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Il corvo Bianco: The Raven Series Vol. 1
Azioni libro
Inizia a leggere- Editore:
- Hope Edizioni
- Pubblicato:
- May 26, 2020
- ISBN:
- 9788855312028
- Formato:
- Libro
Descrizione
Dopo la morte di mia madre, mio padre spedisce me e mio fratello su un’isola, Raven Hollow, a trascorrere l’estate con una nonna che non abbiamo mai conosciuto.
Niente sembra andare per il verso giusto, almeno finché non conosco Zane Hunter, un ragazzo che, all’improvviso, rende interessante il mio soggiorno sull’isola. Un metro e ottanta di bellezza e un accenno di fascino celtico nella voce, Zane è la tipica persona che lascia dietro di sé una scia di cuori infranti.
Ma io ho già sofferto abbastanza.
Per quanto cerchi di stargli lontana, però, Raven Hollow non è grande abbastanza per riuscirci e la tensione fra di noi è innegabile.
Quando il passato torna a terrorizzarmi e qualcuno prova a uccidermi, l’unica persona che voglio evitare diventa il mio salvatore. Più mi avvicino alla verità, più scopro che tutto ciò che conosco è una menzogna. Ma non so cosa mi spaventi di più: i tentativi di porre fine alla mia vita o il ragazzo la cui anima e il cui cuore sono sincronizzati ai miei?
Informazioni sul libro
Il corvo Bianco: The Raven Series Vol. 1
Descrizione
Dopo la morte di mia madre, mio padre spedisce me e mio fratello su un’isola, Raven Hollow, a trascorrere l’estate con una nonna che non abbiamo mai conosciuto.
Niente sembra andare per il verso giusto, almeno finché non conosco Zane Hunter, un ragazzo che, all’improvviso, rende interessante il mio soggiorno sull’isola. Un metro e ottanta di bellezza e un accenno di fascino celtico nella voce, Zane è la tipica persona che lascia dietro di sé una scia di cuori infranti.
Ma io ho già sofferto abbastanza.
Per quanto cerchi di stargli lontana, però, Raven Hollow non è grande abbastanza per riuscirci e la tensione fra di noi è innegabile.
Quando il passato torna a terrorizzarmi e qualcuno prova a uccidermi, l’unica persona che voglio evitare diventa il mio salvatore. Più mi avvicino alla verità, più scopro che tutto ciò che conosco è una menzogna. Ma non so cosa mi spaventi di più: i tentativi di porre fine alla mia vita o il ragazzo la cui anima e il cui cuore sono sincronizzati ai miei?
- Editore:
- Hope Edizioni
- Pubblicato:
- May 26, 2020
- ISBN:
- 9788855312028
- Formato:
- Libro
Informazioni sull'autore
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Anteprima del libro
Il corvo Bianco - J.L. Weil
l'anima.
Capitolo 1
Il traghetto ondeggiava sul mare blu cristallo, schizzando e spruzzando l’acqua salata sui fianchi della grande nave bianca. Il mio stomaco si muoveva insieme alle onde e sentivo che il mio volto stava assumendo un colore verdognolo, tipo zuppa di piselli, che non mi donava affatto. Che schifo. Io e il mare non andavamo d’accordo. Ma su chi dovevo fare colpo? Sul capitano? Anche no.
Impressionare qualcuno era l’ultimo dei miei pensieri. I miei problemi in quel momento erano monumentali. Prima che mio padre annunciasse che io e TJ avremmo fatto un viaggio
, mi ero fatta un piercing al naso in un locale molto poco raccomandabile. Questo mi aveva fatto guadagnare un sacco di punti con papà… come no. Mi aveva guardata con quei tristi occhi marroni e il viso trasandato, aveva scosso la testa, ed era tornato nel suo covo a dipingere, chiudendo fuori il mondo, compresa me. Non che mi interessasse, dal momento che ultimamente era ciò che preferivo.
Meno ci vedevamo e meglio era.
Immagino che la pensasse così anche lui.
E così mi ritrovavo a miglia di distanza da Chicago, con il vento in faccia verso quella che consideravo un’estate catastrofica. Ero sicura che un sacco di diciassettenni avrebbero probabilmente ucciso per poter trascorrere l’estate su un’isola al largo della costa del New England, e magari avere perfino un’avventura estiva.
