Che cos’è la Monarchia? Breve riflessione filosofica sui concetti di legge, Stato e costituzione
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La tesi di questo libro è che la monarchia sia necessaria per garantire la massima stabilità e il più perfetto nitore ad un assetto democratico parlamentare, contrastando la corruzione. Da questa derivano, infatti, tutti i mali, come mafia e pedofilia, con effetto a cascata. È allora importante la riflessione su quale sia la forma istituzionale che la possa meglio contrastare.
In Italia, vi è un’eccessiva prevalenza del Legislativo. Ora, però, affinché qualsiasi bilancia, compresa quella dei poteri, possa funzionare, ci deve essere un fulcro, che resti sempre uguale a se stesso e, grazie al quale e attorno al quale, gli altri elementi possano oscillare con armonia ed efficacia. Fuor di metafora, almeno il Capo dello Stato deve essere indipendente dalle oscillazioni del mondo politico e affrancato il più possibile dalla loro influenza.
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Che cos’è la Monarchia? Breve riflessione filosofica sui concetti di legge, Stato e costituzione - Maurizio Duce Castellazzo
Maurizio Duce Castellazzo
Che cos’è la Monarchia?
Breve riflessione filosofica sui concetti di legge, Stato e costi-tuzione.
Copyright© 2020 Edizioni del Faro
Gruppo Editoriale Tangram Srl
Via dei Casai, 6 – 38123 Trento
www.edizionidelfaro.it
info@edizionidelfaro.it
Prima edizione digitale: maggio 2020
ISBN 978-88-6537-273-9 (Print)
ISBN 978-88-5512-853-7 (ePub)
ISBN 978-88-5512-854-4 (mobi)
In copertina:
Nanchino, la "via sacra", nel contesto del sepolcro del primo imperatore Ming.
Foto scattata dall’autore
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Il libro
Il compito di ogni buona politica non dovrebbe essere quello di mantenere inalterato il potere della classe dirigente, ma quello di favorire il buon governo. Sappiamo tutti che così non è stato nell’Italia della cosiddetta I repubblica, e, secondo molti, non è vero neppure oggi. Non si tratta tanto di un problema di uomini, ma di una questione di forme.
La tesi di questo libro è che la monarchia sia necessaria per garantire la massima stabilità e il più perfetto nitore ad un assetto democratico parlamentare, contrastando la corruzione. Da questa derivano, infatti, tutti i mali, come mafia e pedofilia, con effetto a cascata. È allora importante la riflessione su quale sia la forma istituzionale che la possa meglio contrastare.
In Italia, vi è un’eccessiva prevalenza del Legislativo. Ora, però, affinché qualsiasi bilancia, compresa quella dei poteri, possa funzionare, ci deve essere un fulcro, che resti sempre uguale a se stesso e, grazie al quale e attorno al quale, gli altri elementi possano oscillare con armonia ed efficacia. Fuor di metafora, almeno il Capo dello Stato deve essere indipendente dalle oscillazioni del mondo politico e affrancato il più possibile dalla loro influenza.
L’autore
Maurizio Duce Castellazzo, classe 1962, è nato a Genova. Ha pubblicato su www.tesionline.it la sua tesi di laurea in filosofia, con il titolo: Può darsi un diritto di sopravvivenza? In precedenza, aveva già pubblicato, per i tipi del Mulino, l’articolo: Sul fondamento del principio di differenza, in Materiali per una storia della cultura giuridica
, a. XXV, n. 1, giugno 1995, pagg. 277-286, in cui tratta di neoliberismo e welfare state. Tra i vincitori del concorso a cattedra bandito nel 1999 dall’allora Ministero della Pubblica Istruzione, è docente di filosofia e storia presso il Liceo Classico e Linguistico Statale Giovanni Da Vigo
di Rapallo.
Che cos’è la Monarchia?
Breve riflessione filosofica sui concetti di legge, Stato e costi-tuzione.
Prefazione
«Il nostro dovere non consiste nella mera preservazione del potere politico, ma nel preservare pace e libert໹.
Il presidente John Fitzgerald Kennedy non ebbe il tempo di pronunciare queste parole: venne ucciso poche ore prima.
