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Fiocco rosa fuori programma (eLit): eLit
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Fiocco rosa fuori programma (eLit): eLit

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About this ebook

Bella, dinamica, determinata, ostinata giornalista... incinta! Jacy James non vuole arrendersi all'evidenza. Il padre? Un affascinante poliziotto di nome Tom che, appresa la notizia, si dimostra disposto a sposarla e pronto a collaborare per il mantenimento del bambino. Jacy rifiuta categoricamente: non vuole costringere alcun uomo a vivere con lei solo perché deve farlo. Ma Tom non sembra così dispiaciuto di dover iniziare una vita a due, o meglio a tre, e decide di dimostrarlo in ogni modo.



Titoli legati

1)Una culla piena di guai - A proposito di Bridget...

2)Fiocco rosa fuori programma - A proposito di Bridget...

3)Autostop per il paradiso - A proposito di Bridget...

4)A proposito di Rita - A proposito di Bridget...

5)Un affare ingombrante - A proposito di Bridget...
LanguageItaliano
Release dateSep 29, 2016
ISBN9788858959060
Fiocco rosa fuori programma (eLit): eLit
Author

Eileen Wilks

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Fiocco rosa fuori programma (eLit) - Eileen Wilks

    successivo.

    1

    La donna seduta di fronte al dottor Nordstrom stonava in quell'ameno studio color pastello.

    Sulla base di ricerche dimostranti che i pazienti trovavano il bianco freddo e asettico, il nuovo ginecologo lo aveva fatto ridipingere, scegliendo un tenue pesca per le pareti, dei discreti toni di blu e verde per la moquette e per i complementi d'arredo, e ottenendo un risultato teso a tranquillizzare le pazienti nervose.

    Il dottor Nordstrom dubitava che la presenza di Jacinta Caitlin James avesse mai tranquillizzato nessuno. In particolare nessuno di sesso maschile.

    Intanto, era troppo appariscente nel suo top scarlatto e nella sua gonnellona spruzzata di fiori tropicali. Era un tipo esotico, con capelli da gitana, occhi a mandorla e seno florido.

    E, d'un tratto, esageratamente pallida.

    «Signorina James?» si allarmò. «Si sente bene?»

    La domanda rimbombò sorda nelle orecchie della donna, come se il dottore la stesse chiamando dall'estremità opposta di un lungo tunnel. «Sì, sì, sto bene» rispose automaticamente e si alzò in piedi, nonostante avesse la vista annebbiata.

    «Resti seduta, la prego, e metta la testa tra...»

    «Sto bene» ripeté lei mentre attendeva che le passasse il capogiro.

    Nel corso degli anni, Jacy aveva ricevuto gli appellativi più diversi, del tipo testa dura e cocciuta. Un consistente numero di poliziotti, di furfanti e di politici si riferivano a lei come a quella dannata giornalista, ma persino i suoi detrattori erano concordi nel riconoscere che era una donna schietta, senza peli sulla lingua, una che si buttava a capofitto nelle cause perse in difesa dei più deboli. Il suo collaboratore allo Houston Sentinel l'aveva soprannominata fuorilegge, per il rapporto disinvolto che lei aveva col caos, e una volta il suo capo, in un attacco di buon umore, era stato sentito definirla come la migliore giornalista di cronaca sulla piazza.

    L'unico nome che Jacy non si sarebbe aspettata mai di sentire riferito a se stessa era quello di mamma.

    Respirò in maniera affrettata. La nebbia davanti ai suoi occhi si diradò, e lei si ritrovò in piedi in mezzo allo studio. Il dottor Nordstrom, seduto dietro la sua enorme scrivania, la osservava con espressione di preoccupazione professionale. A causa del riflesso della luce artificiale sulle lenti ovali dei suoi occhiali sembrava quasi che le stesse strizzando l'occhio.

    Come era giovane! Neppure una ruga. Jacy si chiese come quell'uomo dalla faccia levigata come quella di un bambino potesse possedere l'esperienza necessaria per consigliarla in quella delicata circostanza. Non voleva guardare quella faccetta pulita, né essere guardata. Rapidamente, distolse lo sguardo e perlustrò la stanza, come se volesse cercare una via di fuga.

