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Il calcio oltre la Guerra
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Il calcio oltre la Guerra

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La guerra interrompe tutte le attività sociali e lavorative, ma non il calcio che sopravvive nonostante le difficoltà. Il calcio nelle due guerre mondiali, come ribellione alla distruzione della vita e l’epopea del Grande Torino, assoluto ed incontrastato dominatore del calcio negli anni ’40.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateJun 25, 2020
ISBN9788831681995
Il calcio oltre la Guerra

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    Il calcio oltre la Guerra - Carlo Mia

    Churchill

    INTRODUZIONE

    Da sempre la guerra, interrompe ogni attività, distrugge sogni e realtà, ma non così è stato per il calcio, almeno in Italia, dove questo gioco anche se in modo sporadico, ha continuato a vivere. Quanto segue è la prova, che nel corso delle due Guerre Mondiali, l’attività calcistica, non si interruppe o meglio, lo fece solo quando l’inevitabilità delle cose, non consentiva più di allenarsi, spostarsi per le trasferte, giocare le partite ed andare allo stadio era pericoloso sia per l’incolumità delle persone, che dei calciatori stessi. Tanti giocatori soprattutto nella Prima Guerra Mondiale, persero la vita al fronte.

    Inter, Milan, Udinese, Genoa, Hellas Verona, Spezia, e molte altre, ebbero proprio a causa di queste perdite, gli organici dimezzati.

    Le trasferte venivano fatte, utilizzando i mezzi che allora erano all’avanguardia, le corriere ed il treno a vapore. La sospensione temporanea delle attività, fu comunque sofferta ed in un certo modo, solo parziale.

    I periodi nei quali, vennero combattute le due Guerre Mondiali, furono, per la Prima Guerra Mondiale, detta anche la Grande Guerra, dal 28 luglio 1914, data dell’inizio, all’11 novembre 1918, data della conclusione, con la resa della Germania.

    L’entrata in guerra dell’Italia, sancita dalla firma del 26 aprile a Londra avvenne circa dieci mesi dopo, il 24 maggio 1915, a fianco di Inghilterra, Francia e Russia, contro l’Impero Austro-Ungarico e la Germania. Terminò il 4 novembre 1918, quando il Generale Armando Diaz, comunicava con il suo ultimo bollettino di guerra, la vittoria dell’esercito italiano, verso quello austro-ungarico. Questa data è celebrata nella canzone del Piave, dalla famosa frase il Piave mormorava, non passa lo straniero!…, motivo che fino al 1944, funse anche da inno nazionale.

    Fu anche la guerra dei ragazzi del ‘99, che vennero chiamati alle armi, appena diciottenni e qualcuno anche prima, dopo la disfatta di Caporetto ed il loro contributo risultò determinante, per la vittoria finale.

    La Prima Guerra Mondiale, per quanto riguarda l’Italia, venne combattuta principalmente nel Nord-Est, tra Veneto, Trentino, Friuli Venezia Giulia e pur essendo un conflitto da par suo sanguinoso, non andava a distruggere, case, ferrovie, città, anche perché gli aerei non erano ancora attrezzati per i bombardamenti.

    Gli aerei da bombardamento erano più che altro utilizzati per ricognizione e uno dei pochi bombardamenti sulle città, fu quello patito da Venezia il 25 ottobre 1915, che provocò dei danni ai beni culturali. Gli aerei allora, combattevano in azioni di mitragliamento in volo, cercando di abbattere quelli nemici, con tattiche e strategie mirate ad ottenere il risultato vincente. Il nostro miglior aviatore, fu senz’altro Francesco Baracca, accreditato di ben 34 vittorie, anche se come sempre ci sono discordanze storiche sui numeri, qualcuno dice furono 33, altri 37, ma ciò non toglie, che fu riconosciuto all’unanimità, come un vero asso tra i piloti. Il suo simbolo era un cavallino rampante disegnato sulla carlinga del velivolo, che è stato poi mutuato da Enzo Ferrari, come portafortuna, sulle sue monoposto di Formula 1, ma in generale, anche come segno di riconoscimento della casa automobilistica di Maranello nel modenese, che porta il suo nome.

