Compromesso tra le lenzuola: Harmony Destiny
By Emilie Rose
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About this ebook
Hannah Sutherland non intende farsi mettere i piedi in testa da nessuno. E Wyatt Jacobs non fa eccezione. Sa benissimo che lui è solo un arrivista senza scrupoli, anche se indossa i panni dell'uomo d'affari integerrimo e... seducente. Troppo seducente. Un contatto ravvicinato è altamente sconsigliato, anche se è sempre più difficile resistere.
Lei la preda più ambita.
Wyatt sa che, spesso, la strada per il successo passa attraverso il cuore di una donna. Pur di raggiungere i propri obiettivi, non si fa alcuno scrupolo nel sedurre la bella e pericolosa Hannah, che tra l'altro si sta rivelando una vera spina nel fianco. Le farà una proposta che non potrà rifiutare e che la condurrà dritta nel suo letto.
Emilie Rose
Confessa che il suo amore per i romanzi rosa risale a quando aveva dodici anni e sorprendeva sua madre a nasconderli ogni volta che lei entrava nella stanza.
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Compromesso tra le lenzuola - Emilie Rose
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Her Tycoon to Tame
Harlequin Desire
© 2011 Emilie Rose Cunningham
Traduzione di Lucilla Negro
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5897-686-9
1
Hannah Sutherland pigiò il piede sull’acceleratore della golf car, percorrendo a tutta velocità il vialetto che conduceva all’edificio principale.
Abbiamo visite. Vieni subito nel mio ufficio.
Così diceva il messaggio che le aveva inviato suo padre sul cellulare e, per quanto il genitore le urtasse i nervi ultimamente, non osava farlo aspettare. Si augurava che l’ospite fosse davvero una persona importante, visto che aveva dovuto mollare tutto per correre a casa a incontrarlo.
Giunta davanti alle scale del portico posteriore, saltò giù dal veicolo elettrico e corse dentro, sistemandosi i capelli e i vestiti mentre trottava lungo il pavimento di marmo nero e bianco dell’atrio d’ingresso.
Trovando la porta dello studio chiusa, esitò. L’ultima volta che l’aveva vista sprangata era stato il giorno in cui era morta sua madre. Un brivido d’allarme le serpeggiò lungo la schiena.
Si scrollò di dosso l’inquietudine e bussò. Un attimo dopo il lucente pannello di legno si aprì e Hannah si trovò davanti Al Brinkley, l’avvocato di famiglia, amico e consulente legale di suo padre da tempo immemorabile.
«Che piacere vederti, Al.»
Il sorriso dell’avvocato, notò, era un po’ forzato. «Ciao, Hannah. Lo sai che assomigli a tua madre ogni giorno di più?»
«Me lo dicono tutti.» Purtroppo, in comune con la mamma aveva solo la somiglianza fisica. Tutto sarebbe stato più facile nella sua vita se avesse preso anche qualcos’altro da lei. La forza di carattere, per esempio. L’ambizione.
Brinkley si fece serio, rinnovando in lei l’apprensione. «Entra.»
Suo padre era dietro la scrivania, il viso tirato, un bicchiere di whisky in mano. Non era un po’ troppo presto per bere?
Un movimento accanto alla portafinestra che affacciava a ovest attirò la sua attenzione. Alto e magro, il terzo uomo presente nello studio si girò lentamente verso di lei.
I capelli scuri e lucenti erano tagliati corti, ma non abbastanza da nascondere una certa tendenza delle ciocche ad arricciarsi, che tuttavia non riuscivano ad ammorbidire il profilo squadrato e severo della mascella.
E sebbene i lineamenti si armonizzassero a formare un viso decisamente attraente, nulla avrebbe mai addolcito quei suoi occhi gelidi e diffidenti, così come nessun abito sartoriale avrebbe mai nascosto quel paio di spalle larghe e poderose e il fisico atletico. Aveva lo sguardo asciutto e implacabile tipico di certi manifesti a carattere militare che invitavano i giovani ad arruolarsi nell’esercito, e un’aria minacciosa. Doveva essere sui trenta, trentacinque anni, ma non era detto. I suoi erano gli occhi di un uomo che aveva vissuto la vita intensamente.
«Vieni, Hannah.» La strana tensione nella voce del padre non fece che aumentare il suo disagio. «Brinkley, chiudi la porta.»