Io però non ero nemmeno lontanamente come la maggior parte delle ragazze. Non ero proprio sicura di cosa mi rendesse diversa, lo sapevo e basta, così come sapevo che il mio colore preferito era il viola o che amavo il cibo cinese.
Sospirando, fissai il blu cristallino, guardando i pesci guizzare nella scia lasciata dalla nave e sentii immediatamente la mancanza del mio piccolo e polveroso appartamento a Chicago. Mi mancava Parker, il mio migliore amico, e soprattutto mi mancava la vivace presenza di mia madre, così come il suo profumo e la sua risata. Un suono che non avrei sentito mai più, a prescindere da quanto lo desiderassi ma la ferita era ancora aperta e dolorosa, al punto che le lacrime minacciarono di uscire.
«Ti è entrato un insetto negli occhi, Piper?» sogghignò il mio fratello minore, TJ, vedendoli inumidirsi.
Avevamo solo due anni di differenza, ma il più delle volte sembravano venti. Mi rendeva la vita impossibile. A cos’altro servivano i fratelli più piccoli? Corrucciai il viso mentre lo fissavo. Mi bruciava ancora da morire che quell’anno fosse diventato più alto di me, detestavo dover allungare il collo per guardarlo. «È il vento, moccioso.»
Lui rise, i suoi disordinati capelli biondo rossiccio che si agitavano nell’aria. «Se lo dici tu.»
Usando il dorso della mano libera, mi strofinai gli occhi. Sapevamo entrambi che non era l’aria salmastra a darmi fastidio. Era… tutto.
La perdita della mamma.
Essere spediti da una nonna che non avevamo mai conosciuto.
Sentirsi sempre incazzati col mondo.
La lista era ancora lunga.
Quella sarebbe stata la nostra prima estate senza di lei ed ero certa che nessuno di noi avesse idea di come affrontarla, men che meno papà.
E così, eccomi lì, diretta alla remota isola di Raven Hollow, per gentile concessione di mia nonna, una donna che ricordavo a stento. Nonna Rose la madre di mamma e, vorrei far presente, schifosamente ricca. I soldi non significavano nulla per me, soprattutto perché avevo passato gran parte della mia esistenza senza averne ed ero stata felice… prima. Per tutta la mia vita, Rose non era stata altro che un assegno arrivato per posta durante le vacanze e per i compleanni. Sai che roba. Non era esattamente una nonna che stravedeva per i suoi nipoti. Se non fosse stato per la foto che la mamma aveva appeso sulla parete, non avrei nemmeno saputo che aspetto aveva.
Assomigliava alla mamma.
E questo mi deprimeva.
Dopo… uhm… l’incidente, come preferivo chiamarlo, Rose era finalmente riuscita a convincere mio padre che, almeno per l’estate, saremmo dovuti stare da lei.
Bleah! Che idea orribile privarci di tutto ciò che conoscevamo: i nostri amici, la nostra casa e le nostre vite. A dire il vero non credo che ci sia voluto molto a convincerlo, per papà, io ero un ricordo costante del fatto che aveva perso l’amore della sua vita.
Nonna Piena Di Soldi pensava che la cosa migliore per me e TJ fosse andare via da casa e ricominciare da capo, lontani dal terribile ricordo di aver perso la mamma.
E quelle erano assolute stronzate, per me.
Ma che ne sapevo io? Ero solo una ragazzina. Eppure ero stata io a occuparmi di tutto in quegli ultimi mesi. Cavolo, senza di me saremmo morti di fame. Non avremmo avuto vestiti puliti. Nessuno avrebbe pagato le bollette. E qualcuno doveva assicurarsi che TJ andasse davvero a scuola. Perché non avevo avuto voce in capitolo su questo, o su dove io volessi passare l’estate?
Che stronzata.
