L'Epoca del Nichilismo: Appunti per una analisi del nostro tempo
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Questo ottimo saggio di Oriano Giusti, il cui sottotitolo è Appunti per una analisi del nostro tempo, oltre a ripercorrere con maestria e con spirito critico gli sviluppi storici del pensiero nichilista, vede la luce in uno dei momenti più bui della storia umana, un momento di grande crisi e trasformazione in cui il “nulla” sembra avanzare inesorabilmente da ogni direzione. Tanto che, se non saremo capaci di invertire la rotta e di aprire la strada a un nuovo Rinascimento, rischiamo oggi di veder precipitare la nostra civiltà in un abisso senza ritorno.
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Book preview
L'Epoca del Nichilismo - Oriano Giusti
SImbolI & MItI
ORIANO GIUSTI
L’EPOCA DEL
NICHILISMO
Appunti per una analisi del nostro tempo
Edizioni Aurora Boreale
Titolo: l’epoca del Nichilismo
Autore: Oriano Giusti
Collana: Simboli & Miti
Con prefazione di Nicola Bizzi
Editing e illustrationi a cura di Nicola Bizzi
ISBN versione e-book: 978-88-98635-99-3
Edizioni Aurora Boreale
© 2020 Edizioni Aurora Boreale
Via del Fiordaliso 14 - 59100 Prato - Italia
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PREFAZIONE
NICHILISMO E DISTOPIA ORWELLINA
di Nicola Bizzi
Devo ammettere che, per un cultore della Storia, della Filosofia e della Tradizione quale si considera il sottoscritto, non è stato affatto facile cimentarsi nella prefazione di un libro avente come soggetto il nichilismo. Non mi riferisco ai contenuti di questo saggio, che – anzi – ho molto apprezzato, è decisamente interessante ed offre innumerevoli spunti di riflessione, bensì proprio al termine poc’anzi menzionato, un termine che ha sempre generato in me un atavico e istintivo senso di ribrezzo, di repulsione.
Ma che cosa significa nichilismo? Come sentenziò in maniera esemplare Friedrich Nietzsche in uno dei suoi più celebri saggi, il nichilismo si manifesta quando i valori supremi dell’essere umano si svalutano. Significa che viene meno lo scopo
, che vengono meno le risposte alla fatidica domanda «perché?», presupposto indispensabile a qualsiasi evoluzione umana. In parole povere, significa che prevale l’annichilimento delle coscienze, e che vengono meno quelle certezze per secoli ritenute incrollabili, quei capisaldi rappresentati proprio da quei supremi valori che, nel lungo percorso della Storia umana, hanno rappresentato l’incentivo ad andare avanti, a crescere, a migliorarsi, a lottare per il futuro.
Nel linguaggio comune spesso ci capita di dare del nichilista
a qualcuno. Con questa etichetta, usata spesso con leggerezza e senza una reale comprensione del suo significato, talvolta viene infatti bollata una persona giudicata negativa, disfattista, che ama radere al suolo qualsiasi convinzione su cui si poggia l’esistenza e il comportamento del suo interlocutore o dei suoi simili. Ma da dove viene esattamente questo termine?
Etimologicamente deriva dal latino nihil (che significa nulla
) e su di esso si è conformata, come vedremo, una dottrina filosofica ben specifica che si fonda sulla negazione dell’esistenza di valori significativi, di verità assolute
; una dottrina secondo la quale la vita si caratterizza come priva di senso, di scopo. Una dottrina che si caratterizza per la totale negazione dei valori e dei significati elaborati dai diversi sistemi filosofici. Non vi sarebbe, in pratica, secondo l’ottica nichilista, alcuna verità forte da ricercare, non ci sarebbero obiettivi, certezze e valori oggettivi da raggiungere e su cui misurarsi. Una dottrina, dunque, che afferma che la morale non sarebbe altro che un prodotto arbitrario, convenzionale (cioè stabilito dall’uomo, senza nessuna caratteristica di necessità e assolutezza), o che non esista nessuna realtà ultima (vera) da svelare. O, ancora, che non sia possibile alcuna forma di conoscenza e sapere che ci conduca alla certezza di qualcosa, che non esistano Divinità, destini precostituiti che possano determinare la nostra vita e quella di tutto ciò che ci circonda.
