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Intrigante segreto: Harmony Destiny
Intrigante segreto: Harmony Destiny
Intrigante segreto: Harmony Destiny
Ebook168 pages2 hours

Intrigante segreto: Harmony Destiny

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About this ebook

La tentazione del potere...

Jordan Everett, direttore operativo della Western Oil, sa essere spietato quando si tratta di concludere un affare. La brama di successo e il desiderio di arrivare sempre più in alto, però, possono spingerlo a compiere azioni legalmente riprovevoli? E, soprattutto, a rinunciare a conquiste più soddisfacenti?

E il potere della tentazione...

Jane Monroe, agente investigativo, non è donna che si lascia fermare facilmente, specie quando si tratta di ottenere giustizia. Almeno, fino a quando non incontra Jordan... un uomo seducente e pericoloso. Troppo pericoloso. Non le resta che giocare con il fuoco...
LanguageItaliano
Release dateJan 10, 2018
ISBN9788858976791
Intrigante segreto: Harmony Destiny
Author

Michelle Celmer

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Intrigante segreto - Michelle Celmer

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Much More Than a Mistress

    Harlequin Desire

    © 2011 Michelle Celmer

    Traduzione di Roberta Canovi

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5897-679-1

    1

    Puoi farcela.

    Jane Monroe si incamminò nel parcheggio del quartier generale della Western Oil, diretta all’ingresso principale, lottando contro uno squadrone di farfalle geneticamente modificate che le svolazzavano nello stomaco. Si fermò di fronte alle porte vetrate e inspirò una lunga boccata dell’aria fresca di gennaio, mentre fletteva le dita nel tentativo di calmare l’ansia.

    Durante i primi sei mesi alla Edwin Associates Investigation Services, aveva passato ore e ore al computer a compiere indagini di routine e controlli incrociati, per rintracciare padri fannulloni e capitali nascosti da mariti infedeli. Quando qualcuno aveva bisogno di un consiglio legale, era a lei che si rivolgeva. E tutto era servito per arrivare a quel momento.

    Il suo primo incarico sotto copertura.

    Rabbrividendo per una combinazione di nervosismo e freddo, si strinse nel bavero della giacca e avanzò nell’atrio sui tacchi da dieci. Superò il metal detector, mostrando il badge identificativo che le avrebbe permesso di muoversi liberamente nell’edificio, anche nelle aree riservate agli impiegati di più alto rango.

    Oltrepassò la caffetteria affollata di gente e arrivò agli ascensori, pigiando il tasto del terzo piano per raggiungere le Risorse Umane.

    Alcuni, in particolar modo i genitori e i fratelli, avrebbero considerato la sua posizione alla Edwin Associates uno spreco della laurea in Legge. Per questo non era stata propriamente onesta sul proprio nuovo lavoro: i parenti credevano che fosse stata assunta dal dipartimento legale di un’azienda locale. In questo modo si era risparmiata un bel po’ di mal di testa. Ma una volta risolto il caso, quando fosse diventata un’investigatrice a tutti gli effetti, finalmente avrebbe potuto raccontare la verità.

    Senz’altro sarebbero rimasti colpiti nell’apprendere che aveva lavorato sotto copertura nell’ufficio del milionario Jordan Everett, direttore operativo della Western Oil, un uomo sospettato di aver intascato delle mazzette, e di aver attuato un sabotaggio.

    Il caso era stato suo senza colpo ferire: la segretaria che avrebbe rimpiazzato era entrata in travaglio prematuramente e l’investigatrice che avrebbe dovuto assumere il ruolo era rimasta bloccata con un altro incarico sotto copertura. Per Jane era l’unica chance di mostrare le proprie capacità. In poche parole, non poteva fallire.

    Il profilo che l’agenzia stava mettendo insieme sul sorvegliato le sarebbe arrivato solo quella sera, perciò per il momento avrebbe lavorato alla cieca. Non aveva mai visto una fotografia del suo futuro capo, né tanto meno l’aveva mai incontrato, ma considerata la sua posizione nella compagnia si era già formata un’immagine mentale: tra i quaranta e i cinquanta, probabilmente con una calvizie incipiente e un bel po’ di pancetta, conseguenza di troppi cibi opulenti e scotch di malto. Giocatore di golf, il tipo da sigaro costantemente in bocca.

