Sesso, bugie e...: eLit
By Renee Roszel
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About this ebook
Che importa se Devlin Rafferty è bello come il demonio, oltre che affascinante e terribilmente sexy? Laura Todd ha una missione da portare a termine: andare in Irlanda e rintracciare l'erede di un'ingente fortuna. E questa sarebbe di per sé un'ottima ragione per evitare Devlin come la peste anche se anche non avesse giurato di girare al largo dagli uomini, visto che le hanno spezzato il cuore non una, ma ben due volte! Vero è, che concedersi qualche momento piacevole con lui non guasterebbe... Solo che quei momenti si rivelano un po' troppo piacevoli e rischiano di trasformarsi rapidamente in qualcosa di molto serio. Devlin, infatti, sostiene che per lui si è trattato di amore a prima vista. Ma ci sarà da fidarsi?
Renee Roszel
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Sesso, bugie e... - Renee Roszel
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Sex, Lies And Leprechauns
Harlequin Temptation
© 1994 Renee Roszel Wilson
Traduzione di Anna Polo
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
© 1995 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5894-009-9
www.harlequinmondadori.it
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1
Devlin Rafferty era tentato di sorridere, una cosa che non gli capitava da quando, due settimane prima, se ne era andato dal suo ufficio sbattendo la porta, pieno di rabbia e di sensi di colpa. Ma là, in quel posto assurdo, la dogana dell’aeroporto irlandese di Shannon, cominciava davvero a divertirsi. Purtroppo chi ne faceva le spese era la giovane donna in fila davanti a lui.
La osservò mentre tentava di spiegare come avesse fatto il suo telecomando a finire nella valigia.
Non aveva decisamente l’aria della terrorista, decise Devlin, con quei capelli biondi e mossi, il vestito un po’ troppo leggero per il clima irlandese e le comode scarpe senza tacco. Veniva chiaramente da una zona degli Stati Uniti dove faceva già caldo e non aveva idea di quanto fosse inadatto il suo abbigliamento.
Doveva essere circa sui trent’anni, era minuta, con gambe slanciate che Devlin si trovò a osservare con interesse. Il tono della voce, però, era decisamente turbato.
«Senta, non so proprio come abbia fatto il telecomando a finire in valigia» ripeté. «Forse perché ho preparato i bagagli in fretta. Insomma, non sono un tipo pericoloso!»
Il funzionario della dogana la fissò diffidente.
«E io dovrei crederle sulla parola?» chiese sarcastico. «Giusto il mese scorso ho beccato una nonnina dall’aria innocente con mezzo chilo di esplosivo al plastico in valigia! E quella continuava a ripetere che era plastilina per i nipotini! Non faccia l’errore di credere che sia tanto facile fregarmi.»
Mise da parte il telecomando e riprese a ispezionare il contenuto della valigia con aria determinata.
Con le guance rosse per l’indignazione, la donna cercò di sottrargli un reggiseno di pizzo nero.
«Se non le dispiace, tenga le mani a posto mentre faccio il mio dovere» la rimproverò seccamente l’agente.
La donna si guardò intorno e colse lo sguardo divertito di Devlin.
«Cos’ha da guardare, lei?» sbottò irritata.
«Scusi» mormorò lui voltandosi.
Anche così, però, poteva seguire i suoi movimenti con la coda dell’occhio.
«Ah, e questa cos’è?» chiese il doganiere trionfante, sollevando un sacchetto pieno di una sostanza bianca.
«È sapone in polvere» spiegò la donna.
«Questo lo dice lei. Potrebbe essere droga.»
«Droga?» ripeté l’altra incredula. «Santo Dio, è sapone ipoallergenico speciale per...»
Si interruppe un attimo, poi si avvicinò all’agente e parlò in un bisbiglio, abbastanza forte, però, perché Devlin potesse sentire.
«È per la biancheria intima. Sono allergica ai detersivi normali e dovendo partire in fretta, ne ho messo un po’ nel sacchetto» spiegò.
«Oh, ma certo!» assentì l’altro ironico.
Poi aprì il sacchetto e ne rovesciò il contenuto sui vestiti ammassati alla rinfusa nella valigia.
L’altro agente gli lanciò uno sguardo di rimprovero. In effetti, stava esagerando.
Vedendo le sue cose cosparse di sapone in polvere, la giovane donna emise un gemito strozzato e cominciò a saltellare furiosamente e ad agitare i pugni. Devlin pensò a un folletto delle leggende irlandesi, ma in quel caso non si trattava certo di un folletto felice.
Quella donna non doveva essere un’esperta viaggiatrice, o non si sarebbe portata dietro un sacchetto di polvere bianca senza alcuna etichetta e un telecomando. Devlin sperava per lei che non avesse in valigia qualcos’altro di compromettente o avrebbe passato le vacanze in una prigione irlandese.
«Le ha dato di volta il cervello, razza d’irlandese bacato?» scattò furibonda. «Ha cosparso di sapone tutte le mie cose!»
«Devo confiscare il suo detonatore, signorina» le comunicò il doganiere impassibile. «E veda di moderare il linguaggio, o sarò costretto ad arrestarla per oltraggio a un pubblico ufficiale.»
«Ma non è un detonatore!» protestò lei.
«Non mi contraddica. E ora si muova» ribatté brusco l’altro.
Lei lo fissò incredula.
«Cosa... Dove?»
Appariva confusa e turbata, chiaramente incapace di accettare quello che le stava succedendo. Devlin decise di intervenire prima che si cacciasse in altri guai. Si fece avanti, sistemò il contenuto della valigia in modo che potesse chiudersi e le parlò con calma.
«Il signore dice che può andare. Obbedisca, prima che cambi idea» aggiunse a bassa voce, mettendole in mano la valigia.