    Un'immagine su una parete catturò la sua attenzione. Si avvicinò. La gonna le svolazzò attorno alle gambe, e se pure il resto del mondo parve girare un po' insieme a lei, Jacy era convinta di poter dominare la vertigine.

    L'immagine rappresentava una donna a mezzo busto, il cui ventre racchiudeva un bimbo raggomitolato, a testa in giù. Sia la pelle del bambino che quella della donna erano di un colorito ambrato.

    Diverso da quello di Jacy. Molti pensavano che fosse mezzo messicana, e probabilmente era così. Lei non lo sapeva. La sua carnagione olivastra poteva essere dovuta a diverse possibili eredità, da quella mediterranea a quella beduina, ma i suoi occhi, quegli occhi verdi irlandesi, dimostravano che vi era una commistione internazionale nel suo passato genetico.

    «A quando, allora?» La sua voce era ferma, la domanda era sensata. Forse il suo cervello stava lavorando, pensò Jacy, nonostante si sentisse la testa invasa da pensieri ossessivi, irrazionali, sfuggenti.

    «Marzo.»

    «Naturalmente.» A quanto pareva, invece, il suo cervello non stava funzionando granché bene. Non aveva pensato che bastava aggiungere nove mesi alla presunta data del concepimento.

    Concepimento? Un fuggevole interrogativo superò ogni altra emozione. Si portò una mano sul ventre. La sentì calda attraverso il tessuto stretch del top che aveva scelto quella mattina perché il rosso la faceva pensare al coraggio e a Suor Mary Elizabeth.

    «Signorina James, è chiaramente sconvolta. La prego, si sieda.»

    «Sto bene» ribadì. «È solo... solo che non so come fare...» Mai frase fu più inadeguata. Ma come poteva fare da mamma una che non aveva avuto genitori? Scosse la testa.

    Il ginecologo, con molta calma, disse: «Doveva sospettare quale fosse la sua condizione quando ha preso l'appuntamento».

    Sì, ma lei non ci aveva voluto credere. Per questo non lo aveva detto neppure a Suor Mary Elizabeth quando era andata a trovarla il sabato precedente. «Non vorrei sembrarle una stupida... ma il fatto è che non mi era sembrato possibile. Niente nausea la mattina, sa, né altri disturbi. E poi...»

    E poi era accaduto una volta sola, e lei voleva piangere. Non era giusto, non era per niente giusto, e se quel pensiero piagnucoloso la faceva sentire più vicina a una sedicenne che a una trentunenne, be', una gravidanza imprevista non era forse qualcosa che succede alle ragazzine sprovvedute? E non a un'assennata donna in carriera, con troppo rispetto per se stessa per lasciarsi andare al sesso facile, a una che non si era mai sentita attratta dalle avventure di una sola notte. Mai, fino a quella notte di due mesi prima.

    Ma lei non immaginava che fosse una storia che si sarebbe esaurita in quell'unica notte. Neppure quando Tom si era alzato da quel letto, si era rivestito, e sulla porta le aveva detto: «È stato tutto uno sbaglio». Ed era sparito.

    Jacy scosse il capo, per scacciare quei fantasmi, quando si accorse che il medico le stava parlando.

    «... bisognerà sapere, innanzitutto, se lei ha intenzione di portare avanti la gravidanza.»

    «Portare avanti... oh, mio Dio.» D'improvviso, sentì l'esigenza di mettersi seduta. Indietreggiò verso la sedia verde chiaro di fronte al dottore, e si sedette. Non aveva pensato... non aveva neppure preso in considerazione l'ipotesi di...

    Le bastò un istante, e le parole del ginecologo divennero vere e reali. «Sì» disse, portandosi di nuovo la mano sul grembo. «Io voglio il mio bambino.» Un bambino. Il suo bambino. Nonostante i dubbi e le paure, lei era certa di volere quel figlio. E quella certezza le dava forza.

    «Molto bene. Temo che i dati del mio predecessore non siano completi, per cui devo rivolgerle qualche domanda. La sua storia medica non identifica le sue origine etniche.»

    «Ne scelga una a caso.» Jacy gesticolò teatralmente. Il suo vecchio dottore la conosceva bene e d'un tratto si irritò per quell'estraneo che aveva preso il suo posto quando se n'era andato in pensione l'anno prima. «Sono cresciuta in un orfanotrofio. Non ho idea di chi siano i miei genitori.»

