Ballando con un milionario: Harmony Destiny
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About this ebook
Jen Miller sa che indulgere in una storia di sesso, per quanto appagante, con il suo capo è una pessima idea. Lui è ricco, famoso e con una fama da playboy che si compiace di alimentare. Che cosa potrebbe mai ottenerne Jen? Un cuore spezzato e la perdita del suo lavoro di ballerina. Eppure la tentazione è troppo forte...
Katherine Garbera
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Ballando con un milionario - Katherine Garbera
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Taming the VIP Playboy
Silhouette Desire
© 2011 Katherine Garbera
Traduzione di Giuseppe Biemmi
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2011 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5898-226-6
1
Il ritmo pulsante di Little Havana contagiò Jen Miller nel momento stesso in cui parcheggiava l’auto in una strada laterale di Calle Ocho e si dirigeva verso il Luna Azul. Luna Blu... un fenomeno raro quasi quanto le seconde possibilità, e lei era contenta per quella che i fratelli Stern le avevano offerto assumendola come insegnante di salsa per il loro nightclub di Miami.
Il club stesso era una rarità. I fratelli Stern avevano provocato uno scandalo quando, dieci anni prima, avevano acquistato la vecchia fabbrica di sigari nel cuore di Little Havana per trasformarla in uno dei locali più in voga di Miami, cosa che ancora oggi indignava alcuni membri della comunità cubano-americana.
Jen si sistemò la tracolla della sua capiente borsa da insegnante sulla spalla mentre varcava la soglia dello sfarzoso ingresso del Luna Azul. Come al solito, fu costretta a fermarsi per riprendersi dallo stupore che ogni volta suscitava in lei la vista dell’imponente lampadario di design firmato dall’artista del vetro che rispondeva al nome di Dave Chihuly. Raffigurava un cielo notturno illuminato da una grande luna blu che, oltre a essere riportata nel logo del club, era richiamata anche dal colore della divisa dell’intero staff.
Era molto felice di lavorare lì, e il fatto di poter tornare a ballare la rendeva ancora più felice. Tre anni prima, infatti, in seguito a una decisione presa dando retta più all’istinto che al buonsenso, era stata bandita dal ballo agonistico.
Ma adesso era tornata, per così dire, alla sbarra e insegnava il ballo che preferiva fra tutti quelli che conosceva. La salsa.
Il ballo era stato inventato dagli abitanti dei Caraibi di lingua spagnola e, anche se Jen era americana fino al midollo, pareva creato apposta per lei.
Quando entrò nel club, vide che il palcoscenico principale era stato allestito per la performance di quella sera degli XSU, la rock band inglese che aveva scalato le classifiche americane l’anno precedente. Sua sorella e la sua migliore amica l’avevano entrambe implorata perché procurasse loro i biglietti per l’imminente esibizione e lei le aveva accontentate.
Anche Jen sperava di poter vedere all’opera i componenti della band, ma avrebbe lavorato durante la prima parte dello show.
Il club era suddiviso in varie zone. Al pianterreno, davanti al palco, c’era un’enorme pista da ballo circondata da tavoli con alti sgabelli e accoglienti séparé sapientemente collocati in alcove avvolte nella semioscurità. Al primo piano, dove Jen trascorreva la maggior parte del suo tempo, c’era una sala prove con un piccolo bar e quindi un soppalco da cui si dominava la parte sottostante del club. Ma la vera gemma del primo piano era la galleria che si apriva su una terrazza sulla sinistra e in fondo alla quale si trovava un altro palco. Era lì che ogni sera il Luna Azul ricreava l’atmosfera dei famosi festeggiamenti dell’ultimo venerdì del mese in Calle Ocho con balli e musica latini. I gruppi latino-americani che andavano per la maggiore vi si esibivano regolarmente, mentre celebrità e clienti abituali si mescolavano, scatenandosi ai ritmi sexy della salsa.
E lei era al centro di tutto quello, pensò Jen. Insegnava ai clienti a ballare la salsa, perché imparassero ad apprezzare ancora di più quella particolare musica.
Mentre Jen entrava nella sala prove, la sua assistente la salutò con un provocatorio: «Sei in ritardo».
«No che non sono in ritardo, Alison. Sono puntuale al minuto.»
Alison inarcò un sopracciglio, fissandola. Solitamente era divertente, ma aveva un’ossessione per la puntualità che semplicemente Jen non possedeva.
«Sei fortunata che non è venuto nessuno a controllare.»
