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La logica di Adolf Hitler: Immaginazione, razionalità, politica
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La logica di Adolf Hitler: Immaginazione, razionalità, politica

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Immaginazione al potere! Questo motto apparentemente innocuo svela finalmente il segreto del successo di Adolf Hitler, il personaggio più noto del secolo passato. Con uno sguardo innovativo sulle fonti, Ben Novak ci permette di ricostruire l'infanzia e l'adolescenza di un giovane ragazzino austriaco appassionato di romanzi d'avventura, capace di cambiare per sempre la storia del mondo.
LanguageItaliano
PublisherFree Ebrei
Release dateJan 7, 2019
ISBN9788894032468
La logica di Adolf Hitler: Immaginazione, razionalità, politica

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    La logica di Adolf Hitler - Ben Novak

    Pinto

    Capitolo 1. Il problema storico di Hitler

    L’interrogativo posto all’inizio del nostro studio è la semplice domanda che disorientò i contemporanei di Adolf Hitler e che poi ha lasciato sconcertati storici e biografi: perché Hitler riuscì a salire al potere? A prima vista, è una domanda molto semplice, alla quale rispondiamo descrivendo: 1) chi era l’uomo, 2) che cosa fece e 3) come lo fece. Tuttavia, la maggior parte dei biografi e degli storici ha risposto solo a una delle tre domande, cioè a che cosa fece. Sulle altre due non è riuscita a raggiungere un consenso generalizzato o a fornire risposte esaustive.

    H.R. Trevor-Roper fu il primo storico postbellico a riconoscere il mistero costituito dall’ascesa al potere di Hitler e a vedere nelle due domande inevase gli elementi perduranti del mistero intorno al personaggio. Trevor-Roper sollevò gli interrogativi in un lungo saggio pubblicato nel 1953, intitolato La mente di Adolf Hitler¹, che inizia con una domanda a brucia pelo: Chi era Hitler? Poi prosegue criticando aspramente i suoi colleghi storici per non aver saputo rispondervi, ma anche per non aver saputo affrontare il secondo interrogativo del mistero: Come ci riuscì? A dire il vero, Trevor-Roper accusò gli storici di eludere le domande. È importante citarlo per esteso, perché lo storico inglese non usa mezze misure:

    Chi era Hitler? La storia della sua carriera politica è abbondantemente documentata e non possiamo sfuggire ai suoi terribili effetti. Ma […] com’è sfuggente il personaggio! Cosa fece è chiaro; ogni dettaglio della sua attività politica – grazie a una confisca documentaria senza precedenti – è oggi storicamente acclarato; la sua vita quotidiana e il suo comportamento personale sono stati esaminati e rivelati. Ma se però ci chiediamo non che cosa fece, ma come lo fece o – piuttosto – come riuscì a farlo, gli storici evitano di porsi la domanda, trincerandosi dietro a risposte poco convincenti².

    Nel mezzo secolo successivo, malgrado l’imponente quantità di studi dedicati ai due interrogativi (Robert G.L. Waite ha aggiunto: È probabile che su Adolf Hitler sia stato scritto di più rispetto a qualsiasi altro personaggio storico, eccetto Gesù Cristo)³, non è stato compiuto alcun progresso in grado di rispondere alle domande o di risolvere il mistero.

    Eberhard Jaeckel ritiene che la domanda Come poté salire al potere Hitler? sia l’interrogativo decisivo del XX secolo⁴. James M. Rhodes scrive che L’ascesa del Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori è un fenomeno che non è mai stato adeguatamente spiegato⁵. Il biografo Robert Payne ammette candidamente, all’inizio della sua biografia Vita e morte di Adolf Hitler, che l’ascesa al potere di Adolf Hitler è uno di quegli eventi della storia universale quasi del tutto razionalmente incomprensibili⁶; mentre Joachim Fest, autore di una delle biografie più autorevoli di Hitler⁷, ammette, tredici anni dopo la sua pubblicazione, che Hitler e il nazionalsocialismo, malgrado anni di studio e di riflessione, restano più mito che storia⁸. Robert Nelken sintetizza concisamente il mistero: Hitler ha sconcertato generazioni di studiosi⁹.

