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Le notti di San Pietroburgo (eLit): eLit
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Le notti di San Pietroburgo (eLit): eLit

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INTRIGHI DI CORTE - Vol. 3. Pur di ritrovare la sorellina Anya, rapita da due loschi sconosciuti, Emma Linley-Kirova sarebbe disposta anche a stringere un patto con il demonio. E Dimitri Tipov, il temuto re della malavita di San Pietroburgo conosciuto come Zar dei Miserabili, è l'unico che possa aiutarla. Bellissimo, affascinante, potente e immensamente ricco, Dimitri ha tutto ciò che si può desiderare, eppure il suo unico scopo nella vita è vendicarsi del malvagio padre. Per lui, Emma è soltanto un delizioso mezzo per raggiungere i suoi fini. Ma durante il pericoloso inseguimento che li porta dalle scintillanti sale da ballo della Russia alle assolate strade del Cairo, il selvaggio desiderio che prova per quella giovane indipendente e coraggiosa cresce a dismisura. E finisce per metterlo di fronte alla necessità di scegliere tra la sua tetra ossessione e una promessa d'amore.



I volumi della serie:

1)Alla corte dello zar

2)La figlia dello zar

3)Le notti di San Pietroburgo
LanguageItaliano
Release dateDec 30, 2016
ISBN9788858964255
Le notti di San Pietroburgo (eLit): eLit
Author

Rosemary Rogers

Nata a Ceylon, l'odierno Sri Lanka, attualmente vive nel Connecticut. Definita dai maggiori quotidiani americani "la regina dei romanzi storici", ha scritto molti bestsellers di successo, pubblicati in tutto il mondo.

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    Le notti di San Pietroburgo (eLit) - Rosemary Rogers

    successivo.

    1

    Russia, 1822

    Il villaggio di Yabinsk, sulle rive del Volga, non lontano da Mosca, era il tipico agglomerato di case basse e robuste, sparpagliate attorno alla chiesa di legno. Gli abitanti più agiati vivevano in dimore di mattoni rossi, disposte sulle colline tutto attorno, e dominavano dall'alto i più umili, mentre barchette da pesca, dipinte a colori vivaci, seguivano i meandri del fiume.

    Ai margini del paese, una locanda per viaggiatori disposta su tre piani, con stalle annesse, era acquattata accanto alla stretta strada che portava a Mosca, a sud, e a San Pietroburgo, a nord. Il tetto di tegole e le imposte dipinte di fresco conferivano all'edificio un aspetto rispettabile, se non fiorente; impressione confermata dall'atrio pulitissimo e dalle camere impeccabili dei piani superiori, profumate di cera per legno e fiori secchi.

    Dietro le stalle, oltre il muro di pietra che divideva la proprietà, era nascosta una casupola di canniccio e fango secco.

    Non conteneva altro che una cucina, un salottino e due camere da letto nella mansarda, ma era ben costruita e abbastanza solida per riparare dal gelo invernale, nonché arredata con raffinati mobili di betulla e cedro, più adatti ai palazzi nobiliari di San Pietroburgo.

    In effetti, prima della morte prematura, Fedor Kirov era stato un maestro mobiliere, molto richiesto tra le famiglie dell'aristocrazia. Gli arredi valevano parecchi rubli, ma sua figlia Emma Linley-Kirova avrebbe preferito morire di fame, piuttosto che venderli. Aveva già sofferto abbastanza nel convertire il prezioso laboratorio del padre in una locanda, che forniva i mezzi di sostentamento a lei e alla sorella minore, Anya.

    Tuttavia, in quella fredda giornata autunnale, Emma non prestava attenzione al sofà dai braccioli a volute, sistemato sotto la finestra del salotto, né alla credenza contenente le porcellane inglesi della madre.

    Era troppo impegnata a camminare avanti e indietro sul tappeto logoro, con le mani che tremavano mentre lisciava le pieghe del modesto abito di lana marrone. Infine si voltò e incrociò lo sguardo preoccupato di Diana Stanford, seduta in quel momento sul pregiato divanetto.

    Sebbene avesse dieci anni più di lei, la bambinaia inglese era la sua più cara amica. Emma aveva perso anche la madre, cresciuta in Inghilterra, e gradiva di cuore la compagnia e il conforto di Diana.

    La donna era un tipico fiore delle sue terre, con capelli biondi e occhi celesti che, a torto, la facevano apparire fragile e indifesa. Emma, da parte sua, aveva ereditato dal padre la chioma color miele, che teneva raccolta in una crocchia sulla nuca, e occhi nocciola che guardavano il mondo con severa determinazione. La sua espressione seria intimoriva chiunque sperasse di approfittare di una donna costretta a cavarsela da sola.

