I racconti reazionari di Vladimir Ze'ev Jabotinsky
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I racconti reazionari di Vladimir Ze'ev Jabotinsky - Vladimir Ze'ev Jabotinsky
Jabotinsky
Prefazione
Questa raccolta di racconti in inglese è apparsa a Parigi nel 1925 col titolo A pocket edition of several stories, mostly reactionary. La premessa originale ci dice soltanto che queste storie (alcune delle quali originali, altre tradotte dal russo) sono state rese in inglese dall’autore in collaborazione con Miss Violet Ross-Johnson (che aveva già collaborato alla pubblicazione del suo saggio politico Turkey and the War nel 1917). L’edizione italiana si basa sulla ristampa anastatica dell’originale, apparsa a Tel Aviv nel 1984 a cura dello Jabotinsky Institute.
La nuova edizione di questi racconti costituisce un ulteriore tassello nel processo di sensibilizzazione del pubblico italiano alla figura di Vladimir Ze’ev Jabotinsky, leader del sionismo revisionista nel periodo interbellico, nonché giornalista e letterato di una certa fama nel mondo ebraico. Mi auguro che questa raccolta funga da apripista alla diffusione di suoi ulteriori lavori scritti originariamente in russo, come i due romanzi Sansone il nazireo e I Cinque.
Ringrazio Guido Guastalla e Belforte Editore per aver favorito la pubblicazione di questi racconti dal grande significato storico e l’Istituto Gaetano Salvemini
di Torino per il sostegno finanziario alla pubblicazione.
Dedico questa mia curatela a mia moglie Alessandra e alle nostre dure battaglie nella vita.
Berlino, gennaio 2013
Nota bio-bibliografica
Vladimir Ze’ev Jabotinsky nacque a Odessa il 18 ottobre 1880 da una famiglia ebraica del ceto medio piuttosto assimilata. Frequentò le scuole miste della città, allontanandosi ben presto dalla tradizione religiosa. Il suo talento giornalistico gli permise di essere spedito neanche diciottenne prima a Berna, poi a Roma quale inviato di alcune importanti testate liberali della sua città. Nella capitale italiana ebbe modo di frequentare l’università e di subire l’influenza del nazionalismo romantico e retorico del Risorgimento.
Di ritorno in Russia nel 1900, iniziò progressivamente ad avvicinarsi alla causa sionista nelle vesti di pubblicistica e polemista di punta. In quegli anni partecipò ai congressi del sionismo di Herzl e fu attivo sostenitore dell’auto-difesa ebraica dopo il pogrom di Kishinev (1903). Durante la Rivoluzione Russa del 1905 si schierò a favore dell’ala liberale, sostenitrice dell’emancipazione giuridica di tutte le minoranze nazionali russe (programma di Helsingfors). Nel 1907 soggiornò per circa un anno a Vienna con l’obiettivo di studiare le questioni nazionali negli imperi orientali. Nel 1909 fu inviato a Istanbul quale responsabile della stampa sionista, dove vi rimase circa un anno. Rientrato in Russia, proseguì la campagna pubblicistica e culturale a favore del sionismo.
Allo scoppio della Prima guerra mondiale, Jabotinsky si impegnò per la formazione di una Legione ebraica
a fianco della Triplice Intesa. Nel 1917 collaborò alla costituzione di alcuni battaglioni di fucilieri ebrei all’interno dell’esercito britannico attivo nella campagna palestinese. Il successo politico di Jabotinsky gli permise, nel primo dopoguerra, di entrare a far parte del comitato esecutivo dell’Organizzazione sionistica quale responsabile della propaganda. All’inizio del 1923 si dimise dall’esecutivo sionista per dissidi programmatici con la dirigenza guidata da Weizmann. Dopo due anni d’attività pubblicistica e conferenziera, nel 1925 fondò a Parigi l’Unione mondiale dei sionisti-revisionisti.
Nei successivi quindici anni, Jabotinsky fu impegnato nella promozione di un sionismo diverso da quello ufficiale, più emozionale, conservatore e nazionalista. Il sionismo revisionista fu presto caratterizzato dalla presenza di due anime: un’anima politico-diplomatica, attiva nella diaspora e sostenitrice di una visione umanitaria; e un’anima militare, attiva in Palestina (base della Banda Stern e dell’Irgun), che fece ricorso ad azioni di sabotaggio antibritanniche e ad azioni di terrorismo politico antiarabo. Fra il 1936 e 1937 Jabotinsky tentò di sostenere l’affidamento del mandato palestinese all’Italia oppure alla Polonia, paesi apparentemente più inclini degli inglesi a sostenere la creazione immediata di uno Stato ebraico.
Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, Jabotinsky si recò negli Stati Uniti per proseguire la propria azione sensibilizzatrice. Qui pubblicò il suo volume The Jewish war front, dove sosteneva, a distanza di venticinque anni, la creazione di un esercito ebraico a fianco degli Alleati e contro le potenze dell’Asse. Morì d’infarto a New York nell’agosto del 1940.
La letteratura sulla figura di Jabotinsky è piuttosto ampia. Fatto salvo il contesto israeliano (che ha visto una ricezione politicizzata sino alla fine degli anni Settanta), la maggior parte delle opere sono apparse in lingua inglese. Vanno innanzitutto segnalate le due biografie ufficiali
di Joseph B. Schechtmann (The life and times of Vladimir Jabotinsky, Silver Spring, Eshel books, 1986, 2 voll.) e di S. Katz (Lone wolf, New York, Barricade Books, 1996, 2 voll.). Politicizzato, ma in senso inverso, è il lavoro di Lenni Brenner: The Iron wall (Londra, Zed books, 1984). Lavori di ampio respiro sono invece i saggi di Yaacov Shavit (Jabotinsky and the revisionist movement, Londra, Cass, 1988), Alice S. Nakhimovsky (Russian-Jewish literature and identity, Baltimora, Johns Hopkins, 1992), Michael Stanislawski (Zionism and the fin de siècle, Berkely, University of California Press, 2001) ed Eran Kaplan (The Jewish radical right, Madison, University of Wisconsin Press, 2005). Va infine segnalata la recente edizione delle opere letterarie di Jabotinsky (i romanzi Sansone il nazireo e I cinque, nonché l’autobiografia romanzata del 1936) in russo, inglese, francese e tedesco, tutte apparse all’inizio del nuovo millennio.
Va segnalato nel 2007 il completamento della bibliografia completa degli scritti di Jabotinsky a cura di Mina Graur: Ktive Ze’ev Z’abotinski. Bibliyografyah (1897-1940) (Tel Aviv, Mekohn Z’abotinski be-Yisra’el).
Limitandoci alle opere disponibili in italiano, bisogna segnalare innanzitutto la prima ricezione politicizzata a opera del Raggruppamento italiano dell’Unione mondiale dei sionisti revisionisti fra gli anni Venti e Trenta del Novecento: Gli scopi, la piattaforma e il programma dei Sionisti revisionisti (Milano, Cordani, 1927); La Legione ebraica nella Guerra mondiale (tradotta dal russo da Maurizio Klingbail-Zevi, Milano, L’Idea Sionistica, 1935). Questa ricezione fu proseguita negli anni Sessanta grazie alla cura di Leone Carpi (già leader dei revisionisti italiani): Verso lo Stato. Scritti e discorsi di politica sionista (Milano, L’idea sionistica, 1960; ristampa anastatica per Israele: Roma, Agenzia Ebraica, 1983). Nel 2002 è apparso lo scambio epistolare tra Jabotinsky e il sionista revisionista di origini greche Isacco Sciaky (Stato e libertà, a cura di Vincenzo Pinto, Soveria Mannelli, Rubbettino). Nel 2003 è la volta della raccolta di scritti giornalistici Dialogo sulla razza (a cura sempre di Pinto, postfazione di Paolo Di Motoli, Milano, M&B).
