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La figlia dello zar (eLit): eLit
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Ebook450 pages5 hours

La figlia dello zar (eLit): eLit

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About this ebook

INTRIGHI DI CORTE - Vol. 2. Figlia illegittima dello zar di Russia, Leonida ha ricevuto un'educazione impeccabile che le consente di frequentare i migliori salotti dell'aristocrazia europea senza destare sospetti. Per amore della madre accetta dunque di infiltrarsi nella dimora di Stefan Summerville, Duca di Huntley, allo scopo di recuperare delle lettere che potrebbero, cadendo nelle mani sbagliate, mettere in pericolo lo stesso Alessandro I Romanov. La missione non è facile e, a complicare le cose, c'è la potente attrazione che scatta tra lei e l'affascinante padrone di casa. Divisa tra la lealtà al suo paese e i sentimenti che prova per il duca, Leonida temporeggia, finché un imprevisto non la costringe a rompere gli indugi e a fuggire con le lettere. Stefan però non è disposto a rinunciare a lei, e per difenderla dagli oscuri pericoli che la minacciano è disposto a seguirla fino in capo al mondo.



I volumi della serie:

1)Alla corte dello zar

2)La figlia dello zar

3)Le notti di San Pietroburgo
LanguageItaliano
Release dateDec 30, 2016
ISBN9788858964248
La figlia dello zar (eLit): eLit
Author

Rosemary Rogers

Nata a Ceylon, l'odierno Sri Lanka, attualmente vive nel Connecticut. Definita dai maggiori quotidiani americani "la regina dei romanzi storici", ha scritto molti bestsellers di successo, pubblicati in tutto il mondo.

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    La figlia dello zar (eLit) - Rosemary Rogers

    successivo.

    1

    Russia, 1821

    San Pietroburgo

    Il palazzo della Contessa Nadia Karkova, a lato della Prospettiva Nevsky, non era il più imponente del quartiere, ma di sicuro il più lussuoso.

    Secondo le migliori tradizioni, la facciata presentava eleganti linee classiche, con numerose finestre e un'ampia terrazza a colonne. Copie di statue greche guardavano dal tetto con espressione sdegnata. Forse disapprovavano i grandi giardini attorno alla dimora, che con la loro profusione di fiori variopinti, cespugli ornamentali e fontane di marmo obbedivano al gusto estroso dell'aristocrazia russa e non a quello sobrio della classicità.

    Gli interni erano altrettanto sontuosi, con vaste sale e soffitti altissimi, decorati in oro, cremisi e blu zaffiro: tinte intense che comunicavano un senso di calore durante i cupi mesi invernali.

    Gli arredi erano un misto di legno satinato dell'India e ciliegio, in stile più francese che russo, adatto alle attuali inclinazioni della contessa e in gradevole contrasto con i dipinti scuri e malinconici dei maestri fiamminghi. Soltanto i ninnoli tempestati di gemme sparpagliati per tutte le stanze erano di carattere locale.

    La vera gloria dell'edificio, comunque, era la vista.

    Dalle finestre dei piani superiori, infatti, si ammiravano i ricchi pinnacoli e le cupole dorate delle chiese e dei palazzi di San Pietroburgo. Il grandioso panorama consentiva di apprezzare la bellezza della città senza percepire le tensioni che infuriavano per le strade affollate.

    Avendo abitato in quella casa per tutti i ventidue anni della sua vita, Miss Leonida Karkova era abituata a tutto quello splendore; dunque lei si limitò a lanciare un'occhiata soddisfatta dalla finestra, contenta soprattutto per la luce della tarda primavera.

    Si sedette di fronte allo specchio della toeletta e permise a Sophy, la cameriera personale, di raccogliere la lunga chioma bionda in un elaborato chignon, lasciando pochi riccioli liberi sulle tempie. L'acconciatura severa valorizzava il perfetto ovale del viso d'alabastro, evidenziando i lineamenti delicati e il magnifico azzurro degli occhi, contornati da lunghe ciglia.

    Leonida non era dotata del fascino bruno e ardente della madre, ma era sempre stata considerata graziosa. Inoltre, cosa forse più importante, i capelli d'oro e gli occhi chiari somigliavano tanto a quelli del padre da fugare ogni dubbio riguardo al suo lignaggio.

    Circostanza piuttosto insolita, poiché, a tutti gli effetti, era una figlia illegittima.

