Il giardino incantato: Harmony Collezione
By Anne Mather
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About this ebook
Una casa apparentemente vuota, un giardino che sembra disabitato, un simpatico imprevisto. Tornato a casa dopo due lunghi anni di lontananza, durante i quali ha dovuto affrontare ogni genere di avventura, l'intrepido ed eroico reporter Matthew Quinn ha ritrovato una vecchia conoscenza dei tempi della scuola, in circostanze del tutto casuali. Tra lui e Felicity Taylor è feeling a prima vista, tanto che nel giro di pochi giorni organizzano una romantica gita al mare. Il primo bacio è dietro l'angolo, anche se per Matt potrebbe coincidere con una fuga senza ritorno. Guai se Fliss sapesse che...
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Book preview
Il giardino incantato - Anne Mather
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Savage Awakening
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2005 Anne Mather
Traduzione di Cristina Proto
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.
© 2006 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5894-096-9
www.harlequinmondadori.it
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1
Furono i rintocchi della campana della chiesa a svegliarlo. E dire che si era abituato a dormire durante il richiamo lamentoso del muezzin: quattro anni in Nord Africa, di cui gli ultimi diciotto mesi in una prigione di Abuqara, avevano reso familiare quel suono. Non che dormisse bene, naturalmente. Un lenzuolo gettato sul pavimento difficilmente favoriva il sonno. Ma era incredibile a cosa poteva abituarsi il corpo, e così era sopravvissuto.
Dopo sei mesi dal suo ritorno in Inghilterra, però, avrebbe dovuto essersi abituato di nuovo ai suoni della civiltà. Invece non era così.
Scansò le coperte e gettò le gambe giù dal letto. Almeno alzarsi non gli causava più la spiacevole sensazione di vertigine di cui aveva sofferto durante le prime settimane di libertà. E le sue membra, quasi scheletriche quando era tornato, si stavano gradualmente rafforzando, grazie ai regolari esercizi cui si sottoponeva ogni giorno. I dottori lo avevano esortato a non esagerare, ma desiderava riacquistare l’energia, e non era mai stato un tipo paziente. Di conseguenza, anche se i suoi problemi psicologici non davano segni di miglioramento, fisicamente si sentiva molto meglio.
Qualche volta aveva la sensazione che non ce l’avrebbe mai fatta, che non avrebbe più recuperato la fiducia in se stesso. Eppure doveva provarci. Per questo aveva comprato quella casa in un villaggio abbastanza distante da Londra e dalla vita che lui e Diane avevano avuto prima che lui si recasse ad Abuqara a seguire la guerra civile.
Diane non approvava la sua decisione. Mallon’s End era il villaggio dove era cresciuta e dove vivevano ancora i suoi genitori. Riteneva che Matt fosse pazzo a rinunciare alle fantastiche opportunità di Londra. Gli era stato offerto di continuare il vecchio lavoro in una stazione televisiva commerciale, e lei non riusciva a capire perché avesse rifiutato. Onestamente, non lo sapeva neanche lui. Ma, grazie all’eredità che sua nonna gli aveva lasciato, il denaro non era un problema, e c’era sempre la possibilità di scrivere un libro, nel caso avesse deciso di ricordare le sue esperienze come prigioniero delle forze ribelli ad Abuqara.
Raggiunse la finestra, tremando leggermente per l’aria fresca. Anche le assi lucide sotto i piedi erano fredde, ma lui non lo notò. Era abituato a girare scalzo. La prima cosa che i suoi guardiani avevano fatto era stato prendergli le scarpe. E anche se all’inizio i piedi si erano coperti di vesciche e camminare era stato un tormento, gradualmente la pelle si era ispessita.
Scostando la tendina, sbirciò fuori. Il giardino della casa era pieno di colori. Per qualcuno abituato a mura nude o a strade spoglie e prive di ogni segno di civiltà, era una visione straordinaria. Persino i mesi che aveva trascorso dopo la liberazione nel suo confortevole appartamento a Belsize Park non lo avevano preparato a tanta bellezza. Questo era quello che aveva sognato mentre era in prigione: un’esperienza che lo rendesse di nuovo un essere umano.