    Jane strattonò l’orlo della minigonna che la fasciava come un guanto, esatto opposto del suo guardaroba abituale. Si presumeva che un uomo come il signor Everett, scapolo impenitente, sarebbe stato molto più aperto verso le gonne corte e i tacchi alti rispetto ai pantaloni con mocassini. Così Jane, la secchiona con obiettivi problemi a socializzare, che non aveva avuto un vero appuntamento fino al secondo anno di college, avrebbe ricoperto il ruolo della seducente segretaria.

    Nemmeno lei era sicura di poter ingannare qualcuno, ma dopo un fine settimana di addestramento intensivo con tanto di giornata dal parrucchiere, corso di truccatrice, lenti a contatto al posto degli occhiali e shopping da Macy’s per rifare il guardaroba, persino lei era rimasta stupita nel rendersi conto che appariva effettivamente... sensuale. Quando era passata in ufficio per recuperare gli ultimi documenti, la ragazza alla reception non l’aveva nemmeno riconosciuta, e mentre attraversava l’edificio diretta all’ufficio del superiore aveva letteralmente fatto girare le teste.

    Una volta giunta alle Risorse Umane dovette attendere solo pochi minuti prima di essere accolta da una donna già in là con gli anni che si rivolse a lei con espressione severa. «Signorina Monroe?»

    Jane scattò in piedi. Anche se il lavoro sotto copertura spesso implicava l’utilizzo di una falsa identità, per quella particolare posizione era stato deciso di rimanere il più aderenti possibile alla sua vita reale; non che pensasse di intrattenere conversazioni profonde e significative col nuovo capo, ma meno aveva da ricordare, più difficile sarebbe stato cadere in fallo.

    La donna la scrutò da cima a fondo, un sopracciglio lievemente arcuato, quindi le strinse la mano. «Benvenuta alla Western Oil. Sono la signora Brown, le mostrerò gli uffici. Vuole seguirmi, per cortesia?» Senza aspettare una risposta, si incamminò verso gli ascensori. «Suppongo che l’agenzia le abbia dato una copia del regolamento della nostra azienda.»

    «Naturalmente» confermò Jane affrettandosi a seguirla. E lei l’aveva memorizzata per intero. A parte la Edwin Associates, aveva lavorato solo nello studio legale di famiglia; vi aveva passato le estati e ogni minuto libero da quando aveva quattordici anni, e per cinque lunghissimi anni dopo la laurea, prima di avere il fegato di dare le dimissioni per inseguire il proprio sogno di diventare investigatrice privata.

    Una volta in ascensore, la signora Brown pigiò il tasto dell’ultimo piano, quello destinato agli uffici dirigenziali, e a Jane si bloccò il cuore in gola. Era così nervosa che non riusciva a respirare. O forse, la mancanza di ossigeno era dovuta al reggiseno push-up che le stringeva in una morsa la gabbia toracica.

    Le porte dell’ascensore si aprirono su una stazione di sicurezza. «Questa è la signorina Monroe» annunciò la signora Brown all’agente di sorveglianza. «Sostituirà temporaneamente la segretaria del signor Everett.»

    «Benvenuta, signorina Monroe» salutò un ragazzone tra i venti e i trent’anni con la costituzione di un carrarmato e i capelli biondi dal taglio militare; il suo badge recava il nome Michael Weiss. Jane notò l’occhiata fugace che rivolse alle sue gambe, che con i tacchi a spillo sembravano ancora più lunghe di quanto non fossero; col suo metro e settanta nessuno poteva definirla bassa, ma così agghindata si sentiva una vera e propria amazzone. «Posso vedere il suo badge, per cortesia?»

    Lei lo sganciò dalla giacca per porgerglielo. Weiss lo scrutò con attenzione, appuntò qualcosa sul blocco che aveva con sé e poi glielo restituì. «Lo tenga sempre bene in mostra. Non le sarà permesso aggirarsi su questo piano, altrimenti.»

    La sicurezza era presa sul serio, senza dubbio. Ed era comprensibile, visto il calibro degli uomini che vi lavoravano.

    «Da questa parte» la invitò ancora la signora Brown, e mentre procedevano verso gli uffici Jane avrebbe giurato di sentire gli occhi della guardia fissi sul proprio posteriore. Non era abituata al fatto che gli uomini le guardassero il sedere – né qualunque altra parte del corpo, del resto. La maggior parte non la prendeva proprio in considerazione, come se fosse invisibile: talmente piatta e ordinaria che scompariva mischiandosi alla tappezzeria.

    Entrarono in un’altra sala d’attesa e si presentarono alla scrivania della reception. «Questa è la signorina Monroe, la sostituta della segretaria del signor Everett» annunciò di nuovo la signora Brown, prima di rivolgerle un’occhiata di congedo che rasentava l’ostilità e ritornare da dove era venuta.

