Il magico del potere riordino emotivo: Per spazzare via ciò che ti impedisce di essere felice - Mindfulness e decluttering in azione
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Il magico del potere riordino emotivo - Donald Altman
assieme.
PRIMA PARTE
RICONOSCERE ED ELIMINARE LA SPAZZATURA EMOTIVA DEL PASSATO
Il corpo e la mente agiscono come un personale contenitore attraverso cui la consapevolezza viene purificata e ripulita o intorbidita e offuscata dal ciarpame emotivo del passato che si appiccica addosso. In questa parte svilupperai l’abilità di ripulire la tua consapevolezza e svuotare il tuo contenitore da vecchie e persistenti ferite mentali, nonché dalle credenze autoinflitte. Farlo vuol dire arrivare al cuore di una profonda e positiva trasformazione.
1.
Esci dall’ascensore emotivo
Aiutami ad amare il lento avanzare
a non avere pregiudizi
che il su sia meglio del giù e viceversa.
Aiutami ad apprezzare la via di mezzo.
— GUNILLA NORRIS, BEING HOME⁴
Le cose vanno come vuoi, ottieni la grossa promozione che volevi, compri la nuova casa che desideravi da sempre, sei felice di te stesso, ti viene fatto un bel complimento e l’ascensore va su.
Oppure le cose non vanno come vuoi, ti ammali, il partner ti lascia, pensi di non essere all’altezza, l’amico ignora il tuo sms e l’ascensore va giù.
Aprire gli occhi è il tuo biglietto per uscire dall’ascensore. Vuol dire sapere cosa ne preme i pulsanti. Con questo fantastico dono, all’improvviso ti rendi conto che il vero premio è liberarsi di quei pulsanti, anziché pigiarli ossessivamente come un topolino da laboratorio che cerca di ottenere una ricompensa o evitare una scossa.
Sì, andare su e giù in ascensore può essere esaltante. Ma anche stancante ed estenuante. Sei pronto a scendere? Se è così, sei pronto per questo dono davvero speciale, trasformare le macerie emotive del passato. Essere completamente sveglio è un cammino verso la gioia, verso la pace.
L’aria estiva indugiava pesante e umida all’interno della grande sala dove sedevo con settantacinque altri meditanti durante un silenzioso ritiro di dieci giorni nello stato di New York. Avevo gli occhi chiusi e meditavo da mezz’ora o più. Ero consapevole del mio respiro che entrava e usciva, mentre l’addome si espandeva e si comprimeva. Provavo un senso di pace e tranquillità. E poi...
Un rumore forte e inaspettato infranse il silenzio come il crepitio di un tuono. La nostra guida, un lama tibetano, batté le mani insieme producendo a gran voce un breve monosillabo che suonava come PEIIAY
. Dopo questo iniziale scossone, disse quasi scandendo: Chi sta prestando ascolto? Chi c’è lì dentro? Chi è seduto? Chi sta meditando? Chi o che cosa sta premendo i vostri pulsanti e vi fa stare bene o male? Dov’è quella voce che commenta su tutto e tutti? Chi? Che cosa? Dove?
.
Le domande del lama trafissero la mia coscienza come una saetta. Dov’era esattamente quella persona nella quale ero arrivato a identificarmi? C’era davvero qualcuno lì dentro? Da dove proveniva la voce nella mia testa, quella che non sembrava la mia vera voce? Quella che pareva non voler mai tacere, che cercava sempre attenzione e conferme, ossia uno dei motivi per cui meditavo.
Per un momento gli ingranaggi nella mia testa smisero di girare. Non riuscivano ad analizzare le impenetrabili domande del lama. Per un breve istante, forse esasperata, la mente si fermò e tutto ciò che rimaneva era consapevolezza. Il vociare dell’ego, che racconta in continuazione storie di ogni tipo, era cessato. Non c’era più, lì tra i piedi, un io
. Solo aperta consapevolezza. Solo questo. Solo l’istante. Solo presenza.
Le domande del lama forse sembrano strane. Particolarmente se si vive in una cultura, anzi no, un mondo dove avere una forte personalità ti porta in TV, dove l’iniziativa individuale e la creatività sono qualità molto ricercate e dove lo stimolo costante rende la contemplazione e il guardarsi dentro meno compresi o addirittura attivamente evitati.