    Lo status quaestionis del mistero, specialmente quello inerente alle due domande inevase identificate da Trevor-Roper, si riflette assai bene nelle tre grandi opere pubblicate al termine del secolo passato. Nel 1997 John Lukacs pubblicò L’Hitler della storia, un regesto dei principali lavori storiografici e scientifici su Hitler. Lukacs fu spinto a condurre il suo studio perché sentiva che le due domande individuate da Trevor-Roper nel 1953 fossero rimaste inevase: Non esiste disaccordo al riguardo fra gli storici, scrive Lukacs. Ciò che essi chiedono ai documenti – e a loro stessi – sono due cose: come poté salire al potere Hitler? E che uomo era?¹⁰ In conclusione, Lukacs ripete il giudizio offerto da Percy Ernst Schramm: In virtù della sua personalità, delle sue idee e del fatto di aver ingannato milioni di persone, Hitler pone un problema storico di primaria importanza¹¹. Lukacs stesso sintetizza quasi in termini biblici il mistero di Hitler, capitalizzando ogni termine: E Hitler Fu, È e Resta un Problema¹².

    L’anno successivo apparve un’opera che dimostrava il persistente mistero di Hitler. Nel 1998 il giornalista Ron Rosenbaum, che fiutò una storia nel fallimento da parte degli storici di risolvere il mistero di Hitler, pubblicò il saggio Spiegando Hitler. La ricerca delle origini del suo male. La storia riportata da Rosenbaum è il mezzo-scandalo che gli storici non abbiano spiegato Hitler. Per il suo lavoro Rosenbaum intervistò molti degli studiosi più importanti di Hitler, documentando la sua sorpresa – e la loro frustrazione – che gli interrogativi morali e storici più importanti su quest’uomo fossero rimasti inevasi. Rosenbaum identifica i due interrogativi ancora inevasi: 1) La vera ricerca su Hitler – la ricerca di chi sia stato; e 2) il mistero del suo successo¹³. Rosenbaum poi documenta in maniera eloquente la sorpresa del profano di fronte al fallimento da parte degli storici di individuare risposte coerenti o soddisfacenti a tali domande:

    È possibile, a oltre cinquant’anni dalla morte di Hitler, dopo tutto quello che stato scritto e detto, che stiamo ancora vagando in quest’immensa landa desolata, in questo giardino di sentieri che si biforcano, senza alcuna traccia per rispondere a tale interrogativo? O piuttosto, ahimè, con troppi interrogativi: la ricerca non ha fornito un’immagine coerente e soddisfacente di Hitler, ma molti Hitler differenti, differenti personificazioni piuttosto contrastanti, di Hitler che non potrebbero riconoscersi abbastanza bene da dire Heil se capitassero faccia a faccia all’inferno¹⁴.

    Fra le interviste più significative documentate da Rosenbaum vi è quella di H.R. Trevor-Roper, che espresse la sua disperazione di fronte al fatto che il mistero di Hitler non sia stato ancora risolto, e che potrebbe non esserlo mai, poiché vi è un che di irrazionale al centro del fascino di Hitler, un che di inspiegabile con gli strumenti ordinari dell’analisi storica e psicologica¹⁵. Malgrado questo passo risalente a quasi mezzo secolo fa e i tentativi di migliaia di studiosi, Trevor-Roper ammette che Hitler resta un mistero spaventoso¹⁶.

    Infine, nel 1999, l’ultimo anno del XX secolo, apparve il saggio di Ian Kershaw Hitler: 1889-1936: Hubris. Acclamata come la classica biografia di Hitler del nostro tempo¹⁷, l’opera illustra vividamente il mistero di Adolf Hitler e il fallimento da parte degli storici di rispondere alle due domande sollevate da Trevor-Roper nel 1953. Nell’introduzione Kershaw ammette candidamente che la sua materia (la vita e la carriera di Adolf Hitler) e le due domande inevase rappresentano ancora un mistero irrisolto. Hitler si è dimostrato – mutuando le parole di Winston Churchill (anche se in un contesto differente) – un indovinello celato in un enigma interno a un mistero¹⁸.

    Descrivendo la mente di Hitler come un vuoto e la sua vita privata come un buco nero, Kershaw cerca di evitare di rispondere alle due domande su chi sia stato veramente quest’uomo e come sia stato possibile che Hitler – fra tutti – ottenne un successo politico così fenomenale. Hitler, nel racconto biografico di Kershaw, fu una non persona, esistita solo per via dagli effetti provocati.