Oltre il prato, attraverso i rami frondosi degli olmi e dei tassi che sorvegliavano l’ingresso del cimitero, poteva vedere file di villette. Era tutto così civilizzato. Eppure lui era ancora isolato dalle persone e dai luoghi che una volta gli erano stati familiari. Dopo le discussioni degli ultimi mesi, aveva senza dubbio diritto a un po’ di pace e tranquillità. Non si era aspettato tutto l’interesse che il suo ritorno aveva suscitato: a causa delle interviste e dei programmi radiofonici, si era sentito di nuovo perseguitato. Così aveva voluto uscirne, non solo da Londra, ma anche dal suo vecchio stile di vita.
Una doccia gli schiarì un po’ le idee; dopo essersi asciugato, si infilò un paio di pantaloni felpati e una maglietta nera. In Africa la sua testa era stata rasata e dal suo ritorno aveva tenuto i capelli molto corti.
La casa era gelida quando scese di sotto. Erano appena le sette, dopotutto, e finché non imparava a programmare il riscaldamento, doveva abituarsi. Avrebbe anche dovuto provvedere a qualche lavoro di imbiancatura. La pesante carta da parati sulle scale e il damasco cremisi nel salone dovevano sparire, e certo serviva qualche mobile in più, oltre al letto e al paio di poltrone che aveva portato con sé. Il resto dei mobili era ancora nel suo appartamento di Londra.
Per fortuna la cucina dava a est ed era illuminata dalla luce del sole. Come il resto della casa, poteva essere modernizzata, ma Matt non disdegnava gli attuali mobili di mogano e la porcellana verde scuro.
Mise la caffettiera sul fuoco e presto la stanza si riempì del profumo allettante di caffè caldo e bacon fritto: era felice che sua madre gli avesse suggerito di portarsi delle provviste. Lasciato a se stesso, probabilmente sarebbe dovuto uscire per fare colazione e questo non faceva parte dei suoi piani.
Le finestre della cucina si affacciavano sul giardino sul retro della proprietà: bevendo la prima tazza di caffè della giornata, rimase a fissare l’orto invaso da erbacce. C’erano così tante cose da fare, rifletté con una fitta di inquietudine. Aveva forse fatto il passo più lungo della gamba? Ma no, non voleva tempo per rilassarsi, per pensare... Finché non si fosse sentito di nuovo normale, un po’ di duro lavoro manuale era quello che gli occorreva.
Un suono di passi sul patio lastricato lo mise in allarme. Dannazione, nessuno avrebbe dovuto sapere che si trovava lì. Aveva deliberatamente nascosto l’auto in garage per celare la sua presenza. Chi diamine aveva scoperto che si era trasferito?
Si avvicinò alle finestre e guardò fuori. Non riuscì a vedere nessuno e anche questo lo infastidì. Eppure aveva sentito quei passi!
Non poteva avere anche le allucinazioni...
Arretrò, appoggiando il caffè sul tavolo, ma mentre stava per controllare la pancetta, sentì di nuovo i passi e una spiacevole sensazione di inquietudine gli invase lo stomaco.
Non c’era nessuno. Avrebbe visto un’ombra attraversare la finestra se qualcuno fosse davvero passato. E questo significava... significava cosa?
Imprecando, si avviò alla porta e la spalancò... disturbando una ragazzina accosciata accanto a quella che sembrava una conigliera, intenta a infilare foglie di dente di leone nella gabbia.
Doveva averla spaventata, ma era bello sapere che non stava perdendo la testa.
«Chi sei?»
Quelle parole lo colsero alla sprovvista. Avrebbe dovuto chiederlo lui, pensò, quasi risentito dalla presenza di spirito della piccola. Lo stava guardando come se fosse un intruso!
«Il mio nome è Quinn. E tu chi sei?» replicò lui avanzando nel portico.
«Ehm... Nancy» rispose lei dopo un attimo di esitazione. «Nancy... Drew. Vivi qui?»