    Ciò era perfetto per amministrare con profitto la locanda e allevare la sorella sedicenne, ma assai nocivo per i rapporti con i vicini. Per la maggioranza dei suoi compaesani, infatti, se era disdicevole che una donna adulta gestisse da sola un esercizio, era addirittura impensabile che lo facesse una giovane nubile. Una signorina perbene, a loro parere, doveva dipendere da un uomo. Soltanto un'insolente dalla morale dubbia si sarebbe permessa di ignorare le convenzioni e di conservare l'indipendenza.

    Dunque quasi tutti si divertivano alle spalle di Emma; bisbigliavano pettegolezzi e si assicuravano che si sentisse malvista nelle occasioni sociali.

    Fino a quel giorno, lei non si era mai lasciata turbare dalle loro opinioni.

    «No, ti sbagli di sicuro» affermò Diana, rompendo il silenzio carico di tensione. «Magari, ogni tanto, Anya è testarda e impulsiva...»

    «Ogni tanto?» ripeté lei con ironia.

    L'amica accennò un sorriso. La sorella minore, molto più graziosa di Emma, era una volubile mescolanza di fantasie insensate e capricci.

    «Però non è del tutto stupida» proseguì Diana. «Non scapperebbe mai di casa con due perfetti estranei.»

    Con una certa esitazione, Emma le porse il biglietto stropicciato che aveva trovato sul letto vuoto della sorella quella mattina, al risveglio.

    «Sì, invece, se si trattasse di due ricchi gentiluomini, pronti a prometterle una brillante carriera sui palcoscenici d'Europa.»

    Diana lesse il breve messaggio, corrugando la fronte.

    «Come attrice?»

    «Sai bene anche tu che ha sempre desiderato una brillante vita mondana, lontano da Yabinsk.»

    «Bah! Quale fanciulla non si riempie la testa con simili sciocchezze? Tutte le ragazze del villaggio hanno sognato, almeno una volta, di conoscere un fascinoso principe che le porti via con sé.» Con un fruscio del vestito color pesca, Diana si alzò in piedi. «Tu compresa, Emma Linley-Kirova.»

    Emma alzò le spalle. I sogni di bei principi e dolci storie d'amore si erano dissolti con la scomparsa della madre.

    «Sì, ma quasi sempre lasciamo da parte simili fantasie, insieme alle bambole. Anya, invece, non ha mai accettato che la realtà è ben diversa dalle fiabe.» Si strinse il busto, colta da un gelido terrore. «La colpa è mia. Dopo la morte di nostro padre non le ho dedicato abbastanza attenzione.»

    «Santo cielo, Emma! Hai sacrificato tutto per fornirle una casa. Dovresti andare fiera di quello che hai realizzato.»

    «Già» le rispose l'altra con amarezza, guardando in direzione della locanda. «È piuttosto straordinario.»

    «Lo è, mia cara» confermò con decisione l'amica. «Quando la tua povera mamma è spirata, eri poco più che una bambina, eppure hai dovuto addossarti tutte le faccende domestiche, oltre che occuparti di Anya. E poi, con la perdita di tuo padre...» Schioccò la lingua. «Ebbene, chiunque altra sarebbe scappata da responsabilità così gravose, o perlomeno avrebbe chiesto aiuto ad altri. Ma non tu.»

    «No. Ero determinata a contare sulle mie sole forze a qualunque costo.»

    «E ce l'hai fatta.»

    Emma scosse la testa. Diana le voleva troppo bene per rammentarle che, al massimo, riusciva a procurare i beni essenziali per se stessa e la sorella. E che, a causa sua, erano state bandite tutte e due dalla buona società locale.

    «A spese di Anya.»

    «Che assurdità!»

    Emma trasse un respiro profondo e si stupì quasi dell'odore confortante di legna bruciata e pane appena sfornato. Da quando aveva scoperto la sparizione di Anya, aveva l'impressione che il mondo intero fosse diventato un luogo ignoto e ostile.

    «Ero convinta di averle insegnato l'importanza dell'indipendenza» mormorò. «Adesso mi chiedo se non sono stata soltanto egoista.»

    «Egoista?» Diana le cinse con affetto le spalle. «Sei la persona più buona e altruista che abbia mai conosciuto.»

    Lei, con riluttanza, si costrinse a superare l'imbarazzo che le aveva impedito di confidarsi sin dai tempi della morte del padre, quasi quattro anni prima.