Papà era un disastro e chi poteva biasimarlo? Aveva perso sua moglie. I miei genitori erano stati molto innamorati, ma dal momento del suo incidente, lui era diventato irragionevole. Così ci avevo rinunciato. Per la cronaca: non era l’unico a star male. Era possibile che io e TJ lo avessimo spinto troppo oltre, perché non eravamo stati proprio dei figli modello in quegli ultimi mesi: TJ con le sue scelte discutibili in fatto di amicizie, io con il mio piercing al naso e i fine settimana fuori per locali fino a tardi. Ma non riuscivo a scrollarmi di dosso l’idea che anche lui stesse rinunciando a vivere. Non guadagnava molto, a volte proprio niente, e allora? A meno che non vendessero, gli artisti in difficoltà non facevano esattamente piovere soldi, a prescindere dal talento.
E lui da quella notte non aveva venduto un singolo pezzo.
Ma che diritto aveva di rinunciare a noi? Di mandarci da una completa sconosciuta? Cosa avrebbe risolto? Probabilmente sarei ritornata da quell’estate più danneggiata che mai, perché quello era ciò che ero: rovinata.
Era l’estate prima del mio ultimo anno. Non molto tempo prima, sognavo di partire per il college. Ora sognavo solo la mamma.
Per l’amor di Dio, come sarei sopravvissuta su un’isola che non aveva nemmeno un centro commerciale? TJ ci provava a fare il duro, ma la sua stanza era di fianco alla mia e le mura del nostro vecchio appartamento erano sottili. Sentirlo piangere di notte mi spezzava il cuore, anche se mi sarei portata quel segreto nella tomba. Meno munizioni davo a TJ da usare contro di me, più erano le probabilità che saremmo andati d’accordo.
Quella era la prima volta da molto tempo che io e TJ concordavamo su qualcosa: nessuno di noi voleva essere lì, sradicato da casa.
Il traghetto saltò sulle acque agitate, superando un’onda fortissima che mi fece perdere l’equilibrio. Incespicai contro il fianco della nave e i capelli mi ricaddero sul viso. Nave maledetta. Non vedevo l’ora di scendere da quella bagnarola, avevo paura di rendermi ridicola e vomitare fuori bordo.
TJ me l’avrebbe rinfacciato per tutta la vita.
E fu allora che la scorsi. Attraverso la nebbia indistinta che saliva dall’acqua, un’ombra emerse: Raven Hollow. Vederla fu una sensazione dolceamara. I miei anfibi erano pronti a tornare sulla terraferma, ma il nodo nello stomaco voleva che risalissi sul primo aereo diretto alla Città del Vento.
«Grazie a Dio. Ci siamo quasi» mormorai, ignorando il mio stomaco in subbuglio.
«Stiamo andando lì?» disse sdegnato TJ, socchiudendo gli occhi marroni. «Che buco di isola.»
Sulla destra iniziavano a vedersi i contorni delle case, un faro e segni di civiltà. Serrai la mano sul bordo della ringhiera. «Già» risposi. In realtà il panorama non era così schifoso, il profilo dell’isola toglieva il fiato.
TJ si ficcò le mani in tasca. «Che merda.»
Ma non mi dire.
Tirò fuori il telefono. «Sarà meglio che ci sia campo o prendo il prossimo traghetto per la terraferma.»
Probabilmente sarei corsa subito dietro di lui. «Dillo a me.»
«Non capisco perché non sia venuto anche papà.» Ripropose la stessa domanda che da giorni ci rimbalzavamo l’uno con l’altra.
Io alzai le spalle. «Ha detto che doveva risolvere delle cose.»
I suoi occhi fiammeggiarono. «È una scusa e lo sai.»
Vero, era un codice per: devo trovare un modo per non perdere la casa. «Lo so» sospirai, appoggiando il volto fra le mani. «Andiamo verso la jeep, credo che stiamo per attraccare.»
«Signorsì, Capitan Tiranno» disse con sarcasmo.
Lo colpii sul braccio. «Piantala. Sarai pure più alto di me, ma potrei prenderti ancora a calci in culo.»
Un sorrisetto gli apparve sulle labbra. «Te lo sogni.»
