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Omicidi a catena: eLit
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Omicidi a catena: eLit

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About this ebook

Charlotte Larkin ha un'officina da meccanico a Utopia, Montana, e strane voci circolano su di lei. Gli abitanti della cittadina sono convinti che sia responsabile di una serie di incidenti d'auto mortali, primo tra tutti quello del suo fidanzato. Così, quando lo scrittore di gialli Augustus T. Riley arriva in città per indagare su un omicidio, lei è l'indiziata numero uno. Riley però rimane affascinato da quella donna intrigante, e anziché provarne la colpevolezza si convince della sua innocenza. Ma a allora chi è il colpevole?

LanguageItaliano
Release dateJul 30, 2014
ISBN9788858927779
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    Book preview

    Omicidi a catena - B. J. Daniels

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Premeditated Marriage

    Harlequin Intrigue

    © 2002 Barbara Heinlein

    Traduzione di Maria Latorre

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2003 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5892-777-9

    www.harlequinmondadori.it

    Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.

    Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo.

    Prologo

    Fine settembre

    La luna rifletteva un bagliore argenteo sulla superficie del lago. I giovani amanti, nudi, stavano abbracciati nell’acqua, immersi fino alla cintola. A pochi metri di distanza, nascosta tra gli abeti, un’ombra solitaria vigilava. Cercava di decidere se ammazzarli subito o se aspettare.

    Non dovevano essere là.

    Nessuno si avventurava più lungo la strada piena di erbacce che s’inerpicava fino al lago Freeze Out. Non dopo tutte quelle tragedie. Nessuno era tanto stupido da avvicinarsi al lago di notte, né tanto meno da avventurarsi nell’acqua.

    Tranne quei due.

    Incominciarono ad accarezzarsi, labbra avide, mani frementi, corpi scintillanti sotto la luce della luna. Le spalle del ragazzo erano larghe e muscolose, i seni della ragazza eburnei e generosi.

    Il ragazzo l’attirò dove l’acqua era più profonda, si tuffò sotto la superficie. Lei rise, finse di respingerlo.

    Il lago era poco profondo, la siccità degli ultimi anni aveva abbassato il livello dell’acqua.

    Il ragazzo si allontanò a nuoto, chiamò la ragazza affinché lo raggiungesse, sparì di nuovo sottacqua, tornò in superficie per schizzarla. A pochi metri dalla riva, però, lui scomparve sott’acqua e la ragazza si fermò, quasi avesse intuito un pericolo.

    Poi il ragazzo riemerse di colpo. «Ehi!» gridò con voce tremante. «Qui c’è qualcosa.»

    «Cosa?»

    Lasciarli in vita non era più possibile.

    «Non lo so.» Adesso il ragazzo sembrava spaventato. «Qualsiasi cosa sia, ci sto sopra.» E compiendo il suo destino, scomparve di nuovo sotto la superficie.

    La ragazza continuò a nuotare, lo sguardo fisso sul punto nel quale lui era scomparso, ignara dei movimenti tra gli alberi, alle proprie spalle. Un ramo scricchiolò nel sottobosco.

    Lei girò di scatto la testa, spostando lo sguardo verso gli alberi, un’espressione allarmata dipinta sul viso, quasi avesse capito che qualcosa si stava avvicinando a loro nell’oscurità.

    Il rombo di un motore in lontananza la distrasse per un istante, ma quando tornò a guardare verso gli alberi, non scorse più traccia di movimento. Vide qualcosa, però. Forse la sagoma della persona nascosta, sulla sponda del lago. Forse soltanto il bagliore sinistro della lama di un coltello.

    Di colpo il ragazzo riemerse in superficie e incominciò a nuotare veloce verso gli abiti che aveva abbandonato poco prima sulla riva.

    «Che succede?» gli gridò la ragazza. «Che cosa stai facendo?»

    «Esci dall’acqua!» le gridò lui, il viso stravolto dall’orrore. Nuotava veloce verso la riva, verso quella che ingenuamente credeva rappresentasse la salvezza.

    Il rombo del motore si avvicinò. Qualcuno sopraggiungeva lungo la strada del lago. La luce dei fari fendeva a intermittenza la trama dei rami. Improvvisamente un pick-up comparve nella radura, si arrestò sulla riva.

    «Oh, Dio! È mio padre!» esclamò la ragazza. Era ancora a diversi metri dalla riva, nuda. In trappola.

    La luna implacabile la illuminò mentre s’immergeva fino al collo nell’acqua. Era nei guai, ma fino a quel momento non aveva capito quanto.

