Il prezzo della verità: Harmony Destiny
By Sandra Hyatt
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Sandra Hyatt
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Il prezzo della verità - Sandra Hyatt
amore.
1
Quella volta aveva esagerato.
Max Preston alzò gli occhi dal giornale e, guardando il mare che scintillava fuori dalla finestra, prese una decisione. Quella volta non le avrebbe dato l'opportunità di ignorare le sue telefonate.
La sua sedia raschiò sul parquet del ristorante del Beach and Tennis Club quando si alzò dal tavolo. Lasciando una mancia per la cameriera e l'omelette ancora intatta, bevve un ultimo sorso di caffè e uscì.
Niente male per il primo sabato libero che aveva dopo mesi di duro lavoro. Non aveva previsto di avere la mattina impegnata. Invece...
Mentre si dirigeva all'auto, cercò sul cellulare il suo indirizzo. Gettando sul sedile del passeggero l'insulso giornaletto – la proverbiale spina nel fianco – per il quale lei lavorava, si mise al volante della sua Maserati e uscì dal parcheggio del club.
La prima volta che aveva visto la foto e la firma di Gillian Mitchell sulla Seaside Gazette, e si era reso conto che si trovava a Vista del Mar, era stato colto da un imprevisto impeto di piacere e di trionfo, come quando ritrovava un oggetto che non si era accorto di aver perso. Una banconota da cento dollari nella tasca della giacca, per esempio... anzi, perfino meglio.
Erano bastati i pochi secondi necessari per leggere il suo primo, e caustico, paragrafo perché quei sentimenti evaporassero.
Da quel momento, si era sforzato di considerare la sua presenza e i suoi articoli con distacco puramente professionale.
Era evidente che non era così per lei. A un lettore disinformato, le sue critiche alle Cameron Enterprises e, in particolare, al suo capo, Rafe Cameron, potevano sembrare obiettive, invece erano personali e dirette a lui, Max. Ne era sicuro.
Sul sedile accanto, il suo articolo era a faccia in su. Al primo semaforo rosso, voltò il giornale, così da non averlo sotto gli occhi.
Sul suo cellulare arrivò una chiamata. «Max» disse nell'auricolare.
«L'hai visto?» Rafe non sprecava parole.
«Me ne sto occupando.» Come capo delle PR per le Cameron Enterprises, era compito di Max placare le acque e assicurarsi che gli abitanti di Vista del Mar vedessero l'acquisizione delle Worth Industries – produttrici di microchip e principali datori di lavoro della città – nella miglior luce possibile.
Gillian, a quanto pareva, si stava prodigando per ottenere il risultato opposto.
«È diffamazione?» chiese Rafe.
«Ci va molto vicino. Sto andando a parlarle. Le farò sapere che prendiamo la questione molto seriamente. Che i nostri legali esamineranno questo articolo come anche ogni parola da lei scritta fino a oggi, e ogni parola che scriverà in futuro.»
«Bene» approvò Rafe.
Un tempo, Max nutriva soltanto il massimo rispetto per la testardaggine di Gillian. Ma quando aveva scelto il capo di Max come bersaglio della sua campagna, quella testardaggine gli era sembrata molto di più intransigenza e acidi pettegolezzi.
Perché tra loro due c'era una storia.
Da come Max la ricordava, era stata una bella storia. Ed era finita in modo pulito. Avevano una relazione da sei mesi quando lei aveva pronunciato in tono casuale le parole figli e matrimonio, e Max aveva capito di dovervi porre fine. Era la cosa giusta da fare. Il matrimonio e i figli non rientravano nei suoi piani. Né allora né adesso. E fino a quel momento aveva creduto che non rientrassero nemmeno in quelli di Gillian.
Così, aveva rotto con lei. Era l'unica cosa onesta da fare. E gli era sembrato che lei l'avesse presa bene. Non c'erano stati melodrammi. Lei aveva concordato con calma che, evidentemente, pretendevano cose diverse da una relazione, e se n'era andata senza neanche voltarsi indietro.
