Saper leggere e scrivere non basta - Riflessioni di un'insegnante sulle buone maniere
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Saper leggere e scrivere non basta - Riflessioni di un'insegnante sulle buone maniere - Anna Maria Onelli
editore)
PREMESSA
Questa breve trattazione richiama alcune regole fondamentali di comportamento, in un momento in cui la scortesia, spesso mascherata da disinvoltura, si pratica con estrema leggerezza. Il galateo, inteso come insieme di regole che ci consente di vivere civilmente con gli altri, non è mai passato di moda e sottovalutarlo, per assumere atteggiamenti troppo liberi e singolari, rischia di farci perdere la dimensione di comunità e di farci smarrire l’arte della convivenza. Soprattutto a tavola, comportarsi in modo corretto è un segno di distinzione, che ci fa sentire a nostro agio e mette a proprio agio anche gli altri.
Prendendo spunto dalla presa di posizione di numerosi locali pubblici che si autoproclamano children-free, dove i bambini sono indesiderati, mi è sembrato utile recuperare e descrivere con semplicità, a volte in modo scarno, ma diretto e senza tanti arzigogoli, quelle norme di bon ton, di buona educazione che regolano i nostri comportamenti nei diversi momenti conviviali: quando andiamo a mangiar fuori
, quando organizziamo un festeggiamento in casa, quando siamo ospiti o quando li riceviamo per un breve soggiorno.
Quanto descrivo, non è un elenco di regole sterili, utili per i perditempo, bensì un insieme d’indicazioni che consentano una migliore convivenza, all’insegna di una comunicazione che trasmetta gentilezza, cura, disponibilità e rispetto verso se stessi e verso gli altri. Il testo si rivolge alle famiglie, e alla gente comune come me, che mi sono sempre interessata di educazione, convinta che saper leggere e scrivere
non avrebbe migliorato la vita dei miei allievi, se essi non avessero maturato una conoscenza delle buone maniere e quella cortesia, indispensabili a vivere civilmente in società e a migliorarla.
Chi educa alla tavola
, educa alla vita
, perché le persone educate, sono tali giacché disciplinano il proprio comportamento, quindi s’impegnano costantemente a migliorare. Per questo vivono meglio e fanno vivere meglio quelli che hanno intorno. Certamente essere moderni, non significa essere maleducati e villani. Scrisse Eric Hoffer¹: La villania è l'imitazione della forza, da parte di chi forte non è.
L'autrice
PREFAZIONE
di Sandra Ianni
Quando parliamo di Galateo ci riferiamo a una forma di comunicazione. Attraverso gli stili e i particolari modi di esprimersi e di comportarsi, le persone raccontano qualcosa. Gesti, linguaggi, costumi, mode e modi di fare, costituiscono dei ponti tra il mondo interiore e quello esteriore.
Ed è proprio il galateo, il bon ton, l’argomento del presente libro scaturito dalla creatività di un’insegnante di lungo corso, dirigente scolastico, formatore e relatore. L’argomento sembrerebbe, a prima vista, non pertinente ma in realtà, Anna Maria Onelli, mette in questo lavoro tutta la sua formazione ed esperienza di vita. Inoltre non dobbiamo sorprenderci troppo, perché proprio ad un pedagogo: Clemente Alessandrino (III secolo d. C.), dobbiamo la nascita del Galateo, fu il primo autore di regole per vestirsi, per mangiare e anche per parlare correttamente. Tuttavia la maturazione del codice di buon comportamento in epoca moderna ha avuto sviluppi importanti soprattutto con il Galateo overo dè costumi di Giovanni Della Casa (1558).
La grande accelerazione si registrò solo nell’Ottocento, con un proliferare di centinaia di libri sul galateo a fronte dell’ascesa della borghesia; questa necessitava di apprendere l’educazione e il corretto comportamento in società, tema fino ad allora in mano esclusiva dei nobili. Il genere letterario piaceva così tanto che, intorno agli anni dell’unità d’Italia, furono pubblicati quattrocento galatei², in larga misura erano scritti da donne e indirizzati alle donne; prescrivevano, con molto puntiglio, i vari ruoli che esse dovevano di volta in volta rappresentare. La specializzazione era molto profonda, si scrivevano galatei esclusivamente per fanciulle e signorine, che avevano bisogno di ammaestramenti al saper vivere in una società che si presentava loro come una giungla di tentazioni, corruzioni e soprattutto maldicenze. Erano diffusi anche galatei per signore dove si trovano indicazioni e regole per la signora maritata da poco, per quella già ben inserita in società, per la vedova e per la signora anziana. Anche la scrittrice Matilde Serao con Saper vivere (1900) si cimentò nel genere.
D’altra parte le buone maniere non sono vuote formalità, ma rivelano rapporti, contesti e conflitti, che riguardano la società nel suo complesso. Rappresentano quindi una fonte rilevante per la storia sociale e culturale, testimonianza di visioni politico-pedagogiche che vanno al di là della codificazione di semplici norme di comportamento.
Ancora oggi, alle soglie del III millennio, assistiamo al bisogno di colmare alcune profonde lacune e sicuramente non ci aiutano la TV o l’assistere ad un dibattito politico, tantomeno il comportamento dei clienti di un ristorante o gli schiamazzi dei vicini. A volte avvertiamo la necessità di sapere come comportarci in occasione di un invito, di un pranzo o di fronte ad una scelta tra tanti bicchieri schierati sulla tavola.
L’educazione è stata sempre la principale occupazione della dottoressa Onelli, d’altronde il termine educare deriva dal latino e rimanda al significato di condurre, nel senso di far crescere. Ciò si traduce nella promozione dello sviluppo di facoltà intellettuali, estetiche e morali della persona. Ben sappiamo che l’educazione non è il semplice insegnamento, di sapore ottocentesco, che forgia e foggia, bensì il mezzo per tirar fuori dalla persona ciò che ha da sviluppare di autentico, di proprio. Educare è inoltre una parola implicitamente connotata in senso positivo: