Passione illegittima: Harmony Destiny
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Maureen Child
Maureen Child ha al suo attivo più di novanta tra romanzi e racconti d'amore. È un'autrice molto amata non solo dal pubblico ma anche dalla critica, infatti è stata nominata per ben cinque volte come migliore autrice per il prestigioso premio Rita.
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Passione illegittima - Maureen Child
Dalle ultime volontà testamentarie di Donald Jarrod
... e alla mia figlia più giovane, Erica Prentice, io lascio in eredità un sesto della mia proprietà. Erica, capisco che la tua menzione in questo documento sarà una sorpresa non solo per te, ma anche per i tuoi fratelli e tua sorella. Il mio più profondo desiderio è che tu possa trovare il modo di divenire parte della famiglia Jarrod, sebbene in questo momento non sia unita come vorrei. Ti lascio inoltre il programma teatrale della commedia durante la quale ebbi la fortuna di incontrare per la prima volta tua madre. Ho conservato questo dépliant sgualcito come un prezioso ricordo della tua incantevole mamma... un ricordo di te. Spero che, dandoti un posto al Jarrod Ridge, possa anche concederti la possibilità di conoscere una parte di me, tuo padre.
Prologo
Christian Hanford si rifiutò di sedersi sulla poltrona di un morto.
Perciò andò a mettersi davanti alla scrivania di Don Jarrod e si appollaiò in modo precario sul bordo. Lo studio del vecchio si trovava negli alloggi riservati alla famiglia all’ultimo piano di Villa Jarrod. Lì, al Jarrod Ridge, era tutto lussuoso. Lo era anche uno studio, al quale il pubblico non aveva accesso. Pareti ricoperte di pannelli di legno, spessi tappeti, dipinti a olio originali e un imponente camino costruito con pietre di fiume. Naturalmente, nessun fuoco vi ardeva allegro perché in Colorado si era in estate.
Comunque, lui sospettava che nessuna delle persone presenti nella stanza si sentisse allegra. Come si poteva biasimarli? Avevano perso il padre soltanto una settimana prima e ora qualcuno aveva giocato loro un pessimo tiro.
Anni prima, ognuno dei rampolli Jarrod aveva lasciato il Jarrod Ridge, il lussuoso resort che apparteneva alla famiglia da generazioni, per farsi strada con le proprie forze, ribellandosi a un padre che aveva preteso talmente tanto da loro da riuscire ad allontanarli. Tornare adesso, quando era ormai troppo tardi per ricucire lo strappo, era una cosa difficile da accettare.
Per non parlare del fatto che, da morto, Don aveva escogitato il modo non solo di riportarli a casa... ma anche di obbligarli a restarci. Qualcosa che non era riuscito a fare da vivo.
La vasta proprietà dei Jarrod doveva essere divisa in parti uguali tra i suoi figli... a condizione che loro tutti tornassero a casa e si assumessero la gestione dell’eredità. Ognuno dei rampolli Jarrod era stato trattato senza troppi riguardi, e nessuno ne era felice. Il vecchio aveva trovato il modo di controllarli dalla tomba.
La situazione non garbava a nessuno.
Christian li osservò a uno a uno, comprendendo come dovevano sentirsi, ma vincolato da giuramento a esaudire i desideri del suo defunto cliente. Il cielo sapeva se aveva tentato di dissuadere Don, ma il vecchio si era dimostrato irremovibile.
Blake Jarrod e suo fratello Guy erano i più anziani. Benché non identici, i gemelli recavano lo stampo del padre. Blake era il più rigoroso dei due, mentre Guy era un po’ più bonario. Gavin era di due anni più giovane dei gemelli, ma per un certo periodo lui e Blake avevano lavorato insieme a Las Vegas.
Trevor Jarrod era il più rilassato del gruppo o, quanto meno, quello era l’atteggiamento che assumeva agli occhi del mondo. Per ultima c’era Melissa; la più giovane e l’unica femmina.
O così lei pensava.
Christian spedì un calcio mentale al suo ora defunto mentore per averlo lasciato in quella situazione. Ma perfino da morto, Don aveva voluto comandare il clan dei Jarrod, e non c’erano dubbi che, dovunque si trovasse adesso, se ne infischiasse se toccava a Christian fare il lavoro sporco.
