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Inferno a Chicago: eLit
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Inferno a Chicago: eLit

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About this ebook

Stone McQueen ha indagato per anni sugli incendi dolosi, ma quando era ormai a un passo dal catturare un piromane a cui dava la caccia, incapace di ottenere la fiducia e l'appoggio dei suoi uomini, ha lasciato il corpo dei vigili del fuoco e si è abbandonato all'alcol. Finché un altro incendio cambia di nuovo tutto: lo lascia senza casa e gli fa incontrare Tamara King, anche lei pompiere. Tamara lo ospita e insieme decidono di riprendere le indagini sull'incendiario assassino. Intanto un altro fuoco tormenta gli animi inquieti di Tamara e Stone...

LanguageItaliano
Release dateJan 30, 2015
ISBN9788858933664
Inferno a Chicago: eLit

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    Inferno a Chicago - Harper Allen

    Copertina. «Inferno a Chicago (eLit)» di Allen Harper

    BK / iStock / Getty Images Plus

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    McQueen’s Heat

    Harlequin Intrigue

    © 2003 Sandra Hill

    Traduzione di Maria Latorre

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2003 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5893-366-4

    www.eHarmony.it

    Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.

    Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo.

    Frontespizio. «Inferno a Chicago (eLit)» di Allen Harper

    1

    La bestia aveva divorato il suo mondo. Tamara King l’aveva guardata in faccia quando aveva cinque anni e a stento era sfuggita alle sue fauci. Adesso ne aveva ventisei, anzi, ventisette in capo a due settimane, e ancora combatteva contro la bestia.

    Faceva il pompiere. Odiava il fuoco.

    «C’è qualcuno qui dentro?» Dall’altro capo del corridoio Joey Silva le lanciò uno sguardo rapido, ma lei già aveva spalancato la porta con un calcio. Entrò, muovendosi in fretta tra le stanzette prima di tornare di corsa nell’andito.

    «Maledetti monolocali!» imprecò il collega. «Bombe a orologeria. Vieni, ho trovato un altro stramaledetto corridoio.»

    «Al diavolo.» Tamara guardò la scala alle sue spalle. «Un giorno di questi ti toccherà inventare qualche altra imprecazione, Joey.»

    Lui seguì la direzione del suo sguardo. «Non possiamo aspettare che ci mandino su la manica antincendio. Andiamo a stanare gli altri.»

    Lei lo seguì, niente affatto turbata dall’apparente cinismo del collega. Erano proprio il cinismo e l’irriverenza la parte principale della corazza protettiva che tutti loro dovevano costruirsi, chi in un modo, chi in un altro.

    Le strisce gialle sul giaccone di Joey erano macchie di colore fluorescente nel fumo. Tamara si portò una mano inguantata al petto per prendere la bomboletta di ossigeno. Seguì il collega lungo un corridoio secondario e si accorse che mentre i primi tentacoli di fumo si stavano già infiltrando dal corridoio che si erano lasciati alle spalle, quello che stavano attraversando era ancora sgombro.

    Cattivo segno, pensò, istantaneamente all’erta. Cerca di ingannarci.

    «La bestia è vicina.»

    Un sospetto identico fece serrare gli occhi anche a Joey. E nonostante la gravità della situazione, Tamara si ritrovò a nascondere un sorriso. Lei l’aveva sempre chiamato la bestia. Joey, invece, vedeva ogni incendio come una donna spietata che...

    I suoi pensieri si interruppero di colpo. In cima alla parete di fronte a loro si scorgeva un bagliore rossastro.

    «Dannazione, Joey, è sul soffitto» bisbigliò rauca.

    «Porca miseria! Può venirci addosso da un momento all’altro.» Joey si passò una mano sulla bocca. «Vieni, dolcezza, diamoci da fare. Quanto prima ci sbrighiamo, tanto prima usciremo di qui.»