Trovammo la mia jeep Cherokee esattamente dove l’avevamo lasciata, allineata con le altre macchine che stavano attraversando l’oceano. Josie aveva visto giorni migliori. La vernice rossa si stava scrostando e c’erano delle macchie di ruggine che si stavano allargando sulla parte bassa del telaio. Salendo al posto di guida ringraziai per quel po’ d’ombra, altri cinque minuti sotto il sole cocente e mi sarei cotta a puntino.
TJ sbatté la porta, salendo di fianco a me. Il cardine non si chiuse, era noto per essere una seccatura. Lo sportello cigolò riaprendosi. Lui imprecò sottovoce e la tirò più forte. L’intera macchina oscillò avanti e indietro.
«Ehi, non essere così brusco. Josie ha bisogno di un tocco delicato» gli ricordai per l’ennesima volta e accarezzai il cruscotto. «Non è vero, ragazza?»
TJ scosse la testa. «Hai bisogno di aiuto, Pipe. Parlare con le macchine non è normale.»
«Nemmeno la tua faccia lo è, ma ti tollero comunque.»
Mi guardò con un’espressione stupida. «Divertente.»
Le nostre conversazioni andavano più o meno sempre così.
Aspettammo che il traghetto attraccasse al molo. L’acqua sciabordava da tutti i lati e la grande nave oscillava da parte a parte. Quando il capitano diede finalmente il segnale, un colpo di sirena, accesi il motore. Dovetti riavviarla più volte prima di sentirla fare le fusa come un gattino. Be’ un gattino molto solo e pazzo.
«Questa macchina è un rottame. Spero che nessuno mi veda.» TJ strisciò più in basso nel sedile.
Io alzai gli occhi al cielo. «Non conosci nessuno e almeno io so guidare.»
Afferrò un berretto da baseball dal sedile posteriore e se lo abbassò sugli occhi. «Non vuol dire che tu sia brava.»
E rieccoci.
Mi infilai gli occhiali da sole e misi in marcia Josie. Nel momento in cui le ruote anteriori toccarono la terraferma, una scossa elettrica mi attraversò tutto il corpo. Rabbrividii. Cos’era stato? Era come se fossi stata colpita da un fulmine, caricata da una saetta di energia. La sensazione diminuì mentre acceleravo.
Che strano.
Guidammo in silenzio, ognuno preso dai suoi sentimenti confusi. Impilata sul sedile posteriore della macchina e in ogni angolino disponibile c’era la mia intera vita. Mentre proseguivamo lungo la strada osservai il panorama; era veramente bello, più di quanto volessi ammettere. TJ fingeva di non essere interessato ma lo sorpresi un paio di volte a guardarsi intorno da sotto la visiera del berretto dei Cubs.
Quando imboccammo l’ultima curva, provai solo paura.
Fermai Josie davanti a un vialetto d’accesso con due colonne bianche ai lati. Uno dei pilastri mostrava i numeri 1-1-8-5. Doveva esserci un errore, questa non poteva essere la sua casa. Cercando nel supporto per le tazze, tirai fuori un pezzo di carta stropicciato, scorrendolo per trovare l’indirizzo. Eccolo lì: 1185.
Oh. Cazzo.
Rimasi lì a bocca aperta con il motore che girava al minimo, probabilmente ingoiando anche una mosca o due.
Quella era la casa – correggo: villa – in cui avrei passato i tre mesi successivi? Non ci potevo credere! Non sapevo se chiedere quale stanza pulire per prima o fare una danza imbarazzante in mezzo alla strada.
Optai per rimanere seduta come una stupida, a bocca aperta, a mangiare mosche.
«Porca puttana!» esclamò TJ, anche lui con gli occhi spalancati.
«Linguaggio» lo rimproverai.
«Questo posto è davvero una figata» continuò lui, come avrebbe fatto un qualunque quindicenne.
Non avevo mai visto una casa simile prima, a parte su mtv Cribs. Era di un bianco candido che brillava in contrasto con l’oceano scintillante. Tre camini di mattoni spuntavano da diversi livelli del tetto, nero come il carbone. C’erano così tante verande e balconi da farmi perdere il conto, il prato era curatissimo e una macchina sportiva di un vistoso rosso fiammante era parcheggiata all’ingresso. Era costosa da far schifo. Avevo paura di respirare, terrorizzata che anche solo quello facesse scattare l’allarme.
