Nella tenda dello sceicco: Harmony Collezione
By Annie West
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About this ebook
Lo sceicco Amir ha giurato di redimere il nome della propria famiglia, così l'ultima cosa di cui ha bisogno è che nel bel mezzo del giro del suo regno nel deserto il suo harem si arricchisca di un'irresistibile bionda, con più carattere che vestiti addosso...
La focosa Cassie potrà anche essere stata rapita dai banditi e offerta allo sceicco come schiava, ma non accetterà mai di essere un giocattolo nelle mani di un uomo, anche se ricco, potente e affascinante come Amir. Certo che una settimana interamente trascorsa con lui in una tenda nel deserto...
Annie West
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Book preview
Nella tenda dello sceicco - Annie West
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Girl in the Bedouin Tent
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2011 Annie West
Traduzione di Carla Maria De Bello
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5898-416-1
1
Amir si diresse verso la tenda allestita appositamente per lui. Era stata una serata noiosa, la compagnia pessima. Giocare a fare l’ospite con il leader tribale di uno stato confinante non era certo il suo passatempo preferito. Specialmente quando aveva affari ben più importanti da concludere non appena tornato a casa.
«Altezza...» Faruq gli si affrettò incontro. «Dobbiamo consultarci prima che inizino le negoziazioni.»
«Non ora.» Amir scosse il capo. «Vai a riposare. Domani sarà una lunga giornata.» Specialmente per Faruq. L’assistente di Amir era un uomo di città, affatto abituato a quella selvaggia regione dalla diplomazia a dir poco improvvisata.
«Ma Altezza...» La protesta scemò, mentre Amir faceva un gesto in direzione delle guardie di Mustafa che accerchiavano la tenda. Apparentemente a protezione degli ospiti, ma in realtà per spiare il più possibile.
«C’è anche la ragazza» azzardò Faruq abbassando la testa.
Già, la ragazza.
Amir rallentò il passo mentre ricordava la donna che quella sera Mustafa gli aveva offerto con tanta ostentazione. Capelli biondi che scintillavano nella luce delle lampade come seta liquida. Luminosi occhi violetti che ricambiavano il suo sguardo con un’audacia che pochi avrebbero azzardato.
Quella combinazione di bellezza e provocazione per un attimo gli aveva strappato il respiro.
Qualcosa in quella ragazza aveva solleticato il suo interesse. Forse il modo in cui sollevava le sottili sopracciglia bionde in un’espressione che avrebbe reso orgogliosa un’imperatrice.
«Dubiti della mia capacità di gestirla?»
«Certo che no, Altezza. Ma c’è qualcosa... di strano.»
Strano era la parola giusta. A Montecarlo, Mosca o Stoccolma i suoi colori non avrebbero suscitato un secondo sguardo. E nemmeno gli occhi, dato che quel viola indicava certamente l’uso di lenti a contatto colorate.
Ma non lì, non in un selvaggio paese di frontiera abitato da nomadi e briganti.
«Non preoccuparti, Faruq. Sono certo che troveremo una qualche... sistemazione.»
Con un gesto di congedo Amir entrò nella tenda.
Chissà se era a letto ad aspettarlo? Forse sarebbe già stata nuda. Gli si sarebbe offerta con la delicatezza di una professionista.
Nonostante il disgusto, il cuore accelerò il battito al ricordo di una bocca in conflitto con il fuoco degli occhi, una bocca che prometteva un piacere che avrebbe provocato qualsiasi uomo.
Si tolse gli stivali poi scostò il drappo che bloccava l’entrata.
Un passo avanti e registrò la luce soffusa della lampada sul lato opposto della tenda.
Nessun segno della ragazza.
Controllò, i sensi improvvisamente in allerta. Un istante più tardi sollevò un braccio a bloccare qualcuno che lo assaliva nell’ombra. Qualcosa di pesante lo colpì e lui si voltò, afferrando il proprio aggressore.
Un voluminoso mantello cadde sul pavimento mentre un tintinnio di monete lo ammoniva sull’identità dell’assalitore giusto in tempo. Si ritrasse di scatto per evitare di atterrarla con un singolo colpo.
