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Chi ha spento la luce
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Chi ha spento la luce

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Fra le mura di un palazzo abitato da famiglie dell'alta borghesia, in un quartiere residenziale di Roma, si nasconde il mistero di tre suicidi apparentemente collegati tra loro. Un segreto inconfessabile è custodito nella memoria di una mente sconvolta dal dolore. Uno psichiatra pratica una seduta d'ipnosi a un paziente lacerato da un trauma legato al suo passato. Un assassino rapido e inafferrabile uccide al calare delle tenebre ogni testimone oculare. Personaggi ambigui e inquietanti si aggirano negli appartamenti e per le scale del palazzo. In tre giorni d'inverno, bagnati da una pioggia sottile e sferzati da un vento gelido e tagliente, indizi e sospetti si confondono nella foschia notturna come tanti fantasmi. Per risolvere il mistero. L'ispettore Aida Colonnese deve scoprire lidentità di CHI HA SPENTO LA LUCE in una stanza, dopo aver commesso l'ennesimo delitto.
LanguageItaliano
Release dateMay 15, 2020
ISBN9788835829799
Chi ha spento la luce

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    Chi ha spento la luce - Enrico Luceri

    ​Postfazione

    ​Personaggi principali

    Mauro Tancredi - Psichiatra

    Riccardo Gigliotti - Paziente di Tancredi

    Adele Battelli - Segretaria di Tancredi

    Siria Valenti - Ex-moglie di Gigliotti

    Mirca Leonardi - Attrice

    Fiammetta, Claudio e Serena Ammirati; Ornella Modesti; Lino e Christian Rocchi; Olivia Silvestri - Inquilini del palazzo di via Principe Anchisi

    Mariella - Domestica di Olivia Silvestri

    Vincenzo Gagliardo - Commissario della Polizia di Stato

    Aida Colonnese - Ispettore Capo della Polizia di Stato

    Fece una pausa, tirò un sospiro e riprese:

    «Comunque è morta.»

    «Di cosa?»

    «Amore» disse.

    «Amore» ripeté miss Marple.

    «Uno dei sentimenti più pericolosi che esistano» disse Elizabeth Temple.

    (Agatha Christie, Miss Marple: Nemesi)

    Roma, gennaio 2018

    Il giorno prima

    «Forse la causa della tragedia è da ricercarsi in quegli anni lontani. Mia nonna usava ripetere questo detto: i vecchi peccati hanno le ombre lunghe. Che il motivo del duplice suicidio fosse una lunga ombra nel loro passato?»

    (Agatha Christie, Gli elefanti hanno buona memoria)

    Uno studio in bianco

    Lo studio era vasto e arioso. La vetrata d’angolo offriva la prospettiva di una strada poco trafficata, e con le luci accese era possibile ammirare fin dall’incrocio le travi in legno massello che correvano da una parete all’altra, per andare a incastrarsi sul soffitto a volta, decorato con ricchi intarsi in un caldo color avorio e cesellature barocche. La visione d’insieme dava l’effetto di una solida ricchezza unita a una disinvolta ostentazione. Forse più adatto per un architetto di grido, ma molto rassicurante per i clienti che in mezzo ai divani in cuoio da club inglese e alle tende vaporose e chiare, sentivano in qualche modo di essere capitati nel posto giusto per riacquistare fiducia in se stessi.

    Esibire il costoso lusso dell’arredo giustificava in qualche modo le parcelle esagerate. Le modanature in legno, i soprammobili da galleria d’arte, i quadri a olio in stile fiammingo, contribuivano ad allontanare dalla mente l’immagine razionale e asettica da ambulatorio medico che tanti colleghi sembravano preferire. Il dottor Mauro Tancredi invece era dell’opinione che la clientela andasse selezionata a monte, non solo attraverso il passa parola ma soprattutto in una sorta di processo di eliminazione naturale. Le persone che si sentivano troppo intimorite dall’ambiente evitavano di tornare, senza dare seguito alcuno al primo colloquio orientativo che, da bravo neuropsichiatra, per lui doveva essere sempre gratuito e rigorosamente anonimo. Al medico piaceva che ognuno si sentisse libero di parlare dei propri problemi, senza prendere appunti e dare l’impressione di sottoporli a un interrogatorio serrato. Seduti comodamente sui divani ad angolo, e non come disoccupati in cerca di lavoro costretti all’umiliante rito del colloquio con un esaminatore, separati dal profilo razionale di una scrivania. Una chiacchierata informale in salotto. Su un terreno neutrale. Accogliente, elegante, perfino sontuoso.