Di fatto, uno studio condotto da alcuni psicologi dell’Università della Virginia e della Harvard University, pubblicato sulla rivista Science, indica che non siamo molto disposti a indugiare sui nostri pensieri.⁵ Ai soggetti era stato chiesto di rimanere da soli con i propri pensieri per 6-15 minuti in una stanza chiusa di un laboratorio o a casa; tuttavia i partecipanti, da un terzo alla metà, hanno imbrogliato e ascoltato musica o usato il telefono. In uno studio successivo, i ricercatori hanno posto i soggetti in una stanza dove potevano autoinfliggersi volontariamente una scossa elettrica anziché stare da soli con i loro pensieri. Più della metà si è inflitta la scossa.
Essere presenti senza una qualche forma di stimolo è davvero così spaventoso? Cosa faresti, se potessi scegliere? Che cosa fai tu quando sei da solo? Se temi gli indesiderati scenari che la mente può evocare quando viene lasciata a se stessa, è perfettamente comprensibile. Per verificare la capacità della nostra mente di spaventarci a morte, i ricercatori hanno analizzato studenti universitari in tredici diversi paesi e sei diversi continenti.⁶ I risultati, pubblicati sul Journal of Obsessive-Compulsive and Related Disorders hanno riscontrato che il 94% dei partecipanti aveva sperimentato un pensiero indesiderato nei tre mesi precedenti, di solito una qualche forma di dubbio intrusivo. Una percentuale minore aveva sperimentato una specie di pensiero intrusivo ripugnante. Ecco perché spesso scrivo quanto segue sulla lavagna del mio ufficio:
I pensieri non sono necessariamente fatti.
Il più delle volte non ci si avvicinano nemmeno.
Immagina, per un momento, di essere seduto su una bellissima spiaggia a Malibu, quando all’improvviso ti viene il pensiero più ansioso e preoccupante al mondo. A parte qualche californiano abbronzato con l’asciugamano, su quella spiaggia non c’è assolutamente niente di pericoloso. Eppure, un pensiero spaventoso può produrre un potente effetto, compromettendo la gioia e l’esperienza di quel momento.
Cosa succede invece se ti limiti a osservare lo stesso pensiero vedendolo come null’altro che una sensazione mentale? In altre parole, supponi di vederlo come se non differisse da una sensazione fisica, a parte il fatto che sta avendo luogo nella mente. Tu non sei una sensazione fisica, vero? Una sensazione fisica è un qualcosa di momentaneo e fugace nel corpo. Allo stesso modo, tu non sei una sensazione mentale. I pensieri sono un processo naturale e ciò significa che il cervello è al lavoro, una bella cosa. A non essere utile però è quando il costante rimuginio ansioso di pensieri e desideri, i resti dei relitti di emozioni passate, devia il cervello dall’esperienza del momento presente.
Anziché fare la guerra ai tuoi pensieri, combattendoli o temendoli, puoi adottare un approccio più diplomatico o distaccato, usando la mindfulness. Per rendere meglio l’idea, ho intervistato Paul Harrison, un meditante di lunga data e regista di The Mindfulness Movie. Ha detto di aver intrapreso un’importante trasformazione nella consapevolezza, che gli ha cambiato drasticamente la vita:
Da giovane ho avuto un’esperienza in cui ho capito che non ero l’ego. È successo un pomeriggio. Ero seduto alla scrivania e mi sentivo molto frustrato a causa della mia meditazione. Poi ho notato l’albero di limoni fuori dalla finestra e ho iniziato a fissare uno dei limoni fino a perdere del tutto la coscienza di me. Ero così assorbito dal limone da non essere consapevole del tempo o dell’ambiente circostante. Poi è accaduto un subitaneo spostamento nella percezione e ho capito che la fonte del pensiero, quel momento prima che un pensiero affiori di fatto alla mente, era in realtà vuoto. Era una vuota consapevolezza viva e completa, che permeava il vuoto dell’universo. E alla fine ho capito che l’io
era semplicemente uno strumento prodotto dalla mente. Pensiamo di averne bisogno. Ma c’è qualcosa di molto più profondo in tutti noi.
Quel cambio di prospettiva è rimasto in me per tutta la mia vita e mi ha tenuto ancorato. In passato a motivarmi era il denaro, ma ora so che anche il denaro è uno strumento. Quel cambio di prospettiva mi ha aiutato a riequilibrare la vita, ecco perché ho trascorso più tempo con i miei figli quando erano piccoli e avevano maggiormente bisogno di me; so che godermi del tempo di qualità nella vita per me vale più delle cose che molti di solito trascorrono così tanto tempo ad acquisire.
