia.

    Indicando il bouquet, ridacchiò. «Scappa finché sei in tempo» ripeté, non sapendo più se si rivolgeva a lei o a se stesso.

    La donna gli scoccò un sorriso timido e incerto. «È così evidente?» mormorò.

    «Che cosa dovrebbe essere evidente?» domandò lui con l'impressione di aver toccato un filo elettrico.

    Rebecca lo osservò, cercando una scusa qualsiasi per interrompere quella strana conversazione. Non che non avesse voglia di parlare con lui. Quell'uomo era molto attraente, ma doveva accertarsi che le bottiglie di vino bastassero e non aveva tempo per le chiacchiere.

    «Non importa» replicò lei con espressione assente.

    Aveva visto quell'invitato nel momento stesso in cui era entrato nella cattedrale. Del resto, dato il suo aspetto e la sua statura imponente, sarebbe stato impossibile non notarlo. Se fossero stati in piedi non gli sarebbe arrivata nemmeno alla spalla. Così invece erano allo stesso livello e il suo sguardo

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