    Quindi Kershaw eluse, evitò o evase completamente le domande avanzate da Trevor-Roper, Lukacs e Rosenbaum. Egli ipotizza preventivamente che Hitler non ebbe alcuna vita privata¹⁹. In altre parole, non esistette un uomo dietro la persona pubblica di Hitler. L’intera persona di Hitler può essere circoscritta al ruolo di Führer²⁰, insiste Kershaw. Quindi il compito biografico di Kershaw consiste soltanto nel raccontare cosa fece Hitler – non chi fu, né come (l’uomo dietro la maschera) fece ciò che fece. "Il compito del biografo – spiega Kershaw – deve focalizzarsi non sulla persona di Hitler, ma sull’uomo di potere – il potere del Führer"²¹. Quindi l’approccio di Kershaw ci riporta diritti allo status quaestionis del 1953, alle domande inevase di Trevor-Roper, ovvero:

    - Chi era Hitler prima di creare la maschera, di interpretare il personaggio e di diventare Führer?

    - Chi era Hitler quando si immaginò per la prima volta Führer e come, con astuzia e calcolo, decise di diventarlo?

    - Come fu possibile che questo sconosciuto poté convincere chiunque a credere che lui – fra tutti – fosse il futuro leader della Germania?

    - Che cosa permise a quest’uomo di diventare il Führer?

    Kershaw ci offre ben poco per rispondere a questi interrogativi se non recitando nuovamente la litania di ciò che fece nella sua scalata al potere. Se non esiste un Führer nato (un’idea che sarebbe piaciuta a Hitler) o un Führer giunto come deus ex machina, le domande poste da Trevor-Roper restano ancora inevase e vanno quindi affrontate.

    Questo è lo status quaestionis della ricerca storica di oggi sul problema dell’ascesa al potere di Hitler, ed è rimasto tale da quando Hitler salì per la prima volta sul palcoscenico della storia. L’ascesa di Hitler continua a essere – come ha scritto Robert Payne – l’evento più sconcertante di questo secolo²².

    1. Analisi del problema

    Quando un mistero riguardante interrogativi fattuali (chi fu quest’uomo e come fece ciò che fece) resta irrisolto per mezzo secolo malgrado gli intensi sforzi per risolverlo, è logico ritenere che il problema sia uno dei seguenti: 1) i fatti sono insufficienti; 2) non è stata posta la giusta domanda; 3) il metodo utilizzato non è stato corretto. All’inizio del nostro studio abbiamo esaminato tutte e tre le possibilità.

    1.1. Fatti insufficienti

    Nel caso di Hitler sembra assai improbabile che disponiamo di fatti insufficienti. Come osservò Trevor-Roper nel 1953, a seguito di una quantità di documenti senza precedenti dopo la Seconda guerra mondiale, sapevamo della vita di Hitler molto di più rispetto a qualsiasi altro personaggio pubblico del XX secolo. Oltretutto, l’interesse pubblico e storiografico sul mistero di Hitler si è intensificato dopo le osservazioni di Trevor-Roper. Gli storici, i biografi, gli studiosi e i ricercatori si sono concentrati su ogni fatto e documento della vita di Hitler e hanno intervistato quasi ogni persona con cui lui sia mai venuto a contatto, o di cui abbia fatto anche solo la minima conoscenza. Per esempio, Franz Jetzinger, bibliotecario degli Archivi provinciali di Linz, rintracciò quasi ogni documento relativo alla gioventù di Hitler²³, mentre il biografo John Toland condusse e documentò più di 250 interviste a ogni persona che avesse mai conosciuto Hitler in vita sua²⁴. Eberhard Jaeckel e Axel Kuhn hanno tentato di raccogliere e pubblicare ogni documento relativo alla vita di Hitler²⁵.

    Possiamo quindi dedurre che le ricerche sui fatti della vita di Hitler siano immense. Dal 1975 J.P. Stern riferisce che una serie di studiosi tedeschi, inglesi e americani lavora su specifiche versioni dell’ascesa al potere di Hitler e del suo governo. Diari, memoriali, rapporti di polizia, discorsi di Hitler, note e conversazioni a tavola sono stati e sono pubblicati in gran quantità²⁶. Dal 1979 il biografo francese Pierre Aycoberry osserva che i tentativi di spiegare questo fenomeno aberrante, se non estremo, della storia europea si sono moltiplicati in tale misura che ogni singolo lettore non sarebbe in grado di leggerli tutti insieme se anche vi dedicasse una vita intera²⁷. A metà anni Settanta, un rapporto ha stimato la pubblicazione di oltre 50.000 lavori seri su Hitler ²⁸; sino al 1999 il numero dei lavori scientifici e accademici su Hitler era salito a 120.000²⁹. Finora sono state pubblicate oltre cento biografie accademiche e scientifiche sulla vita di Hitler. Sembra alquanto improbabile che ogni fatto importante della sua vita sia stato trascurato.