Nei tre anni e mezzo trascorsi da allora, non aveva mai avuto sue notizie. Fino a quei suoi cosiddetti articoli obiettivi e realistici. Perciò adesso doveva ricredersi e pensare che non l'avesse presa così bene. Forse aveva aspettato il momento opportuno per fargliela pagare.
I dieci minuti che impiegò per percorrere la litoranea gli diedero il tempo di calmarsi, così, quando arrivò al suo indirizzo – una vecchia casa in stile spagnolo posta a diversi isolati dalla spiaggia – Max era seccato piuttosto che furioso.
Lei non rappresentava un problema insolubile.
Inoltre, a essere sincero, era anche un po' curioso. Avevano passato dei bei momenti insieme. Lei era cambiata in quegli anni? I suoi occhi erano verdi come li ricordava?
Percorse il vialetto fino alla porta, bussò con decisione e aspettò, in piedi in un punto dove lei avrebbe potuto vederlo. Riuscì a udire un brano di quella musica rock che lei preferiva e alla memoria gli affiorò un flash di Gillian che ballava e piroettava per il suo appartamento a L.A. La musica s'interruppe.
Dietro una fila di cespugli fioriti, c'era una monovolume cinque porte con i vetri oscurati. Max esitò prima di bussare di nuovo. Un tempo Gillian guidava una spider decapottabile.
Si era sposata, come era stato suo evidente desiderio? Quel pensiero lo fece riflettere. Il fatto che non avesse cambiato cognome non significava che non si fosse sposata. La monovolume aveva tutta l'aria di una vettura per famiglie.
Era irrilevante. L'unica cosa che lo riguardava era il giornale che stringeva in mano e le parole incendiarie che lei vi stava scrivendo. Nel momento in cui sollevava la mano per bussare di nuovo, la porta si aprì a metà.
Per un attimo, mentre si fissavano, il mondo si arrestò. Soltanto per quell'attimo Max dimenticò perché si trovava lì.
Il sole accendeva riflessi nei suoi capelli castano ramati e dava luminescenza alla sua pelle vellutata. C'era in lei un'inquietante aria familiare, ed era al tempo stesso un'estranea.
«Max?» Gillian batté le palpebre, e si riprese subito. «Che cosa ci fai qui?» Le sue parole, lo shock e la riluttanza che tradivano, ristabilirono l'equilibrio. Max non si era aspettato un'accoglienza cordiale, ma non aveva previsto che mostrasse paura, ed era decisamente quello che le leggeva nei grandi occhi verdi e avvertiva nel tono della sua voce. Non era per niente contenta di vederlo.
«Dobbiamo parlare.»
«Se vuoi parlarmi, telefonami» replicò lei, accennando a sbattere la porta.
Max la bloccò con mano e piede. «Mi parlerai adesso. Ho provato a telefonarti la settimana scorsa, ricordi? Non ha funzionato. Questo è quello che ti capita se non rispondi alle mie chiamate.»
«Ti avrei chiamato lunedì. Possiamo fissare un appuntamento. Ti riceverò durante le ore d'ufficio.»
I suoi occhi erano verdi, proprio come li ricordava. A essere diversa era l'emozione che vi leggeva. Forse l'atteggiamento difensivo era causato da una cattiva coscienza per le cose che stava scrivendo. «E da quando segui un normale orario d'ufficio?»
«Da quando...» Sul volto le passò un'espressione che lui non riuscì a interpretare. «Da quando mi sono resa conto che ci sono altre cose oltre il lavoro. Il che significa che, a differenza di te, i miei weekend sono sacri. Mi piace rilassarmi, dedicare il mio tempo a... ad altre cose. Significa che tu non sei un'interferenza gradita.»
Max non si mosse da dov'era. Ricordava che lei era schietta, ma sotto la sua franchezza ora non poteva fare a meno di avvertire che tentennava. Era sulla difensiva. Cosa che faceva il suo gioco. «Non sei l'unica ad apprezzare i weekend, perciò lasciami entrare, così parleremo, sistemeremo alcune questioni e io me ne andrò. Ma non me ne andrò da nessuna parte se prima non avremo parlato.»