In verità, iniziare un libro di filosofia del diritto su un tema come quello della monarchia, citando uno dei più grandi presidenti americani, forse il più grande, potrebbe sembrare una stravaganza; d’altra parte, è stato detto che mai come di fronte ai Kennedy gli Stati Uniti si sono trovati vicini alla costituzione di una monarchia. Certo è che il messaggio che egli ci ha lasciato travalica i confini americani, così come quelli della sua epoca, sicché anche riguardo a una riflessione come questa, che vuole mettere in dialogo soprattutto la forma monarchica parlamentare con quella repubblicana parlamentare – confrontandola, solo en passant, con quella presidenziale – la citazione che abbiamo inserito ci è di non poco aiuto: essa vuole ricordarci che il compito di ogni buona politica non dovrebbe essere solo quello di mantenere inalterato il potere della classe dirigente, ma, semmai, quello di favorire il buon governo, per esempio attraverso meccanismi che rendano possibile, direi perfino agevole, l’alternanza alla guida del Paese. Sappiamo tutti che così non è stato nell’Italia della cosiddetta prima repubblica, e, secondo molti, non è del tutto vero neppure oggi. Dal mio punto di vista, non si tratta di un fatto casuale, ma di un deficit strutturale della forma repubblicana – e segnatamente di quella repubblicana parlamentare. Si tratterebbe, insomma, di una degenerazione politica che trova il suo humus sostanziale proprio nel peculiare assetto costituzionale che caratterizza la nostra forma di Stato. Non sarebbe tanto un problema di uomini, dunque, ma una questione di forme.
Va detto, però, che il problema di cui ci stiamo per occupare, ossia quello relativo a quale possa essere la migliore forma di governo o il più stabile ed efficace assetto istituzionale per un paese democratico, ha già affascinato schiere di eccellenti filosofi, sicché non può che essere giustamente considerata presuntuosa, da parte mia, l’idea di aggiungervi anche solo qualcosa; essendo però caduta, almeno qui da noi in Italia, in così grave – e, secondo me ingiustificato – discredito la forma monarchica, di cui intendo trattare in modo particolare, vorrei provare a offrire un ulteriore contributo, nel tentativo di risollevarne l’immagine agli occhi dei miei quattro lettori… La gran parte delle persone, infatti, qui in Italia, oggi è portata a ritenere che la monarchia non sia che un anacronistico retaggio del passato, dimenticando che, proprio vicino a noi, in Spagna, abbiamo assistito a una recente restaurazione monarchica, successiva a una dittatura assai simile al fascismo, restaurazione in seguito alla quale quel Paese ha compiuto formidabili passi in avanti, al punto di pesare manifestamente quasi quanto l’Italia nel consesso internazionale, a fronte di una popolazione inferiore del 30%.
La tesi di questo libro è che la monarchia sia necessaria per garantire la massima stabilità e il più perfetto nitore a un assetto democratico parlamentare, mentre, probabilmente, risulta forma più equilibrata anche di quella repubblicana presidenziale, ove manca un vero e proprio Capo dello Stato che si possa collocare super partes rispetto agli schieramenti politici.
Anche nelle repubbliche parlamentari, del resto, il problema di un capo dello Stato davvero neutrale si pone comunque, nel momento in cui egli viene eletto dai rappresentanti del popolo che, naturalmente, risulteranno inseriti in partiti politici, che potrebbero anche non appoggiare un candidato senza un preciso tornaconto.
Un altro grave problema, in verità di ogni sistema politico, è quello della corruzione. Chiarisco subito che sono consapevole del fatto che si tratta di un problema antico come il mondo e, pertanto, in buona sostanza, di un problema insolubile. D’altra parte, da questo ne derivano molti altri, con effetto a cascata. Consideriamo, per esempio, quello della pedofilia: possiamo rilevare come alcuni sostengano che si tratti di un fenomeno associativo, forse non privo di coperture eccellenti, talora anche politiche, forse addirittura internazionali. Di fronte a tale situazione, si sarebbe tentati dal fascino oscuro e suadente della resa; l’alternativa, però, potrebbe essere tornare a ciò che diceva Albert Camus: «Forse non possiamo impedire a questo mondo di essere un mondo in cui si torturano i bambini. Ma possiamo ridurre il numero dei bambini torturati». In quest’ottica giova – ed è importante – una riflessione su quale sia la forma di governo che possa contrastare meglio la corruzione politica interna a un paese democratico; da essa, infatti, deriva evidentemente tutto quanto di male si può generare in quel paese; infatti, corruttele, omessi controlli, connivenze eccellenti eccetera, costituiscono l’ecosistema più favorevole per lo sviluppo della criminalità in genere, anche e soprattutto di quella organizzata.
