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Il futuro è adesso: Gli ultimi discorsi
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Il futuro è adesso: Gli ultimi discorsi
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Il futuro è adesso: Gli ultimi discorsi

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About this ebook

“Tutto il tempo – il passato, il presente e il futuro – è contenuto nell’adesso. Non è solo una teoria, questo si applica alla vita! Cosa avete intenzione di fare se domani è adesso? Il tempo è un elemento della paura. E la paura è un fattore comune a tutta l’umanità. Questa paura può essere totalmente distrutta? Chi vi parla dice che è sicuramente possibile; che può essere fatto in modo radicale. Chi vi parla sta dicendo che la paura può essere completamente eliminata. Vedrete allora che bellezza immensa c’è in questo, un senso di assoluta libertà, il senso dell’immensità e della grandezza della libertà”. – J. K.

Il futuro è adesso è la raccolta degli ultimi discorsi tenuti nel 1985 in India da Jiddu Krishnamurti a gruppi e leader religiosi. Krishnamurti vi discute, tra le altre cose, gli aspetti spirituali della vita quotidiana, le responsabilità individuali nelle azioni della società e la natura del cambiamento.
LanguageItaliano
Release dateMar 31, 2020
ISBN9788868206680
Il futuro è adesso: Gli ultimi discorsi
Author

Jiddu Krishnamurti

J. Krishnamurti (1895-1986) was a renowned spiritual teacher whose lectures and writings have inspired thousands. His works include On Mind and Thought, On Nature and the Environment, On Relationship, On Living and Dying, On Love and Lonliness, On Fear, and On Freedom.

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    Il futuro è adesso - Jiddu Krishnamurti

    1986

    Introduzione

    Era l’ultimo viaggio di Krishnamurti in India. A Saanen, in Svizzera aveva già dichiarato che non avrebbe più fatto dei discorsi in quella terra e aveva scritto a un amico:

    Abbiamo passato quattro giorni incantevoli, sempre con il sole, e la vallata ci sta dicendo addio.

    Durante l’ultimo discorso a Saanen aveva raccontato ancora una volta la storia di Nachiketa, il ragazzo che era stato spedito alla casa della Morte perché faceva troppe domande. Era un antico racconto indiano tratto dal Katha Upanishad, ma la versione di Krishnamurti era diversa: più romantica, ambientata in un tempo ideale in cui gli uomini mantenevano la parola data e periodicamente donavano ciò che avevano accumulato. Questi dettagli non sono presenti nell’originale, che non ha un tono romantico.

    Il Nachiketa di Krishnamurti è pieno di domande impossibili, è ingenuo ma sufficientemente astuto da respingere le tentazioni che la Morte gli offre con una semplice osservazione: Tu ci sarai alla fine. Ci sarai sempre alla fine di tutto.

    A parte il fatto che aveva quasi novantun anni, Krishnamurti non era molto diverso dal Nachiketa che descriveva. Aveva il dono di Nachiketa di trasformare ogni situazione in una domanda, persino in una benedizione; trattava la morte con la confidenza di Nachiketa e aveva la sua innocente generosità.

    Il padre di Krishnamurti, nelle sue memorie registrate poco dopo l’integrazione del figlio nella Società Teosofica, ne descrisse quell’innocente generosità che non perse mai:

    Al mattino, quando i mendicanti vengono a casa, è nostra abitudine portare loro una tazza o una ciotola di riso crudo e distribuirlo a turno tra le mani tese finché la ciotola non è vuota. Una volta, mia moglie mandò Krishna a dare l’elemosina e il piccolo tornò per averne ancora, dicendo che aveva versato tutto nella borsa di un uomo solo. Allora sua madre andò con lui e gli insegnò come distribuire il riso tra tutti.

    In età avanzata, l’uomo innocente e il saggio convivevano. Era arrivato in India nell’ottobre del 1985 dopo avere parlato a Saanen e a Brockwood Park, in Inghilterra, per dire addio a quel paesaggio familiare, alle persone che aveva conosciuto e ai luoghi in cui era cresciuto. Era venuto anche per lasciare la sua casa in ordine.

    A Rishi Valley e Rajghat, su un terreno acquistato per lui dalla signora Annie Besant negli anni Venti, erano cresciute grandi istituzioni educative. C’erano scuole dedicate a esplorare i suoi insegnamenti in un contesto scolastico a Bangalore, a Madras e a Bombay. Tutte queste istituzioni educative facevano parte della Krishnamurti Foundation in India, un organismo legalmente registrato di cui era presidente. Vasanta Vihar, una casa nella zona di Adyar a Madras, era il quartier generale della fondazione e l’indirizzo che usava nel suo passaporto come domicilio. C’erano fondazioni anche in Inghilterra e in America con istituzioni educative ben consolidate.

    Krishnamurti fu anche l’uomo che nel 1929 aveva sciolto l’ordine della ricca organizzazione che gli era cresciuta intorno dal 1909, quando era stato scoperto dai teosofi. Successivamente aveva dichiarato che la verità non può essere organizzata e aveva rinunciato alle proprietà dell’organizzazione.

