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Da dove veniamo: Le sensazionali scoperte di una spedizione himalayana
Da dove veniamo: Le sensazionali scoperte di una spedizione himalayana
Da dove veniamo: Le sensazionali scoperte di una spedizione himalayana
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Da dove veniamo: Le sensazionali scoperte di una spedizione himalayana

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Tutto è cominciato con un quesito molto semplice: perché ci guardiamo negli occhi? 
La domanda ha interessato Muldashev dapprima come oculista, ma non appena ha cominciato le sue indagini, ha elaborato con la sua équipe di ricerca un software capace di misurare e analizzare i parametri geometrici dell’occhio.
Hanno chiamato quest’area di ricerca oftalmo-geometria, molte le preziose applicazioni in ambito diagnostico e sociale, tra cui l’identificazione delle persone, l’identificazione etnica e la diagnosi di malattie psicologiche.
Sensazionalmente, dopo aver analizzato le foto dell’area oculare di individui appartenenti a tutte le razze mondiali, l’equipe di Muldashev ha scoperto che alla razza tibetana appartengono delle caratteristiche statistiche medie rispetto a tutte le altre.
Attraverso il confronto matematico degli occhi delle altre razze con quelli della razza a cui appartiene la media statistica di tutti i valori numerici rilevati, Mudashev è stato capace di determinare i sentieri di migrazione dell’umanità dal Tibet.
Sorprendentemente, le loro scoperte si sovrapponevano ai fatti storici.
Quando poi venne loro riferito che un paio di enormi e strani occhi, dipinti sulle pareti di tutti i tempi Tibetani e Nepalesi, davano il benvenuto ai visitatori, hanno sottoposto anch’essi ad analisi matematica secondo i principi della neonata oftalmo-geometria: in questo modo hanno determinato l’aspetto esteriore dell’essere a cui potevano appartenere quegli occhi...
LanguageItaliano
PublisherOm Edizioni
Release dateJul 6, 2020
ISBN9788892720480
Da dove veniamo: Le sensazionali scoperte di una spedizione himalayana

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    Book preview

    Da dove veniamo - Ernst R. Muldashev

    approfondimenti

    ©2020

    OM EDIZIONI

    Tutti i diritti letterari ed artistici sono riservati.

    è vietata qualsiasi riproduzione, anche parziale, di quest’opera.

    Qualsiasi copia o riproduzione effettuata con qualsiasi procedimento (fotografia, microfilm, nastro magnetico, disco o altro) costituisce una contraffazione passibile delle pene previste dalla legge 11 marzo 1975 dei diritti d’Autore.

    Stampato in Italia nel mese di Aprile 2020 presso

    Graphicolor snc, via Cesare Sisi 2 – 06012 – Cerbara (PG)

    OM EDIZIONI

    Via I Maggio, 3/E – 40057 Quarto Inferiore (BO) – Italy

    Tel (+39) 051 768377 – (+39) 051 767079

    info@omedizioni

    www.omedizioni.it

    ISBN 978-88-94975-74-1

    ISBN eBook 9788892720480

    ERNST R. MULDASHEV

    DA DOVE VENIAMO?

    Le sensazionali scoperte di una spedizione Himalayana

    Traduzione e adattamento a cura di Marco Lo Porto

    Biografia e

    note del curatore

    Nato il 1° gennaio del 1948 in un piccolo paese della Baschiria, nell’ex unione sovietica, Ernst Rifgatovic Muldashev è uno dei luminari russi più famosi nel mondo. Negli anni settanta, a capo di un team di scienziati creato per curare le numerose mutilazioni auspicabili in caso di una allora palpabile terza guerra mondiale, inventa, dopo anni di duro lavoro, Alloplant, un biomateriale, estratto da cadaveri umani, che sembra impedire la formazione del tessuto cicatriziale e stimolare la naturale rigenerazione dei tessuti con cui viene a contatto.

    Le rigorose politiche dell’ex Unione Sovietica relegarono per molto tempo l’uso del prezioso Alloplant ai soli scopi militari. Solo dopo il crollo dell’Unione Sovietica fu possibile divulgare tali scoperte nel resto del mondo. Incluso nelle normali procedure cliniche nel 1974 in oltre 250 nosocomi russi ed ex sovietici, Alloplant è stato fino ad ora utilizzato in oltre 1 milione di operazioni chirurgiche. Durante gli ultimi 30 anni di ricerca e sperimentazioni sono stati sviluppati dagli scienziati russi diversi tipi di Alloplant, specifici per i vari tipi di applicazione. Alloplant si dimostrò in seguito particolarmente efficace nella rigenerazione dei tessuti oculari.