    «No, invece. Avrei potuto accettare la proposta del Barone Kostya.»

    «Proposta?» Diana lasciò ricadere il braccio e indietreggiò, fissandola meravigliata. «Aveva chiesto la tua mano?»

    «Non mi offriva il matrimonio, anche se mi chiedeva di andare a letto con lui.» Con una smorfia, Emma ricordò la sera in cui il barone si era presentato alla porta con una torta al miele e alle albicocche, la sua preferita. Che ingenua era stata! Quando le aveva garantito di volerla aiutare a sopportare il peso che le gravava sulle spalle, lei aveva subito immaginato che intendesse investire nella locanda, oppure offrire ad Anya un impiego come cameriera nella lussuosa villa in collina. Non l'aveva nemmeno sfiorata l'idea che, in realtà, le stesse proponendo di diventare la sua amante né aveva previsto la minaccia di renderle la vita impossibile, qualora non avesse accettato. «Era disposto a dimostrarsi molto generoso.»

    «Dio mio!» Diana si posò una mano sul seno prosperoso. «Questo spiega il suo strano comportamento. Il giorno prima tesseva le tue lodi e il giorno dopo...»

    «Mi trattava come un'appestata» concluse Emma al suo posto. Inutile aggiungere che quell'atteggiamento crudele aveva incoraggiato ancora di più i paesani a voltarle le spalle.

    «Perché non me ne hai mai parlato?»

    Emma strattonò l'orlo sfilacciato della manica, colta da un attacco di nausea.

    La proposta del barone le aveva fatto orrore, ma, ancora di più, l'aveva offesa.

    Un tempo la sua famiglia era molto rispettata nella zona e lei avrebbe potuto scegliere tra numerosi corteggiatori. Il semplice fatto che un nobile si permettesse di trattarla in quel modo dimostrava quanto fosse caduta in basso.

    «Non avevo molta voglia di discuterne» sussurrò. «Speravo soprattutto di evitare ulteriori pettegolezzi.»

    Diana la guardò con affetto. Più di chiunque altro poteva comprendere i sacrifici cui era costretta una donna sola.

    «Ebbene, ammetto che ti avrei consigliato di declinare una proposta tanto vergognosa. Tuttavia non si può negare che lui sia molto ricco e che, di sicuro, ti avrebbe colmata di regali.»

    «E così mi sarei potuta dedicare ad Anya, invece che a raggranellare abbastanza soldi per poter sopravvivere.»

    «È probabile. Ma forse questo non avrebbe comunque impedito a tua sorella di lasciarsi abbindolare facilmente.»

    «Sarebbe stato però meno semplice.» Emma indicò la stanza con un gesto circolare. «Non solo Anya avrebbe goduto dei piccoli lussi che ha sempre desiderato, ma anche ricevuto più attenzioni da me. Ha trascorso troppo tempo in solitudine.»

    Diana le prese la mano, fissandola negli occhi con apprensione.

    «Ascoltami, Emma. Tu non hai responsabilità in questa faccenda.»

    «Sì che ne ho! Mi sono rifiutata di sacrificare la mia virtù e adesso lei paga per il mio stupido orgoglio.»

    «La colpa è soltanto di quegli orrendi individui, che hanno approfittato di una ragazzina sciocca. Quali gentiluomini si comporterebbero così?»

    Il terrore di Emma si mutò in una fiammata di mera furia.

    Quando i due eleganti viaggiatori si erano presentati alla locanda, ne era stata ben contenta. Non solo avevano pagato subito il conto, ma avevano anche elargito mance generose. Emma aveva già iniziato a immaginare i regali di Natale da comprare con il denaro imprevisto.

    Ormai avrebbe volentieri rinunciato a tutto ciò che possedeva, se avesse potuto impedire ai due loschi figuri di venire a Yabinsk.

    «Non erano veri gentiluomini.»

    «Credi fossero impostori?» le domandò l'amica, sbattendo le palpebre.

    Emma scosse con impazienza il capo. «Non so cosa pensare. L'unica certezza è che devo agire subito.»

    «Cosa pensi di fare?»

    Ottima domanda.

    Appena Emma si era accorta della fuga di Anya, era stata troppo sconvolta per decidere il da farsi. Non riusciva a concepire che la sorella si fosse lasciata raggirare in quel modo.

    Poi, però, la fiera determinazione che le aveva permesso di sopravvivere alle sventure l'aveva indotta a tralasciare i sensi di colpa e riflettere.

    «Nella stalla, Patya ha sentito per caso i due uomini discutere del ritorno a San Pietroburgo. Al momento non gli era sembrato importante, ma quando l'ho interrogato per capire a che ora se la fossero svignata mi ha riferito la conversazione.»