    Le aveva assegnato quel nomignolo affettuoso sin dal primo giorno di lavoro, quando Tamara aveva varcato i cancelli della stazione dei pompieri sei anni prima, l’espressione dolce del viso, i capelli castani mortificati in una treccia che continuava a sciogliersi. E il fatto che adesso la chiamasse con quel nome non mascherava certo la sua apprensione. Tamara serrò gli occhi più che poteva.

    «Dov’è la tua bomboletta di ossigeno?»

    Joey si strinse nelle spalle. «Mi toccherà mangiare il fumo. Tu occupati di questa stanza, io controllo quella in fondo al corridoio.»

    Con un padre e un nonno nel corpo dei pompieri di Chicago, Joey avrebbe dovuto adoperare maggiore cautela, ma troppo spesso arrivava sul luogo di un incendio senza bombola di ossigeno e finiva col mangiare fumo, come dicevano i pompieri più vecchi.

    Scuotendo la testa, Tamara appoggiò la mano sulla porta e spinse.

    Le bastò posare lo sguardo sull’uomo che le dava le spalle, fermo davanti alla finestra, per capire che le avrebbe procurato guai.

    Era alto, almeno un metro e ottantotto contro il suo metro e sessantacinque. Mentre Tamara entrava, le parlò senza girarsi.

    «Non preoccuparti per me, amico. So badare a me stesso.» Aveva una voce piatta, atona. «Fino a ieri la stanza in fondo al corridoio era vuota, ma farai bene a controllare. L’incendio è scoppiato sotto il tetto, non hai molto tempo.»

    Lei soppresse la scintilla di rabbia che le si accese nel cuore di fronte a quell’atteggiamento scontroso. A eccezione dell’altezza e della larghezza delle spalle, quell’uomo non era diverso da tutte le anime perdute in cui si era imbattuta mentre correva nell’edificio. I capelli, di un bel castano scuro e troppo lunghi, gli sfioravano il colletto della felpa e i pantaloni cammello avevano visto giorni migliori. Perfino il cuoio delle scarpe era crepato.

    Non era un reietto. Era troppo imponente per essere un tossico, quindi la dipendenza che lo aveva condotto in quell’edificio fatiscente doveva essere l’alcol. Ciononostante, aveva percorso tanto a lungo la strada verso l’autodistruzione, da non rendersi neppure conto del pericolo che correva.

    Eppure sapeva che l’incendio era scoppiato sotto il tetto e ne aveva compreso le implicazioni. Tamara non aveva il tempo di chiedersi come o dove avesse ottenuto quel genere di conoscenza.

    «La sta già controllando il mio collega. Tu sei sotto la mia responsabilità, bello. Muoviti.»

    Senza dubbio lo sconosciuto aveva dato per scontato di avere a che fare con un uomo, perché nel sentirla parlare si girò a guardarla, spalancando gli occhi quando incrociò il suo sguardo. Le sorrise. Tamara batté le palpebre, le parve di avere preso la scossa.

    «Hai passato senza dubbio i test fisici del dipartimento, tesoro, quindi sarai certamente forte, ma io sono più alto e più grosso di te. Non riuscirai a farmi varcare quella porta, se non ne ho voglia.» Una levata di spalle concluse la frase. «Cerca il tuo collega e uscite di qui finché siete in tempo.»

    I suoi occhi avevano lo stesso colore del fumo, tanto chiari e in risalto sul colorito abbronzato che sembrava quasi che stesse guardando attraverso di lei. Tamara poteva spiegarsi l’abbronzatura, nonostante l’umidità di quel maggio piovoso. Gli uomini come lui accettavano i lavori più strani, per lo più all’aperto, per pagare il proprio vizio.