Blake si alzò in piedi, come se non sopportasse di starsene seduto un minuto di più. A distanza di una settimana dalla morte di Don Jarrod, nessuno dei suoi figli aveva avuto il tempo di venire a patti con il suo decesso. E adesso erano stati tutti colti di sorpresa.
Avevano lasciato il cimitero appena da un’ora e dopo aver letto la maggior parte dei lasciti del testamento, il livello emotivo era al culmine. Be’, pensò Christian, un culmine che stava per essere superato.
«Perché siamo ancora qui, Christian?» chiese Guy, puntando i gomiti sulle ginocchia. «Hai letto il testamento, che cosa resta da dire?»
«C’è ancora una questione da esaminare.»
«Cosa hai tralasciato?» chiese Trevor, facendo girare lo sguardo sui fratelli e sulla sorella. «A me sembra molto chiaro. Papà ha sistemato le cose in modo da riportarci al Jarrod Ridge. Proprio come ha sempre voluto.»
«Non riesco ancora a credere che se ne sia andato» bisbigliò Melissa.
Gavin le mise un braccio sulle spalle e l’abbracciò per farle coraggio. «Andrà tutto bene, Mel.»
«Davvero?» chiese Blake. «Ci siamo fatti tutti una vita lontano dal Ridge. Adesso ci si aspetta che abbandoniamo quello che abbiamo costruito per tornare a casa e assumerne la gestione?»
«Capisco come vi sentite» mormorò Christian, e aspettò che tutti gli occhi fossero puntati su di lui. «Lo capisco, davvero. Ho detto a Don che non era questo il modo di sistemare le cose.»
«Lasciami indovinare» intervenne Guy. «Si è rifiutato di ascoltarti.»
«Aveva le sue idee.»
«Le ha sempre avute» borbottò Trevor.
«Il punto è» disse Blake, a voce abbastanza alta da ottenere l’attenzione di tutti, «che papà ha diviso la proprietà in parti uguali tra noi cinque. Di che cos’altro dobbiamo ancora parlare?»
Era il momento giusto, pensò Christian, armandosi di coraggio per affrontare la reazione alle sue prossime parole. «Il fatto è che la proprietà non è stata divisa in cinque parti uguali, bensì in sei.»
«In sei?» ripeté Guy, guardando i suoi fratelli, come per contarli. «Ma noi siamo soltanto cinque.»
«L’ultima sorpresa di Don» annunciò Christian con quanta più calma poté. «Esiste una sorella che non avete mai conosciuto.»
1
«Per favore, fallo entrare, Monica.» Erica Prentice controllò i capelli e si lisciò il davanti dell’abito nero senza maniche. Si voltò a dare un’occhiata fuori dalla stretta finestra alle spalle della sua scrivania e, per un attimo, gustò il misero spicchio di oceano che le offriva.
Relegata alla base dell’edificio della Brighton and Bailey, una società di pubbliche relazioni di San Francisco, Erica non aveva diritto a un panorama migliore. Ma le andava bene così. Avrebbe dimostrato quanto valeva... sia ai suoi datori di lavoro sia a suo padre.
In quel momento, tuttavia, doveva incontrarsi con un avvocato che si era rifiutato di dirle per quale motivo voleva vederla. Evento che era la causa del groviglio di nervi nel suo stomaco. Era abbastanza figlia di suo padre per rendersi conto che l’improvvisa apparizione di un legale era raramente foriera di buone notizie. Il Prentice Group, uno dei più importanti produttori di capi di abbigliamento, era costantemente alle prese con problemi di natura legale. Per un attimo, Erica fu tentata di chiamare il padre e di chiedergli se sapeva qualcosa sul conto di un avvocato del Colorado, ma poi si accorse di non averne il tempo.
Alle sue spalle, la porta dell’ufficio si aprì e lei si voltò per salutare il suo visitatore. Ma le parole che stava per pronunciare le rimasero in gola quando vide l’uomo in piedi sulla soglia.
Il completo blu dal taglio elegante non faceva altro che porre in risalto un corpo muscoloso dalle spalle larghe e dalle lunghe gambe. Gli occhi, di un castano scuro, erano socchiusi e la stavano osservando. Aveva una mascella quadrata, capelli castani tagliati corti e una bocca che non aveva l’aria di sorridere spesso.
Erica impiegò pochi secondi per ricavarne l’impressione di una fredda sicurezza di sé. Ci volle ancor meno per provare un’attrazione istantanea, che le procurò la sensazione di avere le vene percorse da bollicine di champagne.