    L'amica la fissò incredula.

    «Hai intenzione di seguirli?»

    «Certo.»

    «Ti prego, Emma, non essere imprudente. Non puoi viaggiare da sola fino a San Pietroburgo.»

    «Porterò con me Yelena» le assicurò la giovane. Si riferiva all'anziana cameriera che l'aiutava nella locanda. «Se prendiamo la diligenza del pomeriggio, dovremmo arrivare entro due giorni.»

    «Ma...»

    «Ormai ho deciso, Diana. E sai bene che tentare di dissuadermi è fatica sprecata.» Emma interruppe la prevedibile predica.

    L'amica serrò le labbra in segno di disapprovazione. «Quand'anche riuscissi ad arrivare illesa a San Pietroburgo, come pensi di rintracciare Anya? Non è un paesino tranquillo, dove tutti si conoscono. La potresti cercare per settimane intere, senza mai incrociarla.»

    Emma sorrise con ironia. Per quanto fosse una zitella di campagna, non era del tutto priva di buonsenso. Sapeva di non potersi aspettare di incontrare Anya per strada.

    «Intendo chiedere aiuto a Herrick Gerhardt.»

    «Gerhardt? Il consigliere dello zar?»

    «Esatto. Corre voce che possieda poteri misteriosi che gli consentono di conoscere tutto ciò che accade nell'impero. Alcuni lo hanno soprannominato il ragno per l'abilità nel tessere tele che catturano anche i traditori più astuti.»

    Diana arretrò di un passo e la scrutò come se avesse smarrito il senno. «Comunque lo definiscano, Herrick Gerhardt è uno degli uomini più potenti di Russia. Non puoi semplicemente bussare alla sua porta.»

    «A dire il vero, sì.»

    «Emma...»

    «Stai tranquilla» la interruppe, alzando una mano sottile. «È parente di mia madre, un lontano cugino, credo. Dopo la morte di mio padre, mi ha spedito una lettera molto cortese per invitarmi a rivolgermi a lui, in caso di necessità.»

    L'amica non parve rassicurata. «Mi sembra comunque un piano pericoloso.»

    Anche a Emma. Purtroppo, però, non aveva altra scelta.

    «Anya è l'unico membro della mia famiglia rimasto al mondo. Non la deluderò di nuovo.»

    Benedicendo la luna piena che inondava di luce argentata il lussuoso studio, Dimitri Tipov si inginocchiò accanto alla scrivania di mogano. Dopo avere finito di frugare tra le carte e i taccuini contenuti nei cassetti, fece scorrere le dita sui pannelli intagliati, nella speranza di trovare uno scomparto segreto.

    Quale aristocratico non aveva niente da nascondere?

    E Pyotr Burdzecki più di tanti altri.

    Concentrato com'era nel compito, Dimitri non si accorse quasi dei passi leggeri fuori della porta. Fu soprattutto l'istinto a indurlo a rialzarsi e ad avvicinarsi con apparente noncuranza alla finestra. Aveva avuto la saggia idea di aprirla prima di iniziare le ricerche; un buon ladro si preparava sempre una via di fuga.

    Mentre sentiva spingere il battente, controllò con una rapida occhiata che la giacca nera e il panciotto argentato fossero abbottonati e non troppo spiegazzati, considerato che, poco prima, erano gettati sul pavimento della camera da letto. Uno scrutinio attento avrebbe notato che la cravatta era stata annodata in fretta e furia e che i capelli neri, raccolti in un codino, erano scompigliati per le carezze femminili. Tuttavia, con un po' di fortuna, la penombra del locale avrebbe nascosto simili imperfezioni.

    In caso contrario... possedeva i mezzi per tenere segreta la sua presenza nella ricca dimora di San Pietroburgo.

    Infilò la destra nella tasca interna della giacca e chiuse le dita sull'impugnatura di madreperla della piccola pistola. Era pronto a uccidere, finché non distinse sulla soglia una snella figura femminile.

    «Pierre?» chiamò a bassa voce la signora.

    Dimitri represse un sospiro d'impazienza. Aveva sperato di allontanarsi dal palazzo prima che Lana, la moglie di Pyotr Burdzecki, si accorgesse della sua assenza.

    La graziosa giovane dai capelli biondo rame e dai grandi occhi azzurri era stata piuttosto facile da sedurre. Era bastato fingersi un diplomatico francese che, per puro caso, la incrociava spesso al teatro dell'opera oppure al Gostiny Dvor, dove lei andava a fare compere con la cameriera. Nel giro di pochi giorni, Lana aveva accettato di accompagnarlo al caffè più vicino, tra risatine e occhiate invitanti.