    Era difficile stabilire quanti anni avesse. A giudicare dal viso spigoloso, poteva essere sui trentacinque, forse trentasei anni, e sebbene il suo sorriso non contenesse né umorismo né calore, per un attimo lo aveva trasformato. Non molto tempo prima, quell’uomo doveva essere stato una persona diversa, si disse Tamara con improvvisa certezza. E anche se adesso gli aleggiava intorno un’aura distruttiva e pericolosa, chissà che effetto aveva avuto quel sorriso sulle donne prima che la sua vita prendesse quella brutta piega.

    Che te ne importa, King? Tamara accantonò adirata quelle considerazioni. Il passato di quell’uomo non era affare suo e non la riguardava sapere neppure come e perché era arrivato a quel punto. Il suo compito era trascinarlo fuori, che lui lo volesse oppure no.

    Non sarebbe stato facile. Si era sollevato fino ai gomiti le maniche della felpa, mettendo in evidenza mani forti e braccia muscolose, formidabili. Lei raddrizzò le spalle, gli afferrò un braccio con la mano inguantata.

    «Non è così che funziona» gli disse con una nota impercettibile di rabbia nella voce. «Io sono un pompiere. E se hai anche la più pallida idea di ciò che questo significa, saprai anche che non posso lasciarti qui.»

    «Sì che puoi. Anzi, lo farai.» Il braccio di lui aveva la stessa consistenza del marmo, il suo tono di voce era ancora più duro. «Te lo dico in parole povere, tesoro. Non voglio che rischi la vita per uno come me.»

    «Questo significa che siamo entrambi a corto di fortuna, tesoro, perché rischiare la vita fa parte del mio lavoro e non intendo fare un’eccezione ora.»

    Per lo spazio di un attimo i loro sguardi si incrociarono, quello di lei freddo e ostinato, quello di lui opaco e illeggibile. Poi esalò un sospiro forte e si irrigidì.

    «Negli ultimi anni la mia coscienza è riuscita a sopportare tutto ciò che la vita mi ha scagliato addosso, ma perfino io ho un limite» disse con voce strozzata. «Hai vinto. Cerchiamo il tuo collega e andiamocene.»

    L’intero incontro si era svolto in una manciata di secondi, eppure Tamara ebbe l’impressione di essere appena uscita da dieci round contro il pugile Holyfield e di avere vinto per un cavillo tecnico. Mentre tornava nel corridoio, si sentiva profondamente consapevole dell’uomo che la seguiva. Insomma, che problema aveva?

    O meglio, che problema aveva lei? Non era difficile comprendere quello dell’uomo. In una grande città come Chicago, centinaia di persone pensavano di essere arrivate al capolinea, ormai troppo stanche del dolore e degli sforzi necessari per andare avanti. E allora come mai Tamara aveva la certezza che se non fosse riuscita a tirarlo fuori di là non se la sarebbe mai perdonata? Che non sarebbe mai riuscita a dimenticare lo sguardo distante di quegli occhi grigi che solo per un attimo avevano catturato i suoi?

    Perché questo è il mio turno, si ricordò brusca. Se quest’uomo dovesse decidere di buttarsi da un ponte la prossima settimana, okay. Ma che non si permetta di farla finita durante il mio turno.

    «Dov’è il tuo collega?»

    Uscendo dalla stanza e chiudendosi con cura la porta alle spalle - caspita, sapeva anche questo degli incendi! - lo sconosciuto la guardò accigliato. Lei si sentì bruciare gli occhi, si rese conto che il fumo si era infittito. E attraverso quella cortina vide la sagoma di Joey stagliarsi sulla porta in fondo al corridoio.

    «Arriva» replicò. «A quanto pare avevi ragione. Non poteva esserci nessuno in...»

    Accanto a lei, lo sconosciuto si irrigidì, sollevò gli occhi verso l’alto. Tamara seguì la direzione del suo sguardo e trasalì.

    «Muoviti!»

    Tamara non aveva neppure fatto in tempo ad aprire bocca, che già lo sconosciuto aveva gridato quell’ordine a Joey. «Dannazione, amico, datti una mossa! Ci viene addosso il tetto! Qui crolla tutto!»