    Certo, il Conte Karkoff ne aveva riconosciuto la paternità e si era sposato con sua madre al momento della nascita. Questo legittimava la posizione di Leonida nell'aristocrazia. Tuttavia ben pochi in Russia, e magari anche all'estero, ignoravano che la contessa, prima di maritarsi in fretta e furia, intrattenesse un rapporto passionale con Alessandro Pavlovich, l'imperatore. Ed era noto che il conte aveva all'improvviso avuto a disposizione abbastanza rubli per restaurare la sua fatiscente villa fuori Mosca e ritirarvisi in pianta stabile, mentre la moglie riceveva in dono un palazzo incantevole e una somma mensile sufficiente per vivere nel lusso.

    Era un tipico segreto di dominio pubblico, anche se nessuno vi faceva mai cenno in maniera esplicita. E se, di tanto in tanto, Alessandro Pavlovich invitava Leonida ad andarlo a trovare nella reggia, si presentava più come una figura benevola che come un vero padre.

    Non che lei desiderasse un altro genitore, ammise a se stessa mentre la madre entrava in camera sua con passo regale, avvolta in una leggera vestaglia rosso ciliegia su una sottoveste di seta argentata. Nastri del medesimo argento ornavano i folti riccioli neri.

    La sua notevole bellezza fu un po' guastata da una smorfia di disapprovazione quando, con gli occhi scuri, esaminò il damasco azzurro e avorio che Leonida aveva scelto per le sue stanze private.

    Nadia Karkova non aveva mai condiviso i gusti austeri della figlia.

    «Mamma...»

    Leonida si voltò a guardarla con sorpresa mista a circospezione. Non esistevano dubbi riguardo al profondo affetto tra loro. Tuttavia Nadia possedeva una spietata forza di volontà ed era abituata a travolgere tutto quello che minacciava di ostacolarle il cammino, persino l'amata figliola.

    «Che cosa ci fate qui?»

    «Sophy, vorrei parlare da sola con mia figlia» annunciò lei.

    La ragazza paffuta, figlia della nutrice inglese di Leonida, accennò un inchino e intanto, senza farsi notare, strizzò l'occhio alla giovane padrona.

    Era troppo abituata alla scene teatrali della contessa per offendersi.

    «Certo.»

    Leonida attese che la cameriera uscisse, poi si alzò e raddrizzò le spalle.

    Preferiva sempre affrontare la contessa in piedi, anche se non serviva molto a difenderla.

    «È successo qualcosa?» domandò senza preamboli.

    In effetti Nadia pareva piuttosto reticente a parlare. Senza rispondere, infatti, si avvicinò al grande letto dal baldacchino di seta color avorio.

    «Non posso desiderare una semplice conversazione privata con mia figlia?» chiese infine.

    «Accade di rado» mormorò lei. «E mai al mattino presto.»

    Nadia ridacchiò. «Spiegami un po', ma petite: mi rimproveri per l'indolenza, oppure perché non mi dimostro abbastanza materna?»

    «Né l'uno né l'altro. Sto soltanto cercando una spiegazione per questa visita inattesa.»

    «Mon Dieu!» La contessa sollevò con due dita un lembo dell'abito di mussola beige posato sul letto e studiò la doppia fila di granati cuciti lungo la castigata scollatura. «Mi spiace che tu non chieda alla mia modiste di confezionarti i vestiti. Non ci sarebbe da stupirsi se ti scambiassero per un membro della noiosa borghesia, invece che per una giovane e bella rappresentante dell'aristocrazia russa. Devi pensare alla tua posizione sociale, Leonida.»

    Era una discussione già sostenuta altre volte, non abbastanza importante da strappare la contessa dalle coltri a quell'ora del giorno.

    «Come se mi fosse possibile dimenticarla» borbottò di rimando lei.

    Nadia la fissò con gli occhi scuri.

    «Che cos'hai detto?»

    «Preferisco la mia sarta, mamma» tagliò corto Leonida, in tono deciso. Non intendeva cedere su quell'argomento. «Capisce che ho gusti più sobri di altre donne.»

    «Sobri» ripeté la madre con un sospiro impaziente, studiando intanto le forme snelle di Leonida, prive della seducente morbidezza apprezzata dalla maggior parte degli uomini. «Quante volte ti devo ricordare che una fanciulla non ha alcun potere, se non è abbastanza astuta da sfruttare le poche armi che le ha donato il Signore?»

    «Un vestito è un'arma?»

    «Sì, quando è studiato apposta per stuzzicare gli appetiti maschili.»

    «Apprezzo più il caldo della seduzione» ribatté lei in tutta onestà. In effetti, nonostante il tepore primaverile, arrivato quell'anno piuttosto in ritardo, aveva fatto accendere il fuoco nel caminetto di marmo bianco. Era sempre infreddolita.