    Da menzionale oltre al nostro aviatore, anche l’ufficiale tedesco Manfred Albrecht von Richthofen, anch’egli un asso dell’aviazione, che collezionò 80 vittorie certificate, diventando l’emblema, per questo tipo di combattimenti, che originò, la leggenda del Barone Rosso. Il soprannome attribuitogli, derivava dal fatto che i suoi aerei, erano totalmente di colore rosso.

    I due avieri si possono definire, due Cavalieri dei cieli.

    La seconda Guerra Mondiale, iniziò il 1 settembre 1939, con l’invasione della Polonia, da parte delle truppe naziste per terminare il 2 settembre 1945, con la resa dell'Impero giapponese, dopo il lancio della due bombe atomiche il 6 e 9 agosto 1945, su Hiroshima e Nagasaki, da due bombardieri americani B29, Enola Gay e Bockscar e simpaticamente battezzate, Little Boy, ragazzino e Fat Man, grassone.

    Questi due terribili ordigni, vennero sganciati, su ordine del Presidente Truman, per dissuadere i giapponesi dal continuare la Guerra, al fine di poterne determinare la fine, come ormai era avvenuto in tutto il mondo, in Europa l’8 maggio, con la resa del Terzo Reich. Da quella data, la libertà tornò in quasi tutta l’Europa, fatta eccezione per la parte centro-orientale, che rimase sotto il dominio del regime comunista per circa 50 anni. Gli stati baltici furono annessi illegalmente e l’Unione Sovietica, prese il comando delle operazioni, intervenendo militarmente, nei paesi dove vi fossero focolai di insurrezione, come poi vedremo, soprattutto in Ungheria e Cecoslovacchia, grazie alla potenza del suo esercito. Molti furono i morti in quegli anni, per la riconquista dei loro diritti e della libertà, annullati con la repressione e la cancellazione delle ideologie, che non si sposassero con quelle comuniste, con metodi non proprio ortodossi, come le famigerate purghe di Stalin, che durarono per un periodo lunghissimo, dalla seconda metà degli anni trenta, fino al 1953, anno della morte del dittatore russo, con centinaia di migliaia di arresti e di esecuzioni. La causa di tutto ciò, fu l’omicidio di Sergej Kirov, che era un importante dirigente del partito a Leningrado, oltre alle difficoltà incontrate in campo economico ed industriale. In questo periodo, definito anche del Grande terrore, vennero eliminati, con un programma di repressione ben delineato, tutti gli avversari di Stalin, ad iniziare da quelli nel partito comunista, ma anche in altri campi, scientifici, nell’Armata Rossa e le minoranze etniche. Tutti i dissidenti furono arrestati ed inviati ai campi di detenzione e lavoro, i famigerati Gulag, in condizioni disumane, volte all’eliminazione fisica.