«Pipe» disse TJ con un gran sorriso, «credo che questa sia la prima volta che ti vedo rimanere senza parole.»
«Ma vai a cagare» risposi tagliente, chiudendo la bocca.
Scendemmo da Josie insieme, rimanendo uno di fianco all’altra e osservando l’enorme palazzo. Non mi ero mai sentita così insicura e fuori posto. Non faceva per me, sembravamo un paio di disadattati gettati sulla riva. Nervosa, mi spostai da un piede all’altro e guardai i miei leggings di jeans neri stracciati e la canottiera bianca. Cavolo, la nonna stava per ricevere lo shock della sua vita.
Speravo che non schiattasse alla nostra vista.
Non sarebbe stata una gran sfortuna?
«Nervosa?» chiese TJ.
Mi morsi il labbro. Certo che lo ero, dentro di me ero un fascio di nervi. «Andiamo a incontrare Sua Grazia» scherzai e mi appuntai nella mente di chiedere se fosse davvero nobile, o qualcosa di simile. Sapevo che mamma veniva da una famiglia benestante, ma c’era una differenza fra l’essere ricchi e l’essere milionari. Sistemandomi in spalla uno dei miei borsoni neri, mi incamminai verso le massicce doppie porte. TJ, subito dietro di me, trascinava le scarpe da ginnastica sull’asfalto.
Una donna dai lunghi capelli color argento ci venne incontro nel grande ingresso. Le piastrelle del pavimento formavano dei motivi circolari e i suoi tacchi picchiettavano mentre si avvicinava. C’era qualcosa di maestoso nel suo portamento e nell’inclinazione del mento. Una nuvola di tessuto smeraldo fluttuava dietro di lei, morbida e fluida. Trasudava importanza e qualcos’altro, qualcosa che non riuscivo a tradurre in parole. Detestavo sentirmi insignificante. Era mia nonna, sangue del mio sangue, ma rimaneva comunque un’estranea.
«Benvenuti a Raven Manor.» Lei stese le braccia e il tintinnio dei suoi braccialetti accompagnò il movimento. «Ora venite ad abbracciare vostra nonna.»
Seguì un momento di imbarazzante silenzio in cui nessuno fece nulla. Poi avanzai di un passo e mi ritrovai avvolta da braccia sorprendentemente forti per la sua età. Odorava di un costoso profumo floreale. Sotto tutti quei soldi, in lei c’era qualcosa di bizzarro.
A disagio, mi passai una mano fra i capelli scompigliati dal vento. «È bello, uhm, vederti, nonna» le dissi, mentre riemergevano le mie buone maniere che probabilmente non avevo sepolto abbastanza in profondità.
Lei sorrise, gli occhi irlandesi che brillavano. «Ti prego, chiamami Rose. Non mi sono mai piaciuti i titoli.»
Sbuffai forse un po’ troppo forte, ma lo trovavo davvero difficile da credere. Viveva in una casa che avrebbe potuto comodamente ospitare metà del mio vicinato e con ogni probabilità aveva al suo servizio un maggiordomo e un autista. Per favore. Avevo visto The Real Housewives of Beverly Hills.
TJ mi diede un colpetto sulla spalla. Forse non voleva che ci cacciassero via prima ancora che ci venissero mostrate le nostre camere. Rose lo abbracciò e poi lui si schiarì la gola. «Bel posticino.»
Posticino? Mi sarei data una manata in fronte.
Per fortuna Rose non fece una piega. «Grazie. TJ, suppongo. Non so esprimere la mia riconoscenza per l’opportunità che ho di conoscere voi due. Avrei dovuto farlo molto tempo fa.»
Puoi dirlo forte.
Non le chiesi perché ci avesse messo così tanto, avevo la domanda sulla punta della lingua, ma TJ mi incenerì con lo sguardo e così mi trattenni.
«Ora, sono certa che il viaggio sia stato molto stancante e che vogliate sistemarvi.» Si diresse verso un pannello sulla parete e premette un bottone. «Thomas, per favore aiuta Piper e TJ con le loro borse.»