«Ora sì. È un problema?»
Nancy fece spallucce. «No. Questo è... non hai un cane, vero?»
Quinn sorrise. «Non al momento. Ti piacciono i cani?» domandò.
«Sì. Mio nonno ha un cane. Un retriever. Ma è molto cattivo.»
«Chi, tuo nonno?»
Nancy gli riservò un’occhiata di rimprovero. «No! Harvey. Ha l’abitudine di dare la caccia a Buttons per tutto il giardino. Era terrorizzato!»
«Chi, Harvey?» chiese Quinn.
«Buttons. Mi stai prendendo in giro, non è così?»
Quinn sospirò. «Solo un po’.» Fece una pausa. «Chi è Buttons?»
«Il mio coniglio» replicò Nancy, chinandosi di nuovo e indicando la gabbia. «Mamma ha detto che dovevo trovargli un’altra casa. E io l’ho fatto.»
Quinn sospettò che sua madre non avesse inteso nel giardino di qualcun altro, ma non fece osservazioni. Invece, si inginocchiò accanto a lei e vide il naso bianco di un grosso coniglio che annusava le sbarre della gabbia.
«Questo è Buttons» continuò Nancy, facendo le presentazioni. «Non è dolce?»
«Suppongo di sì. Ma la gabbia non è un po’ piccola?» fece notare lui.
«Infatti, di solito lo faccio uscire» ribatté Nancy. «Ma come ho detto...»
«Harvey gli dava la caccia.» Quinn terminò la frase per lei e Nancy annuì.
«Non capisce che Buttons ha paura di lui.»
«Be’, i cani danno la caccia ai conigli» osservò Quinn pratico. «È nella loro natura.»
«Allora... può rimanere qui?» si affrettò a chiedere la ragazzina, speranzosa.
«Io... forse» fu la cauta risposta. «Se tua madre è d’accordo.»
«Oh, lei non lo sa» replicò Nancy in tono vivace, alzandosi in piedi. «E tu non glielo dirai, vero?»
Fliss stava per chiamare di nuovo Amy quando la vide. La porta della Old Coaching House era aperta e un uomo stava in piedi sulla soglia a parlare con sua figlia.
Respirò di sollievo. Non era veramente preoccupata, ma si sentivano terribili storie di rapimenti di bambini e Amy aveva solo nove anni.
A ogni modo, non approvava che andasse lì senza permesso, anche se Amy conosceva il posto. L’aveva accompagnata spesso nel suo lavoro durante le vacanze scolastiche, e conosceva quel terreno quasi quanto il suo stesso giardino.
Ma le cose ora erano diverse. Il vecchio colonnello Phillips era morto e sembrava che la Old Coaching House fosse stata venduta. A qualcuno che Amy non conosceva, si ricordò Fliss affrettando il passo. Quante volte aveva avvertito sua figlia che non doveva parlare con gli sconosciuti?
L’uomo si accorse della sua presenza prima della figlia. Volse la testa e lei notò un volto duro, inflessibile, dai tratti scuri e abbronzati. Era alto, senza un grammo superfluo sulla struttura snella e muscolosa.
Aveva l’aria... pericolosa. Era molto diverso dalle persone che di solito si ritiravano in pensione a Mallon’s End. Perché qualcuno come lui aveva scelto di comprare una casa in un posto così tranquillo?
Ebbe la netta sensazione che l’uomo avrebbe preferito non parlarle, ma qualcosa lo convinse almeno a incontrarla prima di fuggire. Da parte sua, Fliss era curiosa. Avvicinandosi, poté notare che era più giovane di quello che aveva immaginato, probabilmente sui quaranta, i capelli neri cortissimi a sottolineare il suo aspetto severo. Era anche incredibilmente attraente... Chi diamine era?
«Mi... mi dispiace» attaccò, contrita. «Se mia figlia l’ha infastidita...»
«No» rispose lui, la voce bassa e un po’ roca.
«Oh, mamma!» Amy fece una smorfia, lanciando un’occhiata impaziente in direzione di Fliss.