    La cortina di ferro, era la definizione usata in Occidente nel periodo della Guerra Fredda. Stava ad indicare la linea di demarcazione tra l’Europa Occidentale, sotto l’influenza ed il controllo degli Stati Uniti, da quella dell’Est, che invece era sotto quella Sovietica, in una partita iniziata nel 1947, un paio di anni dopo la fine del secondo conflitto mondiale e durata fino allo scioglimento dell’URSS nel 1991. La Guerra Fredda, era giocata sui tavoli della politica, dalle due grandi potenze, in una sorta di spartizione del continente europeo, con un complicato esercizio di equilibrio, in un gioco, paragonabile al Risiko, diventato però, molto realistico e pericoloso. Essere nell’Est, era come stare sotto ad una grande cupola, dalla quale non si usciva e tantomeno c’era libertà di poter esprimere le proprie idee, quali la democrazia e l’indipendenza, che anni dopo vennero raggiunte e pagate a caro prezzo, in termini di vite umane. Gli ultimi atti di Guerra in Italia, si svolsero con la Liberazione di Torino, ultima città in Italia, dopo lo sciopero del 18 aprile, al quale aderirono fabbriche, scuole, negozi, tribunali, indetto contro la fame ed il terrore nazifascista, che diede origine ad aspri combattimenti. Tra il 27 ed il 28 aprile, i tedeschi lasciavano il capoluogo piemontese, anche se i cecchini fascisti, sparavano dai tetti o dalle cantine delle case, alla popolazione inerme. Il 28 aprile, vista la resa dei militari tedeschi, il quotidiano il Popolo Nuovo, dichiarava che Torino era libera, dopo 20 mesi dal 10 settembre 1943, quando 110 autocarri blindati e 5 carri armati la occuparono. Il 30 aprile, con un ultimo colpo di coda, i tedeschi compirono l’ultima efferata strage a Grugliasco, dove uccisero 67 persone, tra le quali anche il cappellano partigiano, il salesiano Don Caustico.

    Le forze alleate, entrarono in città il 3 maggio, portando le AM-lire, al cambio 100 am-lire per un dollaro, al fine di contribuire a contrastare la drammatica situazione economica, moneta che era stata messa in circolazione dall’esercito americano, successivamente allo sbarco in Sicilia nel 1943. La Guerra durò fino al 5 maggio, quando il sindaco torinese, il comunista Giovanni Roveda annunciò finalmente: «La guerra contro l’invasore tedesco e i traditori fascisti è terminata», anche se festeggiamo la Liberazione il 25 aprile, data presa a simbolo, poichè è quella in cui, il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, annunciò l'insurrezione generale, in tutti quei luoghi, ancora occupati dai nazifascisti. Si poteva tornare a cantare "Bella ciao", un canto di lotta popolare italiano, nato dopo la Liberazione, che fu subito associato alla lotta partigiana. Bella ciao, è stata cantata e tradotta in diverse lingue, in tutto il mondo, fin dal primo festival della gioventù tenutosi a Praga nel 1947, al quale parteciparono i giovani partigiani emiliani, che presero parte alla rassegna di Canzoni Mondiali per la Gioventù e per la Pace ed in quella manifestazione venne introdotto il tipico battimano ritmico, che accompagna la canzone. Tanta era stata la distruzione e la perdita di vite umane, sia militari che civili, che dopo Hiroshima e Nagasaki, l’Imperatore giapponese Hirohito, prese la decisione di presentarsi personalmente dinanzi al Generale americano Mac Arthur, per porre fine all’ormai inutile massacro, di un esercito decimato e stremato, che si reggeva solo più sul suo orgoglio e sul suo onore.

    I giapponesi non si sarebbero mai arresi, probabilmente resa è una parola che non appartiene al popolo nipponico.

    Mentre con il lancio delle due bombe, si poneva fine alla guerra, iniziava l’era atomica, che ebbe il suo culmine negli esperimenti, degli anni sessanta, effettuati da USA ed URSS, nei deserti o negli atolli del pacifico, sia su terraferma che nel mare, con conseguenze, su cose e persone, che sono ben visibili, ancora ai giorni nostri.

    Le esplosioni, documentate con i filmati in bianco e nero, nei telegiornali dell’epoca, facevano vedere questi funghi che venivano creati dal calore sprigionato ed erano origine di stupore da parte dei telespettatori, che ignari delle conseguenze, non potevano che ammirarne la terribile, nonché mortale bellezza. I russi effettuavano i loro esperimenti in Kazakistan, nella steppa kazaka e l’impatto sulla salute della popolazione esposta alle radiazioni, dell’allora regione russa, furono devastanti. Gli Stati Uniti nel deserto del Nevada, la pattumiera nucleare, per circa quarant’anni, dove gli abitanti, si erano ormai abituati a vedere i funghi atomici e strani lampi nel cielo, sopra al deserto.