«Alison, calmati. La lezione comincerà puntualmente, visto che siamo pronte. Ho portato un nuovo CD.»
«Che CD?»
«Una compilation di alcuni dei miei brani preferiti. Volevo qualcosa di diverso per la lezione di stasera.»
«Perché, che cos’ha di speciale la lezione di stasera?» si informò Alison.
«Be’, fra gli iscritti c’è T.J. Martinez.»
«Chi, il terza base degli Yankees?»
«Sì. E dato che è molto amico di Nate Stern, ho pensato che dovessimo fare una buona impressione.» Tener buoni i proprietari del club e i loro amici era di fondamentale importanza.
«Forse allora avresti dovuto arrivare un po’ prima.»
«Alison, un po’ va bene, ma adesso piantala. Abbiamo mezz’ora prima di iniziare la lezione.»
«Lo so. Scusa, oggi ho la luna storta.»
«Come mai?»
«Marc sta per partire per l’Afghanistan per un’altra missione.»
«Quando?» chiese Jen. Marc era il fratello di Alison e i due erano molto legati. Alison ripeteva spesso che era tutto ciò che aveva.
«Fra tre settimane. Io...»
Jen avanzò per attirare l’amica fra le sue braccia. «Andrà tutto bene. È sempre stato così. E, comunque, potrai contare su di me.»
Alison ricambiò l’abbraccio e quindi si slacciò da Jen. «Hai ragione. Adesso però parlami dei brani che useremo stasera.»
Jen sapeva che Alison aveva bisogno di perdersi nella musica per dimenticare almeno per un po’ la dura realtà della vita. Avere un fratello nell’esercito che veniva chiamato continuamente in zone di guerra in giro per il mondo non doveva essere facile.
La musica ben presto si diffuse per tutta la sala da ballo vuota e, insieme, si calarono nella routine. Alison era una brava ballerina, anche se non avrebbe mai potuto sfondare nel mondo della danza agonistica come aveva fatto Jen. Ma per il Luna Azul andava più che bene.
«Mi piace questo pezzo» disse Alison.
«Perfetto. Voglio solo che tu accentui un po’ il movimento di bacino alla fine del sesto tempo» disse Jen, mostrandole ciò che intendeva.
«Molto bene, signorina Miller.»
Barcollando pericolosamente, Jen lanciò un’occhiata in direzione della porta, sulla quale si stagliava Nate Stern.
Poco oltre il metro e ottanta con dei folti capelli biondi tagliati corti, presentava un’abbronzatura invidiabile e vestiva con eleganza e classe innate. Il suo bel volto aveva zigomi e mascella marcati e sul mento si intravedeva una piccola cicatrice dovuta a un incidente occorsogli giocando a baseball quando aveva dieci anni.
Jen conosceva quel particolare perché uno dei motivi per cui si era presentata per il posto di lavoro stava nel fatto che aveva sempre avuto un debole per Nate. Aveva visto la sua foto sui giornali quando era entrato da rookie a far parte degli Yankees e ne era rimasta folgorata.
«Grazie, signor Stern. Posso fare qualcosa per lei?» gli domandò.
«Sì. Gradirei scambiare due parole in privato con lei.»
«Alison, vuoi lasciarci soli?»
«No, non è necessario» intervenne prontamente lui. «È meglio se ci spostiamo noi due in galleria.»
Lei tirò un profondo respiro. Odiava prendere ordini. Comunque non sollevò obiezioni. «Continua pure a provare da sola, Alison.»
Alison annuì, mentre Jen faceva strada fuori dalla sala prove, sforzandosi di apparire a suo agio, anche se in effetti era nervosa. Questo lavoro era letteralmente la sua ultima chance nel mondo del ballo. Se non funzionava, avrebbe dovuto smettere di ballare e accettare l’offerta di sua sorella Marcia per un posto di segretaria presso lo studio legale in cui lavorava. E questa era l’ultima cosa che voleva fare.
«Qualcosa non va, signor Stern?»
«No, al contrario. Non ho sentito che cose positive sul suo conto, così ho deciso di venire a vederla con i miei occhi.»
«Dunque, prenderà parte alla mia lezione di stasera?» gli domandò lei.
«Sì, lo farò.»
Jen avrebbe voluto fulminarlo con lo sguardo, ma anni di esibizioni di fronte a severissimi giudici le consentirono di mantenere un bel sorriso sulle labbra. «Questa sì che è una bella notizia. È iscritto anche uno dei suoi ex compagni di squadra.»