Girandosi verso di noi, alzò la mano e il gioiello che aveva al dito mi accecò.
Come minimo erano dieci carati, cavolo.
Mio nonno era morto quando la mamma era adolescente e Rose non si era mai risposata. Se quell’enorme anello al dito voleva dire qualcosa, probabilmente non l’avrebbe mai fatto. Doveva essere una romanticona se le piacevano cose del genere.
«Non fa niente» disse TJ, dirigendosi verso la porta. «Non abbiamo molto. Posso portare io le nostre cose.»
Non riuscii a nascondere l’espressione sorpresa dalla mia faccia. TJ… che si offriva di aiutare? Cos’era successo al mondo?
«Sciocchezze. Andiamo alle vostre stanze.» Le sue dita sottili incorniciarono il mio volto. «Tu, mia cara, sei il ritratto di tua madre.»
Mi si chiuse la gola, e giocherellai con la mia collana.
Non c’era niente di lento nei movimenti di quella donna. Era la vecchietta più vivace che avessi mai visto. «Ho fatto arredare ciascuna delle vostre stanze appositamente per voi; voglio che qui vi sentiate a vostro agio. Questa è casa vostra.»
Non ero sicura che sarei mai riuscita a considerare quel mausoleo come casa mia. E come diavolo aveva avuto il tempo di organizzare le nostre stanze? La decisione di venire qui era stata presa solo da una settimana. Quindi? Aveva delle fatine magiche che lavoravano per lei?
«Piper.»
Girai la testa velocemente al suono del mio nome.
I suoi occhi incontrarono i miei e non riuscii a evitare di pensare che, tranne per le rughe agli angoli, mi sembravano molto familiari. «Ti ho sistemata nell’ala ovest, cara. Penso che ti piacerà.»
Deglutii.
Che diavolo me ne facevo di un’intera ala solo per me?
Solo la prospettiva mi faceva sentire sola. Il lato positivo era che TJ e io avremmo avuto un’intera ala fra di noi, il che era magnifico perché lui russava come un treno merci.
«Seguitemi. Vi mostrerò le vostre camere» disse con incredibile allegria. Quando cominciò a farci strada la massa di braccialetti ai suoi polsi tintinnò, come quelli di una gitana.
Diedi un’occhiata oltre la mia spalla un’ultima volta per guardare al di fuori delle porte aperte. All’improvviso sentii che non avrei mai più rivisto la mia vecchia vita. Se avessi proseguito, se fossi andata più in profondità nella casa, il mio mondo non sarebbe più stato lo stesso, sarebbe cambiato tutto.
Sospirai e seguii TJ.
Capitolo 2
Due svolte a destra, una a sinistra e mi accorsi che mi sarebbero serviti una mappa o un gps perché in quel posto mi stavo per perdere. I corridoi erano infiniti, ci sarebbero dovuti essere i nomi delle vie assegnati a ciascun salone.
Era impossibile immaginare mia madre vivere in quel labirinto dove era tutto così freddo, immacolato e… fragile. Lei era stata una donna piena di vita, colorata e imbranata. Aveva riempito la nostra casa di tutte le cose che creava o che trovava al mercato delle pulci. Se cercavo di immaginarla a vivere lì, la vedevo affogare in così tanto spazio. Lei adorava il nostro angusto appartamento in città, non mi stupiva che avesse detto addio a Raven Hollow e non si fosse mai voltata indietro.
La sinuosa rampa di scale era decorata con marmo e ferro lavorato. Passai un dito sulla ringhiera mentre salivo. Niente polvere, nemmeno un granello.
Era innaturale.
Quando arrivammo in cima alle scale ero un po’ a corto di fiato. Sbalordita, mi sistemai il borsone più in alto sulla spalla. Era alquanto incredibile che la nonna riuscisse a salirle senza il minimo sforzo e questo mi fece capire che avevo bisogno di andare in palestra. Non potevo permettere che lei avesse più resistenza di me.
Era patetico.
Rose e TJ chiacchieravano mentre camminavamo, ma io rimasi in silenzio, osservando. Il corpo muscoloso di mio fratello non aveva nemmeno un grammo di timidezza: era curioso per natura e faceva più domande di un investigatore. Era una caratteristica che aveva preso da papà e io di solito lo ignoravo.
