Desiderio scottante: Harmony Destiny
By Day Leclaire
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Day Leclaire
Autrice americana creativa e versatile, ha scoperto in tenera età la sua passione per la scrittura.
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Desiderio scottante - Day Leclaire
bambina.»
1
Al tavolo del ristorante, Luc sedeva e aspettava – il suo metro e novanta bello scomodo sulla piccola sedia da bistrot del dehor. Si sforzò di controllare la propria impazienza. Accanto a lui, la nonna e Madama chiacchieravano allegramente in italiano mentre attendevano l’arrivo di Téa de Luca, o la Strega numero 1, come l’aveva ribattezzata lui in privato. Perché era in ritardo, e le persone in ritardo lo facevano quasi letteralmente andare fuori di testa – regalo lasciatogli in eredità dal servizio militare.
Essere in ritardo era da maleducati. Da egoisti. Ed era una palese dimostrazione di un egocentrismo intollerabile. Luc disprezzava le donne che adottavano quell’atteggiamento e le evitava come la proverbiale peste.
Afferrò un grissino e lo polverizzò tra i denti. Dove diavolo era finita? Non è che avesse tutto il giorno da sprecare in attesa di Sua Streghezza. Be’, in effetti ce l’aveva anche, ora che era temporaneamente senza lavoro, ma c’erano un mucchio di altri modi in cui avrebbe preferito passare il tempo. Infilandosi un chiodo nell’orecchio, per esempio, o legandosi ai binari davanti a un treno merci in corsa, o nuotando in mezzo a un branco di voraci squali bianchi.
Si schiarì la gola e si tese verso Madama. «Dove dia...» Si interruppe sotto lo sguardo fulminante della nonna e rivide la propria scelta di parole. «Le dispiacerebbe provare di nuovo a chiamare il cellulare di Téa, Madama?»
«Hai qualche altro appuntamento, Luciano?» intervenne la nonna. Il suo tono suonava abbastanza dolce, ma gli occhi tradivano più apertamente il suo pensiero, un avvertimento che il nipote finse di non notare.
«In realtà, sì» mentì senza rimorso.
Madama sollevò il bel telefonino color lavanda che aveva posato sul tavolo con la stessa cura che avrebbe usato per una mina. Sbirciando attraverso un paio di occhiali da lettura che portava appesi attorno al collo con una catenina di perline di cristallo, impiegò qualche secondo per pigiare un tasto. «No, no. Non è questo» borbottò accigliandosi.
«Schiacciando invio diverse volte dovrebbe ricomporre automaticamente l’ultimo numero chiamato» offrì la nonna in aiuto.
«Vuole che ci pensi io?» propose invece Luc.
Madama gli passò il cellulare con una divertente combinazione di sollievo e altezzosità, ricordandogli ancora una volta perché le fosse stato dato quel particolare soprannome. «Se non ti dispiace, lo apprezzerei davvero.»
«Lieto di essere d’aiuto.»
Pigiò il tasto della chiamata rapida e attese che venisse connessa la linea. Mentre aspettava, automaticamente osservò il marciapiede affollato al di là della recinzione in ferro battuto che separava il dehor del ristorante dal resto dell’umanità. Era un’abitudine che aveva sviluppato prima durante la carriera militare, e poi quando aveva aperto la propria agenzia di sicurezza. E si era trasferita nel suo attuale, o meglio, ultimo impiego per la Dantes Courier Service. Con un po’ di fortuna, il caso sarebbe presto stato risolto e sarebbe potuto tornare a occuparsi di qualcosa di utile invece che fare da babysitter alla Strega numero 1.
I pedoni si affrettavano al semaforo dell’incrocio adiacente, tutti tranne una donna che si fermò proprio in mezzo alle strisce pedonali, bilanciando una ventiquattrore e una voluminosa borsetta dalla quale tirò fuori tre cellulari. Senza sapere bene perché, Luc si alzò di scatto dalla sedia, il telefonino ancora accostato all’orecchio.
Il semaforo pedonale cominciò a lampeggiare, ma la rossa rimase ignara in mezzo alla strada mentre studiava i tre cellulari prima di sceglierne uno che, persino in lontananza, Luc notò era di un improbabile color lavanda. Lo stesso color lavanda dell’apparecchio che aveva in mano lui. La donna lo aprì.
Nell’orecchio gli risuonò un saluto senza fiato. «Pronto? Madama?»