Gillian diede un'occhiata all'orologio che portava al polso e ne lanciò un'altra al di sopra della spalla, come se stesse decidendo. «Cinque minuti, Max. Non posso concedertene di più.» Si allontanò dalla porta e l'aprì del tutto.
«Mi bastano.» Max era soddisfatto. «A patto che tu intenda ragione.» Entrò ed ebbe finalmente la possibilità di guardarla bene. Un top bianco le aderiva alle curve del seno. I capezzoli che premevano contro il tessuto dicevano che non portava reggiseno, un particolare che diminuiva la scorta di ossigeno nella stanza e minacciava di distrarlo. Per la prima volta, Max dubitò della saggezza di coglierla di sorpresa, di primo mattino, in casa sua.
Portava la calzamaglia da yoga bassa sui fianchi ed era a piedi nudi. Max concluse che aveva lasciato da poco il letto, ma non avrebbe insistito in quella direzione perché abbinare le parole Gillian e letto, anche se solo nella sua mente, avrebbe fatto sicuramente deragliare il filo dei suoi pensieri.
Anche se era ancora snella, le sue curve erano un po' più accentuate di come le ricordava. Il suo corpo aveva una morbidezza nuova, che contrastava con l'espressione diffidente del volto.
Gillian si morse il labbro, come le aveva visto fare soltanto quando era nervosa, quindi gli indicò una stanza su un lato dell'ingresso. Poiché lei gli bloccava la vista, Max non riuscì a vedere il resto della casa mentre entrava in quello che era un soggiorno. Come faceva ad avere un aspetto che era al tempo stesso scostante e seducente?
Un divano e due comode poltrone erano disposti intorno a un tavolino. La finestra dava su un giardino pieno di palme.
«Siediti» disse lei, indicandogli una delle poltrone. «Torno tra un momento» aggiunse, dirigendosi alla porta.
«Una cosa.»
Gillian esitò.
«Sei sposata?» Non era quella la prima domanda che Max avrebbe voluto farle.
«No.»
Lui non avrebbe dovuto provare sollievo, non ne aveva alcun diritto, e non era un ipocrita. Non di solito. Affari. Era solo una questione di affari. Tra loro due non ci sarebbe stato niente altro.
Max dovette distogliere lo sguardo dal modo in cui ondeggiavano i suoi fianchi mentre si dirigeva alla porta, che si chiuse con uno scatto deciso alle sue spalle.
Girò lo sguardo sulla stanza, che aveva un'aria un po' antiquata e perfino troppo ordinata, quasi sterile. La Gillian che ricordava aveva giornali, riviste e libri ammucchiati in ogni spazio libero.
Si sarebbe detto che fosse cambiata. Quella non era di sicuro la stanza da dove gli era arrivata la musica che aveva udito o il profumo di caffè che aveva colto entrando.
Posò la Seaside Gazette sul tavolino, con il suo articolo in bella vista per ricordare a se stesso di concentrarsi sul motivo per cui si trovava lì.
Come aveva promesso, Gillian tornò dopo pochi istanti, chiudendosi di nuovo la porta alle spalle. Il top e i pantaloni da yoga erano stati sostituiti da un paio di pantaloni con numerose tasche e da una T-shirt verde. Grazie al cielo, sembrava che indossasse un reggiseno sotto la maglietta, e aveva raccolto la ricca chioma in una coda di cavallo.
Sembrava l'eroina di uno di quei giochi elettronici ai quali erano soliti giocare un tempo... pronta a dare battaglia.
Max fu assalito da una vaga trepidazione. «L'articolo di stamattina.» Era il motivo per cui si trovava lì. Non per scoprire se era sposata o che cosa aveva fatto negli ultimi tre anni e mezzo, o... se voleva uscire a cena quella sera.
No. Non ricascarci. Max scacciò il pensiero.
Il suo atteggiamento energico l'aveva ingannato una volta, inducendolo a credere che anche lei fosse refrattaria a un coinvolgimento sentimentale e a un futuro insieme. E Max era tipo da imparare dai propri errori.
Gillian si sedette sul bordo dell'altra poltrona, come se fosse pronta a scattare in piedi. La sua era un'espressione impenetrabile. Tuttavia, il fatto di trovarsi