Passione argentina: Harmony Destiny
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About this ebook
Legati da vincoli che non si possono spezzare, travolti da passioni che non si possono controllare.
Susannah Clarke è stata incaricata di una delicata missione: scoprire se il produttore di vini argentino Amado Alvarez è uno degli eredi dispersi della potente famiglia Hardcastle per cui lei lavora. Ma il compito si rivela quasi impossibile non appena incontra il suo obiettivo. Amado, infatti, è tanto arrogante quanto attraente ed è abituato a giocare secondo le proprie regole.
Una notte di passione. È questo il prezzo che Susannah dovrà pagare per ottenere la sua collaborazione. Lui non sa che farsene del nome degli Hardcastle, ma brucia dal desiderio di avere quella donna volitiva nel letto. E sa già che una sola volta non sarà sufficiente.
Jennifer Lewis
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Book preview
Passione argentina - Jennifer Lewis
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
In the Argentine’s Bed
Silhouette Desire
© 2009 Jennifer Lewis
Traduzione di Lucilla Negro
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2010 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5898-569-4
1
Come faccio a chiedere a un perfetto sconosciuto un campione del suo DNA?
Susannah Clarke era rimasta quasi a secco di benzina. Sapeva che la tenuta Tierra de Oro era svariati chilometri fuori Mendoza e si era regolata di conseguenza. Aveva fatto il pieno prima di partire, ma il serbatoio dell’utilitaria presa a noleggio era piccolo... mentre tutto il resto, da quelle parti, pareva smisurato.
Inclusa la sua trepidazione.
A destra, il sole scintillava sopra le alte vette innevate delle Ande. Tutt’intorno si estendeva l’enorme pianura che accoglieva uno dei vigneti più pregiati del mondo.
Non appena aveva lasciato l’autostrada, si era accorta che l’indicatore del livello di carburante era sotto lo zero.
Su, un ultimo sforzo. Non voleva restare senza benzina e farsela a piedi fino alla casa dove avrebbe dovuto consegnare la notizia. Ehi, credo che lei sia il figlio illegittimo del mio capo... non è che per caso avrebbe una tanica di benzina da prestarmi?
Ingoiò un groppo d’ansia allorché le comparve davanti un edificio.
Fece un bel respiro e sollevò il piede dall’acceleratore, per centellinare le ultime, poche gocce di benzina e sperare che la portassero a destinazione.
Filari di cipressi bordeggiavano il viale, offrendo la loro gradita ombra.
Un elegante cartello indicava di procedere verso destra. Susannah seguì la freccia e vide una grossa costruzione in pietra con la montagna sullo sfondo. La Tierra de Oro. L’azienda vinicola.
Proseguì dritta verso l’abitazione. Per una volta tanto, non era lì per parlare con il viticoltore del tipo di vitigno coltivato o di quante bottiglie di vino Tarrant Hardcastle avesse bisogno per il suo raffinato ristorante, il The Moon, il suo fiore all’occhiello.
Il viale alberato si allargava in un giardino lussureggiante, che circondava una graziosa casa antica con il tetto di tegole rosse e ampie finestre ad arco.
Era arrivata.
Frenò piuttosto bruscamente davanti all’ingresso, aprì la portiera ed esitò prima di uscire dall’auto, il cuore in gola.
Poi udì abbaiare. Un latrato forte, gutturale, che si faceva sempre più vicino. Due grossi cani bianchi, comparsi ai lati della casa, puntavano dritti verso di lei.
Misericordia...
Susannah barcollò all’indietro, armeggiando con la maniglia dell’auto. Già si immaginava sbranata viva sulla soglia di casa di Amado Alvarez.
Quella vecchia maniglia mezza arrugginita non si voleva aprire, maledizione. Era alla frutta anche lei, evidentemente.
«Aiuto!» gridò alla fine, in spagnolo, mentre uno di quei bestioni le correva incontro, le fauci spalancate.
Le saltò addosso, bloccandola contro l’auto, mentre l’altro cane abbaiava e ringhiava a mezzo metro di distanza. Un dolore acuto le si diramò nel gomito quando urtò contro il finestrino semi aperto. «Aiuto!»
Il portoncino d’ingresso si spalancò e un’imperiosa voce maschile le rimbombò nelle orecchie con tono di comando. I cani, immediatamente, arretrarono e si accucciarono, ansimando come due innocenti creature.
