37 giorni senza aerei
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About this ebook
Alessio Vanni indaga il proprio intimo meccanismo disegnando il "durante" dell'emergenza legata al Coronavirus. Emerge un libro che ascolta il respiro del mondo e cerca la scintilla per muovere il cambiamento.
Un libro delicato, che avvolge il lettore verso le vette maestose e irraggiungibili della conoscenza.
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Book preview
37 giorni senza aerei - Alessio Vanni
edizioni
Copyright
© Copyright Argot edizioni
© Copyright Andrea Giannasi editore
Lucca, luglio 2020
1° edizione
Tutti i diritti sono riservati. Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633).
ISBN 978-88-32281-56-9
I lettori che desiderano informazioni possono visitare il sito internet: www.tralerighelibri.com
Idea di copertina di Flora Del Debbio realizzata da Simone Tardelli.
dedica
Alla tua inesauribile vitalità
che giorno dopo giorno non mi stanco
mai di scoprire e che mi dona
un’inarrestabile voglia di conoscere il mondo.
E alla tua luce, bianca, che seduce,
avvolge ogni luogo in maniera diversa,
personale, e ne introduce la scope
PRIMA
Un pescatore è seduto sulla riva del Tago nei pressi del Ponte 25 de Abril. Un tassista distratto trasporta alcuni turisti da una parte all’altra di Manhattan. Circa 4750 animali vengono uccisi dagli esseri umani solo in questo preciso istante. Sedici aerei sono decollati nel mondo da quando i vostri occhi si sono posati su questa pagina. Io sto guidando, sto accelerando.
Tutti stanno accelerando.
Nessuno sa spiegarsi il perché di questa follia, lo facciamo e basta.
Ogni giorno, ogni ora, ogni secondo assecondiamo il sistema di cui facciamo parte.
Ogni istante condanniamo noi stessi senza neanche rendercene conto.
Siamo di fronte ad una curva repentina e il nostro tempo per una possibile frenata sta diminuendo drasticamente. Sono ormai 10.000 anni che abbiamo iniziato ad accelerare, e negli ultimi 250 siamo diventati dei veri maestri nel farlo.
Abbiamo ucciso, depredato, incendiato, estratto, calpestato, martoriato più di ogni altra specie su questo pianeta. Siamo stati, e siamo tuttora, abili nel commettere crimini e altrettanto abili nel nasconderli.
Ci siamo sentiti padroni, re, sovrani, possessori di interi luoghi ed ecosistemi; ne abbiamo modificato i confini, le forme, i contenuti come nessun’altra forma di vita aveva fatto mai prima d’ora.
Sempre di più, sempre più veloci.
Sempre con quell’idea in testa che tanto è sempre stato così
, che le cose faranno comunque il loro corso e che giungeremo come al solito a una di quelle soluzioni della quale potremo vantarci di aver trovato.
Ci siamo inculcati nella testa l’idea di essere immortali e abbiamo reso questa idea il fondamento del nostro modo di vivere.
Niente di più sbagliato per una specie che invece proprio dalla certezza della morte dovrebbe saper estrapolare il valore della sua stessa esistenza, e fare spazio a questo valore, farlo crescere.
Prima le cose stavano così.
Stavano che eravamo diventati potenti come collettività sacrificando la nostra individualità. Eravamo diventati dominatori incontrastati delle forze che regolano il nostro mondo, pagando però tale dominio con la totale perdita della nostra umanità, del nostro rapporto con il circostante.
Fa male accorgersi che qualcuno sta morendo. Fa ancora più male accorgersi che lo sta facendo in modo atroce. Più di tutto però, fa male non accorgersi di essere vivi.
Questa era la normalità. La normalità di essere al mondo ma non nel mondo.
La nostra partecipazione alla vita si limitava ad un semplice respiro inerziale. I giorni erano numeri, date, scadenze, appuntamenti. Il tempo aveva smesso di essere importante; tutto scorreva in maniera amorfa.
Secondo i migliori linguisti del nostro tempo la lingua italiana (enciclopedica e lessicale) contiene circa 427.000 parole. Di queste soltanto 47.000, che rientrano nella categoria del Lessico comune, sono conosciute e adoperate da chi ha un’istruzione medio-alta. Le parole che usiamo più spesso però sono molte di meno e si aggirano intorno a 6500, con le quali copriamo il 98% dei nostri discorsi. Tra queste soltanto una parola più di ogni altra è in grado di descrivere il mondo com’era prima: troppo.
Letteralmente