I campanelli d’allarme scattarono con dolorosa intensità. Luc lasciò il telefonino sul tavolo e scavalcò di slancio la bassa recinzione, facendo attenzione ad atterrare sulla gamba buona; quando si costrinse a una corsa leggera, però, un lampo di dolore lo trafisse dal ginocchio all’inguine. Proprio in quell’istante il semaforo diede il via alle auto che cominciarono a procedere.
Aiuta la donna!
L’ordine urgente riverberò dentro di lui, rendendolo sordo a tutto il resto. Gli fece venire in mente la storia del cugino Nicolò, la cui moglie era stata investita da un taxi subito dopo il loro primo incontro; a tutt’oggi Kiley non aveva recuperato la memoria persa a causa dell’incidente, anche se lei e il marito erano impegnati a creare nuovi ricordi e una nuova vita insieme, che includeva un bambino in arrivo di lì a poche settimane.
Aiuta la donna adesso!
Luc osservò impotente la storia ripetersi. Come era successo al cugino, un taxi scartò di corsia per evitare un furgoncino delle consegne che si era fermato inaspettatamente in doppia fila. Con un colpo di clacson, l’auto accelerò dritta verso l’incrocio. Evidentemente il conducente non si era accorto della presenza della donna, forse perché occupato a imprecare contro l’autista dell’altro veicolo, mentre lei rimaneva dove si trovava, ignara del pericolo, a pigiare tasti a caso sul cellulare.
Aiuta la donna adesso prima di perderla per sempre!
Luc probabilmente gridò un avvertimento prima di lanciarsi in una corsa zoppicante, maledicendo la gamba che gli avrebbe impedito di raggiungere la rossa prima del veicolo. Il tassista si accorse della sua presenza solo all’ultimo istante; premette a fondo il pedale del freno, provocando uno stridio assordante di pneumatici e metallo, e proprio all’ultimo sterzò quei pochi centimetri sufficienti. Appena sufficienti. Luc la strappò dal mezzo della strada e la lanciò verso la sicurezza del marciapiede, rigirandosi in modo da assorbire la maggior parte dell’impatto, atterrando però sul fianco dolorante. Fu trafitto da un dolore lancinante.
«Figlio di buona donna!»
La donna gli puntò le mani sul petto e spinse, emergendo in un intreccio di riccioli ramati, braccia e gambe color avorio e una quantità immane di fogli e documenti. Tre cellulari piovvero intorno a loro. Un paio di lenti da lettura senza montatura le pendevano da un orecchio mentre occhi azzurro-verde lo fissavano scandalizzati.
«Chi sarebbe la buona donna? Io?»
«Non proprio.» Smorzando una smorfia, afferrò la rossa per i fianchi e la spostò di lato. Con estrema cautela si mise a sedere, mentre l’anca gridava una protesta. Ah, diavolo. Non era rotta, ma di certo non era neanche in ottima forma. «Lo fai per vizio di fermarti in mezzo agli incroci sfidando le macchine a metterti sotto?» Il dolore infuse nella domanda più acido di quanto avrebbe voluto.
Lei si avvolse nell’indignazione mentre si risistemava gli occhiali; una delle due fragili stanghette di metallo che li tenevano insieme si era piegata malamente, per cui le lenti le stavano tutte storte sul naso. «Stavo rispondendo a mia nonna.» Come se la spiegazione glielo avesse appena fatto ricordare, frugò tra il pandemonio sparso per terra finché riscoprì il cellulare color lavanda identico a quello di Madama. «Pronto? Madama, ci sei ancora?»
«Téa! Oh, tesoro. Stai bene?»
La voce però non veniva dal telefono, ma da qualche passo di distanza. Madama e la nonna si stavano affrettando sul marciapiede verso di loro.
Con un grugnito, Luc si rimise cautamente in piedi, quindi porse la mano a Téa. E fu allora che colpì. Una scintilla potente, seguita da un bruciore profondo fino alle ossa che passò dal palmo della donna al suo. Gli scorse nelle vene, penetrando dentro di lui, assorbito fino al livello più profondo.
I suoi campanelli d’allarme interni impazzirono, rimbombando e tuonando e gridando così forte da distruggere qualsiasi altra sensazione al di là di un desiderio tanto intenso e tanto potente che Luc letteralmente fremette per il bisogno disperato di prendere quella donna tra le braccia e portarla via, in qualche luogo privato dove avrebbe potuto imprimere il proprio marchio su di lei, reclamandola in ogni modo in cui un uomo può reclamare una donna.