    Con lo scopo di implementare l’utilizzo di questo materiale in maniera sempre più massiva, il ministero della salute fondò nel 1990, ad Ufa, sotto la guida del Prof. Muldashev, il Russian Eye and Plastic Surgery Centre, un istituto all’avanguardia nella cura anche di quelle malattie dell’occhio fino ad allora trattate come incurabili.

    Nel 2000 il team di Muldashev afferma di aver eseguito, per primo al mondo, il trapianto completo di un occhio su una paziente totalmente cieca da 20 anni. Nonostante la comunità medica e scientifica abbia fermamente rigettato la riuscita di un tale intervento dichiarandolo scientificamente impossibile, la paziente in questione, la traduttrice ucraina Tamara Gorbacheva, dichiara di aver acquistato la facoltà di distinguere forme, colori e persino le lettere dell’alfabeto.

    E. R. Muldashev ad oggi ha brevettato oltre 100 tipi di Alloplant, ha sviluppato in campo oftalmico 130 nuove tipologie di intervento chirurgico e ricevuto numerosi riconoscimenti in tutto il mondo. La sua grande passione per i testi e le culture antiche lo porta ad integrare la sua routine medica, fatta di 500-600 delicate operazioni chirurgiche all’anno, con una serie straordinaria di spedizioni in giro per il mondo, cercando sempre, per quanto possibile, di dare una spiegazione scientifica a questioni di fede o argomenti di fatto inspiegabili.

    Per quanto mi riguarda sentii nominare per la prima volta il nome del professor Muldashev nel 2005 da alcuni professori del Politecnico di Odessa, in Ucraina, dove mi trovavo per completare la mia tesi di laurea in ingegneria aerospaziale. Era consuetudine per gli studenti stranieri trascorrere le pause tra le lezioni nello studio del capo dipartimento, per un tè e qualche biscotto. Il gruppo era abbastanza eterogeneo, sei o sette ragazzi coi i relativi tutor. Io ero appena arrivato dagli Stati Uniti dove avevo preso parte ad un volo scientifico in assenza di gravità mentre un altro dei ragazzi del gruppo, un americano, faceva parte di un programma di studio della Nasa e seguiva un percorso per diventare astronauta. Credo sia stata proprio la nostra comune passione per lo spazio, che faceva quasi automaticamente vertere ogni discussione scientifica verso quella direzione, a stuzzicare la curiosità di uno dei professori, che ci suggerì di leggere e approfondire la storia del bambino Indaco Boriska, storia in qualche modo legata ad una delle spedizioni del Prof. Muldashev.

    Boris Kipriyanovic, o Boriska, è stato uno dei casi più controversi di Bambino Indaco della storia. Divenne famoso nel 2004 dopo la pubblicazione della sua storia in un articolo del giornale English Pravda. Dotato di un intelligenza straordinaria, Boris all’età di un anno comincia a comporre parole nella propria ed in altre lingue, ad un anno e mezzo sa già leggere testi piuttosto complicati. A due anni comincia a dipingere. Presto comincerà a ricordare una sua vita precedente, descrivendola nei minimi particolari. Parla di città megalitiche, di giganti, di tecnologie avanzatissime, di navi spaziali e viaggi interplanetari. Dimostra di possedere una dialettica di gran lunga superiore ai suoi coetanei e una conoscenza che apparentemente non poteva arrivare dall’esterno. All’età di 6 anni trova una copia del libro di Muldashev, Da dove veniamo, nella borsa di sua madre e ne è immediatamente affascinato. Si sofferma parecchio sui disegni dei Lemuriani, degli Atlantiani e sulle foto del Tibet. Sostiene di ricordare quelle genti vissute oltre 800.000 anni fa e di ricordare in particolare la morte di un suo caro amico, anch’egli pilota come lui. Concorda con molte delle teorie del libro ma non manca di criticarne e correggerne altre. Indirettamente fornisce una spiegazione sulla perdita delle due sonde marziane Phobos 1 e Phobos 2 e per primo tra gli Indaco sostiene che seppure non ne conosca ancora nessuno, sa che numerosi bambini come lui stanno nascendo in tutto il mondo.