    I francesi in Polinesia, dove la spettacolarità era accresciuta, dal fatto che venivano eseguiti in mare e si vedevano queste colonne d’acqua, andare a morire, alte verso il cielo.

    Solo negli anni successivi, con i vari reportage e le testimonianze dei superstiti, il mondo si rese conto di quali fossero stati i danni, che realmente fecero quei funghi velenosi, soprattutto sulle persone e nella fattispecie i bambini, vittime di gravi malformazioni corporali, dovute alle radiazioni assorbite, dalle mamme in gravidanza. Ora incombe il problema del dittatore nordcoreano Kim Il-sung, che sfida il mondo ed in particolare gli USA, con i suoi razzi terra-aria ed i suoi ordigni nucleari. C’è da dire che queste forme di minacce, com’erano la Guerra Fredda ed il Muro di Berlino, fungono un po’ da deterrente per lo scoppio di una guerra, in quanto se entrambi gli armamenti, possono raggiungere il nemico, prima di schiacciare il fatidico pulsante rosso, probabilmente si fanno delle profonde riflessioni, anche perché, sotto questo cielo ci sono tutti, però la dannata voglia di potere di questi personaggi, non induce ad essere completamente tranquilli ed ottimisti.

    Dal lato squisitamente calcistico, questi anni di belligeranza, diedero in seguito, ma direi come vedremo, fino ai giorni nostri, adito a contestazioni circa gli esiti finali dei campionati, che in alcune occasioni non volsero al termine a causa dell’intensificarsi dell’azione bellica, nella più totale ed ovvia confusione.

    Anche se, il recupero dei documenti che giustifichino le contestazioni, essendo passato molto tempo, diventano sempre più difficili da reperire.

    Tra i casi più eclatanti ci furono, lo scudetto del 1914/15, reclamato dalla Lazio, a spese del Genoa e quello del 1944, reclamato dallo Spezia, per il quale, come vedremo più avanti, si è trovata in questi ultimi anni, una soluzione, che ha salvato, come si suol dire, capra e cavoli. Per completezza di informazione, altri due campionati risultano pendenti alla giustizia sportiva, per i quali in questi ultimi anni, sono state inviate delle petizioni alla Lega Calcio, al fine che possano essere esaminate e sono relative a Genoa e Bologna, per il campionato 1924/25 vinto dai liguri, quello che sarà poi definito, per i gravi incidenti avvenuti tra tifosi alle stazione e sui treni, lo scudetto delle pistole. Anche in questo caso se andasse a buon fine il ricorso, ci sarebbe l’assegnazione ad ex-aequo dello scudetto alle due contendenti. Infine quello riguardante il Torino ed il Bologna, per il campionato 1926/27, nel quale lo scudetto fu invece revocato ai granata e non assegnato ai felsinei giunti secondi, per una presunta combine, mai del tutto chiarita, sul risultato del derby, tra un giocatore bianconero, Allemandi ed un dirigente granata, nonostante il Presidente della Lega fosse il Podestà di Bologna, Leandro Arpinati, che della squadra bolognese ne era anche tifoso, ma ritenendo falsato tutto il campionato, preferì non assegnarlo ai rossoblu emiliani, forse anche per propaganda politica. Sono stati pertanto riaperti i fascicoli, relativi ai casi suddetti ed il 30 gennaio 2019, il presidente della FIGC Gravina, ha proposto di istituire una commissione ad hoc, per poter giungere finalmente, dopo tanti anni, ad una soluzione in via definitiva.

    Prima di addentrarmi in quello che fu il calcio italiano di quegli anni, due racconti, che meglio stanno a sintetizzare quanto successe, oltre a dare un significato circa l’importanza del calcio, che, anche in mezzo agli orrori di una guerra, possa invece avere la funzione, di essere un mezzo d’unione per i popoli o un tentativo di ridare una speranza, per un ritorno alla normalità, perché in fondo tutto quello che inizia, bello o brutto che sia, prima o poi finisce.