    Scuotendo il capo, Nadia lasciò ricadere l'indumento. «Sei sciocca. Faccio il possibile per assicurarti un futuro. Volendo, potresti scegliere tra i gentiluomini più influenti dell'impero. Se soltanto seguissi le mie indicazioni, diventeresti addirittura principessa.»

    «Vi ho già spiegato che non mi interessano i titoli nobiliari. Queste sono le vostre aspirazioni, non le mie.»

    All'improvviso la contessa attraversò il locale e le si parò di fronte, dura in volto.

    «Lo affermi perché non sai cosa significhi essere poveri, senza un ruolo in società. Deridi pure le mie ambizioni, però ti assicuro che dimenticherai in fretta l'orgoglio se sarai così ingenua da illuderti di poter vivere di puro amore. Non c'è niente di affascinante nell'avere freddo di inverno, o nel rammendare i vestiti per nascondere gli orli sfilacciati.» Il suo sguardo si adombrò rammentando la sofferenza patita. «Oppure nell'essere esclusi dal bel mondo.»

    «Perdonatemi, mamma» le rispose con dolcezza Leonida. «Vi sono molto riconoscente per i sacrifici che avete fatto per me, ma...»

    «Davvero?»

    Lei sbatté le palpebre, confusa dall'interruzione.

    «Mi sei veramente grata?»

    «Certo.»

    Nadia le prese le mani e le strinse forte. «Allora acconsentirai alla mia richiesta.»

    Leonida si liberò in fretta le dita. «Vi voglio bene, mamma, ma sono costretta a porre dei limiti. Come ho già affermato, non intendo accettare la proposta del Principe Orvoleski. Non solo è abbastanza vecchio da poter essere mio padre, ma puzza anche di cipolla.»

    «Non ha niente a che vedere con il principe.»

    Lei fu colta dall'ansia. Dunque non si trattava di una delle solite scene teatrali, ma di qualcosa di più serio: lo suggeriva l'espressione cupa di sua madre.

    «È successo qualcosa?»

    Nadia si torse le dita inanellate, facendo scintillare le gemme ai raggi del sole.

    «Sì.»

    «Spiegatemi, dunque.»

    Prima di rispondere, la contessa andò alla finestra, lasciando dietro di sé una scia di profumo.

    «Sai poco della mia infanzia.»

    Perplessa, la figlia osservò il suo dorso rigido. Nadia Karkova non parlava mai delle sue umili origini.

    Per nessuna ragione.

    «Mi avete raccontato di essere cresciuta a Yaroslavl' prima di venire a San Pietroburgo» azzardò.

    «Mio padre era un lontano parente dei Romanov, ma dopo avere litigato con l'Imperatore Paolo, fu troppo orgoglioso per chiedere scusa e venne bandito per sempre dalla corte» spiegò con una risata sprezzante. «Un vero stupido. Vivevamo in una casa gelida e mezza diroccata, a miglia di distanza da qualsiasi villaggio, con un pugno di contadini per salvarci dalla rovina completa. Ero isolata dal mondo insieme a un branco di selvaggi; soltanto la balia mi teneva compagnia.»

    Il cuore di Leonida si raddolcì. Quella bella dama estroversa, vivace e sempre elegante, sepolta in una vecchia dimora squallida? Per lei doveva essere stato un incubo.

    «Fatico a immaginarvi in un ambiente simile» ammise.

    Nadia alzò le spalle e si accarezzò con due dita la collana di diamanti, quasi per assicurarsi che i tristi ricordi non gliel'avessero sottratta.

    «Era terribile, però compresi che dovevo fare di tutto per sfuggire alla povertà. Quando mia zia si sentì in dovere di invitarmi a casa sua, ignorai la minaccia paterna di disconoscermi. Che cos'aveva da offrirmi, oltre a tanti anni di misero isolamento? Quindi decisi di vendere i miei pochi gioielli e andare da sola a San Pietroburgo.»

    Leonida ridacchiò con ammirazione. Non se ne stupiva: niente poteva frapporsi tra Nadia e i suoi sogni.

    «Siete straordinaria, mamma» commentò. «Poche donne avrebbero mostrato tanto coraggio.»

    Lei si voltò a guardarla con un sorrisino afflitto. «Era più disperazione che audacia. E se avessi previsto che, sotto il tetto di mia zia, mi sarebbe toccato il ruolo di serva invece che di ospite, forse non avrei affrontato quel viaggio lungo e faticoso.»