    Il padre scese dal pick-up, un fucile tra le mani. Imprecava.

    Il ragazzo, però, non parve accorgersi del fucile e neppure della propria nudità. Corse fuori dall’acqua gridando qualcosa a proposito di una macchina sul fondo del lago e di un cadavere.

    Tra gli alberi, la lama del coltello luccicò ancora per un istante prima di sparire nel fodero.

    Lo sceriffo avrebbe ordinato immediatamente di fare dragare il fondo del lago. Nel giro di poche ore avrebbe trovato la macchina e ciò che restava del cadavere seduto al volante.

    Ormai non c’era più niente da fare.

    1

    8 ottobre

    I fari fendevano l’oscurità, illuminando lo spiazzo in cui fermarsi.

    Augustus T. Riley rallentò e diresse la macchina noleggiata verso la zona erbosa sul ciglio della statale. Non vedeva un’altra auto da ore, aveva percorso decine e decine di chilometri lungo una strada fiancheggiata da alberi scuri e imponenti che adesso sembravano neri nella notte senza luna.

    Rimase fermo per qualche istante, avvolto dal mantello scuro della notte. I fari non riuscivano a diradare le tenebre. Non aveva mai visto una simile oscurità, soprattutto non nel luogo da cui proveniva. E certamente non alle sette di sera.

    Un fruscio d’ali attirò la sua attenzione. Un uccello svolazzò davanti ai fari prima di scomparire tra gli alberi.

    Dio, quel posto era desolato.

    Augustus accese la luce per consultare la cartina. La città doveva essere vicina. Era stato un viaggio lungo e massacrante e lui era stanco e affamato.

    Giunto a destinazione, non avrebbe avuto molti elementi su cui lavorare, soltanto un nome e un numero di telefono. In passato, però, gli era capitato di partire da indizi ancora più vaghi.

    Ripiegò la cartina, la depose nella ventiquattrore e uscì lasciando il motore acceso. L’aria era più fredda del previsto. Rabbrividì.

    Dalla foresta giungeva un odore putrido, sgradevole. Forse tra gli alberi era nascosta la carcassa di un animale in decomposizione, un cervo oppure un coyote. Non aveva nessuna intenzione di sincerarsene.

    Scuotendo la testa si avvicinò al cofano, lo spalancò e si curvò a ispezionare il motore. Un gemito gli fece sollevare di scatto la testa. Urtò contro il cofano sollevato, imprecando.

    Il gemito tornò a risuonare sopra di lui. Era il vento che agitava le cime degli alberi.

    Una risata gli salì alle labbra. Non si era accorto di essere tanto nervoso, eppure quel suono sinistro gli risultava alieno proprio come il paesaggio che lo circondava.

    Si sentiva sganciato dal resto della civiltà, perso nello spazio. Quanto avrebbe dato per scorgere le luci di un fast food o il casello di un’autostrada!

    Scuotendo la testa, si chinò di nuovo sul motore e si affrettò a fare qualche modifica fino a ridurne al minimo il funzionamento. A quel punto, soddisfatto, chiuse il cofano e tornò al volante.

    Ancora una manciata di chilometri, si disse nel chiudere lo sportello per rimettersi in marcia.

    In quel momento i fari illuminarono un segnale sbiadito. Lago Freeze Out 8 Km.

    La sterrata che conduceva al lago scompariva dopo qualche metro tra gli alberi, come inghiottita dalla foresta. Era là che erano stati trovati i cadaveri. L’aggressione del grizzly qualche anno prima era finita sulle prime pagine di tutti i giornali. Augustus non avrebbe mai dimenticato le foto della tenda da cui il grizzly aveva estratto quei poveri campeggiatori.

    E la settimana prima nello stesso lago erano stati rinvenuti anche l’auto e il cadavere di Josh Whitaker.

    Un fremito lo scosse mentre ingranava la marcia. Sembrava un posto maledetto, quello. Il motore minacciò di spegnersi e per un attimo temette di avere esagerato. Poi la macchina partì. Il motore funzionava ancora. A stento.

    Non aveva percorso neppure un chilometro quando incominciò a piovere. Goccioloni pesanti si schiantavano sul parabrezza e rimbalzavano sul cofano, rendendo la notte ancora più nera.

    Finalmente apparve un cartello: Utopia, Nevada.

    La città di Charlie Larkin.

