Nozze in stile Hollywood: Harmony Destiny
By Emily McKay
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Book preview
Nozze in stile Hollywood - Emily McKay
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Tempted into the Tycoon’s Trap
Silhouette Desire
© 2009 Harlequin Books S.A.
Traduzione di Rita Pierangeli
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2010 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5898-810-7
Prologo
Tre anni prima...
Se i suoi cugini, Dev, Max e Luc Hudson, avessero potuto vederlo in quel momento, sarebbe morto di vergogna. Tuttavia, dando un’occhiata alla donna al suo fianco, Jack Hudson fu tentato di infischiarsene.
Sprofondata nella poltrona, con i piedi appoggiati sullo schienale della sedia di fronte, Cece Cassidy stringeva tra le ginocchia un secchiello di popcorn.
«Mi chiedo come fai a mangiare quella roba» commentò Jack.
Lei lo sbirciò da sotto le ciglia. «E io mi chiedo perché ti rifiuti di assaggiarla. Quelli di Crest sono i migliori popcorn di Los Angeles.» Indicò il secchiello con gesto teatrale. «Voglio dire, questi sono autentici popcorn caserecci.»
Per sottolineare il suo punto di vista, se ne mise in bocca un’altra manciata e chiuse gli occhi, come in estasi. Il battito cardiaco di Jack schizzò alle stelle.
Minuta e con le curve nei punti giusti, Cece aveva un viso dai lineamenti gradevoli senza essere bello... oppure era bello senza essere grazioso, Jack era indeciso tra le due definizioni. Il suo naso presentava una piccola gobba, ereditata dagli antenati italiani del padre. Gli occhi erano grandi e leggermente a mandorla. La bocca era piena e generosa, l’unico particolare ereditato dalla madre. Non era uno schianto di donna, alta e senza cervello. In breve, non era il suo tipo, e forse questo spiegava perché la desiderasse tanto.
Qualunque fosse la causa, era un’attrazione fuori programma. Cece era la figlioccia di sua nonna. In pratica, erano cresciuti insieme. Ciononostante, quando si era imbattuto in lei al party annuale degli Hudson per San Valentino, l’attrazione era stata istantanea. Da allora, aveva fatto di tutto per resistere, benché Cece insistesse per trascinarlo a visitare i luoghi di Los Angeles che riteneva interessanti.
Era una ragazza dolce. A ventiquattro anni, sembrava incredibilmente giovane, anche se tra loro due c’erano soltanto tre anni di differenza. Inoltre, c’era il particolare che lei era la figlioccia di Lillian. Che nella famiglia Hudson era adorata da tutti. Se se la fosse portata a letto, era probabile che ne avrebbe spezzato il piccolo cuore innocente. Tutta la famiglia l’avrebbe linciato... proprio quello di cui aveva bisogno.
Cedendo a una tentazione – non potendo cedere all’altra – afferrò una manciata di popcorn. «Ricordami di nuovo perché siamo qui.»
«Punto primo, questo è un glorioso teatro.»
Jack mandò in giro lo sguardo sulla sala anni Quaranta appena restaurata: sedili imbottiti, tappeti color porpora, murales dipinti a mano. Era bella. «Non le fanno più così» ammise, quindi aggiunse: «Credo che lo schermo della sala di proiezione di Hudson Manor sia più grande».
Lei sorrise. «Esatto. E ciò mi porta al punto numero due. Tu non vai mai al cinema.» Jack inarcò un sopracciglio, ma Cece gli impedì di protestare anticipandolo. «Lo so, Mister Casa Cinematografica. Vedi un sacco di film, ma non vai al cinema. Questa...» indicò il pubblico, «... è un’esperienza del tutto diversa da quelle alle quali sei abituato.»
Jack riuscì a staccare lo sguardo dal suo volto animato e guardò la folla, radunatasi per assistere a quello spettacolo notturno. Doveva riconoscere che era una folla decisamente entusiasta.
Cece sollevò l’indice e gesticolò. «Per ultimo, questo è il miglior sequel che abbiano mai fatto.» Vedendo l’aria dubbiosa di Jack, si mise le mani a coppa sulla bocca e abbassò la voce. «Luke, io sono tuo padre
. Ammettilo, è roba forte.»
Fece una pausa, aspettando ovviamente che lui sorridesse.
Considerando il rapporto complicato che aveva con il proprio padre, c’era da presumere che avrebbe trovato conforto nell’edificante storia di Luke e Darth Fener. Invece, la verità era che non l’aveva mai bevuta. Per sua esperienza, gli uomini spregevoli non cambiavano mai, soprattutto quelli che abbandonavano i figli per perseguire i loro obiettivi. Piuttosto che esprimere quel parere a voce alta, si limitò a dire: «Il Padrino parte II...».
«No, no, non c’è paragone. Qui c’è il finale a suspense, più l’idillio tra la principessa Leila e Han Solo.»
Lui la guardò, sorpreso. «Davvero? Avrei scommesso che eri una fan di Harry, ti presento Sally.»
«Oh, no.» Cece agitò una mano. «C’è un vero abisso tra il cinico Han Solo e il romantico Harry.»
«Ssh!» sibilò uno spettatore.
Jack lo ignorò e si chinò verso Cece. Alla luce baluginante dei trailer trasmessi sullo schermo, le sue labbra erano lucide di burro dei popcorn. Quando si allungò per prenderne un’altra manciata, gli sfiorò la spalla con la propria e lui provò la consueta vampata di calore, cosa della quale lei sembrava del tutto ignara.
A parte le discussioni sulla cultura popolare, voleva di più da lei. Non aveva bisogno di un’amica con cui andare al cinema. Voleva lei. Nuda. Nel suo letto. Quella sera stessa.
