Luna di giorno
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Book preview
Luna di giorno - Francesca Rizzi
Italo…
Oggi
Correva. Le mancava il fiato, ansimava, non poteva farne a meno.
Oramai erano anni che non faceva sport intensamente. Nonostante la fatica e la saliva in gola, andava avanti.
Correva. Verso il domani, lontano dal presente. Lontano dai pensieri che le invadevano la mente.
Sperava che questa corsa, intensa, sotto la pioggia l’avrebbe tranquillizzata, o meglio, che le avrebbe lavato via di dosso, quel sapore, quella emozione che la spaventava.
Voleva solo scappare.
Fuggire da cosa? Dalla vita attuale o verso l’avventura, verso l’incerto?
Le scarpe di tela le pesavano ai piedi, imbevute dall’acqua della pioggia e delle onde del mare.
Non le importava. Aveva freddo, ma nemmeno questo era rilevante.
Correre, voleva solo correre, come se fosse la soluzione per scrollarsi di dosso quel sapore.
Il rumore dei suoi passi era coperto da quello delle onde che s’infrangevano sugli scogli e dal ticchettio dell’acqua del cielo che si fondeva con quella del mare.
Un insieme di rumori che l’accompagnavano, dandole grinta, e che in parte coprivano il suono dei suoi pensieri.
Una vibrazione che veniva dalla tasca interruppe questo concerto di suoni e pensieri.
Il telefono. L’agenda degli appuntamenti le ricordava che quest’ora di sfogo era finita, doveva tornare alla vita reale.
Oggi avrebbe dovuto aprire lei lo studio perché la segretaria era in ferie, in montagna coi bambini.
Non aveva voglia di andare così presto al lavoro dato che il primo cliente si sarebbe presentato solamente tra tre ore.
Come una doccia fredda il suono del telefono l’aveva, quindi, obbligata a ritornare apatica, concentrata, fredda e a richiudere i suoi sentimenti in un vaso, nel suo vaso di pandora.
Via, verso casa, una doccia veloce, era tardi.
Lei odiava essere in ritardo.
Nove in punto, aprì l’ufficio, era in perfetto orario.
Non fece in tempo ad appoggiare la borsa, a slacciare il bottone della giacca e a schiacciare il pulsante d’accensione del suo Mac che suonò il campanello.
Gaia controllò subito l’agenda, a conferma, non aveva nessun appuntamento programmato per quell’ora.
Non aveva minimamente voglia di alzarsi dalla sua sedia, era provata dalla corsa e, soprattutto, da quel groviglio di pensieri che le avevano fatto trascorrere la notte insonne e che aveva tentato di scacciare con lo sport.
Adesso non aveva neanche più la forza di pensare.
Non sapeva cosa l’aspettava.
Spalanca la porta.
È lui.
Il vaso di pandora si apre.
Due settimane fa…
"When she was just a girl,
She expected the world,
But it flew away from her reach. So she ran away in her sleep."
Paradise, Coldplay.
Un ottimo modo per svegliarsi, Paradise
dei Coldplay.
Una canzone che le ricordava la sua vita, le speranze di un’adolescente, i suoi sogni che si contrapponevano al crudele tuffo nella realtà, di una vita che non era esattamente quella che lei aveva programmato.
Nonostante quel retrogusto amaro, Gaia adorava quella strofa della canzone, la riempiva di buon umore e di grinta. Rappresentava la sua storia delineando e valorizzando l’unica cosa che, secondo lei, salva sempre, il sogno.
Sì, lei non aveva mai smesso di sognare e non aveva intenzione di farlo nemmeno adesso.
Era ora di alzarsi.
Il treno, da Roma, per tornare a casa sarebbe partito tra due ore.
Il corso di aggiornamento semestrale era finalmente terminato, stranamente Gaia si era annoiata, lei che fino a pochi mesi fa era sempre alla ricerca di conoscenza, di aggiornamenti e non si stancava mai di fare training.
Fino ad ora, infatti, ogni volta che aveva partecipato a dei convegni, veniva guardata dai colleghi con invidia perché lei, a differenza di loro, aveva ancora la luce negli occhi della passione per il lavoro e la voglia di crescere, di potenziarsi, di diventare la migliore.
Le lezioni di quei giorni, sull’evoluzione della normativa del finanziamento pubblico nei confronti delle piccole e medie imprese non avevano, però, catturato la sua attenzione.
Tensione? Pressione per la nuova sfida?
Gaia tra un paio di mesi avrebbe, infatti, lasciato lo studio, per cui lavorava da due anni, a Genova, per mettersi in proprio, per aprire, a partire da settembre, la sua attività di consulenza insieme alla sua migliore amica conseguendo il suo grande obiettivo, raggiungendo la meta per cui aveva lavorato con sacrificio ed impegno in modo costante sino ad ora.
Da qualche tempo aveva iniziato a maturare dei dubbi sul suo lavoro, sulla sua vita, ma li celava dietro la stanchezza, lo stress, imputando a questi elementi le ragioni della sua sensazione.
