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La chef del principe: Harmony Jolly
La chef del principe: Harmony Jolly
La chef del principe: Harmony Jolly
Ebook140 pages2 hours

La chef del principe: Harmony Jolly

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About this ebook

Chi, almeno una volta, non ha desiderato di essere una principessa e di sposare il proprio principe azzurro?
Che il sogno abbia inizio!


Se questo è un sogno, che qualcuno mi svegli e soprattutto mi spieghi che cosa sta succedendo!
Melanie Watson ancora non si capacita di essere su un taxi, guidato da un principe. L'affascinante uomo al volante, infatti, si è presentato come Rikardo Eduard Ettonbierre di Braston e le ha annunciato che loro due convoleranno a nozze non appena giungeranno nel suo regno.
Lei è una cuoca australiana, che non sa nemmeno come sia fatto un principe vero. Conosce quelli delle fiabe: belli, forti, senza macchia e che amano per sempre.
Varrà anche per Rikardo?

LanguageItaliano
Release dateJun 11, 2018
ISBN9788858983867
La chef del principe: Harmony Jolly
Author

Jennie Adams

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    La chef del principe - Jennie Adams

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Invitation to the Prince’s Palace

    Harlequin Mills & Boon Romance

    © 2012 Jennie Adams

    Traduzione di Daniela Alidori

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5898-386-7

    1

    «È già qui. Mi aspettavo di dover attendere più a lungo.» Melanie Watson cercò di non sembrare troppo sollevata nel vedere il tassista. In realtà lo era. Stava mettendo da parte i soldi per poter cominciare una nuova vita lontana dagli zii e dalla cugina. Non ne aveva ancora racimolati abbastanza, ma quella sera aveva avuto modo di sperimentare per l’ennesima volta quanto potesse essere orribile vivere con persone grette capaci solo di usare gli altri e non di amarli.

    La famiglia l’aveva sfidata e Mel aveva scelto di andarsene, anche se finanziariamente non era ancora in grado di mantenersi.

    Aveva atteso che la cugina si fosse chiusa in camera sua e lo zio e la zia fossero andati a letto. Aveva pulito la cucina fino a farla brillare, perché non era abituata a lasciare un lavoro a metà, aveva chiamato un taxi, scritto un bigliettino di addio, infine aveva preparato le valigie e le aveva portate fin sul marciapiede.

    Mel guardava il cielo striato di rosa dell’alba. Il sole stava per sorgere, presto sarebbe cominciato un nuovo giorno e le difficoltà sarebbero parse più affrontabili. Se solo fosse riuscita a stare sveglia fino a quel momento.

    Si sentiva piuttosto strana e avvertiva un fastidioso ronzio in testa. Non era come se stesse per svenire, ma... quasi.

    «È l’orario perfetto per una corsa in taxi. La città è tranquilla e non c’è traffico.» Poi, con l’audacia che nasce solo nel parlare a un estraneo, aggiunse: «Sono un po’ confusa. Ho avuto una reazione allergica prima e la medicina che ho preso sta avendo un impatto più forte del previsto».

    Aveva trovato quell’antistaminico nella borsetta dei medicinali di sua cugina, mentre Nicolette congedava l’ultimo ospite. Forse, non avrebbe dovuto frugare così di nascosto, ma non aveva avuto alternative.

    Mel respirò a fondo e cercò di parlare in tono allegro, ma non ci riuscì e nella sua voce si avvertirono tutta la stanchezza e la tristezza. «Sono pronta a partire. Aeroporto di Melbourne, per favore.»

    «Sono contento di sentirla entusiasta, malgrado il problema dell’allergia. Posso chiederle a cosa è allergica?»

    Melanie sentiva di non sapere cosa doveva fare. Aveva portato a termine i suoi doveri, cucinando piatti succulenti e dolci squisiti per la cena degli zii, e alla fine aveva rimesso in ordine ogni cosa.