    L’apparente contraddizione tra l’uomo che rifiuta le organizzazioni spirituali e quello che alla fine della sua vita si trova alla testa di molte di esse era stato risolto nel lontano 1929, concludendo il famoso discorso con cui aveva sciolto l’Ordine:

    Ma coloro che desiderano comprendere, che vogliono scoprire ciò che è eterno, senza inizio e senza fine cammineranno insieme con maggiore intensità, saranno un pericolo per tutto ciò che non è essenziale, per le irrealtà, per le ombre. E si uniranno, diventeranno fiamma perché comprendono. Dobbiamo creare un gruppo di questo genere e questo è il mio scopo. Perché da quella vera amicizia […] nascerà una vera cooperazione tra tutti. E questo non per via di un’autorità.

    L’appassionato interesse di Krishnamurti, soprattutto quando stava invecchiando e si preoccupava dello stato di salute delle organizzazioni che lui stesso aveva costituito, era quello di creare un tale gruppo di amici. Allo stesso tempo, i suoi criteri per quanto riguarda l’amicizia erano rimasti molto esigenti: l’amicizia non poteva prosperare dove c’era l’invidia, il confronto, la possessività. Era convinto che solo una profonda e duratura bontà potesse tenere insieme le persone. E i frutti della bontà erano magici.

    Una mattina, nell’inverno del 1984 a Rishi Valley, seduto al tavolo per la colazione, nel bel mezzo di una banale conversazione ci chiese: Se un angelo vi dicesse che potreste avere tutto ciò che volete per questo posto, cosa chiedereste?.

    Menzionammo diverse cose – acqua, una nuova cultura, una nuova mente – ma con poco entusiasmo, sapendo che le nostre risposte erano scaturite dal piacere del momento per poi essere messe da parte.

    Lui fece proprio questo e continuò: Quando siamo venuti qui nel 1926, la nostra intenzione era quella di creare spazi per l’illuminazione dell’uomo. È ciò che sta succedendo?.

    Ancora una volta era una domanda difficile e ammettemmo che non stava succedendo.

    Quindi Rishi Valley è esattamente come il mondo esterno?. Dicemmo che si trattava di un microcosmo, che avevamo gli stessi problemi ma su scala minore.

    Fate attenzione a come rispondete, disse. Il mondo esterno è fatto di guerra, grande rancore, lotta, invidia. Li avete anche qui? Ci sono anche dentro di voi?.

    Rispondemmo che sebbene queste cose non fossero attive in noi, i loro semi erano lì e, vista la situazione, anche noi potremmo esserne capaci.

    Ci chiese se potevamo estirpare tutto ciò.

    Se lo facessimo, l’angelo ci darebbe ciò che vogliamo?.

    Disse semplicemente: .

    Krishnamurti arrivò a Nuova Delhi da Londra il 25 ottobre e procedette poco dopo per Varanasi.¹ Aravindan, il noto cineasta del Kerala, stava ultimando The Seer Who Walks Alone, basato sulla vita di Krishnamurti. Ai primi di novembre, con l’inverno appena iniziato, Rajghat, a Varanasi, era l’ambientazione ideale per il film, con inquadrature del pescatore solitario che gettava la sua rete su un placido fiume, di un uccello che volava nello spazio tra il cielo e il fiume, il sole che tramontando diventava un’aureola per il saggio che diceva: L’uomo non è la misura di se stesso.

    Krishnamurti camminava con Aravindan lungo l’antico sentiero del pellegrino, asfaltato e molto sfruttato dai camion in quel tratto, che portava alle rive del fiume Varuna. Attraverso il ponte provvisorio di bambù arrivarono all’altra sponda, dove il sentiero del pellegrino, lì stretto, polveroso e circondato dal grano invernale, offriva una vista scintillante del Ganga [il Gange] e proseguiva fino a Sarnath. Lì, il Buddha aveva predicato per la prima volta 2500 anni prima. La cinepresa di Aravindan catturò il ritorno di Krishnamurti attraverso il ponte con il barcaiolo che durante il monsone, quando il ponte non c’era, traghettava uomini e animali sull’altra sponda del fiume.

    C’era un’altra strada che percorreva ogni giorno, anche quando le sue gambe avevano cominciato a venirgli meno: era lungo il sinuoso sentiero del campus della scuola, dopo l’anfiteatro in cui gli studenti del Vasanta College avevano recitato da poco in uno spettacolo sulla vita del Buddha. Il sentiero terminava in una ripida scalinata che scendeva sul campo giochi di forma circolare e su una moschea, separata da un recinto di filo spinato e sorvegliata da un pigro custode. Lungo un crinale in fondo ai gradini, un sentiero stretto portava al cimitero degli ufficiali,² spazio da tempo in disuso e dedicato ormai a casette per gli ospiti del nuovo centro che sarebbe stato allestito per coloro che fossero seriamente interessati a studiare gli insegnamenti di Krishnamurti.