Dentro di sé si ripeteva insistentemente che una volta intrapresa la nuova attività, sarebbero riaffiorate vive e forti come prima la motivazione e la sua grinta, e che le uniche cause, di queste sensazioni, derivavano solamente da tutte le noie burocratiche che doveva e stava affrontando da sola, dato che la sua socia era alle prese con la nascita del primo figlio.
Bastava solamente questo pensiero e le cause del suo stato d’animo, che i dubbi venivano immediatamente accantonati, sparivano e le giornate continuavano a scorrere imperterrite nella loro routine.
Gaia non aveva motivi per lamentarsi o per ritenersi insoddisfatta.
Trent’anni, una laurea in Management, esperienze lavorative in società di ampio rilievo e adesso la sua società di consulenza, un ragazzo che la amava e, che forse, la voleva sposare e una famiglia meravigliosa.
Per alcuni, la vita di Gaia era una fotografia, la giusta descrizione della felicità e della soddisfazione, sia dal punto di vista lavorativo che personale.
Per lei, però, mancava qualcosa.
Era sicura che mancasse qualcosa, ma non sapeva cosa fosse; percepiva, ogni giorno di più di essere un soggetto passivo, in balia degli eventi, come un comandante di una nave che lascia che sia il mare a definire la rotta che non conosce o forse non ha il coraggio, di afferrare il timone per cambiare la direzione, e per apportare il cambiamento.
Il cambiamento…
Quando Gaia pensava anche solo a questa parola un brivido gelido le passava per la schiena.
Tutte le volte che aveva dovuto affrontare un cambiamento s’irrigidiva, nonostante la sua vita, se analizzata oggettivamente non era stata nient’altro che un continuo susseguirsi di cambiamenti, di revisioni del percorso, mantenendo però la meta fissa; ciò che variava era solo il percorso per raggiungerla.
Una vita fatta sì, di cambiamenti, ma solo dal punto di vista professionale.
Gaia era sempre stata una persona sicura, determinata, decisa.
Non guardava in faccia nessuno quando si trattava di obiettivi lavorativi, di studio e di competizione coi colleghi. Era un drago
, ma solo nel lavoro.
Aveva sempre saputo quello che voleva in questo campo, non si era mai fermata, tanto che a venticinque anni aveva già cambiato tre lavori, conseguito una laurea, vissuto in quattro città diverse e trascorso più di un anno a New York.
Tanto forte nella vita professionale e tanto debole, insicura in quella privata. Lei, buona, sempre gentile, aveva paura di ferire gli altri, e questo le si riversava perennemente contro, portandola a rimuginare, magari delle emozioni, dei pensieri e a rinunciare a quello che davvero desiderava per assecondare la volontà di chi amava in quanto provava un forte senso di responsabilità nei confronti di chi la circondava. Un cagnolino.
Forte e decisa in un campo, insicura e impaurita nell’altro.
Sebbene la sua propensione all’innovazione, la sua dinamicità e voglia di mettersi in gioco in nuovi ambiti professionali Gaia, fondamentalmente non amava il cambiamento, nel caso in cui questo avrebbe messo in discussione, a repentaglio il suo equilibrio, soprattutto quello emotivo.
Sì, sotto questo punto di vista Gaia era proprio una conservatrice
.
Odiava questa definizione e la possibilità che questo aggettivo venisse collegato a lei; ogniqualvolta i suoi genitori glielo sottolineavano, dicendole che era rigida
, si bloccava, come una lastra di cristallo, mentre dentro di sé le bruciava il fuoco della rabbia.
Gaia, in fondo al cuore sapeva che era così, voleva cambiare, migliorare questo aspetto del suo carattere, ma, nonostante gli sforzi, non riusciva e non era stata capace di superare la sua riluttanza, o meglio, la sua paura, nei confronti dei cambiamenti e degli eventi non programmati che avrebbero potuto perturbare il suo precario equilibrio emotivo.
Era avversa all’incertezza, ma questo non significava che fosse conservatrice; lei associava questa parola a coloro che non sono in grado di cambiare opinione, idea, a coloro che portano alla cristallizzazione dell’evoluzione e del progresso.
Lei, quindi, non era una conservatrice, aveva solo la fobia di quel domani non programmato
che avrebbe potuto mettere in discussione la sua fragile ed importante stabilità interiore.
Fin da quando era piccola aveva, infatti, sempre programmato meticolosamente qualsiasi cosa, le vacanze, il lavoro, ma anche la vita privata, persino le uscite con le amiche.
Tutto per un equilibrio.
Una maniaca dell’ordine. Pazza per qualcuno. Precisa per lei stessa, rigida.
Non sapeva che quel viaggio avrebbe minato sensibilmente il suo equilibrio.
Arrivò il taxi, non era solita prenderlo, preferiva i mezzi pubblici perché secondo lei erano capaci di trasmettere il vero odore e sapore della città, dei suoi cittadini, nonostante gli imprevisti e i ritardi che solitamente caratterizzavano questi viaggi.
Gaia non voleva e non poteva perdere il treno. Alle 14.00 aveva un appuntamento importante col commercialista per definire alcuni degli ultimi aspetti e