    Joey spostò l’attenzione sul rosso pulsante sopra di lui e un lampo di paura gli attraversò il viso. Quando guardò verso Tamara, una strana espressione gli aleggiava negli occhi. «C’è qualcuno...»

    Ma non riuscì a portare a termine la frase. Sin da quando era entrata in quel corridoio, Tamara aveva sentito un rombo sordo che proveniva dal tetto. Sapeva che era la bestia che si alimentava, che consumava l’aria del sottotetto per guadagnare tanta forza da sfondare il soffitto per trovare un’altra ricca vena di ossigeno.

    Come se una porta si spalancasse di colpo sull’anticamera dell’inferno, le travi del soffitto si stagliarono nere contro un’onda cremisi. Gli stivali di Joey calpestarono pesanti il pavimento mentre correva disperato verso di loro. Poi, all’improvviso, Tamara vide le travi svanire nel nulla e seppe con tremenda certezza che l’amico non ce l’avrebbe fatta.

    «Indietro!» urlò, ma quel grido fu sovrastato dal rombo del fuoco che si riversava trionfante di sotto. Un braccio potente le afferrò il corpo, la trascinò via mentre il viso terrorizzato di Joey scompariva dietro la parete di fiamme che era scesa a dividerli.

    Tamara cercò la bombola di ossigeno, ma una mano potente le afferrò il polso in una morsa ferrea.

    «Non c’è tempo. Corri!»

    «Joey è il mio compagno di squadra!» gridò lei. Furibonda, si girò ad affrontare lo sconosciuto, ma lui già la stava trascinando via, correndo come un disperato. Superò gli ultimi metri con un balzo tirandola dietro di sé.

    In un attimo si ritrovarono a volare per aria. Un braccio potente le si strinse intorno. Tamara si ritrovò con il viso affondato contro la felpa di lui. Nello stesso istante, il pavimento si sollevò verso di loro.

    La bestia aveva bisogno di ossigeno. E nell’attimo stesso in cui l’aveva trovato, aveva spalancato le fauci e risucchiato tutta l’aria del corridoio, sostituendola con un calore ustionante capace di bruciare ogni cosa con cui entrava in contatto.

    Mi toccherà mangiare il fumo. Joey era rimasto intrappolato in quella tempesta, pensò Tamara incredula. E lei avrebbe fatto la stessa fine, se non fosse stato per la reazione dell’uomo che adesso la teneva stretta a sé. L’ondata di aria incandescente passò con un rombo sopra di loro, si spense nel nulla. Soltanto allora Tamara si azzardò a sollevare la testa. Le era caduto il casco a terra, i capelli le scivolavano sugli occhi.

    Il viso di lui era tanto vicino al suo, che le sue ciglia le sfiorarono la guancia.

    «Tutto a posto?» le chiese con voce rauca e lei annuì, incapace di parlare. Lui serrò i denti. «Dobbiamo uscire di qui» le disse alzandosi. «Il soffitto può crollare completamente da un momento all’altro.»

    Aveva ragione, ma Tamara scosse la testa. «Il mio amico è là dentro. Devo andare a prenderlo.»

    «Il tuo amico sarà già morto» replicò lui brusco. «Non volevo che gettassi la tua vita per me e non resterò a guardare mentre fai lo stesso per lui. Era un pompiere, sapeva a quali rischi andava incontro.»

    «Già, ma se ci fossi io al suo posto, Joey correrebbe il rischio per venirmi a salvare.» Tamara prese fiato. «Anch’io sono un pompiere. E non abbandono un amico in difficoltà, dannazione!»

    Mentre tornava di corsa verso le fiamme, sentì i passi dello sconosciuto risuonarle alle spalle. Lo sentì che la afferrava di nuovo per un braccio e che la faceva girare su se stessa. Si preparò a cantargliene quattro. Nello stesso momento, però, vide qualcosa con la coda dell’occhio.