L’avvocato fece quanto gli era stato chiesto. Che cos’era tutta quella segretezza? Le conversazioni a porte chiuse non erano la norma in quella casa. L’unica persona che avrebbe potuto origliare era Nellie, la governante. Ma lei viveva con loro da una vita e ormai era parte della famiglia. Hannah la considerava una specie di seconda mamma.
«Wyatt, ti presento mia figlia, Hannah. È una veterinaria e ha fatto nascere tutti i cavalli di Sutherland Farm. Hannah, questo signore è Wyatt Jacobs.»
L’occhiata bruciante che l’uomo le rivolse la infastidì ed eccitò al tempo stesso. Ma i suoi doveri di padrona di casa la riscossero dall’immobilità. Si fece avanti e gli porse la mano. «Benvenuto a Sutherland Farm, signor Jacobs» pronunciò, sforzandosi di mascherare la titubanza. Chi era quel tizio e cosa aveva a che fare con la tenuta dei Sutherland e la scuderia di cavalli da corsa?
A giudicare dagli abiti costosi e dall’orologio di platino al polso, era una persona benestante; come, d’altronde, tutti i soci del circolo ippico. Il salto ostacoli non era sicuramente una disciplina per poveri e neppure per gente della media borghesia. La clientela di Sutherland Farm andava dai membri di antiche casate ai nuovi ricchi, dai viziati rampolli di illustri famiglie agli appassionati cavallerizzi. In quale categoria si inseriva Wyatt Jacobs?
Era pronta a scommettere che avrebbe fatto una bellissima figura in groppa a un cavallo con quel suo portamento fiero, la schiena eretta. Aveva un paio di occhi del colore dei chicchi di caffè tostato, le pupille appena visibili con il sole che inondava la stanza dalla portafinestra alle sue spalle. La visione ravvicinata del suo torace le fece mancare un battito del cuore.
«Dottoressa Sutherland.» La sua voce era calda, pastosa, perfetta per la radio.
Le dita si strinsero attorno alle sue e il calore di quella stretta, combinato all’impatto del suo sguardo tenebroso le levarono il fiato. In quell’istante, si pentì di non essere andata a cambiarsi, a rinfrescarsi il trucco, spazzolarsi i capelli e spruzzarsi addosso un po’ di profumo per camuffare l’odore di stalla inevitabilmente impregnato negli abiti da lavoro.
Che stupida. È solo un cliente. E tu non sei alla ricerca di una love story, no?
Tirò indietro la mano e, dopo qualche istante, lui gliela lasciò.
Hannah si premette la palma formicolante contro il fianco. Aveva rotto un fidanzamento quindici mesi prima e in tutto quel tempo non aveva pensato al sesso neppure una volta. Fino a quel momento. Wyatt Jacobs la faceva fremere in zone del corpo da lungo tempo sopite.
Suo padre le offrì un bicchiere con del liquido ambrato. «Papà, non bevo quando lavoro, lo sai. Più tardi dovrò affrontare Commander.»
Il senso di frustrazione nei confronti del bizzoso stallone riaffiorò. Commander sembrava avere un solo obiettivo: rendere la vita impossibile a tutti, specialmente alla veterinaria incaricata di prelevargli il liquido seminale, scalciando come un ossesso. In campo era eccezionale, ma nelle stalle era un vero incubo. Non ci si poteva, però, permettere il lusso di ignorare un campione di quel calibro. Il suo seme valeva oro. Lei e tutto il suo staff avevano faticato inutilmente per un’ora intera con lui, quella mattina, fino allo sfinimento. La chiamata di suo padre era stata, in un certo senso, provvidenziale.
Fissò il bicchiere che il padre le aveva poggiato accanto, sulla scrivania, nella convinzione che potesse cambiare idea, poi spostò lo sguardo sul loro ospite. Jacobs la stava osservando con un’intensità imbarazzante.
Aveva conosciuto molte celebrità, star del cinema, congressisti, aristocratici. Ma nessuno con un tale carisma. Perché diavolo Wyatt Jacobs la turbava tanto?
Poi, le parve di cogliere un guizzo di rabbia in quello sguardo imperturbabile.
Non c’era che un modo per scoprire il motivo della sua presenza.
«Come mai da queste parti, signor Jacobs?»