Quando fu sicura di poter parlare senza balbettare, tese la mano e disse: «Signor Hanford, sono Erica Prentice».
Lui attraversò la stanza e le strinse la mano, trattenendola appena un po’ troppo a lungo prima di lasciargliela andare. «Grazie per avermi ricevuto.»
Come se avesse potuto scegliere, si disse lei. Quell’uomo si era presentato al suo ufficio dieci minuti prima, dichiarando di avere un’importante questione da discutere con lei. Il fatto che si fosse rifiutato di accennare di che cosa si trattava, accresceva la sua diffidenza, anche se i suoi ormoni continuavano a eseguire la loro danza di apprezzamento.
Erica gli indicò una delle due sedie di fronte alla scrivania. «Devo ammettere di essere curiosa. Perché un avvocato del Colorado farebbe tutta questa strada per vedermi?»
«È una lunga storia» rispose lui, girando lo sguardo sull’ufficio.
Erica sapeva che quello che stava vedendo non lo colpiva in modo particolare. Le pareti beige del minuscolo locale erano per lo più nude, tranne per due quadri che lei aveva portato da casa per rallegrare l’atmosfera. Il suo ufficio era quasi claustrofobico, come si confaceva a una che era agli inizi della carriera. Naturalmente, pensò, e non per la prima volta, se le avessero offerto un posto nell’azienda di famiglia, le cose sarebbero andate diversamente.
Sebbene i suoi fratelli maggiori dirigessero tutti diverse branche del Prentice Group, suo padre aveva sempre detto chiaro e tondo che lei non ne avrebbe mai fatto parte. Anche se non c’era mai stato un legame stretto tra loro due, aveva sperato che le avrebbe quanto meno concesso l’opportunità di dimostrare quanto valeva, così come era stato per i suoi fratelli. Ma suo padre non era un tipo con cui si potesse discutere e, una volta presa una decisione, non tornava mai sui propri passi.
Tuttavia, non era quello il momento di pensare ai problemi familiari. Per quanto la tentasse prolungare l’incontro con un aitante avvocato, che la osservava con sbalorditivi occhi color cioccolato fondente, quel giorno non aveva tempo da dedicargli. In realtà, era riuscita a spremere pochi minuti dalla sua già sovraffollata agenda per accontentare Christian Hanford. Non poteva concedergliene di più.
Protendendosi in avanti, intrecciò le mani e sorrise. «Spiacente, ma dovremo rimandare la sua lunga storia a un altro momento. Ho un appuntamento fra un quarto d’ora, signor Hanford, perciò, se non le dispiace, può dirmi a che cosa devo la sua presenza qui?»
Quando lui la fissò negli occhi, Erica non avrebbe potuto distogliere lo sguardo neanche se l’avesse voluto.
«Io rappresento gli interessi patrimoniali di Donald Jarrod» disse in tono pacato.
«Jarrod.» Erica si stava sforzando di collocare quel nome quando ebbe un lampo improvviso. «Colorado. Jarrod. Allude al resort dei Jarrod ad Aspen?»
Lui le rivolse un breve sorriso e inclinò la testa. Prese la cartella che aveva posato accanto alla sedia, se la mise sulle ginocchia, l’aprì e ne tolse una busta. Facendola scivolare sulla scrivania, disse: «Sì, quel Donald Jarrod».
Perplessa ma curiosa, Erica prese la busta e l’aprì. Ne estrasse un documento e sbirciò il titolo. «Il suo testamento? Perché darmi una copia del testamento di quell’uomo?»
«Perché, signorina Prentice, lei è una dei beneficiari.»
Erica guardò dal documento a lui e viceversa. Il suo stomaco si esibì in una piroetta spericolata che la lasciò sbilanciata.
«È un’assurdità» mormorò, rimettendo il documento nella busta e richiudendola. «Non ho mai incontrato quell’uomo. Perché dovrebbe lasciarmi qualcosa nel suo testamento?»
I lineamenti dell’avvocato subirono una lieve contrazione e a Erica parve di scorgere un lampo di compassione nei suoi occhi prima che lui prendesse la busta e la rimettesse nella cartella. «Le avevo detto che si trattava di una lunga storia.»
«Giusto.» Lei lo osservò mentre chiudeva la cartella e si rammaricò di non avere quel documento tra le mani. Le sarebbe piaciuto leggerlo