Gabriele Paolini, genio e sregolatezza
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Gabriele Paolini, genio e sregolatezza - Rita Vitali Rosati
Gabriele Paolini, Genio e Sregolatezza
Rita Vitali Rosati
Copyright © 2020 Rita Vitali Rosati. Tutti i diritti riservati.
Pubblicato da Felis Edizioni
ISBN 978-1-716824-94-4
Prefazione di Rita Vitali Rosati
Canzoncina extra-vagante per Gabriele
Le anime belle hanno una prerogativa, quella di non essere comprese nella loro attualità, come presenze attive, innovative, istintuali, in armonia con una loro precisa funzione, quella di splendere di luce propria, schiudere orizzonti nuovi per chi rimane in ascolto. Questa è l’aura con la quale si da forma e sostanza alla personalità di Gabriele Paolini, una presenza inquietante, raffinata, sofisticata, ardita e dilagante che nelle dualità sofferte e apparentemente ostentate con dura consapevolezza hanno esercitato, nel complesso e perverso sistema dei media, fascino e allarmismo, interrogativi e innamoramenti, deliri e ovazioni, disprezzi e altrettante autentiche esaltazioni. Respirando, con caparbia curiosità, l’energia della strada, in un camminamento fatto di incontri, di albechiare al risveglio del mattino, di principi azzurri, di contrasti, di dissidi, risolti vissuti animati a pieni polmoni davanti al palcoscenico che è il mondo.
Scrivere non è inventare
, ci ricorda l’immensa Alda Merini: io mi rivolgo ai vivi, a tutti quei vivi che fintamente hanno la presunzione di vivere scimmiottando come brutte fotocopie chi, invece, ha il coraggio di rivolgere la propria anima all’Assoluto, nel bene come nel male, perdendola e ritrovandola, in una geometria mobile di luci, profetizzando come un inquieto poeta del fluire atomizzato la metastasi necrofila di un sistema, quello televisivo e non solo, che quotidianamente ci propinano, ben confezionate, notizie ridotte a mere speculazioni dello spettacolo, vanagloriose, inutili, volgari e per di più dannose anche ai bambini al di sotto dei dodici anni. E se Enrico Ghezzi nel suo pamphlet Il mezzo è l’aria
stigmatizza già nel 1998 che è il mezzo stesso che provoca quella alterazione rispetto la realtà stessa che, senza l’occhio della mente, da il senso giusto alla comunicazione, l’utilizzo della tele-visione
rende inermi i fruitori, chiamiamoli con il loro nome, tele-spettatori, (zombi
li apostrofava Carmelo Bene), gonfiando a dismisura il proprio ego disumanizzato e infantile, irresponsabile e con le stigmate del chierichetto.
Di questo e di molto altro ne è stato da subito consapevole Gabriele Paolini il quale, intromettendosi en plein air tra le innumerevoli circostanze chiamate dirette
senza bussare, è entrato nelle case degli italiani per urlare, voce fuori dal coro, le ipocrisie, le aberrazioni, gli insulti, le falsità che il sistema chiama comunicazione/informazione. Diventando, di diritto, senza nessun genere di assunzione regolare da parte dell’azienda Rai, personaggio, presenza egotica, in un panorama senza panorama dove la vera scenografia è l’habitat domestico di ogni casa, di ogni famiglia oggi munito di smartphone e altre diavolerie accessoriali. Entrando nel Guinness Word Records, (Guinnes dei Primati) per le innumerevoli, instancabili, reiterate ed eroiche incursioni come un pirata: mi viene in mente lo Sceicco bianco
di Federico Fellini, di bianconero vestito, dondolarsi sospeso in quella zona metafisica tra l’astrazione e il funambolismo che alla fine dei conti, la sposina ammaliata dal sogno ingenuo dei suoi giovani anni, scopre non essere poi il vero premio dalle vita.
Così ha fatto da sempre Gabriele, consapevole che le vere storie che rendono illuminanti la verità nella loro bellezza sono nel loro andirivieni tra i significati e i significanti di un gioco non sempre giocoso e divertente del quale lui stesso ne è regista e interprete. Un gioco a volte spietato, accidentato, dove l’apparire e il subitaneo sparire nello stare in mezzo, nascosto ma ben visibile diventa esso stesso il mezzo che, come ripeteva Marshall McLuhan rendono riconoscibile il messaggio: Gabriele messaggio di se stesso, boicottando e superando i limiti di questo accessorio, la televisione, oramai reso a solo patetico elettrodomestico.
Il potenziale espressivo di Gabriele si accende nei momenti di alta tensione, dove il subconscio, (quello che non si può governare appunto perché nascosto), opera in simbiosi tra l’attività dell’intelletto, il corpo, generando accelerazioni della fantasia in una successiva produzione performativa, orgiastica, aggiungo, raggiungendo con le energie della psiche un annullamento somatico di eventuali malesseri e altrettante insidie, trasfigurate, destabilizzanti. Portando sulla fronte la ferita madre di molte stagioni, dissestata e non disgiunta dal proprio passato, dal proprio destino smanioso e dirompente, coincidendo con il suo lavoro che è il medesimo, quello che infine lo sostiene. Il linguaggio di Gabriele, apparentemente mimetico resiste a una logica chiara, aspra, vorrebbe sembrare crudele nel tentativo rituale di aprire scorci di disarmante umanità, di calma commozione.
Come negli Scritti corsari
di pasoliniana memoria Gabriele Paolini mette tutto se stesso a disposizione solo e unicamente di un proprio personalissimo credo e, …come mi ricordava mio fratello Claudio, il non aver giurato fedeltà a nessuna patria, non risparmia la coscienza di chi possiede il senso dell’etica e dell’onestà, situati vicino al cuore.
Non certamente vicino al buco del culo.
Come diversamente si distinguono invece i signori della politica.
(Sembra un finale sconcio, l’ho scritto appositamente, non è una giustificazione, è, semmai, un parlare chiaro, troppo chiaro, troppo, troppo… ma Gabriele, a volte citandomi come nei diversi altri incontri non solo romani ha espresso una affezione indefettibile : tradotto nel suo significato più trasparente lo interpreto come un segnale di vicinanza nella