«Ma... ma... ha il mio telecomando!» protestò l’altra.
«Si consideri fortunata che abbia preso solo quello. I doganieri irlandesi sono molto sospettosi. Ma evidentemente questo ha ritenuto che lei sia più sprovveduta che pericolosa.»
La ragazza sbarrò gli occhi di un castano dorato.
«Anche lei fa parte del comitato di benvenuto?»
«Su, si muova, signorina» la incitò il doganiere. «Ho del lavoro da fare, io.»
Devlin intervenne di nuovo.
«Forse lei ha tutta la giornata da buttar via, ma io no» disse brusco. «Su, vada» aggiunse, indicandole l’uscita. «Anche una gallina capirebbe che è il caso di tagliare la corda» finì esasperato.
Lei gli lanciò uno sguardo di fuoco.
«Il cervello di gallina l’avrà sua moglie, dato che ha sposato un idiota come lei!» sibilò di rimando.
Poi alzò il mento con aria di sfida e si allontanò.
Per la prima volta da varie settimane Devlin percepì il dolore di un’altra persona e si sentì un verme per averla trattata tanto rudemente. D’altra parte, non aveva avuto il tempo di adottare un comportamento più gentile. Si consolò con l’idea che almeno la donna si era tolta dai guai.
Devlin rivolse a malincuore l’attenzione al doganiere. Mentre attendeva che lo facesse passare, non riusciva a scacciare dalla mente l’immagine di quel folletto ingenuo e impetuoso dai capelli biondi e gli occhi castani.
Laura Todd fissava senza vederla veramente la magnifica facciata di pietra ricoperta d’edera della locanda di Dingle Bay. Non riusciva a concentrarsi, ancora furiosa per l’incontro all’aeroporto con lo sconosciuto dai capelli scuri e il giubbotto di pelle. Come aveva osato insinuare che avesse il cervello di una gallina? Che farabutto!
Cercò di consolarsi pensando che la sua camera era in cima alla graziosa torre che sorgeva accanto alla locanda, separata dal corpo principale. Certo, non era facile arrivare fin lassù: il padrone le aveva spiegato che stavano per costruire una vera scalinata, ma per il momento doveva arrangiarsi con una scaletta alquanto ripida e malconcia.
D’altra parte, la camera era deliziosa, con il suo vecchio caminetto di pietra, il letto d’ottone coperto da una trapunta colorata, i fiori selvatici che traboccavano dai vasi e il morbido tappeto fatto di pelle di pecora.
Appena arrivata si era cambiata, indossando un paio di jeans e un maglione per adattarsi al clima irlandese, assai diverso dal caldo perenne della Florida.
Quillan Phelan, il padrone della locanda, era venuto a prenderla all’aeroporto con un pulmino. Durante il viaggio Laura aveva osservato terrorizzata le auto che tenevano la guida a sinistra, secondo l’usanza inglese.
Per fortuna lo splendido paesaggio l’aveva distratta, con le sue alte scogliere che scendevano a picco sul mare. La locanda era stata costruita alla fine dell’Ottocento sulle rovine di un antico castello e aveva una facciata davvero imponente.
Laura sospirò piano, sopraffatta da quel primo contatto con il vecchio mondo. L’Irlanda si stava rivelando un posto pittoresco e affascinante, se non fosse stato per un rude doganiere e un irritante turista americano.
Una raffica di vento gelido la investì e Laura tornò verso la torre. Cominciò a salire la ripida scaletta verso la sua stanza, ma d’un tratto scivolò malamente all’indietro. Una gamba restò intrappolata tra due scalini e lei lanciò un grido atterrito. In quel momento un’ombra apparve sulla porta della torre.
Era un uomo, o meglio, uno schianto d’uomo. Anche nella scarsa luce si notavano le ampie spalle e le gambe muscolose strette nei jeans.
«Tutto bene? Stava salendo?» chiese con voce profonda.
«Oh, sicuro!» sbottò Laura. «Sto solo aspettando l’autobus.»
«Già. Mi scusi, domanda stupida» ammise l’altro.
Laura stava per suggerire che in quel momento aveva bisogno di una mano, non di scuse, quando si trovò sollevata riuscendo così a estrarre la gamba rimasta in trappola. Poi un paio di braccia forti la rimisero in piedi. Quando riuscì a mettere a fuoco il viso che le stava davanti, Laura si lasciò sfuggire un grido inorridito.
«No! Non lei! Cos’è, una specie di maledizione irlandese?»
Indossava ancora i jeans e il giubbotto di pelle che aveva all’aeroporto e la stava fissando con la stessa aria divertita. Alla dogana era troppo confusa e arrabbiata per notare quanto fosse attraente.
«Vedo che mi ha riconosciuto» commentò. «Non ha un’aria molto allegra: nessun altro piacevole contrattempo, dopo l’aeroporto?»
«Stavo benissimo fino a un minuto fa» ribatté Laura piccata. «E comunque, come ha fatto ad arrivare fin qui?»
«Ho noleggiato una macchina» rispose lui cacciandosi le mani in tasca. «A proposito, è stato un vero piacere aiutarla.»
Laura arrossì al suo tono sarcastico, ma dovette riconoscere che aveva ragione: era arrivato giusto in tempo per aiutarla. Senza il suo intervento, avrebbe potuto farsi davvero male.
«Suppongo di doverle un ringraziamento» ammise di malavoglia.
Lui le tese la mano.
«Già. Sono Devlin Rafferty di Chicago» si presentò.
Lei la strinse in fretta.
«Laura Todd, di Tallahassee, in Florida.»
«È qui in vacanza?»
Laura scosse la testa.
«No, per lavoro.»
Lui parve sorpreso.
«Ah sì? E di cosa si occupa?»
Una gelida raffica di vento entrò dalla porta aperta