    «Invece credo di sì. Non vi siete mai arresa di fronte a nessun ostacolo.»

    «È vero. Ma nemmeno la mia notevole determinazione mi avrebbe aperto certe porte senza l'aiuto di Mira Toryska.»

    La figlia impiegò qualche secondo a collocare il nome. «La Duchessa di Huntley?»

    «La sua famiglia abitava vicino a mia zia» le spiegò. «Mira godeva di un'ottima reputazione. Com'era possibile altrimenti? Era bella, ricca e, allo stesso tempo, generosa e gentile. Non capirò mai per quale motivo si impietosì di me e convinse la zia a lasciarmi partecipare a qualche ricevimento per pochi intimi. In ogni caso, le sarò per sempre grata.»

    L'affetto dimostrato per l'amica di gioventù era profondo. Piuttosto strano, considerato che in genere preferiva attorniarsi di aitanti ufficiali piuttosto che di dame.

    «E così faceste conoscenza con Alessandro Pavlovich?»

    «Sì.» Gli occhi scuri si raddolcirono, come accadeva ogni volta che veniva nominato lo zar. «Era così bello e affascinante! Bastava un'occhiata per capire che era destinato a grandi imprese.»

    Leonida resistette alla tentazione di invitarla a rivelarle qualche particolare riguardo al rapporto con l'imperatore. Conveniva evitare certe domande.

    «Davvero appassionante, mamma. Tuttavia non capisco ancora che cosa vi turbi.»

    Le dita di Nadia tremarono un poco mentre lisciavano le pieghe della gonna.

    «È importante che tu comprenda i sentimenti che provavo per Mira.»

    «Perché?»

    «Poco dopo il mio arrivo a San Pietroburgo, lei venne presentata al Duca di Huntley. E, come molte altre, si innamorò dell'avvenente gentiluomo inglese, al punto che partì insieme a lui e lo sposò» raccontò con una smorfia. «Io mi disperai per la perdita della migliore amica. Era... Ebbene, mi consolava soltanto la fitta corrispondenza, che ci permetteva di continuare a confidarci.»

    «Assai comprensibile.»

    «Forse. Ma ero tanto giovane e inesperta, e quando Alessandro Pavlovich dimostrò un certo interesse per me, io mi affrettai a riferire tutto a Mira.»

    Leonida era sempre più perplessa. «Da quanto so, la vostra relazione con lo zar non si poteva certo definire segreta.»

    «No, in effetti» confermò Nadia, che non aveva nessun pentimento in proposito. «Purtroppo era fonte di infiniti pettegolezzi. Tuttavia le nostre conversazioni private non andavano divulgate. Era sbagliato ripeterle persino a una cara amica, la cui fedeltà ai Romanov appariva fuori discussione.»

    A quel punto Leonida si irrigidì. «Avete rivelato alla Duchessa di Huntley i vostri colloqui personali con Alessandro Pavlovich?»

    «Sapevo di potermi fidare» si difese lei. «Del resto, a chi altro avrei potuto comunicare i miei pensieri? In società, non c'era una sola donna che non si rodesse di gelosia per il mio rapporto con lo zar.»

    «Succede ancora adesso» si affrettò a rassicurarla la figlia. Voleva evitare che si rabbuiasse, altrimenti non avrebbe continuato il discorso, che sembrava importante. «Tuttavia non peccate mai di indiscrezione.»

    «Come potevo sospettare che qualcun altro, oltre alla duchessa, avrebbe visto le lettere?»

    «Dunque sono state trovate?» le domandò lei, allarmata.

    «Non c'è alcun bisogno di rimproverarmi per la mia incoscienza. Sono fin troppo consapevole dell'errore commesso.»

    Leonida trasse un respiro profondo per placare l'apprensione. «D'accordo. Immagino che queste missive contengano informazioni che potrebbero creare problemi all'imperatore.»

    «Molto peggio: in mano nemica, rischierebbero di portarlo alla rovina.»

    «Alla rovina?» ripeté lei, sbalordita. «State esagerando, spero?»

    «Lo vorrei tanto.»

    «Madre?»

    Con un movimento elegante, Nadia si sedette sul divanetto di broccato sotto la finestra. La luce mattutina rivelava le occhiaie scure e le rughe ai lati delle labbra carnose.

    In quel momento dimostrava la sua vera età, il che era molto più preoccupante delle drammatiche insinuazioni sui pericoli imminenti.

    «Governare il vasto impero russo non è un compito facile» spiegò con serietà. «Tra i cittadini serpeggia l'inquietudine e i tradimenti sono all'ordine del giorno tra i nobili. Comunque la situazione è peggiorata negli ultimi anni: Alessandro trascorre troppo tempo all'estero e i nemici sono incoraggiati a tramare alle sue spalle.»

