Il Codice di Santa Maria di Cluso: Una fonte preziosa su Cagliari e la Sardegna medioevale
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XIII secolo prodotto dallo scriptorium della chiesa di Santa Maria di Cluso, ubicata
nel cuore della Cagliari medioevale, capitale dell’omonimo Stato giudicale. I suoi
contenuti spaziano dall’ecclesiologia alle istituzioni, dalla cultura alla politica,
ma su tutto svetta la testimonianza del grande progetto, voluto dall’Ecclesia Karalitana e dai giudici di Cagliari, di costruire un nuovo edificio di culto, la chiesa di Santa Maria di Cluso, così da esaltare la potenza e il prestigio di una metropoli di antichissima costituzione e dello stesso Giudicato. L’esame del codice, unito a quello delle fonti documentarie, archeologiche e urbanistiche, ci rivela l’organizzazione della Cagliari medioevale, caratterizzata da una spiccata cultura urbana, il cui apice venne raggiunto con la trasformazione dell’antico centro di Karalis nella nuova città di Santa Ilia. In essa vediamo muoversi i suoi governanti, i suoi chierici, ne riconosciamo i riti religiosi, i percorsi processionali. Emerge così il legame profondo tra il mondo giudicale sardo e la Sede Apostolica Romana, rinsaldato dalla costante azione di protezione esercitata dai pontefici e dai loro legati, i quali cercarono di contrastare la sempre più schiacciante potenza pisana
nell’isola.
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Anteprima del libro
Il Codice di Santa Maria di Cluso - Corrado Zedda
historica
8
corrado zedda
Il codice
di Santa Maria
di Cluso
Una fonte preziosa su Cagliari
e la Sardegna medioevale
© 2020 arkadia editore
Collana Historica 8
Prima edizione digitale giugno 2020
isbn 978 88 68512 87 3
arkadia editore
09125 Cagliari – Viale Bonaria 98
tel. 0706848663 – fax 0705436280
www.arkadiaeditore.it
info@arkadiaeditore.it
Il codice di Santa Maria di Cluso
A Rosa Maria
Maria Chiara
Stella Maria,
Le mie tre Marie
A Serenella ed Enrico
Al loro coraggio
In ricordo di Roberto Coroneo,
Sandro Petrucci,
Marco Tangheroni,
Ugo Tucci,
Padre Umberto Zucca
Presentazione
Maria Pia Alberzoni
Le attente e appassionate indagini sulla storia della Sardegna e della Corsica in età medievale che Corrado Zedda da oltre un decennio sta conducendo hanno già offerto importanti contributi, ai quali si aggiunge ora il presente volume¹. In esso l’autore, a partire dall’esame di un manoscritto di grande rilevo per la storia della Sardegna medievale – il codice che prende il nome dalla chiesa cagliaritana di Santa Maria di Cluso dove esso fu prodotto – offre una sostanziale rivisitazione del medioevo cagliaritano. Il manoscritto non era ignoto ai ricercatori, ma esso non era ancora stato adeguatamente valorizzato in quanto fonte storica attestante la ferma volontà della Chiesa e del giudicato di Cagliari di mantenere un legame privilegiato con la Sede Apostolica, giacché essa costituiva l’unica forza in grado di contrastare le pressioni politiche pisane, particolarmente forti nei primi decenni del XIII secolo.
Lo stesso Zedda puntualizza il valore della fonte qui considerata: «Con questo lavoro ho dunque inteso indagare la fonte puntando soprattutto sulla comprensione della sua unitarietà di fondo come oggetto di studio, nel desiderio di darne un’interpretazione quanto più articolata e globale possibile. Ciò consente di far emergere la valenza internazionale del Medioevo sardo che, organizzato istituzionalmente in quattro giudicati, fu un mondo molto più complesso e dinamico di quanto si ritiene comunemente; esso però risulta tuttora difficile da approcciare e approfondire anche per l’impostazione ideologica della storiografia, che fatica a riconoscere pienamente una capacità propositiva dell’Isola verso l’esterno».