    L’abbondanza di opere accademiche suggerisce che il problema del mistero dell’ascesa al potere di Hitler non consiste nella scarsità dei fatti, né nell’assenza dei dati. Al contrario, l’enorme massa di dati, dettagli, fatti e osservazioni sembra talora oscurare il mistero piuttosto che aiutare a risolverlo. Stern, per esempio, osserva questo:

    Se scorriamo la lista dei biografi più importanti […], osserviamo che ognuno è stato più meticoloso del suo predecessore nel filtrare il fatto dalla finzione, la prova documentata dall’inferenza e dall’interpretazione. […] Tuttavia, c’è un aspetto che rende frustrante tale obiettivo, che ritengo dipenda dal passato. Un montaggio di minuzie biografiche […] non necessariamente migliora la comprensione. Maggiori dettagli spesso conferiscono minor senso³⁰.

    Alla luce dell’enorme mole di ricerca e d’indagine per scoprire e documentare ogni dettaglio della vita e della carriera di Hitler, sembra che il problema relativo al mistero della sua ascesa al potere non consista nell’insufficienza di documenti, ma piuttosto nel dare un senso ai fatti. Questo comporta un esame delle questioni poste dai fatti.

    1.2. Le questioni poste dai fatti

    Analizzando quegli studiosi che hanno tentato di spiegare l’ascesa al potere di Hitler, sembra che quasi tutti affrontino il problema lungo due strade illogicamente assortite. La prima comporta l’applicazione di qualche etichetta, come, per esempio, che Hitler fosse un opportunista senza scrupoli oppure fosse dotato di poteri medianici, sostenendo poi che l’etichetta descrittiva sia esplicativa. Il secondo approccio consiste nel focalizzarsi non su ciò che fece per raggiungere il successo, ma piuttosto sulle condizioni che lo resero possibile. Tuttavia, quasi tutte le condizioni normalmente descritte come la causa dell’ascesa di Hitler erano presenti anche per tutti i politici della sua epoca, e quindi non consentono di capire come e perché lui, nel caso specifico, fu capace di capitalizzarle. Perciò le risposte suscitate dalle domande poste dai questi due approcci, seppur utili e illuminanti per molti versi, sono singolarmente sprovviste del valore esplicativo necessario a rispondere agli interrogativi posti da Trevor-Roper e da Lukacs quale base del persistente mistero intorno al successo politico di Hitler; ovvero chi fu quell’uomo e come fece ciò che fece.

    Un breve resoconto delle risposte fornite ai nostri interrogativi illustrerà il fallimento dei due approcci nel risolvere il mistero di Hitler. Per illustrarlo porremo tre serie di domande a ciascuna delle risposte fornite dai precedenti studiosi: 1) Cos’aveva l’uomo Hitler che gli permise di aver successo? Cosa lo distingueva dagli altri? In altri termini, perché Hitler e non qualcun altro? 2) Ammessa ipoteticamente la fondatezza di ogni spiegazione pregressa, come Hitler fece esattamente ciò che fece? 3) Perché Hitler – fra tutti – fu capace di farlo? Che cosa aveva lui che gli altri non avevano?

    1.2.1. Opportunista

    Nella prima importante biografia di Hitler dopo la Seconda guerra mondiale (Hitler. Studio sulla tirannide), Alan Bullock indicò la via maestra, etichettando Hitler come un opportunista senza scrupoli. Pur essendo indubbiamente vera, l’etichetta manca di valore esplicativo per numerose ragioni. Innanzitutto, non esiste alcun nesso necessario fra l’essere opportunista (senza scrupoli o di altro genere) e l’aver successo. L’opportunismo non è necessariamente una qualità attraente in un leader. Per esempio, secondo Klaus P. Fischer, Hermann Esser era un oratore diabolico e un agitatore di folle […] intelligente, astuto e assolutamente cinico ed era considerato un rivale di Hitler nella guida del Partito nazista delle origini. Ma ciò che lo rendeva inadatto, secondo Fischer, era il suo opportunismo egocentrico"³¹. Quindi l’essere un opportunista senza scrupoli non garantisce sempre il successo in politica; anzi, spesso è svantaggioso.