    IL MIRACOLO DEL

    25 DICEMBRE 1914,

    LA TREGUA DI NATALE

    In quel primo Natale di guerra, iniziata il 28 luglio 1914, con la dichiarazione dell’Austria alla Serbia, per l’uccisione dell’arciduca Francesco Ferdinando avvenuta esattamente un mese prima a Sarajevo, stava per accadere qualcosa di veramente inimmaginabile e quanto mai eclatante.

    Ovviamente come sempre accade, per scatenare un conflitto ci vuole un pretesto, che fu per l’appunto quanto avvenuto nel giugno del 1914 a Sarajevo.

    In quegli anni, che posero fine alla Bella Epoque, un periodo di prosperità nella vita sociale, artistica, culturale, economica e lavorativa, durato dall'ultimo ventennio dell’800, all’inizio della Prima Guerra Mondiale, dove in maniera del tutto ottimistica, visto il welfare che era vissuto in quel periodo, si arrivò addirittura a credere, che non si sarebbero più dovute combattere guerre tra i popoli.

    Ovviamente non fu così, in quanto, c’erano già state delle avvisaglie, che preannunciavano nuovi minacciosi venti di guerra, che stavano per soffiare sulla vecchia Europa, pronti a scalfire quella pace, già troppo duratura per quei tempi.

    La guerra, coinvolse sia grandi potenze, sia potenze minori ed in ultimo a partire dal 1917, anche gli Stati Uniti, che con un intervento determinante, generò delle alleanze fra stati, divisi in due blocchi, da una parte gli imperi centrali, tra i quali la Germania, l'Austria-Ungheria, l'Impero Ottomano e il Regno di Bulgaria e dall’altra Francia, Inghilterra e Russia, in quella che fu poi definita, per la sua peculiare caratteristica, guerra di trincea.

    Così mentre il conflitto, aveva iniziato a mietere i suoi inutili morti, due gruppi di giovani uomini, tedeschi ed inglesi, che vestivano uniformi diverse, proprio come le maglie di due squadre di calcio, nell’intento di affrontarsi, decisero che per una notte e per un giorno, non sarebbero più stati nemici, ma fieri avversari, su quello che era ed è, lo sport più amato, il calcio, disputando una partita, che non avrebbe provocato distruzione e soprattutto, non avrebbe messo a repentaglio la vita di nessuno, ma soltanto, la generazione di un sano antagonismo, laddove nulla sarebbe stato messo in palio, se non un premio simbolico, con un significato di una valenza ben maggiore, qualche ora di spensieratezza e tanta voglia di libertà.

    Era il giorno di Natale, quel 25 dicembre 1914, su di un campo innevato devastato dalla battaglia, da una trincea sul fronte occidentale, uscì a mani alzate, come nel classico segno di resa, allo scoperto, assumendosi dei rischi che avrebbero potuto costargli la vita, un militare, subito seguito dai suoi commilitoni. Il campo di battaglia sul quale si erano affrontati, essendone obbligati per il volere di altre persone, sedute perlopiù ad un tavolo, dal quale decidevano sulla carta, le sorti e le vite di questi giovani valorosi, senza che probabilmente a loro infischiasse più di tanto, stava per diventare il teatro di una delle più clamorose azioni di pace e di amore, compiute dall’uomo, quella semplice, che in fondo un uomo rivolge ogni giorno ad altro suo simile quando lo incontra, un saluto, che può variare dalla stretta di mano, all’abbraccio o ad un bacio. Questi soldati, stufi di sentire sibilare proiettili o tuonare cannoni, avevano voglia di pace, avevano voglia di tornare ad una vita normale, almeno nel giorno, nel quale ricorre la nascita di un Uomo, che per la pace degli uomini di buona volontà, si dice sia venuto sulla Terra e perciò era d’uopo, in quel

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