Senza alcuna pretesa di avere la verità in tasca, né di proporre – evidentemente – alcunché di nuovo, ho provato allora a mettere in rapporto l’essenza della libertà, secondo la celebre definizione di Montesquieu, che la fa coincidere con la libertà dalla paura di ciò che un altro cittadino potrebbe mai fare, a me o anche ai miei beni, con la più efficace separazione dei poteri.
È stato riflettendo su questi temi che mi sono accorto di un fatto per me ora evidentissimo: affinché qualsiasi bilancia, compresa quella dei poteri, possa funzionare, ci deve essere un fulcro, che resti sempre uguale a sé stesso e grazie al quale e attorno al quale, gli altri elementi possano oscillare con armonia ed efficacia. Ora, se questo fulcro oscillasse insieme ai piatti della bilancia, il funzionamento di questa sarebbe quanto meno problematico. Ebbene, fuori di metafora, almeno il Capo dello Stato deve essere indipendente dalle oscillazioni del mondo politico e affrancato il più possibile dalla loro influenza; ma questo è veramente possibile solo se egli non viene eletto da nessuno, ossia se ottiene la sua carica per eredità (eventualmente per adozione) da parte del suo predecessore.
Infatti, nel momento in cui il Capo dello Stato non ha alcun debito politico da rifondere e, contestualmente, è in suo nome che viene amministrata la giustizia, mentre gli vengono attribuiti poteri di supremo controllo del rispetto delle regole da parte di tutti i soggetti, si può sperare con fondamento che, per es., eventuali pressioni politiche sulla Magistratura, possano venir più facilmente compensate. Ai membri del Parlamento, in un sistema in cui le nomine e i trasferimenti dei magistrati dipendano, in ultima istanza, non da un organismo almeno in parte di nomina politica, ma da un re, dovrebbe risultare assai più difficile, per esempio, ottenere l’allontanamento di un magistrato che stesse compiendo indagini scomode o, comunque, inibirne l’azione con indebite pressioni inerenti la sua carriera.
Inoltre, per elevare anche la qualità dei membri del Parlamento, evitando che tutti (o quasi) i suoi membri debbano alla propria capacità politica il diritto di sedervi, senza peraltro arrivare a progettare una Camera dei Pari in cui, come in Inghilterra, parte dei membri vi siedano anche per diritto ereditario, si potrebbe immaginare un Senato del Regno, sia pure caratterizzato da competenze più ristrette rispetto all’altro ramo del Parlamento, dove vengano accolte, insieme ai senatori eletti dalle persone più mature (oltre 28 anni di età), anche un certo numero di eminenti personalità della cultura, della giurisprudenza, della scienza, della filosofia, della storia e dell’aristocrazia espresse dalla nazione e nominate a vita dal Sovrano, col grande vantaggio di poter esercitare un controllo sull’attività legislatrice, che possa risultare davvero libero da condizionamenti politici e da preoccupazioni legate alle successive elezioni. L’ottima prova che hanno dato di sé i senatori a vita durante il secondo Governo Prodi in cui il loro voto era determinante, evitando che l’azione parlamentare si arenasse nelle secche di una contestazione talora sterile e pretestuosa, sembrerebbe dare sostegno a questa tesi.
Ritengo poi che a tali vantaggi di ordine politico, riscontrabili in un sistema monarchico, se ne dovrebbero aggiungere altri di natura più propriamente sociale. Tanto per cominciare, credo si possa sostenere che si crei un rapporto più profondo e affettivamente più radicato tra il popolo e il suo re piuttosto che tra i cittadini e le personalità politiche, che svolgono sempre un servizio ad terminem e, comunque, assai più impersonale. In particolare, da più parti si è osservato – ma forse tra i primi a usare questo termine fu Pierpaolo Pasolini – come il rischio di una repubblica sia quello di contrapporre ai cittadini un Palazzo
, tanto impenetrabile quanto avrebbe dovuto, invece, essere trasparente²; una struttura spesso fredda e distante, insomma, nei confronti