    Inoltre, a dire il vero, c’erano non pochi politici opportunisti nella Germania degli anni Venti. Cinquanta nuovi partiti politici e associazioni furono fondati nella sola Monaco nel 1919, e centinaia in tutto il resto della Germania, tutti pullulanti di politici – o aspiranti tali – opportunisti proprio come Hitler. Tuttavia, lui ce la fece e gli altri no. Etichettare Hitler come un’opportunista non spiega né il suo ascendente sulle persone, né il suo maggior successo rispetto agli altri. L’indagine critica dovrebbe quindi andar oltre l’etichetta per spiegare come l’opportunismo di Hitler differisse da quello degli altri e spiegare anche come la sua differente forma di opportunismo (che Bullock non definisce, né spiega) avesse contribuito al suo successo politico.

    La forma hitleriana di opportunismo, contrariamente a quella di Esser, era attraente per un qualche motivo nuovo e sconosciuto? Oppure Hitler scoprì una via nuova e precedentemente inesplorata per mascherare il suo opportunismo? In ogni caso, come ce la fece? Bullock evita di affrontare questi interrogativi. Quindi la risposta che Hitler fosse un opportunista (non importa se vera) evita di rispondere agli altri problemi: perché Hitler fu un opportunista di successo – e non uno dei tanti? Che cosa distingueva il suo opportunismo dagli altri? E come rese esattamente il suo opportunismo così politicamente efficace? La spiegazione di Bullock che Hitler fosse un opportunista (senza scrupoli o di altro genere) non ci permette di comprendere come e perché Hitler ebbe successo.

    1.2.2. Demagogo

    Si è spesso sostenuto che Hitler ebbe successo perché fu un grande oratore e un demagogo. Non c’è dubbio che Hitler fu un grande oratore e un demagogo. Tuttavia, il fatto manca di valore esplicativo per parecchi motivi. Innanzitutto, Hitler non era il solo eccellente oratore e demagogo del tempo. Ve ne erano molti altri, come Richard Kunze³² e Karl Gandorfer³³, demagoghi eccezionalmente efficaci. Etichettare Hitler come un demagogo non spiega come la sua demagogia differisse o fosse superiore a quella degli altri e, quindi, non riesce a spiegare il suo successo.

    In secondo luogo, è un fatto assodato dagli studiosi che, anche nel Partito nazista, Hermann Esser fosse considerato nei primi tempi un oratore incendiario e un rivale di Hitler nell’arte della demagogia³⁴. Perciò, sostenere che Hitler ebbe successo perché era un demagogo non spiegherebbe perché lui divenne la forza dominante nel suo partito. Né spiegherebbe come fosse poi capace di indurre altri oratori demagogici come Joseph Goebbels e Gregor Strasser, ritenuti altrettanto bravi, a sostenerlo invece che a sfruttare autonomamente le loro doti demagogiche.

    In terzo luogo, come ha sostenuto Theodor Abel, la demagogia è raramente capace di garantire il successo: Per quanto un oratore manovri abilmente le emozioni di un uditorio, non può mantenere a lungo la sua influenza, scrive Abel³⁵. Hitler, però, esercitò la sua influenza su un gruppetto e poi la ampliò costantemente a porzioni sempre maggiori di popolazione per un periodo di quattordici anni – un risultato né facilmente, né logicamente attribuibile alla sola demagogia. Né, d’altro canto, qualcuno ha attribuito all’ascesa al potere di Hitler un genere di demagogia, che non è stato ancora classificato o spiegato.

    In quarto luogo, se il successo di Hitler fosse veramente attribuibile alla sua oratoria e alla sua demagogia, alla luce del fatto che era stato definito uno dei più grandi oratori del XX secolo, sembrerebbe che la sua retorica fosse stata materia di uno studio intensivo. Tuttavia, come Fritz Redlich ha notato, non esiste uno studio esaustivo su tutti gli aspetti retorici di Hitler³⁶. Finora nessuno studioso ha analizzato la retorica hitleriana in modo tale da spiegare il suo fenomenale successo politico³⁷. Se la demagogia hitleriana (le sue doti discorsive, oratorie e retoriche) fu così importante nella spiegazione del successo di Hitler, perché nessuno ha ritenuto necessario studiarla per spiegare i principi della sua efficacia?