L’indagine prende dunque le mosse da un manoscritto di modeste dimensioni, paragonabile a un quaderno scolastico, miscellaneo e composto da testi di diverso genere: dagli statuti di un concilio provinciale della Chiesa sarda, tenutosi a Santa Giusta (Arborea) nel novembre del 1226, ad alcuni testi di carattere omiletico-penitenziale; dall’inventario degli oggetti liturgici conservati nella chiesa di S. Pietro de Piscatore e utilizzati nelle consacrazioni degli arcivescovi cagliaritani, alle formule dei loro giuramenti alla Sede Apostolica; da un carme celebrativo della edificazione della chiesa stessa alle lettere papali di Onorio III, soprattutto, e di Gregorio IX (i due papi durante il cui pontificato fu composto il codice di Cluso). Il lavoro volto a contestualizzare i testi e a proporne una lettura adeguata e consapevole delle più recenti acquisizioni storiografiche costituisce uno dei maggiori pregi di questo volume e, al tempo stesso, la sua novità e originalità.
Zedda, infatti, dà prova di padroneggiare puntualmente e con acuta sensibilità sia le fonti sia la storiografia relativa al mondo tirrenico, in particolare quelle riguardanti la Sardegna e la Corsica nei loro rapporti con le città marinare, segnatamente con Pisa e Genova, nonché nel forte legame con il papato. Dall’XI secolo, infatti, la Sede Apostolica aveva sviluppato intense azioni diplomatiche per vedere riconosciuti i diritti che essa vantava sulle isole del Tirreno. È merito della recente storiografia l’aver richiamato l’attenzione sulle iniziative papali, volte a imporre un reale controllo sull’Isola grazie alla presenza di legati papali. Mi riferisco qui a lavori come quelli di Mauro Sanna, che hanno raccolto e pubblicato in veste critica la documentazione di Innocenzo III e di Onorio III per la Sardegna: è stato così messo a disposizione degli studiosi un ricco materiale utile non tanto e non solo per ricostruire la storia religiosa dell’Isola – come a un’osservazione superficiale si potrebbe pensare – ma anche per acquisire le fonti necessarie per lo studio della storia politica dei giudicati sardi.
In particolare, per l’intrecciarsi della sua storia con quella del codice di Santa Maria di Cluso, viene qui considerato il giudicato di Cagliari nel periodo di debolezza che si verificò all’inizio del XIII secolo, a causa della forte pressione esercitata dal comune di Pisa, in accordo con la Chiesa di quella città che mirava a inglobare l’Isola nella propria provincia metropolitica. Il pisano Ubaldo Visconti, grazie a una politica matrimoniale decisamente favorevole alla sua città, riuscì a condizionare e indebolire il giudicato cagliaritano, allora governato dalla giudicessa Benedetta. Ella, infatti, dopo la morte del marito Barisone II d’Arborea prestò giuramento di fedeltà a Innocenzo III per potersi tutelare nei confronti dell’espansionismo pisano, ma ciò non fu sufficiente per scongiurare il matrimonio con Lamberto Visconti, già principe di Gallura e fratello di Ubaldo. Solo dopo la morte di costui, tra 1224 e 1226, la giudicessa fu in grado di recuperare il pieno controllo del suo giudicato e in quel periodo si affrettò a rinnovare nelle mani del legato apostolico Goffredo dei Prefetti il giuramento di fedeltà alla Chiesa romana – in questo caso a Onorio III –, unitamente alla promessa di corrispondere un censo annuo di 20 libbre d’argento.
Lo strumento principale per assicurarsi un margine di autonomia da Pisa fu infatti il porsi sotto la protezione del papa, che a quel punto poté intervenire direttamente nella situazione sarda con l’invio di un legato, incaricato di garantire protezione alla giudicessa e di riorganizzare le istituzioni ecclesiastiche del giudicato cagliaritano. Merita di essere sottolineata la presenza, al fianco del legato Goffredo dei Prefetti, di un esponente di spicco della curia di Onorio III, il cardinale diacono di Santa Maria in Cosmedin Ranieri da Viterbo, noto per il suo impegno a sostegno della Sede Apostolica nel corso del lungo confronto con Federico II. La sua presenza in Sardeg