Le afferrò un braccio e glielo torse dietro la schiena. I movimenti erano controllati, rapidi, precisi. Aveva imparato a combattere con alcuni pesi massimi, ma non poteva usare simili tattiche su una donna, neanche su una che gli aveva teso un agguato nella sua stessa camera.
Fece per afferrarle l’altro braccio, ma prima di riuscirci lei si divincolò con un disperato movimento. L’istinto lo salvò. Un istinto affinato da anni di perfezionamento come guerriero e altri modi ben meno onorevoli di sopravvivere. Ruotò su se stesso e le cinse la vita con un braccio, proprio mentre una lama lo sfiorava alla base del collo.
«Dannazione!» La strinse con forza e il coltello cadde per terra. Senza rimorso agganciò un piede intorno alle gambe di lei facendola collassare per terra, quindi le si avventò addosso inchiodando i suoi polsi al tappeto proprio sopra la testa.
La vide immobile e per un attimo si domandò addirittura se respirasse, poi sentì il lieve movimento dei seni sotto di sé e un affannoso respiro tremante.
Lentamente si portò una mano alla gola. Un rivolo di sangue gli scendeva lungo la clavicola.
Lo aveva pugnalato!
Con la mascella serrata afferrò il coltello sul pavimento. Piccolo, affilato, splendido. Perfetto per sbucciare la frutta o infliggere serie ferite agli sprovveduti.
Imprecando lo lanciò dall’altra parte della stanza.
«Chi ti ha mandata? Mustafa?»
Non aveva alcun senso. Non c’era motivo per cui il suo ospite potesse volerlo morto, eppure il sangue sulla pelle era reale.
Quello era davvero un pessimo modo di ravvivare una spiacevole visita di dovere!
Un misto di ira e curiosità lo sorprese mentre osservava quelle labbra scarlatte ora dischiuse per respirare. Quegli occhi incredibilmente violetti, enormi sotto le palpebre porpora.
«Chi sei?» Le si avvicinò ancora, il viso a pochi centimetri da quello di lei, ma l’espressione della ragazza era vuota, come addestrata a celare qualunque paura.
Imprecando a denti stretti si sollevò su un braccio schiacciando però il proprio inguine contro il corpo di lei. E la mente non poté non registrarne la soddisfacente morbidezza, un innato invito che neppure la rabbia avrebbe potuto costringerlo a ignorare.
Si sforzò di rimanere lucido. Non era il momento di lasciarsi distrarre.
Se aveva avuto un coltello avrebbero potuto essercene altri. Rotolò su un lato mentre osservava il suo corpo seminudo. Non ci sarebbe stato posto per celare un’arma mortale, sotto quell’abito da danzatrice del ventre.
Poi lo sguardo scivolò più in basso, oltre la vita sottile e fino alla cintura sui fianchi. Sarebbe stata abbastanza ampia da nascondere qualcosa. Esitò. In tanti anni non aveva mai toccato una donna che non lo desiderasse.
La bocca si incurvò in una smorfia di disgusto.
Abilmente fece scivolare una mano sotto la cintura e lei eruppe in un convulso movimento. I fianchi si incurvarono mente le gambe lottavano invano per liberarsi.
«Ti prego, no!» Le parole risuonarono roche, non nel dialetto del luogo ma in una lingua che raramente lui aveva sentito lì.
«Sei inglese?»
Cercò il suo viso e l’espressione che le scorse negli occhi lo raggelò.
Puro terrore.
Fu quell’immobilità che alla fine squarciò il panico di Cassie. Quello, e il fatto che lui avesse fatto scivolare la sua mano sui vestiti e girato il palmo in alto come per placarla.
«Sei inglese?» tornò a chiederle, e le folte sopracciglia scure si aggrottarono in un cipiglio che accentuava i lineamenti del viso. Appariva fiero e mascolino.
Cosa importava che fosse inglese? Possibile che una nazionalità fosse più sicura di un’altra in un Paese dove i viaggiatori venivano rapiti e imprigionati?
Ormai non sembrava più arrabbiato, ma il peso del suo corpo e la presa sui polsi rammentavano chiaramente come fosse ancora alla sua mercé. Aveva pensato di salvarsi con un attacco preventivo, ma lui si era rivelato troppo veloce. Troppo forte. Troppo pericoloso.