    Non aveva motivo di sospettare che, in realtà, si trattava del famigerato Zar dei Miserabili, lo spietato capo della malavita cittadina, intento a corteggiarla soltanto per avere accesso al palazzo, sorvegliato da guardie bene addestrate.

    Dimitri allentò la presa sull'arma e le andò incontro con calma.

    «Ma belle, pensavo che dormiste.»

    Lei si guardò attorno perplessa. «Cosa ci fate qui?»

    «Mi preparo ad andarmene, purtroppo.»

    «Vi siete smarrito?»

    Con un gesto affettuoso, lui le infilò dietro un orecchio un ricciolo ribelle. Lana era una donna vanitosa ed egocentrica, ma innocua. Cosa che non si poteva affermare del marito.

    E neppure di Dimitri Tipov.

    «Preferisco svignarmela senza farmi notare dai domestici» mormorò in impeccabile francese, la lingua preferita dall'aristocrazia russa. Dimitri parlava alla perfezione anche l'inglese, oltre al russo, e comprendeva molti dialetti germanici. Era un ladro colto e raffinato, grazie all'insistenza della madre affinché quella canaglia del padre pagasse per la sua istruzione. «Non voglio che una creatura deliziosa come voi diventi oggetto di pettegolezzi.»

    «Oh!» La signora sbatté le lunghe ciglia, lusingata dal complimento. «Ve ne dovete davvero andare così presto?»

    «È già tardi. Rischio di venire castrato dal vostro legittimo consorte, se mi trattengo ancora.»

    Imbronciata, lei gli afferrò i risvolti della giacca, premendosi contro il suo petto in un muto invito.

    «Non rientra mai prima dell'alba, ammesso che venga a casa.» Gli baciò la punta del mento. «Con un po' di fortuna, potremmo goderci l'intera giornata insieme.»

    Dimitri strizzò gli occhi dorati. «Non conto mai sulla buona sorte, ma belle

    «Quando ci rivedremo?»

    «Chissà quando il fato sarà così benevolo da farci incontrare di nuovo?»

    «Stanotte...»

    «Affidiamoci al destino» la interruppe lui, spostandole con decisione le mani dalla giacca stropicciata e portandosele alle labbra. «Tornate a letto, al caldo. Nascosto sotto il guanciale, troverete un piccolo omaggio, in segno di ammirazione.»

    Come previsto, Lana si lasciò distrarre facilmente. «Un regalo?»

    «Oui. Spero che penserete a me, ogni volta che li porterete.»

    «Li porterò?» ripeté lei, con evidente entusiasmo. «Di che si tratta? Guanti, orecchini?»

    «Perché non andate a scoprirlo voi stessa?» la incalzò lui e sorrise con ironia quando la vide allontanarsi di corsa, ridacchiando.

    Benché fosse sposata con un pervertito molto più anziano di lei, per certi aspetti era ancora una jeune fille. Piuttosto diversa dalle donne dell'ambiente di Dimitri, che, per la maggior parte, non si erano potute permettere il lusso di una vera infanzia.

    Mentre ascoltava i passi che si allontanavano, lui scavalcò il davanzale della finestra. Non aveva ancora finito di perlustrare il palazzo, ma era quasi certo che Lana avesse risvegliato l'attenzione delle guardie. Non poteva rischiare di farsi sorprendere.

    Atterrò in giardino con l'agilità di un acrobata e, mentre si raddrizzava, portò la mano alla pistola. Gli istinti, che tante volte gli avevano salvato la vita, erano in allarme.

    «Venite fuori» ringhiò a bassa voce.

    Una forma snella, avvolta in un pastrano con mantellina, spuntò dall'ombra della fontana di marmo.

    «Ammetto di essere curioso» scherzò una voce, purtroppo ben nota. «Cos'avete lasciato sotto il cuscino?»

    Lui serrò le labbra. La finestra aperta aveva permesso all'intruso di seguire la conversazione.

    In realtà, Herrick Gerhardt non aveva bisogno di appostarsi nel buio per ottenere le informazioni che gli servivano: Dimitri ne era consapevole, pur non credendo che il consigliere di Alessandro Pavlovich possedesse i poteri magici che alcuni gli attribuivano. In fondo sapeva per esperienza personale che i suoi metodi erano molto più pratici e terreni.

    «Un paio di orecchini di diamante» confessò a malincuore.