    Ci teneva che le riviste in sala d’aspetto fossero sempre aggiornate e di una certa linea editoriale, niente giornali pieni di foto sguaiate e pettegolezzi. Cura dei dettagli e nessuna caduta di stile. Un doppio ingresso che consentisse la privacy necessaria. Coloro che aspettavano l’orario del proprio appuntamento non dovevano mai incontrarsi con chi aveva appena finito una seduta. E poi preferiva che lo scandire del tempo fosse affidato a un orologio a pendolo, chiuso nella sua cassa di legno lustra e decorata, e ben visibile dalla sua posizione, tanto che gli bastava sollevare lo sguardo per sapere se erano prossimi al termine, senza dare all’interlocutore la sgradevole sensazione di essere congedato all’improvviso. La segretaria era discreta ed efficiente, e sapeva come comportarsi con i pazienti più impegnativi e assillanti. Caramelle e cioccolatini di marca in eleganti ciotole di ceramica, fiori freschi nei vasi di cristallo, la porta imbottita in cuoio con pannelli di velluto rosso sempre ben chiusa durante le visite. Il trillo del centralino ridotto al minimo, filodiffusione discreta che usciva dalle casse fissate sulle travi sempre perfettamente lucide, che profumavano di cera, cosi come il pavimento in parquet interrotto qua e là da soffici tappeti. La cura dei dettagli, appunto.

    Quel giorno però era stato necessario fare a meno della segretaria. Uno dei migliori vantaggi nell’assumere personale selezionato era quello di poter contare sempre sull’assoluta discrezione e su un rispetto rigoroso degli orari e delle indicazioni ricevute. Non c’erano domande a cui rispondere o spiegazioni da fornire. Lo stipendio era più che sufficiente per evitare qualsiasi curiosità fuori luogo o sgradevoli eccessi di confidenza. Sobrietà nel vestire, tono di voce professionale e nessuna iniziativa personale. Lo stile innanzitutto. La consapevolezza che la forma a volte diventa sostanza.

    Il dottor Tancredi dovette ammettere che arredare lo studio, assumere la segretaria adatta, selezionare la clientela e acquisire una certa fama di psichiatra competente e rassicurante avevano richiesto anni di impegno e lavoro, senza concedersi mai una distrazione che si sarebbe potuta rivelare rischiosa. Uno sforzo coronato dal successo professionale, che niente e nessuno avrebbe potuto scalfire. Così aveva creduto, fino a quella sera.

    L’ansia per la disgustosa presenza che si trovava davanti cresceva di minuto in minuto. L’aveva voluta ricevere con un cognac in mano, per dare l’impressione di non essere preoccupato da un incontro tanto fastidioso quanto inopportuno. Ma un ricattatore è sempre tale, e ora quel bicchiere di cognac glielo avrebbe volentieri rovesciato in faccia. Rivangava un vecchio scandalo, ormai dimenticato e messo a tacere da anni. Si stava chiedendo cosa sperasse di ottenere da lui quella persona dall’aspetto tanto anonimo e dimesso. Inutile sprecare tempo in ipotesi fantasiose, concluse dentro di sé. Le persone tendevano spesso a mettere in gioco meccanismi mentali piuttosto primitivi. Tanto prevedibili quanto arginabili. La cosa migliore era fingere di adattarsi, assecondarli e dare loro corda sufficiente per impiccarsi. Istintivamente e per associazione di idee, alzò lo sguardo verso la pesante trave in legno massiccio che sarebbe stata perfetta per appendere un cappio, poi lo riportò a fatica verso quell’odioso interlocutore che gli agitava un foglio sotto al naso. Com’era sempre priva di stile la gente. Espressione impassibile, voce aspra, gesti minacciosi, tono aggressivo di chi non prova fino in fondo la sicurezza che si sforza di dimostrare.