Lei lo fissò sconcertata e Luc immaginò che avesse provato la stessa identica sensazione. Le sue labbra si schiusero, come se supplicassero di ricevere un bacio, e i suoi occhi parvero liquefarsi in un fuoco verdeazzurro. Dal suo viso sparì ogni traccia di colore, lasciando soltanto una spruzzata di lentiggini sul naso elegante. La cascata di voluminosi riccioli rossi le ricadeva scompigliata sulla schiena, creando una cornice di fuoco per il suo viso, un viso che rispecchiava ogni singola emozione, dallo sconvolgimento all’incredulità.
Lei distolse lo sguardo dal suo e lo posò sulle loro mani congiunte. «Che... che cos’è stato?» sussurrò.
Nel profondo, Luc lo sapeva, anche se non riusciva ancora a crederci. Non ancora. Non quando sfidava ogni logica e ogni comprensione. Non quando ogni fibra del suo essere rifiutava la possibilità di ammettere la sua esistenza. Eppure... Era esattamente come glielo aveva descritto il nonno. Esattamente come gli avevano detto i suoi genitori. Esattamente come i cugini gli avevano raccontato. Ed esattamente ciò che aveva sperato non gli succedesse mai.
«Una cosa impossibile» rispose.
«Téa?» Il tono apprensivo di Madama la distolse dall’ondata di desiderio. «Téa, ti ho chiesto se stai bene.»
Strappando la mano dalla stretta di Luc, lei si voltò verso la nonna. «Sto bene» la rassicurò. «Un po’ scossa e maltrattata, ma tutto sommato sto bene.»
Le sopracciglia di Luc si inarcarono in un’espressione severa. Maltrattata? Maltrattata? Strappata dalle grinfie della morte, piuttosto. Salvata dalla generosità di un estraneo. Sottratta all’attacco di un drago di metallo da un povero cavaliere acciaccato al quale sarebbe stata molto utile una bella armatura luccicante per proteggersi dalle ferite.
Prima che potesse replicare, i pedoni fecero capannello intorno a loro per aiutare a raccogliere tutti gli effetti personali di Téa, oggetti che lei riorganizzò attentamente, riponendo ogni cosa nella ventiquattrore e nella borsa voluminosa. Il desiderio che l’aveva sopraffatto negli ultimi minuti si affievolì, per lo meno quanto bastava per permettergli di recuperare i suoi telefoni. Uno dei due stava ordinando a gran voce Rispondi! Rispondi! Rispondi! Anche quelli avevano uno scomparto riservato nella sua borsa.
Ora che ebbe finito di sistemare, l’adrenalina si era dissolta e la realtà di ciò che era successo calò su di loro. Madama appariva sul punto di piangere, il viso della nonna era teso per la preoccupazione. Solo Téa sembrava beatamente serena.
Luc, d’altra parte, aveva difficoltà anche solo a pensare, impegnato com’era a rimpiangere gli eventi degli ultimi istanti. Ogni muscolo del suo corpo era in fiamme per il dolore; tra il ginocchio e l’anca massacrati, l’apparente inconsapevolezza di Téa dello scampato pericolo, e quell’innegabile brivido di attrazione fisica scoppiato come un fuoco d’artificio l’istante che si erano toccati pelle a pelle per la prima volta: non era certo un uomo felice. E il fatto che lei ignorasse il significato di ciascuno di quegli elementi non faceva che peggiorarli.
Luc era un uomo d’azione, uno che prendeva il comando. Garantito, aveva un istinto invidiabile, ma questo era sostenuto dalla logica e dalla capacità di prendere decisioni in una frazione di secondo, qualità che in passato gli avevano salvato la pelle innumerevoli volte. Avevano salvato anche quella di Téa, anche se lei pareva non rendersene conto.
Determinato a riprendere il controllo della situazione, indirizzò le tre donne verso il ristorante e le fece accomodare, andando in cerca del cameriere per ordinare.
«Grazie al cielo c’eri tu a salvare Téa da quel pazzo di un tassista» esordì Madama quando lui tornò al tavolo.
Luc si sedette e inchiodò Téa con un’occhiataccia. «Se sua nipote non rispondesse al cellulare nel mezzo di un incrocio, non dovrebbe preoccuparsi di non essere falciata da tassisti impazziti.»
Téa sorrise dolcemente. «Mia nonna mi