    E la vide anche lui, perché smise di strattonarla. E anziché trattenerla, si precipitò insieme a lei in quella direzione, verso la sagoma ondeggiante che emergeva in quel momento dalle fiamme per cadere subito dopo riversa a terra.

    «Joey!»

    Buttandosi in ginocchio, Tamara rigirò l’amico e rabbrividì. La bestia lo aveva preso. Aveva il viso arso e mentre lei gli appoggiava la maschera di ossigeno sulla bocca, lo vide aprire a fatica gli occhi, scostare la mascherina, socchiudere le labbra.

    «Non parlare, Joey. Non sforzarti, per l’amor del cielo» lo esortò, cercando di rimettergli la mascherina. «Stanno arrivando gli altri con la manica antincendio.»

    L’amico la respinse con una forza che non si aspettava, socchiuse di nuovo le labbra.

    «Per l’amore di Dio, Joey, non...»

    «Cosa c’è, amico?» Lo sconosciuto la zittì con un’occhiataccia. «Sta cercando di dirci qualcosa. Cosa, amico?»

    Joey strabuzzò gli occhi, si sforzò di prendere respiro e di sollevare la testa, aggrappandosi con tutte le forze al giaccone di Tamara. «Una bambina» ansimò. «La madre è... è morta. La bambina è scappata. Troppo... troppo fumo per vederla, la torcia si è rotta.» Detto questo, ricadde a terra, il suo sguardo incatenato a quello di Tamara ancora per un istante prima di perdersi nel vuoto.

    Tamara imprecò contro se stessa e contro il mondo. Non era una bugia pietosa, quella che aveva raccontato a Joey. La squadra antincendio stava davvero arrivando, già si sentivano i rumori delle asce che fendevano ogni ostacolo. Ma se là dentro c’era davvero una bambina sola, lei non poteva perdere tempo ad aspettare i rinforzi.

    «Resta con lui» sentenziò alzandosi. «Io vado...» Poi batté le palpebre. Lo sconosciuto non era più al suo fianco. Sollevò di scatto la testa e spostò gli occhi verso il fuoco, appena in tempo per vedere una figura muscolosa slanciarsi tra le fiamme.

    «King, grazie a Dio. Dov’è...» La voce della caposquadra, Chandra Boyleston, si tramutò in un grido di comando. «C’è un uomo a terra! C’è un uomo a terra, maledizione!» Poi tornò a occuparsi di Tamara. «Scommetto che Silva non aveva la bombola di ossigeno.»

    Lei tacque. «C’è un civile, là dentro. Joey ha riferito di aver visto una bambina. Voleva portarla fuori, ma lei è scappata. E stava venendo da me a prendere la torcia quando... quando...» Incapace di proseguire, spostò gli occhi verso la parete di fiamme che divideva in due il corridoio, poi si chinò a raccogliere il casco e se lo rimise in testa. «Un civile è andato a cercare la bambina. Devo seguirlo.» E senza aspettare la risposta della Boyleston, si precipitò lungo il corridoio, coprendosi il viso con una mano mentre si avvicinava alla torbida massa cremisi e arancio.

    Accanto a lei una parete esplose tra le fiamme, ma anziché accrescere la sua paura, le procurò un’insolita sensazione di calma.

    «Vuoi me» sentenziò. «Vuoi me, l’uomo e la bambina. Forse riuscirai a prendere uno di noi, forse prenderai me e l’uomo, ma se là dentro c’è una bambina, di sicuro non ti permetteremo di prendere lei.»

    Detto questo, aspirò quanto più ossigeno poteva, tornò a coprirsi il viso con la mano inguantata, si preparò a saltare attraverso le fiamme. E quasi inciampò per la sorpresa quando vide lo sconosciuto uscire dalla parete infuocata.

    La felpa aveva preso fuoco e il suo viso era

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