    Ricordo che ascoltammo con discreto stupore questa storia, ma fu molto più sorprendente ascoltarla direttamente dalla bocca di un uomo di scienza. Non avevo mai sentito un professore italiano, specie in ambito accademico, passare con una tale naturalezza dalla dimostrazione di un teorema matematico ad argomenti considerati di stampo New Age.

    In seguito appurai che tendenzialmente gli scienziati russi sembrano essere meno rigidi di quelli occidentali. Credo che in un certo senso siano consapevoli che i modelli matematici con cui cerchiamo di descrivere il mondo rappresentino piuttosto bene gli eventi che ci circondano ma che, allo stesso tempo, non siano del tutto corretti o perlomeno non quelli definitivi. Come mai la nostra scienza non riesce a dare una spiegazione a tutto? Come mai esistono ancora fatti scientificamente inspiegabili?

    Questo modo di pensare, indipendentemente dal fatto che si sia disposti a credere o meno ai fatti e alle teorie descritte in questo libro, è indubbiamente molto avvincente e stimolante, specie perché spinge delle intelligenze fuori dal comune ad inoltrarsi in terreni impervi e volutamente inesplorati.

    Ho deciso di cominciare la traduzione di questo libro nel 2014, in seguito ad una serie di inaspettate coincidenze. Vimana, Samadhi, longevità, archeo-tecnologia, etc. sono argomenti che mi hanno da sempre incuriosito. Mi piace pensare che il provenire dalla prima delle 5 Blue Zone codificate sul pianeta, da una terra ricca di manufatti la cui storia è ancora lungi dall’essere del tutto svelata, abbia geneticamente influenzato la mia attrazione verso questi temi. Se come pensano gli orientali, l’intuizione è una scienza, allora questo lavoro segue una qualche logica scientifica. Da dove veniamo? oltre a fornire una ricca serie di spunti per ulteriori approfondimenti offre uno spaccato molto interessante su un paese ed un periodo storico di cui abbiamo ben poca informazione. Muldashev ha infatti scritto questo libro nei primi anni novanta, in una Russia in piena fase post-Perestrojka, durante il governo di Boris Eltsin. Il paese era allora in piena crisi di identità e una nuova classe sociale, quella dei nuovi russi si affacciava con prepotenza sul panorama internazionale.

    Non senza qualche lievissimo adattamento, ho cercato di tenere la traduzione quanto più possibile all’originale. Il filo diretto con l’autore ha fatto sì che eventuali dubbi sorti durante la traduzione venissero tempestivamente chiariti. Il lettore potrà trovare alcuni concetti sottolineati più volte, quasi a volerli rimarcare con più decisione. Tale apparente ridondanza nasce in realtà dal fatto che il libro consta di 4 parti distinte, evidentemente in origine pensate per essere a se stanti o pubblicate separatamente. L’intero libro è corredato da una lunga serie di disegni e fotografie. Come in una sorta di diario di viaggio, l’autore ha voluto, come è solito fare in tutti i suoi testi, documentare anche fotograficamente ogni personaggio incontrato ed intervistato durante la spedizione. Nella versione in italiano molti disegni sono stati volutamente omessi perché ritenuti in qualche modo superflui. Per esigenze di redazione sono stato costretto a condensare nell’ultimo i 7 capitoli finali, pari all’intera quarta parte, del libro originale.

    Sono certo che la lettura di questo libro provocherà sentimenti del tutto contrastanti. Il lettore potrebbe anche trovarsi a tratti disorientato e confuso, specie perché a descrivere certi fatti non è un semplice scrittore ma un rispettabile uomo di scienza con una solida reputazione da difendere. Il dubbio è certamente lecito ma da ciò potrebbe anche scaturire una spinta critica ad approfondire i concetti trattati, come d’altronde è successo a me. Proprio per questo motivo sono convinto che questo mio lavoro avrà un seguito e che magari il Prof. Muldashev ci aiuterà presto, se non a risolvere, certamente ad approfondire alcuni dei nostri misteri nostrani.