I filosofi autodefinitisi o considerati nichilisti hanno talvolta condiviso tutte insieme queste caratteristiche, altre volte ne hanno abbracciato unicamente alcuni aspetti (in relazione alla morale, alla conoscenza, alla religione, etc.).
Vale la pena a questo punto, ai fini di una maggiore comprensione da parte dei lettori, fare un breve excursus storico di questa dottrina.
Il termine (nella forma tedesca nihilismus) comparve in Germania verso la fine del XVIII° secolo, nell’ambito di polemiche sorte intorno all’esito della filosofia kantiana, ed entrò ampiamente in circolazione con la pubblicazione, da parte del filosofo Friedrich Heinrich Jacobi, del suo testo Sendschreiben an Fichte, dapprima inviato a Fichte in forma privata e infine pubblicato nell’autunno del 1799. In tale testo Jacobi si servì del termine nihilismus per indicare la conclusione necessariamente assurda e distruttiva di ogni filosofia della pura dimostrazione. Più tardi il termine venne spesso utilizzato nei dibattiti intellettuali per indicare una totale corrosione e caduta dei valori e, di conseguenza, un atteggiamento di disperazione e di rivolta totale.
Caratteristica specifica del Nichilismo tedesco, a differenza delle forme di pessimismo o di ateismo consistenti nella mera negazione del Trascendente e dei valori morali, fu quella di presentarsi come consapevolezza dell’esito di un processo storico nel corso del quale le certezze e i valori tradizionali si riteneva che si fossero andati lentamente, ma inesorabilmente, consumando. In questo senso sono stati individuati non pochi spunti nichilistici nell’Età Romantica e nella relativa letteratura.
L’insistenza sulla mancanza assoluta di senso della realtà si fece sempre più forte nella cultura tedesca nei primi decenni del XIX° secolo. Potremmo a riguardo fornire vari esempi, dall’allucinante quadro delle Veglie di Bonaventura (Nachtwachen von Bonaventura), pubblicate in forma anonima nel 1804 da Ernst August Friedrich Klingemann, dove l’uomo è rappresentato come una inconsapevole marionetta nelle mani di un creatore folle, alla filosofia di Arthur Schopenhauer, dove alla negazione kantiana della possibilità della metafisica si sostituisce una vera e propria metafisica del nulla, fino ai paradossi di Max Stirner, teorizzatore di una primordiale concettualizzazione dell’anarchia; senza contare la ricorrente diffusione di motivi nichilistici nella poesia e nella letteratura dello Junges Deutschland, il gruppo di scrittori e poeti tedeschi che, dopo la rivoluzione del 1830, sentì sempre più l’arte come impegno politico, al quale appartenne anche Karl Ferdinand Gutzkow, autore, nel 1853, di un romanzo intitolato Die Nihilisten.
Nella Russia della seconda metà del XIX° secolo, travagliata da crescenti conflitti politici e sociali, il nichilismo fu inizialmente, più che una dottrina ben precisa e dai contorni definiti, uno stato d’animo, un modo di vivere e di sentire delle giovani generazioni, soprattutto di studenti, che aspiravano a un profondo rinnovamento della vita e della società. Caratteristica distintiva di questo tipo di nichilismo, divenuto poi largamente noto nella cultura europea attraverso opere come Padri e figli di Ivan Sergeevič Turgenev e I Demoni di Fëdor Michajlovič Dostoevskij, fu l’entusiastica fiducia nella scienza e l’accettazione del materialismo e del positivismo come strumenti polemici contro ogni forma di cultura tradizionale. Tutto ciò che non poteva essere verificato sperimentalmente, tutto ciò che non si poteva trascrivere in termini di forza
e di materia
(come recitava il titolo di un famoso libro di Büchner, divenuto una sorta di vangelo per i giovani nichilisti) doveva essere relegato nel campo di un romanticismo
sterile, sorpassato e perfino ridicolo. Una visione, questa, molto pericolosa, che avrebbe portato a ben note conseguenze.