Oceano nello smeraldo
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Oceano nello smeraldo - Sara Di Terlizzi
vissuti"
Capitolo primo
Erano le 09.35 di mercoledì mattina. Un lieve raggio di sole entrò dalla persiana abbassata. Svegliarmi con il sole per me era un buon segno. Significava che sarebbe stato un buon giorno, o che avrei sorriso molto, per lo meno. Volevo godermi a pieno quella luce mattutina, mi stirai, fino a sentire ogni muscolo del corpo in perfetta tensione, dalla prima falange dell’anulare, sino alle dita dei piedi. Risvegliarsi in quel letto matrimoniale da sola, è qualcosa di fantastico. Verona è una bellissima città, e riuscire a trovare una persona con cui dividere l’appartamento è semplice, ma io ero stata più fortunata. Carol era perfetta, non era disordinata, non faceva rumore e la mattina quando si alzava presto per andare a lezione, era praticamente invisibile. Persino una mosca avrebbe fatto più rumore di lei. Solitamente ci incontravamo più tardi, per la pausa pranzo, alle 13.30. Dopodiché lei tornava alle sue lezioni e io potevo cominciare le mie.
Con la mano sinistra, a penzoloni dal letto, mi misi a cercare il telefono, per spegnere la sveglia. È così strano alzarsi prima che questa inizi a suonare violentemente, quasi potesse urlare: "Coraggio Sere, alzati! Non vorrai tardare di nuovo!. È una tale soddisfazione farla tacere. Dopo aver fissato il soffitto per qualche secondo, scesi dal letto. La stanza era ancora buia, così appoggiai i piedi sul pavimento freddo, e camminando a passo d’uomo, arrivai alla saracinesca, per liberare tutta quella luce che cercava di entrare dalle piccole fessure. Ed eccola, più intensa e luminosa che mai. Chiusi gli occhi e mi godetti quell’istante di insensata felicità. Amavo il sole. La gioia che riusciva a trasmettermi con quel calore, era qualcosa d’inspiegabile. Era strano per me essere già in piedi a quell’ora, perciò decisi di cogliere l’occasione e prepararmi prima. Andai verso la porta del bagno, con passi decisi, e un bel sorriso stampato in volto. La prima cosa che si riesce a vedere, entrando nel nostro bagno, è il proprio viso. Certe mattine è davvero seccante scorgere la propria faccia in primo piano, le grandi occhiaie e gli occhi stanchi. Stamattina era diverso, sentivo che sarebbe andato tutto bene. Mi lavai la faccia, strofinando con attenzione i grandi occhi azzurri. Le lentiggini oggi sembravano voler uscire dalle mie guance rosee.
Sarà il sole! pensai tra me e me. Amavo fare espressioni stupide allo specchio, tirare la pelle, la bocca, giocare con le folte sopracciglia nere. Mi sistemai i capelli raccogliendoli in modo da non averli davanti agli occhi. Sorrisi di nuovo allo specchio e mi diressi verso la cucina. Il nostro appartamento non era molto grande, anche se qualcuno lo avrebbe considerato troppo, per sole due persone. Era composto da due camere, un bagno e la cucina che combaciava con il salotto. Il sole illuminava la piccola stanza, e l’occhio mi cadde sul tavolo. Carol era stata molto premurosa quel mattino, aveva preparato i biscotti, li aveva ordinati in un modo quasi bizzarro, che lei di certo avrebbe definito artistico. La grossa tazza di caffè mi aspettava, pronta per essere riempita. Amavo il caffè. Così presi la moka e la riempii d’acqua, misi il caffè macinato con molta attenzione e la chiusi. Nel frattempo decisi di fumare una sigaretta, nell’attesa che il caffè salisse. Era davvero una splendida giornata, e non mi dispiacque uscire sul balcone. Nonostante fosse Ottobre, il clima era mite, e sembrava quasi una tipica giornata primaverile. Guardavo il cielo, e mentre il leggero venticello si portava via la cenere della mia sigaretta, pensavo a quanto fosse bella Verona, e a quanto il sole potesse renderle giustizia. Il rumore della caffettiera mi riportò alla realtà. Spensi la sigaretta nel posacenere e rientrai. Dopo aver bevuto, lessi un po’ il giornale, e pensai a quanto mi sarebbe piaciuto un giorno, scrivere qualcosa di importante sul Corriere della Sera. Dopo aver letto ogni articolo che non parlasse di politica, decisi di andare a prepararmi. Non amavo la politica, anzi, diciamo che provavo un senso di disgusto verso quell’argomento. I miei genitori non mi avevano mai insegnato nulla oltre le basi, e io non mi ero mai interessata più di tanto. Accesi lo stereo con la musica a tutto volume e mi diressi in camera da letto. Prima di tutto rifeci il letto, stando ben attenta a tirare le lenzuola. La mia migliore amica Claudia mi ripeteva in continuazione che se il letto non era fatto bene, la notte si rischiava di dormire male. Claudia e io ci conoscevamo dai tempi delle superiori. La nostra era una di quelle amicizie solide, che nemmeno il tempo avrebbe distrutto. Ora però lei viveva con i suoi genitori nel nostro paesino, Montecchio Precalcino e io a Verona, con Carolina. Dopo aver tirato con attenzione le lenzuola del letto, aprii l’armadio e cercai qualcosa da mettere. Non sono il tipo che sta ore e ore davanti allo specchio, così scelsi un maglione marrone, di quelli larghi, che non mostrano nessuna curva, e un paio di leggins neri. Dopo essermi infilata maglione e pantaloni, mi guardai nuovamente allo specchio. Sgranai gli occhi dallo stupore nel vedere come fossi ridotta. La faccia candida, gli occhi grandi, scavati nelle borse e contornati dalle occhiaie.