Con fatica, Susannah riprese fiato, restando appiattita contro la fiancata dell’automobile.
Un uomo alto le andò incontro a passo spedito. «Mi scuso per l’accoglienza un po’ troppo esuberante dei miei cani.»
Le si era rivolto in spagnolo, naturalmente. Del resto, erano in Argentina, in che altra lingua avrebbe dovuto parlarle? E, poi, non aveva idea di chi lei fosse.
I capelli castano scuro gli scendevano in un folto ciuffo su occhi anch’essi scuri dal taglio a mandorla. Il tessuto leggero dei pantaloni kaki e della camicia color crema rivelava spalle larghe, fianchi stretti e gambe lunghe e possenti.
Decisamente un bell’uomo.
E non dimostrava più di trent’anni. L’età del presunto figlio di Tarrant Hardcastle, che il vecchio uomo d’affari, ormai morente, aveva deciso di far cercare.
Il cuore, già palpitante per l’agghiacciante incontro con i cani, prese a batterle ancora più forte.
Allungò la mano verso di lui. «Per lo meno, non deve preoccuparsi dei ladri.»
Un sorrisetto sghembo si affacciò sul suo viso. Denti bianchi spiccavano contro la pelle abbronzata. Susannah aveva il batticuore mentre lui le stringeva la mano.
Ma la paura non c’entrava, stavolta.
Forse fu solo un’impressione, ma le parve di scorgere una luce ammiccante negli occhi di quell’uomo mentre infondeva alla stretta una languida pressione.
Susannah era sempre stata brava a intuire il carattere di una persona dai suoi gesti, dal suo modo di porsi, e quel bel moro dai lineamenti aristocratici le sembrò subito un tipo sicuro di sé, disinvolto, che sapeva il fatto suo.
Schioccò le dita e i due enormi cani accorsero, accucciandosi ai suoi piedi e contemplandolo in adorazione. «Chiedete scusa alla signora.» Eseguì un gesto con la mano e i cani immediatamente si voltarono. Poi, a un altro schiocco di dita, si appiattirono ai piedi di Susannah.
«Incredibile.»
«Castore e Polluce sono di solito cani educati. Non capisco che cosa gli sia preso.» Il suo sguardo sfrontato si posò sul davanti della camicetta blu, scivolando poi verso la gonna a fiori di cotone leggero. «O forse sì.» C’era un velo di malizia nei suoi occhi. «In che cosa posso esserle utile?»
«È lei Amado Alvarez?»
«In persona.» L’uomo piegò il capo nell’imitazione di un inchino. «E lei, scusi, chi è?»
«Mi chiamo Susannah Clarke.» Trasse un respiro profondo. Non era per nulla facile. «Do... dovrei parlarle di una questione piuttosto... privata.»
La fronte elegante del suo interlocutore si increspò leggermente. «Uh... interessante.» Alvarez le indicò l’ampia scalinata in pietra di fronte alla porta aperta.
Poi si scostò da una parte mentre lei saliva i gradini davanti a lui, il gomito ancora dolorante per l’urto contro il finestrino.
Vero era che la notizia che stava per comunicargli avrebbe lasciato Amado Alvarez con ben più di un’ammaccatura a un gomito.
La invitò ad accomodarsi in un ampio soggiorno con dei comodi divani raccolti attorno a un caminetto. I cani li seguirono.
«Una questione privata, ha detto?» Le indicò uno dei sofà in pelle, poi si sedette accanto a lei, mantenendo una distanza consona alle buone maniere. I cani si accucciarono su un tappeto variopinto di fronte al camino spento.
«Sì.» Susannah si torceva nervosamente le dita. «Ha mai sentito parlare di Tarrant Hardcastle?»
Lo osservò stringersi nelle spalle e corrugare le labbra con espressione interrogativa. «No, perché, avrei dovuto?»
«Be’...» Continuava a torcersi le dita. Era in gioco il suo posto di lavoro, accidenti. «Non so come dirglielo ma... questa persona crede di essere suo padre e vorrebbe conoscerla.»
Gli occhi di Amado si restrinsero e la bocca si curvò in un sorriso a metà. «È uno scherzo?»