    «Non hanno bisogno di troppi incentivi.»

    «Forse no. In ogni caso diventano sempre più arditi.»

    La figlia si inumidì le labbra secche con la punta della lingua. «E le lettere potrebbero fornire un'arma utile agli avversari dello zar?»

    «Sì.»

    «Cosa...?»

    «Non domandarmelo» la interruppe Nadia con un gesto imperioso.

    Il primo istinto di Leonida fu quello di esigere una spiegazione: se doveva lasciarsi coinvolgere in un pasticcio creato dalla madre, aveva il diritto di conoscere la verità.

    Tuttavia prese la saggia decisione di trattenersi.

    Amava e rispettava Alessandro Pavlovich, ma più di chiunque altro capiva che era soltanto un uomo, con tutti i suoi difetti e i suoi punti deboli. In verità aleggiava sempre su di lui un'ombra di malinconia, come se fosse costretto a serbare penosi segreti. Desiderava davvero conoscere le fonti della sua sofferenza?

    «Allora dovreste scrivere all'imperatore per avvisarlo dei pericoli» affermò lei. «Sarà di sicuro pronto a tornare a San Pietroburgo.»

    «No» si affrettò a negare la madre.

    «Non potete nascondere la verità.»

    «Sì, invece: è proprio ciò che devo fare.»

    Leonida aggrottò la fronte, contrariata da tanto egoismo.

    «Esporreste Alessandro a un grave rischio pur di non confessare la vostra indiscrezione?»

    Un lampo di insofferenza attraversò gli occhi scuri.

    «Mon Dieu! Non hai seguito gli ultimi avvenimenti?» le domandò sua madre a quel punto.

    «Vi riferite all'ammutinamento?»

    «Alessandro è sconvolto.» Nadia iniziò a camminare avanti e indietro sul parquet lustro. «Considerava i soldati del Reggimento Semyonoffski come i più fidati. Il loro voltafaccia è stata una pugnalata nel cuore. Ho paura per lui, Leonida: è tanto fragile. Temo che non potrebbe sopportare quello che giudicherebbe come un ulteriore tradimento.»

    «Desideriamo tutti proteggerlo, ma in fondo è lo zar» le fece notare lei con delicatezza. «Deve pur conoscere le minacce alla corona.»

    La madre si fermò e si voltò a guardarla a testa alta.

    «Intendo assicurarmi che ogni pericolo venga eliminato prima del suo ritorno in città.»

    «E come? Se qualcuno è davvero riuscito a mettere le mani sulla vostra corrispondenza...»

    «Non ne sono del tutto certa.»

    Leonida si sfregò le tempie doloranti.

    «Mi fate venire il mal di testa. Magari fareste bene a raccontarmi tutto quanto dall'inizio.»

    Nadia respirò profondamente nel tentativo di recuperare l'autocontrollo.

    «La settimana scorsa un uomo mascherato, che si è presentato come la Voce della Verità, mi ha avvicinata alla festa in costume del Conte Bernaski. Quest'essere ridicolo sosteneva di possedere le lettere che avevo indirizzato a Mira e minacciava di renderle pubbliche se non avessi acconsentito a versargli centomila rubli.»

    «Centomila rubli!» ripeté sbalordita Leonida. La situazione era ancora peggiore di quanto avesse previsto. «Santo cielo! Non potremo mai pagare una cifra simile.»

    «Non ho intenzione di sborsare nemmeno un centesimo, almeno finché non avrò le prove che quella canaglia afferma il vero. Al momento non ne sono affatto convinta.»

    «Come mai?»

    «Appena quell'individuo si è girato per andarsene, ho chiesto a Herrick Gerhardt di farlo pedinare.»

    Lei reagì a quel nome con una smorfia. Herrick Gerhardt era il consigliere di fiducia di Alessandro Pavlovich, nonché l'uomo più inquietante che lei conoscesse. Nulla sfuggiva ai suoi occhi scuri e penetranti. E l'accanita devozione allo zar lo spingeva ad annientare senza il minimo rimorso qualunque minaccia alla sua sicurezza.

    Era impossibile trovarsi in sua compagnia senza temere di venire scaraventati in una segreta.

    «Certo» mormorò.

    Nadia alzò le spalle. Non sembrava temere Gerhardt come forse avrebbe dovuto.

    «Non è il primo ricatto che debbo affrontare. Spesso la mia posizione attira gente che tenta di sfruttarmi per influenzare l'imperatore.»