Dopo quell’esperienza, non ho mai avuto tendenze depressive. È merito della consapevolezza interiore, per la quale uno stato di tristezza è semplicemente qualcosa che sta attraversando la mente. Esiste uno stato di distaccata consapevolezza che guarda con oggettività alla tristezza. Questo non vuol dire che non perdo l’equilibrio! Ma quantomeno so in linea generale che devo iniziare a tornare al mio stato di equilibrio. L’universo diventa consapevole di se stesso attraverso il corpo e la mente, e quando te ne rendi conto... è questo il dono.⁷
Per aprire gli occhi, guarda oltre il dirottatore
L’aperta consapevolezza, una presenza potente priva di preoccupazioni, sensi di colpa e paura, è un tuo diritto innato. Prenditi un momento per immaginare cosa sarebbe o a cosa assomiglierebbe. È come osservare i nostri stati mentali da una distanza di sicurezza. Come dimostra la storia di Paul, un modo per uscire dall’ascensore consiste nel non essere così attaccati, o nel non lasciarsi dirottare dal punto di vista io-centrico
, quello che mi piace definire io, me, mio
.
Supponiamo, per esempio, di gettare per aria un secchio pieno di vernice rossa. L’aria viene colorata o macchiata dalla vernice? No, non cambia affatto. È sempre e solo aria. L’aperta consapevolezza è così: non viene influenzata dai nostri pensieri egocentrici basati sull’io
, riferiti a eventi che vanno e vengono. I pensieri sono come quella spruzzata di vernice che in realtà non si attacca all’aria.
Coltivando l’aperta consapevolezza puoi lentamente staccarti dai filtri limitanti dell’io, me, mio
, allentando pertanto la tendenza a identificarti con il flusso infinito di pensieri che ti mantengono teso, nervoso e reattivo. Questa mera consapevolezza non prende posizione, non aggiunge nulla alla tua esperienza né vi sottrae qualcosa. Non giudica i pensieri né definisce chi sei sulla base del contenuto della mente. La consapevolezza si limita a osservare senza un programma, se non quello di permetterti di essere consapevole, presente e rilassato.
STRUMENTO DI VITA:
MEDITAZIONE PER SMETTERE DI ANDARE IN ASCENSORE
Non occorre acquistare nessuna attrezzatura speciale per uscire dall’ascensore emotivo e coltivare l’aperta consapevolezza. Scendere è un processo in cui si permette alla mente di tranquillizzarsi e si diventa presenti nel corpo. Questo strumento di vita ti aiuta in tre semplici passaggi. Per iniziare, trova un ambiente naturale in cui non essere interrotto per cinque o dieci minuti (darsi la scossa è facoltativo). Qualsiasi ambiente naturale va bene: un parco, un cortile con un albero o un arbusto, un giardinetto con qualche filo d’erba. Un cielo con delle nuvole è sempre bello; è un modo per lasciar spaziare lo sguardo lontano, molto lontano.
1. Guarda se la mente riesce a svuotarsi osservando il cielo e le nuvole. Vedi se, solo per un secondo, riesci a perderti nel fogliame di un albero e nei suoi rami. Osserva come, anche per una frazione di secondo, in quel momento tra i pensieri l’io
svanisca. C’è solo l’osservatore, solo consapevolezza. Solo spazio tra i pensieri. È il tuo sé più grande, senza confini. Che meraviglia!
2. Non importa se hai un sacco di cose in mente. Non aspettare di aver finito le faccende, il lavoro o altre attività. Anzi, è meglio se per questo esercizio ti fermi nel bel mezzo di quelle richieste mentali. Noterai la resistenza della mente all’idea di sedersi e osservare. Mentre sei seduto, osserva semplicemente cosa fa la mente, come reagisce, commenta, divulga, si distrae, si riempie di desiderio, brama, evita, vuole portare il corpo altrove, prorompe in pensieri intrusivi e così via. Che incredibile spettacolo! Non combattere nulla. Puoi anche dirle: Ciao di nuovo, mente. Grazie per questi pensieri
, dopodiché tornare alla natura. Se provi emozioni, osserva quali sono e dove le senti nel corpo. Alla fine (anche se alla fine
è relativo), la mente capirà che non hai intenzione di combatterla e che questo gioco non è divertente.
3. A prescindere da quanto spesso la mente si intromette, ricordati di respirare. Espira lentamente. Riporta poi lo sguardo alla natura. Non c’è limite a quanto o quando puoi svolgere questo esercizio. Provalo a pranzo per un minuto o a casa per un’ora in giardino. In seguito, quando hai finito, siediti ed esamina le seguenti domande. Io consiglio di annotare le risposte in un diario da consultare leggendo questo