    Prefazione

    Sono un tipico uomo di scienza russo che ha dedicato la sua intera vita professionale allo studio della struttura e della biochimica di particolari tessuti umani e al loro successivo utilizzo come materiale da trapianto per la chirurgia plastica oculare. Come scienziato non sono mai stato propenso a filosofare ed ho avuto sempre poca pazienza per la gente che è attratta da fenomeni dell’altro mondo, come la stregoneria o altre stranezze. Ogni anno eseguo 300-400 operazioni chirurgiche molto complesse e sono preparato a valutare i risultati delle ricerche scientifiche secondo parametri chiari e concreti: capacità visiva, configurazione facciale, e così via. Per lo più sono il prodotto di un paese comunista e, come tale, sono cresciuto sotto una propaganda atea e sotto il culto di Lenin senza aver mai studiato religione; sebbene non abbia mai veramente creduto agli ideali del comunismo. Per questo motivo non avrei mai pensato, anche se da una prospettiva scientifica, di provare a rispondere a domande sulla creazione del mondo, sulle origini dell’uomo e sul concetto filosofico di religione.

    Tutto è cominciato con un quesito molto semplice: perché ci guardiamo negli occhi? La domanda mi ha interessato dapprima come oculista ma non appena ho cominciato le mie indagini, ho ordinato alla mia équipe di ricerca di creare un software capace di misurare e analizzare i parametri geometrici dell’occhio. Abbiamo chiamato quest’area di ricerca oftalmo-geometria e siamo stati capaci di identificarne molte preziose applicazioni in ambito diagnostico e sociale, tra cui l’identificazione delle persone, l’identificazione etnica e la diagnosi di malattie psicologiche. Sensazionalmente, dopo aver analizzato le foto dell’area oculare di individui appartenenti a tutte le razze mondiali, abbiamo scoperto che alla razza tibetana appartengono delle caratteristiche statistiche medie rispetto a tutte le altre.

    Attraverso il confronto matematico degli occhi delle altre razze con quelli della razza a cui appartiene la media statistica di tutti i valori numerici rilevati, siamo stati capaci di determinare i sentieri di migrazione dell’umanità dal Tibet. Sorprendentemente, le nostre scoperte corrispondevano ai fatti storici. Quando poi ci venne riferito che un paio di enormi e strani occhi, dipinti sulle pareti di tutti i tempi Tibetani e Nepalesi, davano il benvenuto ai propri visitatori, abbiamo sottoposto anch’essi ad analisi matematica secondo i principi della neonata oftalmo-geometria. Abbiamo in questo modo determinato l’aspetto esteriore dell’essere a cui potevano appartenere quegli occhi.

    Chi è costui? Mi sono chiesto. Ho cominciato così a studiare la letteratura Orientale senza trovare nessuno che potesse assomigliargli nella descrizione. Non potevo ancora predire quale profonda reazione questo nostro ritratto, che ho portato con me in India, Nepal e Tibet, avrebbe provocato su lama e swami.

    Alla vista del ritratto, tutti esclamavano: È lui! Non avevo al momento alcuna idea che questo ritratto sarebbe servito come linea guida verso l’ipotetica scoperta del più grande segreto dell’umanità: il pool genico del genere umano.

    Ho sempre pensato che la logica sia la più importante tra le scienze. Durante la mia intera carriera scientifica ho applicato le leggi della logica per lo sviluppo di nuove operazioni e nuovi trapianti. Anche in questo caso, quando siamo partiti per la nostra spedizione scientifica trans-himalaiana, con il disegno di uno strano essere tra le mani, ho deciso di adottare il mio solito approccio. Con l’aiuto della logica, siamo stati capaci di ricostruire una sequenza ordinata mettendo insieme sia le disparate testimonianze che via via ricevevamo da lama, guru e swami, che dalla letteratura e dai testi sacri. Questa serie di informazioni ci ha sempre più insistentemente portati ad ipotizzare l’esistenza di un sistema atto a garantire la continuazione della vita sulla terra, i cui individui di varie razze vengono mantenuti vivi in profondità sotto la superficie della terra in stato di samadhi, un vero e proprio pool genico del genere umano. Siamo perfino riusciti a trovare una di queste grotte e a provare l’esistenza delle cosiddette persone speciali, che visitano e si prendono cura delle caverne una volta al mese.

    In che modo ci ha aiutati il nostro disegno? Sembra che le persone speciali abbiano visto e continuino a vedere tutt’oggi, sotto terra, individui dall’aspetto insolito. Tra questi individui c’è anche chi assomiglia alla persona oggetto del nostro disegno. Colui a cui si riferiscono riverentemente come Lui. Chi è Lui? Non posso dirlo esattamente, ma credo che sia un uomo di Shambala.