    Ebbene, non era l'unica. Leonida era sbalordita dalla quantità di persone che si rivolgevano a lei nella speranza di ottenere i favori dello Zar Alessandro.

    Come se davvero avesse avuto un potere. Era assurdo!

    «Immagino che Gerhardt sia riuscito a identificarlo.»

    «Sì. Si chiama Nikolas Babevich. Suo padre era un ufficiale russo e sua madre era...» Si interruppe con un lieve sussulto. «Francese. Popolo spregevole: mai fidarsene.»

    Lei ignorò il pregiudizio: sapeva che Nadia ricordava fin troppo bene la catastrofica invasione napoleonica.

    «Lo ha arrestato?»

    «Ha preferito non lasciargli intendere che conosciamo il suo nome.»

    Per quale strano motivo?

    «Sono la prima ad ammettere la mia ignoranza nelle questioni politiche, ma se è noto dove e quando trovare questo furfante, perché non imprigionarlo?»

    «Perché non è sicuro che agisca da solo.»

    «Almeno Herrick ha recuperato le famose lettere?»

    «Ha perquisito la sua abitazione, ma non ne ha trovato traccia.»

    «Potrebbero essere ovunque» ammise la ragazza con un sospiro di frustrazione.

    «Viene sorvegliato di continuo. Se le ha messe da qualche parte, prima o poi condurrà le guardie al nascondiglio.»

    Leonida comprese che era inutile insistere affinché il ricattatore fosse arrestato. Se l'anziano ufficiale aveva stabilito di lasciarlo libero, niente al mondo gli avrebbe fatto cambiare opinione.

    Si concentrò quindi sulle domande più urgenti.

    «Perché sospettate che menta riguardo al possesso delle lettere?»

    La contessa riprese a camminare avanti e indietro, giocherellando con i diamanti a goccia della collana: segno evidente che non era tranquilla come tentava di apparire.

    «Appena si è rivolto a me, gli ho chiesto di mostrarmele. Lui ha risposto di non averle con sé, così gli ho domandato di riferirmene il contenuto. Babevich ha rifiutato, affermando che non mi avrebbe fornito alcuna prova finché non avessi sborsato quella cifra esorbitante.»

    «In effetti sembra molto strano. Di certo si rende conto che chiunque abbia un minimo di buonsenso vorrebbe avere qualche garanzia prima di pagare.»

    «Molti uomini sottovalutano le donne. Senza dubbio ha immaginato che, colta dal panico, avrei ceduto a qualunque richiesta senza nemmeno riflettere» dichiarò Nadia in tono sprezzante. «C'è anche dell'altro: io e Mira ci scambiavamo spesso segreti, quindi avevamo inventato un codice speciale per scriverci, nel caso i nostri messaggi fossero stati intercettati da estranei. Era ingenuo e facile da interpretare, tuttavia quel furfante non vi ha nemmeno fatto cenno.»

    Era davvero sospetto. Anche chi riteneva le donne tanto stupide da lasciarsi sottrarre una cifra enorme, si sarebbe vantato della propria abilità nel decifrare un codice segreto.

    Secondo l'esperienza di Leonida, gli uomini non perdevano occasione per far notare la loro superiorità sulle donne.

    «Quindi, se non ha le lettere, come avrebbe fatto a scoprirne l'esistenza? E per giunta a sapere che potrebbero danneggiare Alessandro Pavlovich?»

    «Proprio per questo Herrick non vuole fargli capire che l'abbiamo identificato» le spiegò la madre. «È convinto che Nikolas Babevich sia soltanto una pedina in mano ad altri.»

    Lei rabbrividì, più per l'apprensione che per il freddo, dovuto allo stare ferma in mezzo alla camera in sottoveste e corsetto.

    L'idea che più di una persona minacciasse sua madre non era certo rassicurante.

    «Allora, a quanto pare, non esiste altra possibilità che aspettare che vi conduca dai suoi complici.»

    Dopo un lungo istante di silenzio, la contessa si fermò e la trafisse con lo sguardo.

    «A dire il vero, ci sarebbe un importante compito da svolgere» annunciò.

    Leonida indietreggiò di un passo. Conosceva quel tono di voce, che non prometteva mai bene.

    Almeno per lei.

    «Non sono sicura di volerlo conoscere.»

    «Qualcuno deve andare in Inghilterra a cercare le missive nella dimora del Duca di Huntley» dichiarò Nadia, ignorando la sua riluttanza, com'era tipico. «Se si trovano ancora laggiù, è dimostrato che Babevich è soltanto un imbroglione.»