Susannah sospirò. «Temo proprio di no. Tarrant sostiene di aver avuto una storia con sua madre a Manhattan, verso la fine degli anni Settanta, e che lei è il frutto di quell’unione.»
Il viso di Alvarez si corrugò in un’espressione tra l’incredulo e il divertito. «Manhattan? New York?»
«Sì. Sua madre era lì a studiare arte. Almeno, così Tarrant ricorda.»
Amado la guardava come se le fosse spuntato un terzo occhio. «Mia madre... che studiava arte a New York?» Emise una fragorosa risata. Poi ruotò il capo. «Mamá!» La sua voce rimbombò nella stanza.
Susannah si raggelò. Una donna probabilmente sulla cinquantina, con una vita rispettabile, stava per confrontarsi con l’unico neo nel suo passato che avrebbe potuto sconvolgere le loro vite. Si contrasse tutta, facendosi piccola sul divano.
«Che c’è, tesoro?» echeggiò una voce dolce.
Susannah scattò in piedi quando la madre di Amado entrò nella stanza. Una donna bassina, grassottella, con dei vaporosi capelli grigi, occhiali dalle lenti spesse e scarpe ortopediche azzurre.
Non credeva ai suoi occhi. La signora Alvarez era totalmente diversa dall’ex reginetta di bellezza e attuale terza moglie di Tarrant.
Amado si alzò e le diede un bacio. «Mamá, fatti due risate. Prima, però, voglio presentarti la signorina Clarke. Signorina Clarke, questa è mia madre, Clara Alvarez.»
«Piacere di conoscerla.» Clara serrò la mano di Susannah in una delicata stretta. Aveva la pelle vellutata, come la voce. Gli occhi celesti brillavano di una calda luce. «Ha fatto buon viaggio? Viene da lontano?»
Susannah deglutì forte. «New York.»
«Mamma, sei mai stata a New York?»
Susannah era pronta a giurare di aver scorto un improvviso turbamento nel volto della donna, che sembrava più una settantenne, per la verità, che una cinquantenne. Il corpo si irrigidì e i lineamenti si contrassero. «Mai.»
«La signorina Clarke è convinta che tu abbia studiato arte a New York negli anni Settanta.»
Clara Alvarez rise. Una risata forzata, però. «Che sciocchezze. Non sono mai andata più lontano di Buenos Aires. Come le è venuta in mente una tale assurdità?»
Il suo sguardo era sospettoso, quasi di rimprovero.
Susannah esitò. Era impossibile immaginare Tarrant insieme a una donna come Clara. Non aveva un fisico da top model e non era più giovanissima neppure trent’anni prima. Considerando, poi, la passione di Tarrant per le donne giovani e belle... L’attuale moglie aveva addirittura la metà dei suoi anni.
«Chiedo scusa, ma ho la pentola sul fuoco.» Clara si allontanò.
«Ha capito cosa intendevo?» Amado inarcò un sopracciglio. «Mi sa che ha trovato l’Amado Alvarez sbagliato.»
Per un attimo, Susannah valutò quell’eventualità. Alvarez era un cognome comune. E se davvero si fosse sbagliata?
La Tierra de Oro era il posto giusto, però. E le era stato ordinato di non tornare senza un campione del DNA di Amado Alvarez.
Inoltre, doveva fare in fretta. A detta dei medici, a Tarrant non restava ancora molto da vivere e lui voleva conoscere suo figlio prima che fosse troppo tardi.
«La faccenda potrebbe essere chiarita con un semplice test. Se vuole essere così gentile da fornirmi un campione del suo DNA, così che possa farlo al più presto analizzare...»
Amado sgranò gli occhi. «Vuole il mio sangue?»
«Non necessariamente. Un tampone di saliva sarebbe più che sufficiente.»
Lui si premette una palma contro il viso. «No.»
Clara ricomparve, portando con sé un uomo dai capelli grigi che fissava Susannah con aria ostile. Clara gli sussurrò qualcosa che lei non riuscì a decifrare.
I cani si rizzarono sulle zampe, come percependo la tensione nell’aria.
L’uomo si avvicinò a Susannah e la salutò con un brusco cenno del capo. «Signorina, sono Ignacio Alvarez e Amado è mio figlio. Credo che lei, qui, abbia finito. L’accompagno alla porta.»
Aveva