    La donna dietro la scrivania roteò gli occhi e scosse la testa, borbottando: «La ringrazio, Miss Simpatia» con un forte accento texano. Quindi si alzò dalla sedia e sorrise a Jane. Era piccola e carina, anche se tendente al rotondo. «Sono Jen Walters. Benvenuta all’ultimo piano, signorina Monroe.»

    «Buongiorno, Jen.» Jane strinse la mano che le porgeva. «Puoi chiamarmi Jane.»

    La ragazza la guardò da capo a piedi, dopodiché scosse di nuovo il capo. «Oh, tesoro, le altre ragazze qui non ti potranno vedere.»

    Sentì il cuore sprofondare. «Odiano tutte le nuove?»

    «Tutte le nuove che sono così carine.»

    Lei aprì la bocca per replicare, ma non profferì parola. Non sapeva cosa dire. Era la prima volta in vita sua che qualcuno l’accusava di essere troppo carina. E non aveva idea del perché l’avrebbero odiata per questo.

    Jen si mise a ridere e le diede una pacca sul braccio. «Sto scherzando, tesoro! Non ti odieranno. Siamo tutte socievoli, da queste parti.»

    Quello era un sollievo. Non era suo compito stringere amicizie, ma sarebbe stato sgradevole lavorare in un posto dove non piaceva a nessuno.

    «Non sono così carina» tentò con Jen.

    Ma l’altra scoppiò di nuovo a ridere. «Vuoi uno specchio? Sei splendida. E darei non so che cosa per avere la tua figura. Scommetto che sei una magra naturale.»

    «Se per naturale intendi niente seno né fianchi.» E quel poco di seno che aveva non era spuntato fino al secondo anno di college.

    Jen abbassò la voce a un sussurro. «Credimi, le tette grosse sono solo un gran fastidio.»

    Jane sorrise, e si rese conto che Jen era riuscita a farle passare il nervosismo.

    «Ti faccio vedere l’ufficio così cominci a sistemarti. Il signor Everett è in riunione, ma dovrebbe finire presto.»

    Le mostrò la sala break e i bagni, la presentò alle altre segretarie del piano – che parvero tutte molto simpatiche e disponibili – e infine la accompagnò a quella che sarebbe stata la sua scrivania.

    «Tiffany ti ha lasciato istruzioni dettagliate riguardo i tuoi compiti e le preferenze del signor Everett» la informò, indicando le pagine stampate accanto al computer. «Sperava di poterti istruire di persona, ma le si sono rotte le acque due giorni fa, con due settimane d’anticipo.»

    «Suppongo che i bambini sappiano essere imprevedibili» osservò Jane, che in realtà di bambini sapeva ben poco. I due fratelli maggiori erano entrambi sposati, ma non avevano figli, e la sorella era troppo orientata alla carriera, come lei, per pensare al matrimonio e alla famiglia.

    «Le telefonate del signor Everett sono state deviate alla mia postazione. Ti do un paio d’ore per sistemarti, dopodiché comincerò a passartele.»

    «Ti ringrazio.»

    «Non c’è di che. Chiamami, se hai qualche domanda. Il mio numero è insieme agli altri interni dell’ufficio.»

    Dopo che se ne fu andata, Jane sbirciò nell’ufficio del capo. Due delle pareti erano occupate da finestre a tutt’altezza, affacciate sullo skyline di El Paso. Niente male.

    Appese cappotto e borsetta nell’armadio e si sedette alla scrivania, depositando il cellulare nel primo cassetto. Accese il computer e cominciò a sfogliare la lista che le aveva lasciato Tiffany; si trattava di punti piuttosto semplici, in realtà: come il signor Everett voleva che si rispondesse al telefono, come prendeva il caffè, quali chiamate accettava immediatamente e quali rimandava in automatico – non poté fare a meno di notare che, tra le seconde, compariva il nome della madre. Niente che potesse darle grossi grattacapi. C’era anche un elenco di numeri che includeva il servizio di pulizie di casa sua, la lavanderia e diversi ristoranti. Evidentemente si sarebbe occupata anche di alcuni aspetti personali della sua vita, il che non poteva che essere un vantaggio per le indagini.

    Considerò se fosse il caso di dare un’occhiata ai file nel computer, nella remota possibilità che avesse lasciato qualche traccia che lo incriminava, ma mentre si passava la lingua sul labbro superiore si rese conto che, per il nervosismo,

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