    Nonostante sia uno scienziato razionale ed un chirurgo, mi sono assolutamente convinto dell’esistenza di un pool genico umano. Logica e scienza mi hanno condotto a questa conclusione. Nello stesso tempo, mi sono reso conto che la nostra curiosità non è valsa a molto e siamo stati capaci di svelare solo parzialmente un così grande mistero; era chiaro che sarebbe stato alquanto improbabile, in un futuro prossimo, toccare o fotografare questi individui mantenuti. Chi siamo noi? Siamo ancora dei bambini irrazionali in confronto ai Lemuriani, individui che hanno fondato la più grande civiltà sulla terra e hanno creato il pool genico umano. Essere i guardiani del pool genico, i progenitori dell’umanità in caso di catastrofe globale o di annientamento reciproco di tutte le civiltà sulla terra, è una missione troppo grande.

    Siamo stati inoltre capaci di capire il significato della parola amen, parola che pronunciamo alla fine di ogni preghiera. Questa parola deriva dal cosiddetto messaggio finale di SoHm. È emerso che la nostra civiltà – la quinta – non potendo più accedere alla conoscenza dell’Altro Mondo, deve pertanto evolvere e svilupparsi per conto proprio. Ho capito quali sono le fonti di conoscenza degli Iniziati come Nostradamus, Madame Blavatsky e altri, che sono stati capaci di trascendere il principio di SoHm ed entrare nel campo d’informazioni universale, cioè nella conoscenza dell’Altro Mondo.

    Questo libro è composto da quattro parti. Nella prima parte spiego brevemente la logica alla base delle nostre ricerche, che cominciano con la domanda, Perché ci guardiamo l’un l’altro negli occhi? e che finisce con l’analisi del volto umano dipinto sui templi tibetani.

    La seconda e terza parte del libro sono dedicate al materiale raccolto durante la nostra spedizione, da conversazioni con lama, guru e swami. In alcuni capitoli mi allontano dal resoconto dei fatti per analizzare alcune fonti letterarie (Madame Blavatsky, Lobsang Rampa ed altri), per poter rispondere a domande come Chi era Budda? e Quali civiltà sono esistite sulla terra prima di noi?

    Il quarto capitolo del libro è il più complesso, consiste in un’indagine filosofica di ciò che abbiamo raccolto. In questa parte del libro il lettore troverà molte idee curiose sul pool genico, sui misteri di Shambala e Agarti, sulla crescente barbarie dell’uomo, sull’atmosfera negativa che aleggia sopra la Russia, così come sul ruolo della pace, dell’amore e del male nella vita di un uomo.

    Per essere onesto, sono stato sorpreso di aver concluso il libro con l’analisi di quelli che a prima vista sembrano essere concetti semplici e naturali, ma è stato solo dopo quest’analisi che finalmente ho capito come mai tutte le religioni del mondo, senza eccezioni, parlano dell’importanza di pace e amore. È stato solo dopo questa indagine che ho cominciato veramente a rispettare la religione e a credere sinceramente in Dio.

    Sto probabilmente sbagliando riguardo alcune cose che ho scritto, ma riguardo ad altre, sono certamente nel giusto. I miei amici e colleghi che mi hanno accompagnato nella spedizione (Valerii Lobankov, Valentina Yakovleva, Sergei Seliverstov, Olga Ishmitova, Vener Gafarov) sono stati spesso in disaccordo con me, mi hanno contestato e mi hanno corretto. Anche i membri stranieri della nostra spedizione – Sheskand Ariel, Kiram Buddhaacharai (Nepal), il dottor Pasricha (India) – sono stati di grande aiuto. Hanno tutti contribuito al nostro progetto generale ed ho il piacere di ringraziarli. Mi piacerebbe estendere il mio sincero grazie anche a Marat Fatkhlislamov e Anas Zaripov, che, durante la scrittura di questo libro, mi hanno fornito i giusti riferimenti letterari e mi hanno aiutato ad analizzarli.

    Penso che questo sia soltanto il primo di molti libri su questo tema.

    L’indagine continua.

    Capitolo 1

    Perché ci guardiamo negli occhi?