    Infine, se il successo politico di Hitler era dovuto alla sua demagogia, come e perché il suo movimento crebbe così efficacemente dal novembre 1923 all’aprile 1927, quando lui era in prigione oppure era impossibilitato a parlare pubblicamente? Nel febbraio 1925, dopo che Hitler fu rilasciato di prigione, il partito si trasformò da partito personale a uno di massa con oltre 78.000 iscritti, membri convinti entro il 1927. Questo fenomenale successo non può essere attribuito alla demagogia. Infatti, se la demagogia, l’oratoria e la retorica potevano avere successo, è un fatto degno di nota che Hitler fece solo un discorso pubblico in tre anni e mezzo fra il novembre 1923, quando fu imprigionato dopo il putsch, e l’aprile 1927, quando gli fu tolto il divieto di parola in pubblico. È anche degno di nota il fatto che nessun altro aspirante demagogo riuscì allora a scalzare Hitler. Se la demagogia poteva ottenere tali sorprendenti risultati, è strano che nessun altro riuscì a impiegarla per scalzare Hitler mentre era fuori dai giochi.

    Etichettare Hitler come un demagogo, quindi, non basta a spiegare il suo successo. La sua demagogia era differente da quella degli altri. Urge un approccio che vada oltre l’etichetta per identificare la differenza della sua demagogia. Per parafrasare le domande di Trevor-Roper: cosa c’era in quest’uomo da consentirgli di creare una forma di demagogia chiaramente differente e così efficace? Quali metodi e mezzi gli permisero di presentare la sua demagogia diversa da quella altrui? Rispondendo a questi due interrogativi possiamo risolvere il mistero dell’ascesa al potere di Hitler.

    Tentando di risolvere il mistero bisogna affrontare il problema della demagogia hitleriana da una prospettiva differente da quella utilizzata finora. Al riguardo, il consiglio del primo investigatore privato della letteratura, il Cavaliere C. August Dupin, è piuttosto opportuno: Non dovremmo tanto chiederci ‘cosa è accaduto’, quanto piuttosto ‘cosa è accaduto che non era mai accaduto prima’³⁸. Per quanto ne sappiamo, nessun approccio di storici o studiosi di altre discipline (come di retorica, per esempio) si è spinto oltre l’etichetta per identificare le peculiarità che resero così efficace la demagogia hitleriana. Se ammettiamo, per ipotesi, che il successo di Hitler possa essere attribuito alla sua demagogia, nessuno ha spiegato che cosa permise a quest’uomo – e a nessun altro – di creare e utilizzare una forma così efficace di demagogia. Etichettare Hitler come demagogo non spiega semplicemente niente e solleva più domande che risposte.

    1.2.3 Pedina

    Molti studiosi hanno sostenuto che Hitler fosse la pedina dell’esercito, dei capitalisti, degli industriali, dei latifondisti o di potentati ben radicati, che lo finanziarono e lo usarono per i loro fini³⁹. La ricerca meticolosa ha relativizzato la maggior parte di tali argomenti⁴⁰. Tuttavia, pur ammettendone una qualche validità, essi non ci aiutano a risolvere il mistero di Hitler, perché non spiegano come e perché lui fosse in grado di impressionare i rappresentanti di tali gruppi, o come lui fosse scelto come loro pedina. Queste teorie non spiegano che cosa avesse Hitler – fra tutti – che spinse tali persone a investire nel suo successo politico. Naturalmente, una volta che aveva costruito il suo movimento per attrarre sufficientemente la loro attenzione, è comprensibile che loro possano averlo sostenuto o abbiano voluto farne la loro pedina. Tuttavia, questo ci porta a chiederci, innanzitutto, come Hitler costruì il suo movimento – prima che gli altri lo sostenessero o se ne accorgessero.

    Quindi, se Hitler fu subito scelto dall’esercito, diciamo nel 1919, il mistero appare ancora più grande. Nel 1919, secondo tutti gli studiosi che lo hanno analizzato in quel periodo, Hitler appariva il meno probabile fra tutti gli aspiranti politici. Perché dunque l’esercito o qualsiasi altro gruppo avrebbe scelto Hitler come loro pedina?

    La domanda ne suggerisce un’altra: se un qualsiasi gruppo vide in Hitler la sua pedina nei primi anni Venti, che cosa vi videro che gli studiosi non sono ancora riusciti a identificare? Un esempio significativo: Ernst Röhm si unì al piccolo Partito tedesco dei lavoratori nello stesso mese di Hitler e si impegnò nel sostenere l’avanzata della leadership hitleriana nel partito⁴¹. Röhm, all’epoca maggiore, era uno degli ufficiali più politicamente astuti e ammanicati dell’esercito tedesco. Viceversa, i documenti militari di Hitler fino a quel punto non evidenziavano alcuna capacità di leadership; era ancora un caporale. Che cosa quindi Röhm sapeva del potenziale politico di Hitler che gli studiosi non sono stati capaci di vedere?