«Dimmi una cosa, Cece. Cosa ci facciamo qui?»
Lei indicò lo schermo, guardandolo come se fosse pazzo. «L’impero colpisce ancora, ricordi?»
«No. Che cosa ci facciamo noi qui.»
Cece sorrise, ma non era il suo solito sorriso allegro. Anzi, sembrava un po’ triste. «Quando ci siamo incontrati al party, avevi l’aria un po’ sconsolata. Come se avessi bisogno di un’amica.»
Forse era l’irritazione per il film che aveva scelto. O forse il fastidio nel sentirsi definire sconsolato. In ogni caso, era stanco di aspettare.
Le prese il mento e glielo fece sollevare prima di premere la bocca sulla sua. Lei sapeva di burro e di sale e, quando la baciò, rimase immobile per un attimo. Quindi si offrì al suo bacio. La temperatura di Jack schizzò alle stelle.
Si scostò e la scrutò. «Cece, non ho bisogno di un’amica.»
Con gli occhi sgranati, lei impiegò un minuto per recepire le sue parole. Quindi annuì e si leccò le labbra, come per assaporare ogni briciola del suo bacio.
«Usciamo di qui» suggerì Jack, e lei si alzò di scatto, rovesciando il secchiello di popcorn.
Quattro mesi più tardi – come aveva previsto – lui le spezzava il cuore.
1
Dunque, Lillian Hudson voleva che la Hudson Pictures girasse un film sull’idillio sbocciato tra lei e il marito Charles, durante la Seconda Guerra Mondiale.
Dal momento in cui udì l’annuncio all’annuale festa di San Valentino a Hudson Manor, Jack capì che c’erano guai in vista. La settimana prima, in occasione di una sua visita, aveva sorpreso la nonna che guardava L’onda, sceneggiata da Cece. Al momento, l’immagine della Statua della Libertà che scompariva sommersa da uno tsunami di quaranta metri gli era sembrato un cattivo presagio. Adesso capiva perché.
Non dubitava che Lillian l’avrebbe assillato perché convincesse Cece a scrivere il copione di L’onore e la passione, impresa quanto mai difficile dal momento che Cece non gli rivolgeva la parola.
Scolò il calice di Dom Pérignon e si diresse al bar, deciso ad avere in mano un bicchiere di qualcosa di più forte nel momento in cui Lillian l’avrebbe messo alle corde. Purtroppo, la sua voce lo raggiunse prima di arrivarci.
«Non mi sembri entusiasta del mio annuncio.»
Jack si voltò. Malgrado l’età, Lillian conservava la stessa raffinata eleganza che ne aveva fatto una leggenda dello schermo. Negli occhi di un azzurro trasparente c’era una scintilla di umorismo, come se sapesse perché lui la stava evitando.
«Ne sono eccitato, nonna. Sono convinto che la vostra storia d’amore diventerà un film di successo.»
«Charles l’ha sempre pensato, e per anni questo o quel regista hanno vagliato l’idea. Ma quando Charles è morto, mi è mancato il cuore di realizzarla senza di lui.»
Per un attimo Jack la vide così triste e fragile che rinunciò quasi a esprimere i propri dubbi. «Sono felice che adesso lo si faccia. Ma hai detto di volere che esca per il sessantesimo anniversario degli studi. Che fretta c’è? Dovremmo prendere tempo, per fare tutto nel migliore dei modi.»
La parvenza di fragilità di Lillian scomparve di colpo. «Quando dovremmo farlo, ragazzo mio? Per il centesimo anniversario? No, ormai ho deciso.»
Capendo che era inutile discutere, Jack si strinse nelle spalle. «In questo caso, presumo che vorrai che assuma uno sceneggiatore.»
Lillian sorrise con aria maliziosa. «Ah, ragazzo mio, tu mi conosci troppo bene.»
Lui si affrettò a intervenire prima che aggiungesse altro. «Lunedì mattina, per prima cosa parlerò con Robert Rodat. Ha lavorato con Spielberg in Salvate il soldato Ryan.»
Lillian agitò la mano in un gesto regale. «No, no. Non voglio uno che si sia già occupato di tragedie della Seconda Guerra Mondiale. La storia di come tuo nonno e io ci siamo conosciuti e innamorati è speciale. Ci occorre qualcuno che affronti il soggetto con particolare sensibilità. Qualcuno che ne capisca l’importanza.»
Negli occhi le brillava la stessa furbizia che lui ricordava dalla sua infanzia. Dopo la morte di sua madre, erano stati Lillian e Charles a crescerlo, con il risultato che lei riusciva a leggergli nel pensiero.
«No, ho già in mente la sceneggiatrice perfetta.»
Proprio come Jack temeva.
«Ti ricordi della mia figlioccia, Cece Cassidy?»
Cece? Come poteva dimenticarla? Con il suo spirito arguto e un brillante senso dell’umorismo. Con le sue labbra carnose e i caldi occhi castani. Con i capelli neri sparsi sul suo cuscino come seta.
«Certo che mi ricordo di lei.»
In quanto figlioccia di Charles, era stata una presenza quasi costante a Hudson Manor durante la sua infanzia. Quando si erano incontrati di nuovo, tre anni prima, Jack aveva scoperto che la ragazzina pestifera che lo seguiva dappertutto si era trasformata in una donna irresistibile.
Per farla breve, lui non aveva mai dimenticato la loro breve, ma appassionata storia. O la sua burrascosa fine.
«Bene» proseguì Lillian, in apparenza ignara della piega presa dai suoi pensieri, «negli ultimi tempi non abbiamo visto spesso la nostra cara Cece.»
«No.» Probabilmente perché aveva evitato tutti gli