Follie d'Oriente: Harmony Destiny
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About this ebook
Cinque anni prima Rosalind ha sposato un membro della famiglia reale del Bagestan ma è rimasta subito sola. Incinta e senza aiuti, viene ripudiata e così fugge. Ora però la famiglia, scoperta l'esistenza del figlio, vuole che Samir diventi l'erede al trono. Purtroppo le tensioni intestine mettono in pericolo la vita di Rosalind e del bimbo, per questo viene data loro una guardia del corpo molto speciale e affascinante, Najib.
Alexandra Sellers
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Book preview
Follie d'Oriente - Alexandra Sellers
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Sultan’s Heir
Silhouette Desire
© 2001 Alexandra Sellers
Traduzione di Anna Polo
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.
© 2002 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5893-269-8
www.harlequinmondadori.it
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Prologo
Un silenzio pesante regnava nel caveau della banca, tra le cassette di sicurezza. I tre uomini guardarono il direttore che inseriva la chiave e apriva la porta blindata; si scambiarono un rapido sguardo, ma nessuno di loro aprì bocca.
Erano giovani, sulla trentina, ed emanavano un senso di sicurezza e autorità insolito in persone di quell’età. Gli ricordavano qualcuno, il direttore ne era sicuro, ma non riusciva a precisare chi. Si assomigliavano, tanto da fargli pensare che li unisse un legame di parentela. Uno di loro aveva chiamato cugino l’uomo, ormai morto da tempo, del quale adesso stavano per aprire la cassetta di sicurezza.
Poco dopo, il direttore estrasse una lucente cassetta metallica, consapevole dello sguardo attento dei tre uomini.
«Naturalmente, non è stata più toccata da cinque anni» dichiarò.
Era un evento piuttosto comune, a seguito della lunga e terribile guerra dei Kaljuk. Molte famiglie avevano perso le tracce delle cassette di sicurezza dei loro cari o ne avevano appreso l’esistenza solo quando la banca si era fatta viva per reclamare gli arretrati a lei dovuti per l’affitto. A volte, poi, le lettere della banca non avevano ricevuto alcuna risposta.
Il direttore attese invano un commento; quando questo non arrivò, prese sottobraccio la cassetta e si avviò fuori del caveau, lasciando a un impiegato il compito di chiudere a chiave la camera blindata.
Poco dopo, il direttore della banca si fermò davanti a una porta con la scritta Sala riunioni.
«Qui non sarete disturbati» annunciò in tono solenne.
Posò la cassetta sul lucido tavolo di mogano, poi si voltò verso i tre uomini. Nessuno di loro aveva ancora pronunciato una parola; in apparenza sembravano calmi, ma si avvertiva nell’aria una tensione diversa dall’abituale, trepidante speranza che un tesoro di famiglia fosse scampato alle devastazioni della guerra. Incuriosito, il direttore si chiese che cosa ci fosse in quella cassetta.
«Grazie» rispose uno degli uomini, scostando la porta con cortese fermezza.
Pur riluttante, il direttore accennò un inchino e uscì.
Najib al Makhtoum richiuse la porta e si voltò verso i compagni. I tre uomini rimasero per un momento a guardarsi in silenzio. La somiglianza tra di loro era accentuata dall’intensa luce del sole che entrava dalle alte finestre. Avevano tutti la fronte ampia, gli zigomi marcati e le labbra piene dei loro antenati, ma ognuno aveva impresso il proprio marchio personale sui geni di famiglia.
«Su, apriamola» si riscosse Ashraf.
Come a un segnale, i tre uomini avvicinarono le sedie al tavolo. Una mano sollevò il coperchio della cassetta, poi un sospiro collettivo risuonò nella stanza.
«Vuota» commentò Ashraf. «Be’, probabilmente era troppo sperare che...»
«Ma deve aver...» cominciò Haroun, ostinato.
«Non è vuota» lo interruppe Najib.
In effetti, sul fondo, quasi invisibili, c’erano due buste. I tre uomini si scambiarono uno sguardo, poi Ashraf allungò una mano e prese le due buste rettangolari, una marrone chiara e l’altra bianca e sottile.
«Un testamento... e una lettera indirizzata al nonno» osservò Ashraf, sconcertato.
«Che studio l’ha redatto? Non quello del vecchio Ibrahim?» chiese Najib.
Ashraf voltò la busta, in modo da leggere il timbro dello studio legale, e scosse la testa.
«Jamal al Wakil» lesse. «Mai sentito. E voi?»
Gli altri scossero a loro volta la testa. Ashraf aggrottò la fronte ed estrasse dalla busta il documento. «Come mai si è rivolto a uno sconosciuto per redigere il suo testamento alla vigilia della guerra?» mormorò, sconcertato.
Scorse in fretta le diverse pagine del documento, poi sobbalzò e sollevò la testa, stupefatto.
«A mia moglie...» lesse a voce alta. «Era sposato!»
«Sposato? E con chi?» chiesero gli altri due, mentre Ashraf continuava a leggere.
«Con una certa Rosalind Olivia Lewis, una donna inglese. Dev’essere successo mentre viveva a Londra.»
Continuò a leggere e la sua espressione di colpo si incupì.
«Lei era incinta. Erano convinti che si trattasse di un maschio.»
I tre uomini si lasciarono sfuggire un’esclamazione soffocata e rimasero a fissarsi con aria grave.
