L'intellettuale nel labirinto: Norberto Bobbio e la "guerra giusta"
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Book preview
L'intellettuale nel labirinto - Giovanni Scirocco
alemana)
«Di fronte alla possibile catastrofe atomica non vi sono più guerre giuste»: tra Anders e Capitini
È difficile trattare, in poche pagine, del problema della guerra giusta
in un autore prolifico come Norberto Bobbio. Quel che mi interessa è descrivere, sia pure sommariamente, da storico, non da filosofo, né da giurista, lo svolgimento di un pensiero, quello di Bobbio sulla guerra, che ha indubbiamente avuto un grande risalto, soprattutto negli ultimi anni, nel dibattito pubblico.
Su questo tema Bobbio cominciò a riflettere, con sempre maggiore intensità, almeno a partire dal 1961,¹ e cioè dalla sua Prefazione al libro di Günther Anders, Essere o non essere. Diario di Hiroshima e Nagasaki,² spinto anche, come ha notato Luigi Cortesi, dal suo particolare tipo di illuminismo, improntato a un razionale pessimismo e all’attenzione «intensa e tormentata» al rapporto tra storia, natura, esistenza.³
Nella sua Autobiografia Bobbio scrive che
la proposta di Anders era quella d’un codice morale, che di fronte alla minaccia d’un annientamento dell’umanità avrebbe dovuto enunciare nuovi doveri, vincolanti per tutti gli uomini.⁴ La sua visione era rivolta alla trasformazione morale dell’umanità e doveva imporre come divieto assoluto l’uso dei mezzi atomici. Era netta l’opzione di Anders per il pacifismo morale rispetto a quello istituzionale. Riteneva che nuove istituzioni potevano essere efficace solo sul fondamento di una nuova morale […]. Si rendeva conto dell’obiezione dei realisti. Rispondeva che questa obiezione nasceva dall’eterno contrasto tra moralisti e legalisti. Ma la speranza era che la consapevolezza di trovarsi di fronte un divieto assoluto gettasse radici così profonde che «chiunque prenda in esame la possibilità di servirsi di questi mezzi [le armi atomiche] per i suoi fini politici si trovi subito di fronte all’indignazione del mondo intero»: quanta ingenuità in questa speranza!⁵ Col senno di poi sappiamo che, se la guerra atomica non è scoppiata, la ragione è stata essenzialmente la paura reciproca, il cosiddetto equilibrio del terrore
,⁶ come aveva ben previsto Hobbes, secondo cui solo il timore reciproco poteva arrestare nello stato di natura il bellum omnium contra omnes.⁷
Nello stesso anno della Prefazione, il 24 settembre, Bobbio partecipava ad Assisi alla Marcia della pace organizzata da Aldo Capitini (cui fu legato da un rapporto trentennale, anche se, rispetto all’amico umbro, si dichiarava più perplesso
che persuaso
rispetto, ad esempio, alle posizioni non violente di quest’ultimo⁸) nel momento in cui «il mondo viveva sotto il peso dell’equilibrio del terrore atomico e si costruivano bombe che, da una parte e dall’altra, minacciavano di distruggere decine di volte la specie umana».⁹ Al ritorno da Assisi pubblicava su Resistenza
un articolo in cui affermava che dal momento che la guerra può significare catastrofe atomica, non esisteva più la possibilità di porre alla pace una alternativa:
Ha ancora un senso umano dire: o la libertà o la guerra. Ma quale senso umano potremmo dare alla frase: o la libertà o la distruzione del genere umano? Se mai c’è un’alternativa, questa non è più tra pace e libertà, tra pace e onore, tra pace e giustizia, ma, come dice giustamente e spietatamente Günther Anders, tra essere e non essere. Voglio dire con questo che la pace oggi interessa gli uomini in quanto uomini, parte del genere umano, minacciati da una sinistra gara di potenza, non in quanto italiani o cinesi, comunisti o democristiani, cattolici o laici.¹⁰
In quest’ottica, il 9 ottobre Bobbio partecipò, con Capitini, Enzo Forcella e Pietro Ingrao, a una tavola rotonda sul tema Comunisti e non comunisti alla marcia della pace (Ragioni di una partecipazione e di un dissenso), organizzata dal Club Turati di Milano.¹¹
Poche settimane dopo, la sera del 4 dicembre 1961, Bobbio interveniva, alla Galleria d’Arte Moderna di Torino, con Franco Antonicelli, Bianca Guidetti Serra e Gianni Rondolino, alla presentazione di Non uccidere, un film di Claude Autant-Lara che aveva suscitato molte polemiche alla Mostra di Venezia (la commissione di censura ne aveva proibito la visione, temendo che la visione del film potesse considerarsi come un’istigazione a delinquere, alla violazione cioè della legge sul servizio militare obbligatorio).
L’intervento di Bobbio fu incentrato sul tema del rapporto fra guerra e storia:
Guardiamo la storia, la storia della nostra civiltà cristiana, illuministica, unitaria. Abbiamo sempre giustificato la guerra. Moralisti, filosofi, teologi sono andati a gara a escogitare teorie per giustificare la guerra. E la guerra, sin ora, c’è sempre stata. Noi l’abbiamo giustificata proprio perché c’è sempre stata. E, del resto, come si fa a resistere alla tentazione di dare una giustificazione di quello che è un elemento costitutivo, essenziale, della nostra storia? Poiché parte della storia è storia di guerre, se noi non riuscissimo a giustificare la guerra, la storia ci apparirebbe o come un immenso errore o come una assurda follia.
Bobbio passava poi a illustrare le tradizionali giustificazioni della guerra (la guerra giusta, la guerra come male minore, la guerra come male necessario, la guerra come fatto inevitabile) e così concludeva, contestandole una per una:
Di fronte all’evento possibile della distruzione della storia, ogni giustificazione della guerra diventa impossibile. Siamo in una condizione in cui non possiamo più accettare la guerra. Il che significa che siamo diventati, che dobbiamo diventare tutti quanti potenzialmente, nostro malgrado, obiettori di coscienza. L’alternativa è questa: o l’obiezione di coscienza, nel senso di impossibilità morale di accettare la guerra, o la possibile distruzione del genere umano. Se vi paiono un po’ troppo apocalittiche queste mie parole, vi invito a ragionarvi su. Primo: di fronte alla possibile catastrofe atomica non vi sono più guerre giuste: una guerra, qualunque essa sia, che può provocare la scomparsa della vita sulla terra, è ingiusta. Secondo: è semplicemente stolto considerare la guerra che può avere una simile conseguenza come un male minore: non ci sono alternative possibili […]. Terzo: la guerra non può essere considerata come un male necessario, come uno strumento di bene. Quale bene se dopo non c’è più nulla? La guerra atomica non è un mezzo per raggiungere qualche altra cosa, ma è un fine, anzi, meglio, è la fine. Quarto: la guerra non può più essere considerata come un fatto inevitabile, a meno che si accetti come fatto inevitabile (badate, inevitabile) l’autodistruzione