«Sì, Martinez. Ho pensato di aggregarmi per vedere come se la cava ad avere una celebrità nel suo corso.»
Per poco lei non alzò gli occhi al cielo. Pensava forse che avrebbe trattato T.J. Martinez diversamente da qualunque altro suo allievo? «Teme che non sia in grado di cavarmela?»
«Non ne ho la minima idea» disse lui. «È per questo che mi terrò in zona.»
Lei era furibonda, ma mantenne la calma. «Sono una professionista, signor Stern. È per questo che suo fratello mi ha assunta. Non c’è bisogno che lei frequenti una mia lezione di salsa per assicurarsi che sappia fare il mio lavoro.»
Lui piegò di lato la testa. «L’ho offesa?»
«Sì, mi ha offesa.»
Lui le rivolse un sorriso e di colpo la sua espressione da arrogante si fece affascinante. «Me ne scuso. Non era mia intenzione. Ma sa com’è, le celebrità sono fondamentali per consentirci di mantenere un certo vantaggio sugli altri club di Miami, e io non voglio correre il rischio che qualcosa modifichi questo dato di fatto.»
Lei annuì. «Capisco la sua preoccupazione. Le posso garantire che la lezione di stasera non danneggerà neanche un po’ la reputazione del Luna Azul. E, comunque, mi farà piacere averla fra i miei allievi.»
«Davvero?»
«Sì» affermò lei, girando i tacchi per tornare verso la sala prove. «Perché, terminata la lezione, mi dovrà delle scuse per aver dubitato delle mie doti.»
La sua risata la seguì lungo la galleria e lei sorrise tra sé mentre entrava nella sala prove. Avrebbe dovuto essere al top della forma quella sera, perché non aveva alcun dubbio che Nate sarebbe stato provocatorio durante la lezione quanto lo era stato poco prima.
Nate la osservò allontanarsi, rimpiangendo di non essere venuto a conoscerla molto prima. Oltre ad avere una lingua tagliente, era anche un bel bocconcino. Aveva delle gambe dannatamente lunghe e un corpo da favola. Senza contare che, dalla grazia con cui si muoveva, pareva proprio una ballerina nata.
Nate rimase dov’era sulla terrazza con annesso ristorante all’ultimo piano del club e guardò il cielo al crepuscolo. Era febbraio, e l’aria notturna era piuttosto fresca. La brezza portò con sé il profumo del cibo cubano che veniva preparato nelle cucine.
Aveva fatto ciò che doveva per tenere alta l’immagine del club. Dopotutto, lui rappresentava ufficialmente il Luna Azul. Buffo che il volto del club più in voga di tutta Little Havana non appartenesse a un latino-americano ma, quando si erano messi in affari una decina di anni prima, i fratelli Stern avevano voluto il meglio.
Nate era il più giovane dei tre fratelli Stern, Cam era il maggiore e Justin quello di mezzo. Era stata di Cam l’idea di rilevare la fabbrica di sigari in disarmo e di trasformarla in un club. Justin era un mago della finanza e, dopo aver analizzato le cifre, aveva deciso che se avessero investito i loro fondi fiduciari nel club avrebbero potuto fare dei bei soldi.
All’epoca, essendo più interessato agli esordi della sua carriera di giocatore di baseball, Nate si era limitato a dare il suo assenso e a mettere la sua firma su un pezzo di carta. Ma quando due anni dopo una lesione alla spalla lo aveva costretto a mollare le competizioni, era stato ben contento della decisione di Cam e Justin di acquistare quel posto per aprire un locale. E, ben presto, aveva scoperto di poter dare un significativo contributo all’attività, grazie alle sue conoscenze nel mondo delle celebrità.
Per quanto amasse giocare a baseball, era in tutto e per tutto uno Stern e amava ancor di più socializzare. Cosa che avevano evidenziato anche le pagine di cronaca rosa dei vari giornali quando si era trasferito a New York per dare inizio alla sua carriera. Da allora, Nate si era assicurato attentamente di rimanere sotto i riflettori del jet set.
Sfruttava il fatto di essere famoso per attirare l’attenzione sul club e coltivare amicizie fra i VIP. Anche se aveva smesso di giocare da sei anni, era ancora uno dei dieci giocatori di baseball più popolari del paese.
«Che cosa ci fai qui?» gli chiese Justin, uscendo dalla zona delle cucine. Era