    Il mio amico Yuri Lobanov, che è timido di natura, durante una conversazione abbassa spesso gli occhi e guarda il pavimento. Una volta mi capitò di assistere ad una conversazione tra lui e la sua fidanzata riguardo al loro futuro matrimonio. Qualcosa che lei disse in quel frangente mi colpì in modo particolare: Yuri, guardami negli occhi! – Lui guardava in basso – mi stai nascondendo qualcosa? Riflettei, perché sta chiedendo a Yuri di guardarla negli occhi? Vuole evidentemente leggere nei suoi occhi quello che lui non sta dicendo con le parole.

    Lo sguardo umano

    Nel mio lavoro di oculista, guardo la gente negli occhi tutti i giorni. Ogni volta che lo faccio, percepisco che gli occhi della gente sono capaci di fornirci anche delle informazioni supplementari. In effetti si usa dire che una persona ha l’amore, la paura, la tristezza o la gioia negli occhi. Non potendo trovare nessuna ricerca scientifica sul tipo di informazioni che possiamo ricevere da questo tipo di osservazione, per rispondere a questa domanda, ho condotto i due seguenti esperimenti.

    Chiesi ad alcune persone con un istruzione superiore alla media di sedersi a coppie, l’una di fronte all’altra, e di portare avanti una conversazione senza mai incrociare gli sguardi, tenendoli fissi sui piedi della persona che stava di fronte. Finché la conversazione verteva su argomenti privi di contenuti emotivi la comprensione era reciproca, sebbene il desiderio di guardare il proprio interlocutore negli occhi provocasse su entrambi un discreto disagio. Non appena la conversazione si spostava invece su temi emotivi, i soggetti del test trovavano insopportabile continuare la conversazione guardando i piedi dell’altro. Devo vedere nei suoi occhi se sta dicendo la verità! spiegò uno dei soggetti.

    Quando poi chiedevo di continuare la conversazione, entrambi i soggetti di prova manifestavano una maggiore comprensione reciproca sia su temi freddi che emotivi, poiché lo stato di disagio era cessato. Da questi esperimenti, conclusi che le informazioni supplementari, seppur inconsce, che riceviamo dagli occhi di un interlocutore, sono piuttosto importanti.

    Per il secondo esperimento presi delle fotografie di attori famosi, politici e scienziati e le tagliai in tre sezioni: fronte, area intorno agli occhi e area contenente naso e bocca. Usai le fotografie di Alla Pugacheva, Mikhail Gorbachev, Oleg Dal, Arnold Schwarzenegger, Albert Einstein, Sofia Rotaru, Vladimir Vysockij, Leonid Brezhnev e altri personaggi famosi.

    Mostrando il ritaglio delle sole sezioni della fronte a sette persone separatamente, chiesi loro di indovinare a chi appartenessero. Apparvero tutti piuttosto confusi. Ci fu solo un caso in cui furono tutti in grado di attribuire quella sezione di fronte al suo legittimo proprietario, quello di Mikhail Gorbachev grazie alla sua particolarissima voglia. I partecipanti provarono la stessa confusione quando chiesi loro di identificare gli stessi personaggi famosi basandosi sull’area della bocca e del naso. Solo una dei sette fu capace di identificare la bocca di Brezhnev, scherzando sul fatto che non si sarebbe mai dimenticata di come baciava.

    Nella maggior parte casi, invece, tutti i partecipanti, sebbene non sempre immediatamente, furono capaci di determinare con successo chi fosse il personaggio misterioso, dall’osservazione dell’area intorno agli occhi. Questo è Brezhnev, questo è Vysotsky, questa è Pugacheva, dicevano guardando gli occhi sulle fotografie. Per qualche strana ragione tutti i partecipanti provarono grandi difficoltà ad indovinare l’identità della cantante ucraina Sofia Rotaru.

    Questi esperimenti ci portano a dedurre che l’area oculare e quella che ci dà maggiori informazioni anche nella determinazione dell’identità di un individuo.

    Che tipo d’informazioni riceviamo da questa parte del volto? Sappiamo che lo sguardo umano lavora come uno scanner. Osservando qualcosa, gli occhi compiono minuscoli movimenti che tracciano l’intero oggetto. Sono esattamente le informazioni ricevute dalla scansione di un oggetto che ci permettono di percepirne il volume, le dimensioni e molti altri dettagli.