Per quanto riguarda gli studi pubblicati sulla figura di Jabotinsky vanno segnalati il saggio Carlo Leopoldo Ottino (Jabotinsky e l’Italia, all’interno di Gli ebrei in Italia durante il fascismo, III, Milano, CDEC, 1963), la tesi di laurea di Paolo Di Motoli (La destra sionista. Bibliografia di Vladimir Jabotinsky, Milano, M&B, 2001), la tesi di dottorato di Vincenzo Pinto (Imparare a sparare. Vita di Vladimir Ze’ev Jabotinsky, Torino, UTET libreria, 2007), lo studio del citato Di Motoli sulla destra israeliana (I mastini della terra, prefazione di Sergio Romano, Lecce, Icaro, 2009) e il saggio di Marta Zucchelli sull’attività letteraria di Jabotinsky (Vladimir Ze’ev Jabotinsky e il tempo. Samson nazorej
e Pjatero
, all’interno di Immagini di Tempo. Studi di slavistica, Verona, QuiEdit, 2010).
Vladimir Ze’ev Jabotinsky
Un’edizione tascabile di alcuni racconti, per lo più reazionari
Sulle edizioni tascabili
Anni fa, prima che la democrazia e la rotativa cospirassero per produrre un profluvio di volumetti che avrebbero favorito la comunanza dell’élite intellettuale di ogni tempo e nazione senza limiti linguistici, preferivo viaggiare per il continente sui vagoni della Compagnie Internationale des Wagons-Lits. Non che io ami particolarmente il lusso: desideravo semplicemente l’illuminazione. I vagoni-ristorante della Compagnie erano solitamente forniti di armadi recanti il titolo magnificente di «Biblioteca», i cui volumi erano di un genere che noi persone impegnate avevamo raramente il privilegio di poter leggere. È cosa nota che i classici antichi e moderni si leggano solo da ragazzi; e che un genio educatore di una generazione diventi voce educativa di un’altra – il che è tutt’altra cosa. Non ho mai visto un russo adulto, eccetto i fricchettoni e gli eccentrici, avere un ricordo fresco di Tolstoj, né un tedesco adulto che avesse mai letto una pagina del Faust dopo il dolce del diciassettesimo compleanno. Ciò che dico può apparire sin troppo esagerato, ma è una terribile verità. Comunque sia, la Compagnie teneva sui suoi scaffali Guerra e pace e Goethe, Marion Delorme di Hugo, per non citare i leggeri rinfreschi come Dumas padre o Jerome; nonché, nella sezione tedesca, le opere complete di Frau Marlitt¹. Una piacevole varietà d’argomenti, di livelli e di stili. Quell’armadio dava a tutti la grande opportunità di regolare il proprio nutrimento spirituale in modo da evitare noia e fatica. Di mattina, quando la mente è ancora fresca, si può prendere in prestito Tess degli Ubervilles, oppure, dalla sezione russa, qualche opera di Chechov. Dopo pranzo si è un po’ appesantiti, si desidera un pisolino che non va fatto per non guastare il sonno notturno, si afferra qualche affascinante mascalzone come il menzionato Alexandre Dumas e la sonnolenza scompare in un batter d’occhio. Verso sera le forze intellettuali vengono meno – può andar bene un umorista; ma è ancor meglio rifugiarsi nel ramo della letteratura minore, ingiustamente ritenuta di primogenitura francese. Di fatto, buona parte di quel genere di mercanzia, e proprio la letteratura più vivace, viene prodotta da mulini italiani, russi e tedeschi. Il materiale è magnifico per l’uso ferroviario quando le luci sono alte; è come parlare a qualcuno divertente e scervellato, e io insisto nel dire che si tratta della compagnia di viaggio ideale.