    «Capisco.» Il giovane medico aggrottò la fronte, appoggiando la cartella sulla scrivania. «Inoltre, l'infermiera mi ha riferito che lei si è rifiutata di discutere dell'identità del padre. Non siamo dei ficcanaso, signorina James. Per il bene del bambino come per il suo, ho bisogno di informazioni mediche sul padre, soprattutto perché il suo gruppo sanguigno è Rh negativo.»

    Doveva dirlo a Tom.

    In un istante di codardia, Jacy pensò a una scappatoia, a un modo per tenerglielo nascosto, non fosse altro perché l'idea di rivederlo la faceva stare male. Per una che aveva trascorso gli ultimi anni della sua vita a lottare per scoprire la verità, era strano che, proprio in quel frangente, pensasse di evitarla o di nasconderla.

    «Signorina James?»

    «Mi conceda qualche giorno» propose alla fine, ritrovando il coraggio. «Le porterò i dati medici del padre, o farò venire lui stesso a compilare uno dei suoi moduli.»

    Quando lasciò lo studio medico del dottor Nordstrom, un quarto d'ora dopo, aveva con sé una prescrizione di vitamine, un appuntamento fissato per il mese seguente e un paio di dépliant variopinti.

    Era agosto, era a Houston, e faceva caldo. Mentre raggiungeva l'area parcheggio, goccioline di sudore le inumidivano la nuca sotto la massa pesante di capelli. Si infilò dentro la Mustang 65 rosso ciliegia che aveva fatto rimettere a posto l'anno prima, lasciando la portiera aperta per far entrare un po' d'aria dentro il torrido abitacolo. La pelle bianca del sedile bruciava sotto le sue gambe attraverso la stoffa leggera della gonna. Jacy salutò con gioia quella sensazione di forte calore. La faceva sentire più viva.

    Avviò il motore e azionò il condizionatore, e rimase qualche istante ferma, ad ascoltare la radio. La musica dei Beach Boys che lodavano le ragazze californiane inondò le sue orecchie con le sue piacevoli note.

    Jacy adorava la vecchia musica rock, soprattutto le canzoni melodiche degli anni Cinquanta. E aveva anche un debole per i vecchi telefilm di quegli anni, con quelle belle famiglie numerose che abitavano in confortevoli case a due piani...

    Era cresciuta con quelle fantasie. Ma, appunto, erano solo fantasie.

    Seduta dentro la sua auto la cui temperatura interna si era ormai abbassata, Jacy si chiese se tra quelle fantasie vi fosse mai stata anche quella di avere un figlio. Un piccolo marmocchio, sì. Tante volte aveva desiderato avere un bimbo di cui prendersi cura, e le era sembrato un sogno irrealizzabile. E ora che il sogno era diventato realtà, si chiedeva se sarebbe mai stata capace di occuparsi con responsabilità di un esserino così minuscolo e indifeso.

    Si sentì scuotere da un brivido, non certo di freddo.

    Jacy chiuse la portiera e agganciò la cintura. Prese il cellulare e compose il numero che conosceva a memoria.

    Tabor rispose dopo un paio di squilli. Gli disse che sarebbe rimasta fuori tutto il giorno, per delle indagini.

    Si pentì subito di quella mezza verità che aveva raccontato al suo capo. Avrebbe dovuto informare Tabor della sua gravidanza. Lui non era solo il suo capo, era anche suo amico.

    Ma glielo avrebbe detto in seguito, pensò. Prima di lui, un altro uomo doveva essere informato. Per quanto l'idea le procurasse uno spasmo allo stomaco, per quanto poco gli potesse importare, Tom doveva sapere che sarebbe diventato presto padre.

    Il suo bambino si meritava un padre.

    Jacy si sentiva sperduta in quel quadro della sua vita così improvvisamente mutato. Era ancora troppo instabile per affrontare l'uomo che l'aveva mollata. Venerdì, si disse, mentre scalava di marcia e frenava in mezzo al traffico. Glielo avrebbe detto venerdì, di lì a quattro giorni.

    Nel frattempo, doveva compiere delle ricerche.

    Quattro giorni dopo...

    La moquette dell'ufficio al quarto piano del dipartimento di polizia di Houston era grigia,

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