    Finora nessuno studioso sostenitore della tesi della pedina ha affrontato questi interrogativi⁴². In altre parole, tutti gli approcci incentrati nel descrivere Hitler come una pedina ci spingono a chiederci perché qualcuno lo avrebbe scelto come suo portabandiera. Le domande essenziali, invece di ottenere risposta con la teoria della pedina, ne sollevano ulteriori: perché qualche gruppo avrebbe scelto Hitler come propria pedina nel 1919 o nei primi anni Venti, visto che era ancora un leader oscuro e radicale di un partitino estremista?

    1.2.4. Correnti intellettuali

    Molti studiosi hanno proposto di spiegare Hitler in base alle correnti intellettuali e alle idee prevalenti nella Germania dell’epoca⁴³. Tuttavia, qualsiasi sia la forza di tali argomenti, è un dato di fatto che tutte le correnti o le idee intellettuali solitamente ritenute d’ausilio all’ascesa di Hitler esistevano in tutta la società tedesca. Esse erano quindi note e disponibili a qualsiasi altro politico della Germania.

    Alle elezioni del Reichstag del 1928, per esempio, si presentarono trenta partiti politici e alle elezioni del 1930 ventotto. Nessuno studioso ha spiegato o ha tentato di spiegare perché Adolf Hitler fosse più idoneo o avvantaggiato rispetto ai leader degli altri partiti nel cogliere tali idee e nell’usarle quale base del suo movimento. In altri termini, chi era quest’uomo e come lui poté, unico fra tutti i politici tedeschi, impadronirsi di tali correnti? Perché Hitler fu – fra tutti – l’unico politico a beneficiare di tali correnti e idee intellettuali? Le tesi che il successo di Hitler fossero l’esito delle correnti intellettuali, delle forze culturali o, in generale, delle idee diffuse non chiarisce sufficientemente il problema di cosa permise a Hitler di riconoscere tali correnti, tali forze, tali idee e di basarvi il suo successo.

    1.2.5. Condizioni economiche, politiche e sociali

    Molti studiosi hanno suggerito o inferito che il successo di Hitler potesse essere spiegato in base alle condizioni economiche, politiche e sociali della Germania. Queste condizioni includono la sconfitta della Germania nella Prima guerra mondiale, l’imposizione della Repubblica da parte degli Alleati, l’umiliante trattato di pace di Versailles e le onerose riparazioni, l’Iperinflazione e la Grande depressione⁴⁴. Si dice spesso che Hitler sarebbe stato impossibile in qualsiasi altro momento della storia tedesca o in altre circostanze. Tuttavia, anche se ammettiamo la validità di tali argomenti, il dato di fatto è che tutte queste condizioni erano presenti anche per tutti gli altri politici. Nessuno studioso ha spiegato perché Hitler fu più capace degli altri nell’avvantaggiarsi delle condizioni politiche ed economiche⁴⁵. Né ha spiegato che cosa lo rese capace di prevedere le opportunità di tali condizioni e di saperle capitalizzare. In altri termini, nessuno ha saputo spiegare perché tali condizioni agirono solo a suo vantaggio⁴⁶.

    In un certo senso, però, la tesi che Hitler fosse il prodotto delle condizioni è ciò che John Lukacs ha definito come mezza verità. Una mezza verità, scrive Lukacs, non è il 50% della verità; è il 100% di verità e menzogna mischiate insieme⁴⁷. In un certo senso, è del tutto vero che Hitler avrebbe potuto emergere politicamente solo nelle confuse condizioni esistenti nella Germania postbellica. Tuttavia, questa non è una ragione valida per evitare lo studio della mente e del carattere di Hitler e per considerarlo una non persona, come, per esempio, hanno fatto Joachim Fest e Ian Kershaw. Indubbiamente, Albert Einstein non sarebbe mai stato ascoltato se fosse nato, diciamo, nel Medioevo; il suo genio nella fisica necessitava di certe condizioni in cui fiorire. Allo stesso modo, noi non avremmo mai sentito parlare di George Washington, se non per le condizioni esistenti nelle colonie prima della Rivoluzione americana, né di Abramo Lincoln se non per le condizioni esistenti al tempo della controversia sulla schiavitù. Ciascuno di loro fu un genio capace di comprendere e usare più efficacemente le condizioni rispetto agli altri. Le condizioni forniscono solo il campo su cui può agire il genio.