    Krishnamurti girava spesso attorno al campo giochi con amici parlando di molte cose, ma soprattutto delle domande che per lui erano diventate di vitale importanza: cosa sarebbe accaduto alle molte istituzioni che aveva creato? Sarebbero andate in pezzi senza qualcuno che le tenesse insieme? Qual era il futuro delle Fondazioni? E ogni volta che completava un giro, salutava il custode della moschea perché non voleva che si sentisse isolato, escluso.

    Il ritorno, su quella ripida scalinata, era fonte di ansia per i suoi amici: non sapevano mai se sarebbe riuscito ad arrivare in cima senza cadere. Una volta, una donna gli offrì la sua mano come appoggio. Con la sua abituale galanteria la prese per un momento, spiegò che voleva tenere la mano ma disse: Non voglio diventare dipendente da nessuno. L’ultima parola fu detta con un’enfasi e uno sguardo tali che diede alla donna un’idea dell’ignoto silenzio che ci attende.

    Non fu durante queste passeggiate, ma nella sua camera da letto al piano di sopra, che parlò dei luoghi sacri come luoghi di apprendimento, e quindi, per definizione, luoghi oltre i confini dei rituali, delle chiese, dei templi e delle moschee. Disse che un posto è sacro se è contraddistinto da tre caratteristiche: dalla religiosità delle persone che ci vivono, dai pellegrini che ci vanno per amore della verità e dalla sua capacità di sostenere la vita.

    Quell’inverno a Rajghat, Krishnamurti aveva spesso in mente la signora Besant. Il 6 novembre fu invitato alla Loggia Teosofica di Kamaccha e accettò. Andò alla vecchia casa della signora Besant, Shantikunj. Fece il giro della vecchia casa con il sole del tardo pomeriggio che la inondava. Si sedette sul grande chowki su cui la signora Besant lavorava e riposava durante il giorno. Per coloro che avevano conosciuto la signora Besant e Krishnamurti sin dai primi giorni fu un momento emozionante. Chi aveva vissuto tutto quel periodo, lo considerò un giorno di grande benedizione: Il figlio visita la casa di sua madre dopo un intermezzo di quarantacinque anni. Forse per dirle addio. Ma quando qualcuno chiese a Krishnamurti se ricordava quel posto, la sua risposta fu molto semplice: È passato tanto tempo, ma a quanto pare io ho vissuto qui.

    Il 16 novembre ci fu il festival di Diwali e Krishnamurti passò la serata con i suoi amici a guardare i fuochi d’artificio dalla sua casa sull’argine lastricato che si erge alto sopra il Gange. I fuochi spargevano nel cielo senza luna grandi luci colorate e la città di Varanasi brillava in lontananza. Krishnamurti salì sulla terrazza della casa per riaccendere le lampade che si erano spente e per ammirare lo scenario. Era una serata meravigliosa in cui la sacralità era appesa come una tenda su Rajghat.

    Ci furono altri intrattenimenti: una serata di canti vedici da parte dei bramini locali vicini alle scuole del tempio e alla casa del Maharaja di Varanasi, musica tradizionale e un’ora di Kathak danzata da Aditi Mangaldas.

    Il 7 novembre Krishnamurti iniziò una serie di discussioni con un gruppo di studiosi buddisti esperti di sanscrito e di tibetologia che si erano riuniti attorno a lui sin dai primi anni Settanta. Facevano parte di una lunga tradizione di ricercatori che attraverso le loro attività accademiche, impegnativi dibattiti filosofici e la ricerca interiore avevano conservato una tradizione religiosa per migliaia di anni.

    Tra loro c’era Pandit Jagannath Upadhyaya. Panditji, come lo chiamavamo, che era impegnato nella realizzazione di un’edizione critica del Kalachakratantra, un testo Mahayana che analizzava l’insegnamento del Bodhisattva Maitreya. Composta tra il nono e l’undicesimo secolo, l’opera rappresenta una tradizione di saggezza molto più antica, che Panditji una volta aveva descritto come il lignaggio dell’uomo. La descrizione di Panditji aveva toccato una corda sensibile in Krishnamurti, che aveva modificato la frase per dire il lignaggio della conoscenza.

    Erano presenti anche Rinpoche Sandong, dell’Istituto Tibetano di Sarnath, e i professori Krishnanath e Ram Shankar Tripathi, entrambi di istituzioni educative locali.

    Davanti a questa assemblea di studiosi, Krishnamurti sollevò due questioni: Esiste qualcosa di sacro, qualcosa di duraturo […] in India, in questa parte del mondo? e: Se c’è, perché questa parte del mondo è così corrotta?.

    Krishnamurti rispose ad ambedue le domande che aveva posto. Alla prima verso la fine della discussione, quando furono sollevate diverse questioni poi accantonate e l’assemblea era rimasta in silenzio. Alla seconda basandosi su un’osservazione comune: L’egoismo è la porta che non lascia entrare l’altro. Il concetto di egoismo era per Krishnamurti molto ampio e allo stesso tempo elastico e includeva anche l’impulso che sta dietro alla religione organizzata.

    L’11 novembre Krishnamurti pose una terza domanda: Dove finisce l’egoismo e dove inizia l’altro?. Benché nel corso della discussione fosse tornato alla domanda almeno due volte, non diede una risposta. La lasciò come una domanda eterna, un

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