    Herrick inarcò un sopracciglio. Era un ufficiale di origini prussiane, con volto scarno, capelli argentati e penetranti occhi castani che rivelavano un'intelligenza spietata.

    «Un dono piuttosto generoso per una signora sedotta al solo scopo di perlustrare lo studio del marito.»

    Dimitri alzò le spalle. «Anche se Lana è una donna avida e superficiale, meritava qualcosa di meglio che essere venduta a un uomo con il doppio dei suoi anni, dedito a perversioni che fanno rabbrividire persino me.»

    L'altro guardò il sontuoso palazzo neoclassico dietro le sue spalle. «Senza dubbio, molti membri della buona società la considerano ben ricompensata.»

    «Solo perché conducono un'esistenza vuota e fredda come le cripte di marmo che li attendono dopo la morte.»

    «Siete diventato filosofo, Tipov?»

    «Sono un semplice criminale.»

    La risatina di Herrick fluttuò nella gelida brezza di ottobre. «Come se fossi tanto imprudente da sottovalutarvi. Cos'avete trovato?»

    Con espressione guardinga, Dimitri incrociò le braccia sul petto. Da quando, parecchie settimane prima, era entrato in contatto con Herrick Gerhardt e il Duca di Huntley, era diventato a malincuore un'arma segreta dell'imperatore contro i traditori che fomentavano lo scontento del popolino. Non si poteva dire di no allo Zar di tutte le Russie.

    Tuttavia si era infiltrato a casa di Pyotr Burdzecki per motivi personali, che non intendeva rivelare a nessuno.

    «Niente che possa interessare ad Alessandro Pavlovich.»

    «Vi stupireste nello scoprire quanti interessi coltivi» replicò Herrick.

    «Lo zar o il suo consigliere di fiducia?»

    «Non fa differenza.»

    «Per questo siete qui? Per sapere cos'ho scovato tra i documenti di Burdzecki?»

    «A dire il vero, sono venuto a cercare voi» tagliò corto l'ufficiale.

    Dimitri si sentì raggelare, fissandolo con sospetto.

    «E come sapevate che ero qui?»

    «Non siete l'unico in grado di raccogliere informazioni.»

    «Sì, ma...» Dimitri si interruppe. «Prima o poi scoprirò chi ve l'ha spifferato.» Indicò con un gesto vago le aiuole vuote e le fontane coperte, pronte per affrontare il crudele inverno russo. «Se desideravate incontrarmi, bastava inviarmi un messaggio. Non c'era bisogno di aggirarsi furtivi per giardini umidi.»

    Il sorriso svanì dal volto di Herrick e la sua espressione divenne dura.

    «Non rispondete con prontezza alle mie convocazioni.»

    «Non sono un leccapiedi dell'imperatore.»

    «No, però siete un cittadino leale, vero?»

    Dimitri strinse i pugni. Nonostante godesse di un notevole potere, non poteva dimenticare che sarebbe stata sufficiente una parola di Herrick Gerhardt per farlo scomparire nelle segrete più vicine.

    «Mi state minacciando, Gerhardt?»

    La testa argentata si chinò in segno di scusa. «Perdonatemi, Tipov. In più di un'occasione avete dimostrato la vostra fedeltà allo Zar Alessandro.»

    «Come se avessi avuto altra scelta...» borbottò Dimitri. «Cosa volete da me?»

    «In questo caso, ritengo che potremmo renderci utili a vicenda.»

    «Non mi occorrono i fondi dell'impero.»

    «Si tratta di una questione privata. Vi offro qualcosa di più interessante del denaro.» Spostandosi da un lato, Herrick lanciò un'occhiata all'elegante carrozza nera in attesa davanti alle scuderie. «Verreste con me?»

    Per qualche istante, Dimitri studiò il suo volto impassibile. Infine si arrese con un sospiro profondo. Sapeva che il consigliere dello zar lo avrebbe tormentato fino a imporgli la sua volontà.

    «Come mai ho la sensazione che me ne pentirò?» mormorò tra sé e sé.

    2

    Dimitri rimase in silenzio mentre si avvicinava con Herrick alla carrozza e prendeva posto sul sedile di cuoio imbottito. Il veicolo partì con un leggero sobbalzo e percorse le strade di San Pietroburgo ancora affollate, nonostante l'ora tarda.

    «Brandy?» propose Herrick, riempiendo due calici di liquido ambrato e porgendogliene uno.

    Dopo avere bevuto un sorso con una certa circospezione, Dimitri inarcò le sopracciglia per la sorpresa. Il pregiato liquore gli era scivolato in gola con gradevole facilità.