«Luthor, ti dispiace spiegarglielo tu?» domandò lui. Strano, era pronta a scommettere che non fosse il tipo abituato a demandare nulla ed era evidente che il doverlo fare ora lo irritasse.
Poiché nessuno parlava, spostò lo sguardo su suo padre e per la prima volta lo vide veramente nervoso, a disagio. Prosciugò il bicchiere in un sorso solo e lo sbatté sulla scrivania.
L’ansia era oramai alle stelle. «Papà, mi vuoi dire che cosa sta succedendo?»
«Ho venduto la scuderia, Hannah... la tenuta, tutto quanto» le disse con piglio altero.
Che cosa? Non credeva alle sue orecchie. Suo padre non era mai stato provvisto di senso dell’umorismo. Uno strano momento per riscoprirlo. Ma se era uno scherzo, non faceva ridere per niente. «Mi prendi in giro?»
Luthor si consultò con Brinkley, la cui espressione rimase impassibile. «Avrei un sacco di posti dove andare, di cose da fare... ma non posso fare nulla se devo restare intrappolato qui tutti i santi giorni.»
Hannah scrutò il viso risoluto del genitore. Non stava scherzando. Si sentì mancare il terreno da sotto i piedi e si sorresse al bordo della scrivania. Le nocche sfiorarono il vetro ghiacciato del bicchiere di cristallo, ma era nulla in confronto al gelo che le scorreva ora nelle vene.
La bocca le si aprì e chiuse, senza che fuoriuscisse alcun suono. Era paralizzata. Non riusciva neppure a pensare.
«Non avresti dovuto venderla. È la tua vita.» A parte i cavalli e le corse, suo padre non aveva altri interessi. Non aveva amicizie al di fuori dell’ambiente ippico.
«Non più.»
Qualcosa era andato storto, era evidente. Cominciò a sudare freddo.
«Ci può scusare un momento, signor Jacobs?» chiese, rivolgendosi al loro ospite.
L’uomo non mosse un muscolo.
«La prego» insistette in tono supplichevole. Detestava implorare qualcuno. Non lo aveva mai fatto.
Dopo un istante, Jacobs annuì e, con passi decisi, uscì sulla veranda.
«Volete che vi lasci soli?» chiese Brinkley.
Luthor alzò la mano. «Resta pure, Brink. Hannah potrebbe rivolgermi domande a cui solo tu sai rispondere.»
«Che cosa è successo, papà? Sei malato?»
Il padre sospirò. «No, Hannah, non sono malato.»
«Come hai potuto, allora, fare una cosa del genere? Avevi promesso alla mamma che avresti tenuto i cavalli per sempre.»
Le rughe sul viso di Luthor si accentuarono. «Questo è stato diciannove anni fa, Hannah, e lei stava morendo. Le ho detto quelle cose per far sì che se ne andasse in pace.»
«E io? A me non hai pensato? L’avevo promesso anch’io alla mamma ed era quello che intendevo fare. Occuparmi della proprietà che era stata di mio nonno, poi di mio padre e tramandarla ai miei figli.»
«Figli che non hai.»
«Non ancora. Un giorno, però...» Si bloccò, non appena un pensiero le attraversò la mente. «Tutto perché non ho sposato Robert, vero?»
Le labbra di suo padre si contrassero in una smorfia di disapprovazione. «Era l’uomo giusto per te, ma tu, come al solito, hai fatto di testa tua.»
«No, papà, era giusto per te. Robert era il figlio che avevi sempre desiderato. E, invece, ti sono toccata io.»
«Robert sapeva come gestire una scuderia.»
«Anch’io so come si fa.»
«Hannah, tu non cavalchi, non partecipi alle gare. Non ti interessa tenere alto il nome di Sutherland Farm nel mondo delle competizioni internazionali. Non si può certo dire che tu abbia il pallino degli affari. Non fai che sprecare tempo e denaro dietro a cavalli che andrebbero invece abbattuti.»
Per quante volte lo avesse sentito, quel rimprovero continuava a bruciarle. Ingoiò la reazione emotiva e si concentrò sui fatti. «Anche la mamma era convinta che i cavalli andassero salvati e il programma di riabilitazione che porto avanti è un vero successo. Se solo perdessi un po’ del tuo tempo a consultare le statistiche e a informarti sulle tante storie a lieto fine...»
«Il tuo bilancio semestrale si chiude puntualmente in rosso. Il fatto è che non