    Adesso, però, aveva bisogno di tutte le sue facoltà mentali per andarsene, ma purtroppo aveva solo voglia di dormire. Avrebbe dormito anche in piedi, come un pendolare dopo una faticosa giornata di lavoro o proprio come una ragazza che per placare l’allergia aveva preso una dose da cavallo di antistaminico, dopo aver passato la notte insonne a starnutire.

    «Mia cugina ha comprato un nuovo profumo. Se l’è spruzzato vicino a me e io sono quasi svenuta. A questo punto, deduco di essere allergica alle gardenie.» Mel si rifugiò in quello che restava del suo senso dell’umorismo. «Basta non regalarmi un mazzo di quei fiori e starò benissimo.»

    «Provvederemo. E ha ragione. È l’ora ideale per una corsa in macchina. Il panorama di Melbourne è affascinante all’alba.» Era serio mentre parlava e il suo sguardo era focalizzato sugli occhi di Melanie e sulla fossetta che le era comparsa in mezzo alle guance quando aveva azzardato la battuta sui fiori.

    Lei lo guardò. Era difficile non farlo perché l’uomo era decisamente bello. Alto e con un fisico asciutto. Sbatté le palpebre nella speranza che la nebbia che le offuscava la vista scomparisse.

    Il tassista parlava con un delizioso accento straniero. Francese? No, ma aveva un sapore europeo, pensò Mel, un sapore che si adattava alla sua pelle abbronzata, ai suoi capelli neri e al modo quasi regale con cui si muoveva. Aveva spalle muscolose, larghe abbastanza perché una donna potesse rifugiarvisi e sentire di essere al sicuro. I suoi occhi infine erano magnetici, di un meraviglioso blu profondo.

    Indossava un abito dal taglio impeccabile. Lei pensò che era un abbigliamento un po’ insolito per un autista di taxi.

    «Ho solo voglia di rannicchiarmi sul sedile e dormire.» Forse questo spiegava perché avesse reagito così vedendo l’uomo e perché le sue spalle le fossero sembrate tanto accoglienti.

    «Allora, faremmo meglio a caricare le valigie, Nicol...» Il resto della frase fu inghiottito dal rumore del bagagliaio che si apriva.

    Doveva avere dato il suo nome per esteso, Nicole Melanie Watson, quando aveva prenotato il taxi, anche se da quando era andata a vivere con gli zii, all’età di otto anni, era conosciuta solo col diminutivo, Mel. Le parve strano sentirsi chiamare col suo vero nome, anche se il sensuale accento di quel tipo lo faceva apparire speciale.

    Oh, Mel. Per amor del cielo.

    «È un bel set di valigie. Mi piace il disegno floreale.» Le aveva recuperate quando sua cugina Nicolette voleva buttarle via.

    «Il disegno è talmente particolare che sarà più difficile perderle o scambiarle.» Le lanciò un’occhiata d’intesa. «È sicura di volerlo fare?»

    «Sono sicura.» Quella domanda le sembrò molto strana. Forse aveva avuto dei clienti che avevano tentato di non pagargli la corsa? Mel non l’avrebbe mai fatto. Sapeva cosa significava sbarcare il lunario con un budget ridotto. Gli zii potevano anche essere abbienti, ma si erano sempre limitati a pagarle le spese indispensabili e appena aveva raggiunto l’età per guadagnarsi da vivere, si erano aspettati che lei li rimborsasse occupandosi del lavoro di bassa manovalanza in cucina. «Non cambierò idea.»

    Guardò l’auto e al posto di un taxi col normale contrassegno, vide un’elegante macchina nera, perfettamente lucidata. L’agenzia le aveva detto che c’era penuria di auto, ma lei non si sarebbe mai aspettata una simile vettura di lusso. Come poteva permettersela un tassista? Mel aggrottò la fronte.

    «È venuto direttamente da una festa?»

    Le parole le uscirono prima che potesse trattenerle. Il pensiero che seguì la angosciò. Quel tizio era in grado di guidare, se aveva passato l’intera notte in servizio? Però, sembrava riposato, segno che doveva avere dormito.

    Sarai perfettamente al sicuro con lui, Mel. Non sarà come...