    Il senso di disagio che Leonida sentiva alla bocca dello stomaco si mutò in vero e proprio panico.

    Santo cielo! La Contessa Karkova non esitava a rivolgerle le richieste più folli.

    «Ma...» Leonida tentò di prendere fiato. «Se sono davvero nascoste in Inghilterra, chi potrebbe essere al corrente della loro esistenza?»

    Nadia alzò le spalle. «Magari l'attuale duca, oppure suo fratello, Lord Summerville, hanno riferito a qualcuno di averle viste. In fondo Edmond era a San Pietroburgo pochi mesi fa.»

    Leonida si aggrappò a quelle parole come se avessero rappresentato la salvezza. «Allora perché non scrivete loro di inviarvele? Ormai la duchessa è defunta da diversi anni. Che interesse potrebbero avere a conservare la sua corrispondenza privata?»

    La madre agitò con impazienza una mano.

    «Perché sono innanzitutto sudditi inglesi, leali al Principe Reggente... Oh, immagino che nel frattempo quell'uomo ripugnante sia diventato legittimo sovrano» aggiunse con una smorfia. «In ogni caso, è risaputo che non era affatto contento dell'ultima visita di Alessandro Pavlovich per celebrare la fine della guerra. Se il re scoprisse che le lettere contengono informazioni compromettenti per lo zar, ordinerebbe all'istante di consegnargliele.»

    Lei avrebbe voluto obiettare, ma aveva sentito parlare del risentimento di Re Giorgio per i modi riservati di Alessandro Pavlovich durante il suo soggiorno a Londra. Non c'era da stupirsene: i due monarchi non avrebbero potuto essere più diversi.

    Lo Zar di Russia, infatti, detestava le ostentazioni vistose e le vuote vanterie.

    In fretta e furia, cercò di inventarsi un altro pretesto per evitare la terrificante missione in Inghilterra.

    «Come potrei frugare nella dimora di Huntley senza il suo permesso? È chiaro che un duca inglese dispone di un intero battaglione di domestici. Mi farei sorprendere appena varcata la soglia di casa.»

    Nadia sorrise. «Non se sarai una gradita ospite.»

    «Mamma...»

    «Il tuo viaggio viene organizzato in questo preciso momento» la interruppe lei con determinazione. «Partirai alla fine della settimana.»

    Questa volta toccò a Leonida camminare avanti e indietro per la camera. Il panico crescente le impediva di riflettere con chiarezza.

    «Quand'anche fossi d'accordo con questo piano insensato, e vi assicuro di no, come potrei imporre la mia presenza al Duca di Huntley? Sarebbe assai scortese. Inoltre vi rammento che è scapolo.»

    «Ho già scritto a Lord Summerville e alla sua nuova sposa per informarli che Alessandro Pavlovich ritiene molto importante introdurti nell'aristocrazia inglese. Non possono rifiutarti l'ospitalità.»

    Nel nome del cielo, la situazione peggiorava di momento in momento.

    «Lord Summerville abita insieme al fratello?»

    «No, però il re ha assegnato alla coppia la villa dove prima risiedeva Lady Summerville. È situata a meno di un miglio di distanza da Meadowland: di sicuro renderai spesso visita al duca.»

    Lei scosse incredula la testa. «Dunque avete affibbiato una completa estranea a due sposini, senza curarvi dell'imbarazzo che questo creerà a tutti quanti?»

    La contessa si indurì in volto; ormai aveva preso una decisione e niente le avrebbe fatto cambiare idea.

    «Leonida, non solo sarei rovinata se quelle missive capitassero in mani ostili, ma lo stesso Alessandro non potrebbe sopportare uno scandalo. Non un'altra volta» aggiunse in un cupo ammonimento.

    Un'altra volta?

    Cosa diavolo significava?

    Leonida si irritò. Era già capitato che Nadia escogitasse un piano assurdo, però stava esagerando...

    «Dunque volete che vada in Inghilterra, mi intrometta tra due sposi che non mi hanno mai vista in vita loro e che mi insinui di soppiatto nella casa di un duca per recuperare lettere che forse non ci sono nemmeno?»

    «Sì» confermò la madre senza battere ciglio.

    «E ammesso che porti a termine questa missione irragionevole, che cosa dovrei fare? Bruciare i fogli?»

    Nadia sbarrò gli occhi spaventata.

    «No! Me li devi riportare.»

    «Per l'amor del cielo, mamma. Hanno già generato troppi problemi: vanno distrutti.»

    In un vortice di veli e seta, lei le andò di fronte.