    La mezza verità riguardante Hitler è stata quella di ignorare la sua mente e di guardare alle condizioni per spiegarlo, piuttosto che a guardare al suo genio per cercare di comprendere come lui percepì le condizioni esistenti in maniera diversa rispetto agli altri. In effetti, può essere vero che Hitler non avrebbe mai potuto fiorire in altre condizioni, ma lo sbaglio consiste nel sostenere che lui fosse il prodotto di tali condizioni. L’aspetto importante è che, per quanto fosse un uomo pazzo o malvagio, lui comprese tali condizioni in modo differente rispetto agli altri e le usò in modo straordinariamente efficace. Come Trevor-Roper chiese nel 1953: Perché gli storici ci dicono così poco sulla mente di Hitler, ritenendola spesso inesistente?⁴⁸ Il mistero di Hitler consiste non nelle condizioni in cui prosperò, ma nella natura particolare della sua mente che gli permise di avere successo proprio in quelle condizioni.

    1.2.6. Poteri medianici

    Molti dei contemporanei di Hitler e numerosi studiosi successivi hanno sostenuto che Hitler ebbe successo perché possedeva un qualche genere di potere medianico sulle persone e, specialmente, sulle folle⁴⁹. Ernst Nolte, per esempio, sostiene che non ci sarebbero dubbi sui tratti medianici di Hitler⁵⁰. Il senso delle parole di Nolte è che i tratti medianici hitleriani costituirono una delle tre caratteristiche in grado di spiegare il suo successo. Tuttavia, nessuno studioso ha concentrato la sua attenzione sui discorsi di Hitler o su altre circostanze delle sue cosiddette attività medianiche per scoprire se tali doti fossero paranormali o semplici messinscene. Anche se molti studiosi hanno discusso l’elaborata pianificazione dietro alle apparizioni pubbliche di Hitler (la fanfara, le bande, i rituali e gli ovvi tentativi di creare emozione e suspense), nessuno li ha esplicitamente studiati per scoprire il metodo utilizzato per ottenere tali effetti. Quindi è piuttosto plausibile che gli effetti medianici di Hitler non fossero affatto paranormali, ma trucchi noti o metodi adottati dalla politica in maniera calcolata per dargli l’impressione di essere paranormale o, persino, sovrannaturale.

    Perciò non è di per sé esplicativo definire Hitler un medium o accreditarlo di poteri medianici. Sarebbe necessario concentrarsi non sugli effetti creati da Hitler, ma sui mezzi usati a tal fine. Solo studiando la pianificazione effettiva e l’esecuzione degli effetti sarebbe possibile rivelare la natura della mente che immaginò tali effetti e la natura della mente che calcolò i mezzi per conseguirli. Forse Hitler fu il solo politico a prendere lezioni da mago professionista⁵¹. Nel Mein Kampf afferma che ci vollero due anni per imparare tutti i trucchi dell’oratoria. Se è questo è vero, si tratta di una prova evidente che Hitler non era un medium, ma un politico estremamente intelligente e calcolatore, che studiò la psicologia delle folle e pianificò ogni aspetto dei suoi discorsi e le apparizioni pubbliche per conseguire l’effetto desiderato.

    1.2.7. Interpretazioni psicologiche

    Le interpretazioni psicologiche e psicostoriche sono generalmente riconducibili a due categorie, ognuna delle quali non è di per sé esplicativa. La prima inizia a un’estremità del telescopio, concentrandosi sui bisogni psicologici degli spettatori di Hitler o su quelli di tutto il popolo tedesco. L’esempio classico di tale approccio è il saggio di Frederick L. Schuman Dittatura. Uno studio di patologia sociale e la politica del fascismo. Schuman sostiene che l’ascesa al potere di Hitler possa essere spiegata dal disordine psicologico collettivo provato da tutta la classe media tedesca, che soffriva di acuta paranoia, di manie di persecuzione o di allucinazioni sistematiche di grandezza, che provocarono "regressioni patologiche all’infantilismo del Kleinbürgertum"⁵². Anche se questa tesi è stata validamente criticata da alcuni studiosi⁵³, è curioso che qualcuno l’abbia sostenuta. Sorgerebbero subito i ben noti problemi: perché fu lui e nessun altro politico a notare tale infantilismo e a capitalizzarlo? Come e perché solo Hitler percepì tale situazione e la colse efficacemente?

    Schuman sostiene essenzialmente che Hitler ebbe successo nel costruire il più ampio movimento di massa della storia tedesca, perché era

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