    Augustus si aspettava un paesino, ma non era certo preparato alla vista di quelle quattro case scalcinate che sorgevano nel nulla. E se quella era la loro idea di utopia...

    Attraverso la pioggia, scorse immediatamente un’autofficina. Era difficile ignorare un edificio tanto grande. O tanto brutto. Le lettere dell’insegna, Larkin e Figli, Rifornimento e Autofficina, erano ormai sbiadite e quasi illeggibili. Due vecchie pompe di benzina spiccavano come fantasmi sotto una pensilina accanto all’officina dalle pareti ingrigite, in un angolo erano state abbandonate le carcasse di vecchie auto arrugginite.

    Augustus si fermò sotto la pensilina accanto a una delle due pompe. La pioggia picchiava insistente sul tetto di metallo. Spense il motore e guardò verso l’ufficio, domandandosi quale dei Larkin fosse di turno quella sera.

    L’ufficio, però, era immerso nel buio, con la sola eccezione di un orologio fosforescente appeso a una parete che segnava le sette e mezzo.

    Augustus non aveva neppure preso in considerazione l’idea che l’autofficina potesse essere chiusa. Non di venerdì sera, soprattutto perché, a giudicare da ciò che diceva il cartello esposto accanto alle pompe, il distributore successivo si trovava a più di cinquanta chilometri.

    Guardò lungo la strada. A eccezione di poche luci sparse, il buio la faceva da padrone. Imprecò a bassa voce e girò la chiave nell’accensione, senza sapere bene dove andare. Il motore non partì. Riprovò ad avviarlo. Ancora niente. Imprecando, sbatté i pugni contro il volante. Al diavolo lui e i suoi piani d’azione.

    La pioggia continuava a battere contro la pensilina metallica. Uscì dalla macchina e si abbottonò il giubbotto. Aprì il cofano, incominciò di nuovo a esaminare il motore, e proprio in quel momento gli giunse alle orecchie il rumore attutito di arnesi metallici e il suono indistinto di una canzone.

    Guardò verso l’officina con maggiore attenzione e soltanto allora scorse un fascio di luce che s’insinuava da una fessura sotto una porta laterale.

    Tornò correndo verso l’ufficio, aprì la porta. Non era chiusa a chiave. Lasciandosi guidare dalla musica, superò la prima officina e si diresse verso la seconda.

    Una lampadina brillava sotto la carrozzeria di una vecchia Chevy. La musica a tutto volume proveniva da una radio sgangherata appoggiata sul pavimento. Due stivaloni da cowboy sporgevano sotto la macchina.

    «Buonasera!» gridò Augustus.

    In risposta ebbe un grugnito, qualcosa che poteva assomigliare alla parola Chiuso.

    Ma Augustus non aveva fatto tanta strada per niente, senza contare che non poteva muoversi senza la macchina.

    «Devo parlarle della mia auto!» gridò ancora rivolto agli stivali, domandandosi come mai Larkin avesse dei piedi tanto piccoli. Sempre che quello fosse proprio Charlie Larkin.

    Questa volta la risposta gli giunse distinta. «Lunedì.»

    Lui non aveva nessuna intenzione di perdere un intero fine settimane in quel modo. E neppure l’opportunità di parlare con Charlie Larkin. Senza una parola si chinò a spegnere la radio.

    Un’imprecazione risuonò sotto la Chevy, seguita da un tonfo mentre il meccanico urtava la testa sotto la carrozzeria.

    «Se non le dispiace, vorrei che mi concedesse qualche minuto del suo preziosissimo tempo» ironizzò Augustus. La musica ad alto volume gli aveva procurato un mal di testa lancinante e non sopportava l’idea di continuare a essere ignorato.

    Dopo qualche istante il meccanico venne fuori dalla sua postazione di lavoro, si alzò in piedi e incominciò a pulirsi le mani su uno straccio.

    Augustus non riusciva a spiegarsi come un tipo così smilzo riuscisse ad apparire tanto arrogante con indosso una tuta unta e un cappellino da baseball in testa. E dire che con il suo metro e ottantacinque di altezza e gli ottantadue chili di peso riusciva immancabilmente a incutere timore in uomini ben più massicci.

    «La macchina mi ha abbandonato» riprese allora. «Ha smesso di funzionare all’improvviso e fuori piove a catinelle. Ho guidato per tutto il giorno e adesso sono stanco e affamato. Le chiedo soltanto di dare un’occhiata al motore, poi finalmente potrò andare a cercare un albergo in cui trascorrere la notte.»