    «Dovete proprio avere bisogno della mia assistenza, se mi offrite il fior fiore della vostra cantina privata» commentò.

    «Come vi ho spiegato, penso che, accordandoci, ci potremmo aiutare a vicenda.»

    Dimitri si incuriosì. Herrick Gerhardt dedicava ad Alessandro Pavlovich la sua vita intera. Che questioni personali poteva avere?

    «Sono ansioso di sapere di che si tratta.»

    «Innanzi tutto, vi tedierò un poco con un rapido accenno alla storia della mia famiglia.» Herrick trangugiò il brandy e si riempì di nuovo il calice. «Come forse sapete, sono nato in Prussia in una famiglia rispettabile, ma povera. Alla giovane età di diciassette anni ebbi la fortuna di venire a San Pietroburgo per completare gli studi e, in seguito, di attrarre l'attenzione dello Zar Alessandro. Un mio cugino più grande, invece, decise di cercare fortuna in Inghilterra, dove si sposò e generò diversi rampolli.»

    «Mmh... davvero appassionante.»

    «Una delle figlie venne in Russia per diventare governante in una famiglia ricca e insegnare l'inglese ai ragazzi. Si unì in matrimonio con un mobiliere locale, ebbe due bambine e poi morì.»

    Dimitri iniziò a tamburellare contro il finestrino, aggrottando le sopracciglia.

    «Immagino che questa noiosa storia abbia un finale.»

    «Le due figlie si chiamano Emma e Anya Linley-Kirova» proseguì imperterrito Herrick, ignorando la sua impazienza. «Dopo la tragica uccisione del padre da parte di un bracconiere, Emma ha trasformato il laboratorio di mobili in una dignitosa locanda per viaggiatori.»

    Dimitri era sempre più perplesso. Adorava le donne, tutte quante. Ed era noto che chiunque si permettesse di maltrattare una sua protetta veniva punito con violenza, se non addirittura ucciso. Tuttavia preferiva evitare le giovani dotate di troppo ardore e poco buonsenso.

    Alla fine, non solo rendevano infelici se stesse, ma danneggiavano anche chi le amava.

    «Una scelta anticonformista.»

    «Ammirevole, direi» lo corresse Herrick, intuendo la sua disapprovazione. «Purtroppo, il notevole coraggio non l'ha protetta da due scellerati signori che si sono trattenuti alla locanda per parecchi giorni.»

    «Scellerati?»

    «Quando sono partiti, hanno portato via Anya.»

    Dimitri si irrigidì. «La sorella?» domandò con interesse.

    «Sì.»

    «Quanti anni ha?»

    «Sedici appena compiuti.»

    Dimitri svuotò il bicchiere e lo ripose con cura, riflettendo sull'inattesa rivelazione. Si rese inoltre conto che le sue indagini personali non erano segrete come immaginava.

    «È sicuro che sia andata via con loro?» si informò.

    «Certo. La piccola Anya ha lasciato un biglietto alla sorella in cui spiegava che sarebbe diventata un'attrice famosa.»

    Dimitri mantenne un'espressione indecifrabile, nonostante il tuffo al cuore provato nel riconoscere il trucco del padre e della sua combriccola per convincere le fanciulle a scappare di casa.

    «Il messaggio accennava anche al viaggio per San Pietroburgo?»

    «Uno stalliere ha udito, non visto, una discussione tra i due uomini riguardo al loro ritorno in città.»

    «Emma Linley-Kirova è convinta di poterli riconoscere, rivedendoli?»

    «Sì.»

    Dimitri spiò fuori dal finestrino e non si stupì nell'accorgersi che avevano percorso la Prospettiva Nevskij e che stavano tornando indietro, verso il palazzo di Pyotr Burdzecki. Non perdeva mai il controllo della situazione.

    «Cosa vi fa pensare che provi interesse per la vostra piccola tragedia familiare? In fondo, non è tanto insolita.»

    «Non mi è sfuggita l'attenzione che dedicate al Conte Nevsky e ai suoi compari.»

    Dimitri lanciò un'occhiata distratta al Palazzo Anichkov, dove un tempo risiedeva il Principe Potëmkin, l'amante preferito di Caterina, ristrutturato di recente da Giacomo Quarenghi per ospitare il Gabinetto Imperiale. A differenza di molti, preferiva il rigoroso colonnato neoclassico allo stile precedente, ricco di decorazioni.

    Non che lo Zar Alessandro avesse richiesto la sua opinione in proposito.

    Infine rispose, seppur malvolentieri: «Come senz'altro avete intuito, il conte è mio padre».