Il mio interesse si risvegliò quando Rose arrivò a una porta doppia con maniglie decorate in argento. Posò una mano su ciascuna di esse, le aprì e disse: «Questa è la tua suite, TJ.»
Una suite?
Scherzava vero?
Un’occhiata alla stanza di TJ e compresi che non l’avrei visto per tutta l’estate. Chi poteva biasimarlo? Aveva tutto ciò che poteva sognare un ragazzo della sua età: una TV gigantesca, una console Xbox completa di una selezione di giochi, un acquario che gorgogliava in un angolo con luci al neon e uno di quei piccoli pupazzetti sommozzatori.
«Non posso credere che vivrò qui» TJ era raggiante. Era molto tempo che non vedevo un sorriso così esagerato sulla faccia di mio fratello. Poteva essere insopportabile per la maggior parte del tempo, ma ero felice di sapere che uno di noi si sarebbe goduto l’estate. Almeno finché durava, perché ero sicura che una volta tornati a Chicago non saremmo riusciti a permetterci nemmeno le pile per l’orologio sulla parete.
Perché saremmo tornati.
Mi appoggiai allo stipite della porta incrociando le braccia, e osservai TJ toccare tutto.
«Stai fremendo all’idea di avere un po’ di libertà quest’estate?» chiese Rose, ferma di fianco a me.
Io inarcai le sopracciglia, incerta su cosa intendesse perché libera non era di sicuro come mi sentivo. Incastrata era una descrizione più appropriata.
Per essere una donna nel bel mezzo dei suoi sessant’anni aveva un aspetto favoloso. La sfumatura del vestito in stile gitano dava ai suoi occhi un aspetto intenso eppure, su di lei, l’abito era elegante, non trasandato. «So che hai avuto sulle spalle molte responsabilità. È ora che, per una volta, tu permetta a qualcun altro di prendersi cura di te.»
Uhm. Non ero sicura di cosa provare a riguardo. Mi piaceva la mia indipendenza, un sacco, e non era abituata a farmi servire. «C’è un coprifuoco in questo… posto?»
Non ne ero sicura, ma pensai di aver captato l’ombra di un sorriso sulle sue labbra rosee. «No. Ti chiedo solo di chiamare e lasciare un messaggio allo staff. Hai un cellulare?»
Che domande. Pensava che venissimo da un paesino sperduto? «Si, abbiamo entrambi un telefono» risposi in tono distaccato.
Avevo la sensazione che mi trovasse divertente e non era la mia intenzione. Il mio piano geniale, fin dal momento in cui il papà aveva fatto esplodere la bomba, era stato di essere maleducata, insopportabile e una rogna, così ci avrebbe rispediti a casa. Ma ora… nel vedere quanto fosse sinceramente contenta di averci nella sua gigantesca casa, il mio bisogno di sabotare l’esperienza cominciò a svanire.
«Bene. La tua stanza è da questa parte.» Indicò verso sinistra.
Avanti, Sua Onnipotenza.
Continuammo lungo un ampio corridoio, e i miei stivali si trascinavano sui pavimenti di marmo. I suoi lunghi capelli argentati le scendevano sulla schiena, ondeggiando al ritmo dei suoi movimenti aggraziati. Era una donna autoritaria e io mi sentivo intimidita. Mentre procedevamo attraverso la casa, ammirai l’arte sui muri. Papà avrebbe passato settimane a esplorare quel posto, osservando ciascun pezzo per ore. Spesso si perdeva, non solo nel suo lavoro ma anche nei capolavori degli altri.
Ero così assorta da ciò che mi circondava che non mi accorsi che ci eravamo fermate. Be’, non fino a quando non mi scontrai con la nonna. Grazie a Dio non la feci piombare col culo a terra.
«Scusa» mormorai. «C’è così tanto da vedere.»
Lei mi scostò una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio. «Datti un po’ di tempo e fra poco non ti sembrerà più così travolgente. Tua madre e sua sorella erano solite….» Si fermò, prendendo un respiro profondo. Vidi il baluginio di un’emozione nei
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