Debbo tuttavia protestare contro il sospetto che il conto della tariffa intellettuale sia mio. L’ho formulato di proposito col termine «si» e non «io». I miei gusti sono alquanto differenti. Quando viaggiavo nei vagoni della Compagnie, mi rivolgevo soprattutto alla letteratura da studentesse, specialmente alle opere complete di Frau Marlitt. Sembra che abbia scritto migliaia di racconti. Non ne ricordo i titoli, né il contenuto, ma l’impressione generale è ancora viva nel mio animo, ed è squisita. Le timide quindicenni devono semplicemente rimanere estasiate di fronte a tali letture. Ognuna delle quali ha un’eroina, e le sue descrizioni restano impresse nell’animo dall’asilo sino alla sistemazione; quando si è sistemata, il romanzo finisce, non prima. La sistemazione non coincide sempre col matrimonio; a volte l’eroina sopporta molte avversità prima del matrimonio – il marito non la apprezza; ma dopo un po’ inizia ad apprezzarla e il romanzo termina. L’eroina è sempre carina, perciò, leggendo un volume dopo l’altro, sembra di viaggiare sempre in compagnia di graziose signorine. Una si sposa, mentre l’altra interviene direttamente per farti gli occhi dolci. I suoi occhi sono spesso bellissimi, profondi, celano un profondo… mi dispiace molto ma non ricordo cosa. Ogni eroina possiede un carattere orgoglioso, imperioso e impenetrabile; ognuna di loro incontra un compagno simile; per mesi e mesi si fraintendono, soffrono e si feriscono; a ogni pagina il pallore allontana le rose dalle sue guance o da quelle di lui, e gli occhi di lei o di lui emettono scintille d’ira, e lui o lei si mordono le labbra, voltano orgogliosamente le spalle e se ne vanno silenziosamente, ignorando e non sospettando che la persona crudele segua in quel preciso momento lei oppure lui con uno sguardo umido colmo d’amore inespresso, e tortura… se stesso – chiunque sia – per aver spezzato un cuore amato, nobile, ma amareggiato. Ach! Come sia toccante tutto questo non riesco a descriverlo. Leggendo ti sembra di essere una ragazzina; le tue gonne iniziano ad avvicinare la lunghezza o l’esiguità prescritte alle adulte, e i bottoni del tuo corpetto vanno sempre riordinati; intuisci vagamente cose inesprimibili, attendi qualcosa che non succederà mai, ti disperi per niente e ti crogioli in Frau Marlitt…
Ma tutto questo non ha nulla a che fare con il mio soggetto. Solevo leggere Frau Marlitt molti anni or sono, prima che scoprissi le edizioni tascabili. Oggi non ho più bisogno dei vagoni o degli armadi della Compagnie. In ogni stazione tra Madrid e Bucarest posso gettare sotto il mio sedile la miniatura dei Misteri di Hamsun o prende in edicola una piccola traduzione dell’Innocente di D’Annunzio. Poi mi rannicchio nel mio angolo, benedico il progresso, la P capitale, questa macchina intelligente il cui trucco principale non è tanto l’accumulazione di conoscenza quanto la riduzione dei suoi costi, la meravigliosa accelerazione della sua procedura burocratica. All’epoca dei nostri padri la strada della conoscenza significava tempo, denaro e sforzo: oggi noi sbattiamo semplicemente le mani, alla moda di Hārūn Al-Rashīd, uno, due, tre, e la bellissima schiava è sulla soglia.
Quindi è strano che a volte la bellissima schiava sembri allontanarsi da noi. Pare che la mente umana sia essenzialmente uno strumento reazionario, capace di generare pensieri del tutto retrogradi. Appresi questa difficoltà a seguito di una curiosa scoperta: la letteratura tascabile è straordinariamente soggetta all’oblio. Per quale motivo? La scelta è ampia ed eccellente, gli autori sono spesso di primo livello, anche le traduzioni sono per lo più ben fatte; quando leggevamo qualche opera di narrativa stampata a caro prezzo,