«Avrebbe però contattato la famiglia, soprattutto nel caso di un maschio...» fece notare con un sospiro Haroun.
«Forse no. Pensi che le abbia detto la verità, prima di sposarla?»
«Spero di no.»
Ashraf continuò a leggere.
«E invece deve avergliela detta. Già... Sentite qui: ... e a mio figlio lascio la Rosa al Jawadi
.»
Seguì un altro silenzio teso.
«Possibile che fosse così pazzo da affidarla a lei?» sussurrò Haroun.
«Forse non è stato poi così pazzo» obiettò Ash. «Forse ha pensato che fosse più saggio lasciarla a lei, invece di riportarla in un paese sull’orlo della guerra.»
Najib prese l’altra busta, l’aprì e ne estrasse un piccolo rettangolo di carta rigida. Rigirandolo, si trovò a fissare un viso femminile dolce e sorridente. «È lei» commentò.
La ragazza era giovane e graziosa, con un viso morbido, dolce e arrotondato. Per un attimo, Najib provò un assurdo rimpianto all’idea di non averla conosciuta a quell’epoca, cinque anni prima.
Era chiaro che la foto era stata scattata da Jamshid e che lei lo aveva amato. Si chiese chi amasse ora.
«Il bambino dovrebbe avere quattro anni» calcolò Haroun. «Dio mio.»
«Dobbiamo trovare la donna e il bambino, prima che lo faccia qualcun altro» dichiarò Ashraf, risoluto. «Haroun ha ragione, potrebbe averle lasciato la Rosa. Un figlio di Kamil e per giunta la Rosa! Che colpo! È una faccenda delicata, che va tenuta segreta.»
Najib stava ancora fissando la fotografia; all’improvviso la prese e se la infilò in una tasca interna della giacca.
«Me ne occupo io» dichiarò.
1
«Signora Bahrami!»
Rosalind fissò l’uomo sulla porta di casa sua. Era passato molto tempo da quando si era sentita chiamare così, eppure era sicura di non averlo mai visto. Un uomo come quello non si dimenticava facilmente.
«Questo non è il mio nome. Come mai il portiere non mi ha avvertito del suo arrivo?»
«Forse mi sono sbagliato» mormorò lo sconosciuto, con l’aria di un uomo che non commette mai errori.
Aveva capelli corvini e occhi scuri ed espressivi; indossava una giacca di tweed e costose scarpe italiane, ma quell’apparenza sofisticata e occidentale non bastava a mascherare la sua aria esotica.
«Sto cercando la signora Rosalind Bahrami» ripeté.
Rosie strinse le labbra. Nonostante gli anni trascorsi e i tratti differenti, la somiglianza era innegabile. Si sentì invadere da un’ondata di ostilità e sollevò uno sguardo duro su di lui.
«Per favore» continuò l’altro, come se avesse colto il suo rancore. «Devo trovarla. Alcuni anni fa, Rosalind Lewis ha sposato mio cugino Jamshid Bahrami. È lei Rosalind?»
Cugino. Lo stomaco le si contrasse.
Najib al Makhtoum osservò i lunghi capelli color miele, gli occhi nocciola, il dolce ovale del viso. Le labbra morbide, un tempo dischiuse in un sorriso fiducioso, adesso erano contratte e lo sguardo non era più dolce, ma duro e sospettoso. La donna non portava la fede.
«Sì, sono io» rispose. «È passato molto tempo. Ammesso che lei sia il cugino di Jamshid, che cosa gliene importa?»
Najib avvertì la sua irritazione. Non era abituato a essere trattato così dalle donne.
«Devo parlarle» chiarì. «Posso entrare?»
«No» rispose lei, secca. «Addio.»
Lui inserì una mano per impedirle di chiudere la porta.
«Aspetti. Mi pare che consideri la famiglia del suo defunto marito...»
«Con assoluto distacco» completò lei. «Tolga la mano, per favore.»
«Signorina Lewis, la prego, mi consenta di parlarle. È molto importante.»
Il suo accento le ricordò Jamshid con un’intensità dolorosa. I suoi occhi erano del colore del cioccolato amaro fuso, la bocca sensuale mostrava la stessa natura appassionata, ma trattenuta dall’autocontrollo. Se Jamshid fosse sopravvissuto, forse la sua bocca avrebbe assunto quella piega, ma il ricordo delle sue labbra giovani e ardenti era tutto ciò che le restava.
«Come si chiama?»
«Najib al Makhtoum» rispose lui con aria di lieve condiscendenza, come se non fosse abituato a doversi presentare.
«E chi la manda?»
«Ho un’urgente questione di famiglia da discutere con lei. Rappresento le proprietà di Jamshid. Sono uno dei suoi esecutori testamentari.»
Rosalind lo fissò, incerta: aveva l’aria di un uomo che otteneva sempre ciò che voleva.
«Le assicuro che ne trarrà un vantaggio» affermò.
L’occhiata che lei gli lanciò mostrava chiaramente quanto dubitasse di poter sentire qualcosa di vantaggioso da lui.
«Posso concederle mezz’ora» cedette infine Rosalind.
Spinse via con il piede un giocattolo di plastica verde a forma di dinosauro e spalancò la porta.
«Mezz’ora al rappresentante della famiglia del suo defunto marito» rimarcò Najib, entrando.
«Ossia trenta minuti in più di quelli che la famiglia ha concesso a me» precisò lei.