Ok – pensai -
Forse è il caso di truccarsi un po’. Stavo battendo un po’ di cipria sulle guance, e osservando con attenzione di coprire ogni imperfezione, riflettevo. Ogni tanto mi capitava di perdermi in sogni a occhi aperti. Sognavo un incontro con un uomo forte e bello, un sorriso splendente, e uno sguardo travolgente. Sognavo quello che ogni ragazza desiderava: l’Amore. Quello vero, quello che si imprime dentro al cuore, quello che si può scrivere con la A maiuscola, e che non si può cancellare. Stavo finendo di sistemare il mascara sulle ciglia lunghissime, quando i miei pensieri furono interrotti dal suono dell’arrivo di un messaggio. Era Carol, mi chiedeva a che ora sarei arrivata. Guardai l’orologio appeso in camera.
Sono le 11.23 - pensai-
Accidenti sono proprio in anticipo". Dopo aver fatto due calcoli, le risposi che sarei arrivata intorno alle 12.30. Ne avrei approfittato per studiare qualcosa. Mi sistemai i capelli. Li spazzolai un po’, e feci scivolare la frangia sulla fronte. Non ricordo bene perché decisi di tagliarmi la frangia. So che volevo cambiare, e sembrare un po’ diversa. Probabilmente, l’unico vero motivo, era che mia madre mi aveva avvisata che avendo il viso piccolo, si sarebbe rimpicciolito ancora di più. In realtà mi piaceva, anche se il solo fatto di averla sfidata anche in questa piccolezza, rendeva quell’inutile frangia, ancora più bella. Presi il cappotto dalla cabina armadio, mi spruzzai un po’ del nuovo profumo che ci aveva regalato Elisabetta. Era dolce e intenso. Ricordava un po’ l’odore delle caramelle e dello zucchero filato. Beth era una delle nostre più care amiche. Qualcuno l’avrebbe definita un tipo strano, ma a noi piaceva così. Era una di quelle ragazze terribilmente belle, che non si rendono conto di esserlo. Aveva uno splendido sorriso stampato sul volto candido. I lunghi ricci rossi riflettevano gli occhi color smeraldo, continuamente illuminati. Anche lei studiava a Verona. In realtà tutte e tre eravamo ragazze di campagna, ma arare i campi o raccogliere frutta non faceva per noi. Perciò avevamo deciso di studiare in una delle più belle e suggestive città d’ Italia. Il padre di Beth era morto in un incidente stradale, quindi lei dovette stare in casa a badare alla sorella, insieme alla madre.
Dovevo aver esagerato un po’ con il profumo, mi sentii quasi stordita. Presi la sciarpa e me la attorcigliai intorno al collo. Non amavo le sciarpe di lana, mi davano l’impressione di essere soffocata, e in più pungevano. Mi guardai un’ultima volta allo specchio, presi le chiavi, i libri necessari e controllai di avere l’abbonamento per l’autobus. Uscii dall’appartamento canticchiando una canzone dei Beatles, chiusi a chiave la porta e scesi i tre piani di scale. I Beatles
erano il mio gruppo preferito. Li scoprii da piccola, per merito di mio padre che la domenica amava ascoltare la loro musica e ballare con mia madre in salotto. I miei genitori erano una coppia particolare. Innamoratissimi uno dell’altro, lo dimostrarono in ogni occasione a loro possibile. Il semplice fatto di avere cinque figli era forse, la dimostrazione più grande del loro amore.
Capitolo secondo
Infilai una mano nella borsa, cercando l’mp3 e le cuffiette per ascoltare la musica. "Prese!". Nel frattempo la signora Vulco, la proprietaria della panetteria sulla nostra strada, mi salutò con gesto cortese:
«Buongiorno Serena, ci siamo svegliate presto stamattina, eh?».
La signora Vulco era molto simpatica e socievole. Ogni volta che andavo a comprare il pane mi raccontava del grande amore della sua vita, Riccardo Patero. Erano stati insieme qualche anno, e poi lui era partito per la guerra, senza più tornare. Lei non era voluta uscire con nessun altro, e pensava che un giorno lui sarebbe tornato da lei e si sarebbero sposati.
«Buongiorno signora Vulco!» risposi con un sorriso sincero, mentre m’infilavo le cuffiette nelle orecchie. Arrivai alla fermata dell’autobus