    E’ parimenti vero che, con la scansione del solo bulbo oculare, non riceviamo tante informazioni; questo perché il bulbo oculare è un organo anatomico ed ha solo quattro parametri significativi visibili: la sclera (bianco), la cornea (trasparente e rotonda), la pupilla e il colore dell’iride. Per di più, questi parametri non cambiano al variare dello stato fisico o emotivo di un individuo.

    Possiamo pertanto dedurre che quando guardiamo una persona stiamo analizzando le informazioni provenienti dall’intera area intorno agli occhi, comprese le palpebre, le sopracciglia, il ponte del naso e gli angoli degli occhi. Questi parametri creano una configurazione geometrica complessa che cambia costantemente con il variare dello stato fisico ed emotivo dell’individuo.

    In conclusione, guardiamo le persone negli occhi per misurare le variazioni dei parametri geometrici della porzione oculare del volto. Questa scansione oftalmo-geometrica viaggia attraverso gli occhi verso i centri del cervello preposti alla loro analisi. Le informazioni scansionate dalla vista vengono allora inviate alla corteccia cerebrale sotto forma di immagini che ci consentono di valutare il nostro interlocutore.

    Parametri Oftalmo-geometrici

    Di che natura sono queste immagini? Principalmente ci permettono di identificare le emozioni (la paura, la gioia, l’interesse, l’indifferenza) negli occhi di un interlocutore. Dagli occhi di una persona possiamo anche indovinare la sua etnia (giapponese, russo, messicano) o possiamo percepire alcuni tratti distintivi della sua personalità: coraggio, codardia, bontà, cattiveria. Inoltre, dall’analisi delle informazioni oftalmo-geometriche, i medici possono determinare il cosiddetto habitus del paziente, fornendo un’indicazione generale del suo stato fisico o aiutandolo nella diagnosi di una patologia.

    L’analisi dei pazienti secondo l’habitus fu particolarmente popolare tra i medici di paese nel diciannovesimo secolo, quando non esistevano efficaci attrezzature diagnostiche negli ospedali. Allora i medici allenavano i propri occhi a diagnosticare correttamente una patologia con la sola osservazione del paziente. Lei, signore, ha la tubercolosi, avrebbe potuto dire un medico di paese dopo aver guardato negli occhi un paziente.

    Come medico, anche io sono rimasto sorpreso di come, con pochissimo studio, fosse possibile, solo guardandoli, diagnosticare le malattie e valutare, con un discreto livello di precisione, lo stato dei pazienti. Per fare questo, di regola, si guardano gli occhi di un paziente senza condurre un esame completo.

    Queste osservazioni ci hanno suggerito che lo studio scientifico delle variabili nella porzione oculare del volto sarebbe potuto essere molto prezioso in parecchie aree di interesse, dalla diagnosi delle malattie mentali ai test di idoneità di un individuo per certe professioni. Ma come è possibile studiare scientificamente quest’area del volto?

    Coinvolsi inizialmente un piccolo gruppo di ricercatori con i quali conducemmo delle ricerche su un buon numero di individui, 1.500. Partendo dalla premessa che l’occhio umano ricava la maggior parte delle informazioni dalla scansione della porzione oculare, raccogliemmo un gran numero di fotografie ad alta definizione di questa porzione del volto e successivamente tentammo di trovare dei principi univoci per un’analisi geometrica delle variabili: fessura tra le palpebre, delle palpebre stesse, delle sopracciglia e del ponte del naso. Avemmo qualche successo, ma fummo incapaci di scoprire dei parametri geometrici generalizzabili.

    Una volta fatte delle diapositive le proiettammo sulla parete, nella speranza che l’incremento in dimensioni delle foto analizzate ci potesse in qualche modo aiutare. Ma di nuovo fummo incapaci di trovare dei parametri geometrici univoci. Successivamente, lo sviluppo di un software ci permise di caricare le immagini oggetto di investigazione su un display, e, con l’aiuto di speciali programmi di calcolo, cominciammo ad analizzale in dettaglio. Questo metodo, sebbene fosse più proficuo – ci aveva infatti dato la possibilità di calcolare con molta più accuratezza i parametri geometrici e di salvarne i risultati su una memoria fisica – di fatto non ci permise ancora di trovare quello che stavamo cercando.