    Scacciò il pensiero. No, in quel momento non poteva permettersi di tornare indietro con la mente a un episodio tanto doloroso.

    «La maggior parte delle serate a cui partecipo sono formali, a meno che non esca coi miei fratelli» spiegò l’uomo in tono deciso, eppure lei non reagì come si sarebbe aspettato. La sua franchezza e la sua ingenuità dovevano probabilmente essere colpa del fatto che non si sentiva bene.

    Mise da parte quelle perplessità e le indicò il sedile davanti. «Può riposare, se preferisce. Forse per quando arriveremo all’aeroporto, la medicina contro l’allergia avrà esaurito il suo effetto e lei si sentirà di nuovo normale.»

    «Ho seri dubbi in proposito. Mi sento come se fossi stata drogata con una dose di sonnifero per elefanti.» Sbadigliò ancora. «Mi scusi, non riesco a smettere di sbadigliare.»

    Lui aveva preso a bordo una versione gonfia e ancora più assonnata della Bella Addormentata. Quello fu ciò che pensò il Principe Rikardo Eduard Ettonbierre quando, superate le formalità aeroportuali, portò Nicolette Watson sul jet reale e la adagiò su un sedile.

    Aveva dormito per l’intero tragitto verso l’aeroporto e anche mentre venivano sbrigate le pratiche d’imbarco. La medicina aveva fatto effetto e lei era decisamente... una bella addormentata.

    Malgrado il viso gonfio, sembrava portare bene i suoi anni. Doveva averne solo due meno di lui o almeno gli sembrava di ricordare così dai giorni in cui avevano frequentato la stessa università, durante il suo soggiorno in Australia. Sin da allora, aveva capito che l’obiettivo di Nicolette era quello di scalare tutti i gradini della scala sociale.

    Anche se le loro strade non si erano più incrociate, lei si era sempre premurata di mandargli gli auguri di Natale e di compleanno e generalmente lo invitava ai vari eventi che organizzava. Era un modo come un altro per non farsi dimenticare. Rik si era sempre sentito a disagio di fronte a quel tipo di ostinazione, ma nelle attuali circostanze gli era servita.

    Infatti, quando si era trattato di vagliare le candidate, la sua preferenza era caduta proprio su Nicolette. Sapeva con assoluta certezza che non si sarebbe mai potuto innamorare e, conoscendo la sua ambizione, era altrettanto sicuro che lei avrebbe accettato il suo piano. In effetti, aveva avuto ragione.

    Quando l’aveva contattata, Nicolette aveva afferrato al volo l’opportunità di elevare il suo status. E anche per lui si era rivelata un’ottima scelta visto che, non abitando vicini, una volta scaduto il loro accordo, l’avrebbe rispedita in Australia senza rischiare di trovarsela tra i piedi a tutte le serate mondane.

    «Avrebbe dovuto lasciare a me l’incarico di portarla in braccio, Altezza.» Una delle guardie del corpo mormorò quelle parole in un tono quasi di accusa. «Anche mettersi alla guida per andarla a prendere... Non ci ha fornito sufficienti informazioni per provvedere alla sua sicurezza in modo adeguato.»

    «Non ho niente da comunicarvi per il momento, Fitz.» Rik avrebbe gestito la curiosità delle persone a tempo debito, ma per ora non c’era nessun bisogno di occuparsene. «Sai che mi piace guidare tutte le volte che posso. Inoltre, ti ho permesso di seguirmi su un’altra macchina e di parcheggiare a meno di un isolato di distanza. Non preoccuparti.» Rivolse un pallido sorriso alla guardia del corpo. «Per quanto riguarda il portarla in braccio, non era più importante che tu avessi le mani libere in caso di emergenza?»

    L’uomo abbozzò una smorfia prima di concedere: «Ha ragione, Principe Rikardo».

    «Ogni tanto sì ma comunque non sempre.» Rik sorrise e si sistemò nel sedile accanto a Nicolette.

    Era stato folle organizzare quel piano

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