«Per favore...» Fu un roco sussurro da una gola stretta di paura. «Non lo fare. Non violentarmi.»
Immediatamente lui si ritrasse, gli occhi spalancati e fissi su di lei.
«Credi davvero...?»
Il gusto metallico del terrore tornò a riempirle la bocca mentre ricordava come fosse stata inchiodata alla porta da un uomo che era il doppio di lei e con il triplo dei suoi anni. Aveva avuto soltanto sedici anni, ma riusciva ancora a rammentare perfettamente la sua mano grassa sotto la camicetta e l’altra sulla coscia, il suo peso a soffocarla mentre tentava di...
«Non farei mai una cosa del genere, non importa quale sia la provocazione.»
La voce dell’uomo risuonò carica di oltraggio, frantumando il passato. Sembrava lo avesse offeso nel peggior modo possibile.
«Preferisco che le mie donne siano consenzienti.»
«Allora lasciami andare.» Per quanto sembrasse indignato non poteva fidarsi solo della sua parola, non quando giaceva mezza nuda sotto di lui. Era troppo conscia del suo corpo possente che la imprigionava. Del profumo intrinsecamente virile della sua pelle nelle narici.
«Solo quando sarò sicuro che tu non nascondi un’altra arma.»
La ragazza spalancò gli occhi. Era questo che stava facendo? Cercando un’arma nascosta? Quando aveva sentito la sua mano sotto la cintura era convinta che...
La vista si offuscò mentre cercava di respirare oltre la nauseante risata che non riuscì a soffocare.
«Smettila! Adesso!» L’afferrò per le spalle e iniziò a scuoterla, e la risata morì bruscamente così com’era nata. Poi la lasciò andare.
Non riusciva a credere che lo avesse fatto. «Grazie.» Scivolò su un lato per rialzarsi in piedi ma la voce dell’uomo la trattenne all’istante.
«E quei segni sulla schiena? Cosa sono?»
Per fortuna non la toccò.
«Graffi, suppongo. Le guardie amano esercitare la loro autorità.» Ricordò il sadico scintillio negli occhi dell’uomo che le era saltato addosso. Aveva commesso l’errore di sfidarlo.
Lo sentì imprecare ancora. Le ci volle un attimo per realizzare come lo sguardo di lui fosse scivolato dalla catena intorno alla vita a quella più lunga e pesante unita a essa. Quella che la legava al letto sull’altro lato della stanza. Aveva passato ore nel disperato tentativo di liberarsi, ma non vi era riuscita neppure col coltello. Dita e unghie apparivano torturate dai tentativi.
Il rossore le imporporò le guance. Il simbolismo di quella catena, che la assicurava come una schiava al letto, era troppo evidente per non essere notato.
In silenzio lui afferrò il mantello dal pavimento e glielo porse.
«Tieni. Copriti.» L’ordine fu brusco, come se la vista di lei lo offendesse. Come se non fosse interessato a...
«Grazie.» Lo osservò accendere un’altra lampada e il braciere. Il caldo crepitio del fuoco la raggiunse, ma lei non riuscì comunque a smettere di tremare.
«Vieni. C’è del cibo. Ti sentirai meglio dopo che avrai mangiato qualcosa.»
«Non mi sentirò meglio finché non sarò fuori di qui!» Sollevò lo sguardo, tutto il risentimento focalizzato sull’uomo che aveva di fronte: alto, scuro, molto più irresistibile di quanto il semplice fascino potesse mai essere.
Lui le allungò una mano, e il solo pensiero di toccarlo di nuovo scatenò in lei un tremore lungo tutta la schiena.
L’istinto infatti le suggeriva che toccarlo fosse troppo pericoloso.
Finse di non notare quel gesto e si alzò in piedi da sola. Adesso la sua espressione era addirittura più severa.
«Chi sei?» Sentì la propria voce emergere stridente e provocatoria.
«Mi chiamo Amir ibn Masud al Jaber.» Inclinò la testa in un educato gesto di presentazione.
Cassie tentò di ricordare dove avesse sentito quel nome. Sapeva di non averlo mai incontrato prima. Una simile presenza sarebbe stata indimenticabile.
«Sono lo Sceicco del Tarakhar.»
Non c’era da stupirsi che conoscesse quel nome! Lo