    I calcoli erano tediosi, le coincidenze trovate erano poche e non si prestavano come soggetto di un’analisi statistica accurata, decidemmo perfino di abbandonare questo lavoro per un po’ di tempo. Ci stavamo inesorabilmente avviando verso la chiusura del nostro progetto di ricerca, quando, per caso mi capitò di notare qualcosa di particolarmente interessante, che a prima vista sembrava non avere nessun rapporto diretto con la nostra ricerca, mentre esaminavo una bambina di cinque anni che sedeva sul grembo di sua madre di 28 anni. La madre appoggiava la testa vicino a quella di sua figlia e le bisbigliava qualcosa nell’orecchio, cercava di farla stare ferma per aiutare il dottore a visitarle gli occhi. Esaminato l’interno dell’occhio della bambina, mi allontanai ad osservare madre e figlia insieme. In quel momento notai che le cornee della madre e figlia sembravano avere le stesse dimensioni, a dispetto dell’enorme differenza dei loro corpi. Perché le loro cornee sono uguali?, mi chiesi. Per logica, la cornea di una bambina deve essere più piccola di quella sua madre!

    Messa la mia curiosità da parte, completai il mio esame: feci una diagnosi, annotai la mia conclusione e programmai un intervento chirurgico. Il mio prossimo paziente stava già dietro la porta del mio ufficio. È possibile che la cornea di questo paziente adulto abbia le stesse dimensioni della cornea di quella bambina? Mi chiesi mentre esaminavo i suoi occhi.

    Le dimensioni delle loro cornee sembravano proprio essere le stesse. In quel momento ero così affascinato dalla scoperta che chiesi al mio segretario di cercare all’interno della nostra clinica venti volontari di varie età e altezza, sia uomini che donne, e di radunarli insieme. Quando furono tutti riuniti, presi il mio oftalmoscopio ed esaminai i loro occhi, confrontando gli individui l’un l’altro. L’ipotesi che tutti avessero la stessa dimensione della cornea, nonostante le evidenti differenze di altezza peso ed età, era stata confermata.

    È strano pensare che le dimensioni della cornea siano una costante nel corpo umano – come una specie di unità di misura assoluta! Mentre ero assorto in questi pensieri, uno dei nostri chirurghi, Venera Galimova, si sedette vicino a me. Era una donna minuscola, le guardai i piedi e le chiesi: Venera, Che taglia di scarpe ha?

    Trentacinque. Perché me lo chiede?

    Io quarantatré. Andiamo davanti allo specchio.

    Dallo specchio ci guardavano due paia di cornee dalle dimensioni identiche.

    È interessante, pensai, che nel corpo umano, tutte le dimensioni siano relative. Le dimensioni delle mani cambiano da individuo a individuo, così anche le dimensioni dei piedi, dei volti e dei torsi. Alcune persone hanno un ventre grande e altre ne hanno uno piatto. Perfino le dimensioni del cervello e degli organi interni, fegato, stomaco, polmoni, sono diverse. Le dimensioni delle nostre cornee invece sono le stesse! Possibile che nessuno scienziato abbia mai notato questo prima?

    Cercai nella letteratura specialistica, ma non trovai nessuna menzione a questo tema. Organizzammo allora una misurazione di massa del diametro corneale con l’aiuto di uno speciale compasso sotto un microscopio chirurgico, confrontando le misure oculari con le misure di altezza e larghezza delle mani e dei piedi dei soggetti testati. Dopo aver compilato una tabella con i dati rilevati, sottoposte le misure ad analisi statistica, constatammo che il diametro della cornea, quando comparato alle dimensioni di mani e piedi, fosse una costante quasi assoluta a 10 + 0.56 millimetri.

    La misurazione ultrasonica ha rivelato che le dimensioni del bulbo oculare (asse longitudinale dell’occhio), aumenta gradualmente a partire dalla nascita fino a 14-18 anni d’età, quando raggiunge la sua dimensione media di 24 millimetri. Il diametro della cornea, invece, cresce pochissimo dalla nascita fino all’età di quattro anni, dopodiché rimane costante. É proprio perché la crescita del bulbo oculare supera quella del diametro della cornea, che gli occhi dei bambini appaiono più grandi di quelli degli adulti.

    Perché il diametro della cornea è costante? È difficile rispondere a questa domanda, ma le sue dimensioni assolute nel corpo umano possono essere usate come unità di misura, in

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