    Il meccanico si lasciò sfuggire un sospiro innervosito mentre accendeva un’altra luce e si toglieva il cappello.

    «Sono certo che le ci vorranno soltanto pochi minu...» Le parole gli morirono sulle labbra alla vista della coda di cavallo rosso fuoco che uscì dal cappellino.

    Una voce di donna gli risuonò nelle orecchie. «Proprio non le riesce di accettare un no come risposta?»

    Non gli capitava spesso di trovarsi a corto di parole, ma in quel momento non riuscì a fare altro che fissare attonito il meccanico. Era una ragazzina, poteva avere al massimo diciotto anni. «E tu sei il meccanico?»

    Lei abbassò gli occhi sulla tuta da lavoro che nascondeva tutte le sue forme. «Perché? Non ne ho l’aspetto?»

    No, affatto. Sembrava una ragazzina che si era divertita a indossare la tuta del fidanzato e a giocherellare sotto il telaio della sua macchina mentre lui andava a comprare un paio di hamburger e delle patatine fritte.

    La ragazzina si avviò verso l’ufficio. Mentre gli passava accanto, Augustus lesse il nome scritto sulla targhetta che portava attaccata a una tasca. Charlie.

    Eccitato, si affrettò a seguire la ragazza. «Sull’insegna fuori c’è scritto Larkin e figli. Magari uno di loro potrebbe dare un’occhiata alla mia macchina. Perché non li chiami? Perché non chiami questo Charlie, il padrone della tuta che hai indosso?»

    Lei si fermò nel bel mezzo dell’ufficio per girarsi a guardarlo. «La tua macchina è quella parcheggiata là fuori?»

    E quale, sennò? Non ce n’erano altre, in giro. Augustus si limitò ad annuire. La ragazza spalancò la porta e si diresse verso l’auto. Lui la seguì.

    La vide sollevare il cofano, chinarsi a guardare il motore e poi gridargli di mettersi alla guida e di cercare di accendere.

    Obbedì, abbassando il finestrino per potere sentire ciò che lei gli diceva. Girò la chiave, il motore si accese a fatica, scuotendo tutta la vettura.

    Lei gli fece cenno di spegnere. «E sei arrivato in queste condizioni da Missoula?» gli domandò dopo avere guardato la targa.

    «È andata sempre peggio» mentì lui sporgendosi dal finestrino.

    La ragazza sollevò lo sguardo per incrociare il suo. Fino a quel momento non aveva notato il colore dei suoi occhi. Erano marroni, dello stesso colore delle lentiggini che le punteggiavano il naso. Chissà qual era il suo rapporto con Charlie Larkin? si domandò Augustus.

    Lei continuò a fissarlo concentrata, quasi si aspettasse che aggiungesse qualcosa.

    In circostanze diverse Augustus si sarebbe sentito in colpa per ciò che stava facendo, ma ormai erano anni che seguiva una regola ferrea: il fine giustifica sempre i mezzi, senza eccezioni. E visto che questo era un caso personale, Charlie Larkin non poteva che sperare nell’aiuto del cielo.

    «Non posso ripararla stasera» disse finalmente la ragazza nel richiudere il cofano.

    Cosa? Bisognava soltanto dare una regolata al carburatore. Qualsiasi meccanico sarebbe stato in grado di farlo, ma era evidente che quella ragazza non capiva un accidente di motori.

    «Lascia la chiave in ufficio e torna domattina» gli disse dirigendosi verso l’ufficio.

    Sbigottito, Augustus perse qualche secondo prima di schizzare fuori della macchina per raggiungerla. «Ehi, aspetta!» gridò. Quando la raggiunse, la splendida coda di cavallo era di nuovo sparita sotto il cappellino da baseball. «Cosa pensi che possa fare senza macchina, stasera? Piove a dirotto! Non potresti chiamare Charlie e chiedergli di ripararmi subito la macchina?»

    A quelle parole lei si girò di nuovo a guardarlo. La sua era un’espressione di sgomento e di incredulità al tempo stesso. «No, non posso.»

    «Quindi per stasera devo rinunciarci?»

    «Già.»

    Lui imprecò tra i denti. «C’è un posto qui in città dove potrei noleggiare un’altra macchina?»

    Ancora una volta, la ragazza lo guardò con aria di compatimento.

    «C’è almeno un posto dove trascorrere la notte? Che so, un albergo, un bed and breakfast?»

    «C’è Murphy’s a circa quattrocento metri da qui lungo la statale. È l’unico,

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