    «Non essere sciocca. Ne ho bisogno.»

    Spiazzata da tanta insistenza, Leonida aggrottò la fronte. «Perché?»

    La madre attese un istante prima di rispondere, come per scegliere con cura le parole.

    «Alessandro Pavlovich mi ha sempre adorata e nel corso degli anni si è dimostrato piuttosto... generoso con noi. Tuttavia, come ben sappiamo, i suoi fratelli non mi hanno mai apprezzata molto e non sono d'accordo con il sostegno costante di cui godiamo. Se, Dio non voglia, dovesse succedere qualcosa, magari verremmo escluse dall'eredità che ci spetta di diritto.»

    «Dunque intendete usare le lettere per estorcere del denaro al prossimo imperatore? Avete perso il senno?»

    «Una di noi due deve pur pensare al futuro.»

    «Io ci penso, mamma.» Girò sui tacchi e, con sguardo assente, andò alla finestra. «Spero che vi troverete bene nella cella umida dove ci rinchiuderanno.»

    2

    Surrey, Inghilterra

    A prima vista, i due gemelli che passeggiavano per l'ampio giardino all'inglese sembravano identici.

    Tutti e due avevano capelli corvini, che ricadevano sulla fronte spaziosa in attraente disordine, e alti zigomi slavi, ereditati dalla madre russa. Entrambi vantavano intensi occhi blu che, sin dall'adolescenza, mandavano in visibilio le dame. Ed erano dotati di un corpo snello e forte, valorizzato dalle giubbe eleganti e dai calzoni scamosciati.

    Tuttavia un'osservazione più attenta rivelava che il primogenito Stefan, attuale Duca di Huntley, aveva la carnagione un po' più scura del fratello Edmond, Lord Summerville. Inoltre le spalle erano un filo più larghe, come risultato delle ore trascorse a sovrintendere ai lavori nel suo vasto podere. Per finire, i lineamenti di Stefan apparivano vagamente più delicati di quelli di Edmond.

    Le differenze fisiche non erano nulla rispetto al contrasto dei caratteri.

    Edmond aveva sempre mostrato uno spirito inquieto, almeno finché, solo qualche settimana prima, aveva sposato Brianna Quinn. Stefan, invece, si dedicava anima e corpo alle proprietà e ai numerosi dipendenti. Edmond era affascinante, irascibile e coraggioso. Aveva rischiato la pelle in parecchie occasioni quando era consigliere di Alessandro Pavlovich.

    Stefan, da parte sua, era molto più discreto e preferiva rimanere sullo sfondo, piuttosto che richiamare l'attenzione. Era anche incline a dichiarare la verità invece che prodigare lusinghe; questo spiegava forse perché si trovasse meglio in compagnia dei fittavoli anziché insieme ai nobili residenti nella zona.

    Comunque i due gemelli condividevano un'intelligenza pronta e un'ardente lealtà reciproca, oltre a un profondo senso di responsabilità.

    Fu proprio questa lealtà a condurre Stefan a Hillside quella mattina di primavera avanzata.

    Mentre vagava per i giardini, sistemati con cura dopo quindici anni di abbandono, lanciò un'occhiata furtiva al fratello, che camminava in silenzio al suo fianco.

    «Allora, è arrivata la tua ospite?» mormorò.

    Edmond storse le labbra in un'espressione eloquente.

    «Sì.»

    Stefan evitò ogni tentativo di diplomazia; del resto non aveva mai posseduto questa dote.

    «Non capisco perché tu permetta ad Alessandro Pavlovich di approfittare ancora di te» sbottò, scavalcando un mucchietto di rami tagliati da poco da una siepe. «Non sei più un suo consigliere.»

    «Non sono mai stato neanche consigliere di Re Giorgio, ma questo non gli impedisce di sfruttarci» gli fece notare il gemello.

    Stefan ignorò l'accenno alle incessanti richieste del monarca, ma si concentrò invece sulle due donne che stavano uscendo dalla villa.

    Brianna si riconosceva subito per la chioma rosso fiamma e per l'andatura rapida, non proprio femminile. Per molti aspetti era impulsiva e spericolata quanto il marito.

    Nel vederla, lui provò come al solito un piacevole senso di calore. Poi puntò lo sguardo sulla giovane minuta che cercava di tenere il passo con Lady Summerville.

    «È lei?»

    «Sì» confermò Edmond. «Miss Leonida Karkova.»

    Proprio in quel momento l'ospite girò la testa e Stefan si fermò all'improvviso sui suoi passi.

    Non tanto

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