    Con un sorriso, Herrick studiò i suoi lineamenti aristocratici, soffermando lo sguardo sul naso aquilino e sugli zigomi alti, tipicamente slavi.

    «La somiglianza è piuttosto evidente.»

    Dimitri irrigidì la mascella. Spesso la notevole bellezza virile gli tornava utile, tuttavia detestava l'idea di avere qualcosa in comune con l'uomo che aveva stuprato una giovane indifesa.

    «Siamo simili nell'aspetto, ma non vi ingannate: il nostro animo è ben diverso» dichiarò in un tono gelido come l'inverno siberiano.

    Herrick annuì. «Non si può negare. Proprio per questo mi ha incuriosito la costante sorveglianza cui sottoponete il conte, come se cercaste qualche informazione particolare.»

    La cosa non gli fece piacere; era abituato a spiare gli altri, non a farsi sorvegliare.

    «Avete la sgradevole abitudine di immischiarvi nelle mie faccende private.»

    «È mio dovere occuparmi dei fatti altrui.»

    «Il vostro gioco è pericoloso, Gerhardt.»

    L'uomo alzò le spalle, indifferente all'implicita minaccia.

    «E voi siete un esperto di giochi rischiosi. Giusto, Tipov?» notò. «Il conte non sarebbe contento di scoprire che il figlio illegittimo lo ritiene coinvolto in attività illegali.»

    Per qualche istante, Dimitri pregustò la gioia di gettare nel canale Fontanka l'attempato ufficiale, poi però scartò l'idea. Per quanto potesse rivelarsi piacevole scuotere l'imperturbabile calma del prussiano, non valeva il rischio della decapitazione. Inoltre, al momento, c'erano questioni più importanti da prendere in considerazione.

    «Cosa mi chiedete?»

    Herrick si protese verso di lui, gli occhi scuri che scintillavano al bagliore lunare.

    «Che incontriate Emma Linley-Kirova. Sono convinto che stiate cercando le stesse risposte.»

    «Immaginavo che mi sarei pentito di aver parlato con voi.»

    Guardando fuori dal finestrino della carrozza, Emma esaminò il palazzo di pietra chiara, con colonnato al centro e due ali laterali, protese lungo il canale. Sebbene fosse poco esperta della città, immaginò che il lato opposto dell'edificio fosse occupato da alloggi per gentiluomini. Altrimenti perché un gruppetto di signori si sarebbe trattenuto sul marciapiede a scrutare il traffico di passaggio? Più vicino c'era un caffè con parecchi tavolini, dal bancone così carico di dolciumi che faceva venire l'acquolina in bocca anche da lontano.

    «È qui» annunciò alla cameriera, che rispose con un'occhiata contrariata.

    Yelena disapprovava con fermezza la decisione di Emma di incontrarsi con Dimitri Tipov, lo Zar dei Miserabili.

    Com'era ovvio, l'anziana signora dai capelli grigi e dal fisico minuto, avvolto in un manto nero, si era dichiarata contraria al viaggio a San Pietroburgo, non aveva gradito la calorosa accoglienza di Herrick Gerhardt e si era persino opposta all'idea di accettare ospitalità da Vanya Petrova, cara amica di Herrick, nella splendida dimora vicino al canale Fontanka.

    Emma, da parte sua, era molto grata al lontano cugino, che non aveva criticato il suo comportamento informale e le aveva promesso di fare il possibile per rintracciare Anya.

    «Non sembra un covo di delinquenti» concesse infine Yelena. «Siete sicura che l'indirizzo sia giusto?»

    Emma arricciò il naso. «Spesso le apparenze ingannano, come ho scoperto a mie spese. In ogni caso, è un luogo pubblico.»

    «Ci mancherebbe altro.» La cameriera ripiegò in grembo le dita nodose. «Non potreste incontrarvi in privato con un estraneo senza un'opportuna presentazione.»

    Nonostante il nervosismo, Emma si lasciò sfuggire una risatina. «Sto per richiedere aiuto a uno dei più noti criminali di Russia e voi vi inquietate perché non siamo stati presentati?»

    L'altra sbuffò. «Le preoccupazioni non mancano.»

    Pentita, Emma si chinò in avanti sul sedile dell'elegante carrozza, prestatale da Vanya per gli spostamenti in città, e le diede un colpetto affettuoso sulla mano. Yelena era una delle poche persone rimaste al suo fianco nel corso degli anni.

    «Perdonatemi, ho i nervi scossi. Non intendevo offendervi.»

    La cameriera si raddolcì all'istante. «La settimana appena trascorsa avrebbe messo a dura

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