    «Queste sono le prove, caro il mio dottore. So che avete raggiunto un compromesso, a suo tempo, mettendo tutto a tacere con la soluzione più comoda: la fuga. Lei dalla clinica e quella povera ragazza in un’altra struttura per malati di mente. Ma l’obbligo di riservatezza oggi non esiste più. Mentre rimane la porcheria che lei ha fatto a quella povera ragazza.»

    Una frase pronunciata con aria sprezzante ed esagerata, che lo psichiatra trovò insopportabile. Facendo ondeggiare con calcolata lentezza il liquido ambrato nel bicchiere, Tancredi accarezzò con la punta delle dita il foglio che gli veniva proteso sotto il naso, sul piano in marmo del tavolino. Abbassò con l’indice gli occhiali senza montatura sulla punta del naso, e cominciò a scorrere velocemente il testo. Non era altro che una dichiarazione scritta con il computer. Autografata certo, ma non rilasciata davanti a un notaio. Valeva solo la carta su cui era stata stesa, o poco di più. Però nelle mani delle persone sbagliate poteva sempre rappresentare un pericolo. Decise di ricorrere al tono di voce più professionale che avesse nel repertorio, quello che nelle conferenze gli aveva sempre guadagnato l’ammirazione e l’incondizionata attenzione del pubblico.

    «Lei e io sappiamo che le condizioni mentali del soggetto interessato erano a dir poco precarie.» Fece una pausa marcata e inarcò un sopracciglio con espressione critica, giusto per far capire che la cosa non gli interessava poi molto. «Le dichiarazioni di una psicopatica non hanno valore, sia dentro che fuori da un tribunale. Al contrario, il suo comportamento è un chiaro tentativo di ricatto. Cioè un reato. Che lei è ancora in tempo a evitare.»

    Il pericolo però restava il medesimo, ammise dentro di sé: sarebbe bastato far giungere la notizia dello scandalo agli organi di stampa ed era fatale che si scatenasse una corsa mediatica al massacro contro la quale nulla e nessuno poteva opporsi, con conseguenze alle quali poi sarebbe stato difficile porre rimedio. Valutando il rischio fece al suo interlocutore un lieve gesto di incoraggiamento, forse la richiesta non sarebbe stata troppo al di fuori della sua portata. Non gli sembrava il tipo di persona che cercava un guadagno facile, doveva avere in mente ben altro, tanto valeva cercare di saperne di più. Annuì con calma, quando sentì la replica che si era aspettato.

    «Questo foglio forse non servirebbe per una denuncia penale o all’Ordine dei Medici, ma per scatenare una campagna scandalistica su Internet e sulla stampa sì. Se la sente di correre un simile rischio? Lei finirebbe linciato da tutti coloro che passano la giornata schizzando veleno sulle tastiere dei loro computer. Ma non si preoccupi, non sono i suoi soldi che voglio. Io le chiedo solo una prestazione professionale. Niente di più facile.»

    Tancredi aggrottò la fronte, si trattava comunque di un ricatto. Ma cominciava a essere curioso. Così replicò in tono cauto, notando con soddisfazione che il linguaggio del corpo lo poneva in vantaggio rispetto a chi restava ostinatamente in piedi di fronte a lui. Un professionista seduto, rilassato, sul divano di cuoio, il bicchiere del cognac posto nelle mani a coppa, rispetto a chi adesso si era appollaiato sul bordo di una sedia, con le ginocchia contratte e le spalle curve. Perfino il tono della sua voce tradiva ora una certa insicurezza. Se non fosse stato per quella maledetta carta che stringeva in mano, se ne sarebbe liberato già da tempo. Ora invece era costretto ad ascoltare.

    «Quindi, cosa vuole? Può anche darsi che si trovi un accordo. Lo farei solo per evitare una pubblicità inopportuna, perché dal punto di vista penale o della condotta professionale non avrei nulla da temere.»

    «La pianti di usare con me quel tono altezzoso da luminare della scienza. Lei è solo uno che se l’è spassata con la propria paziente, mentre quella era strafatta di psicofarmaci. E magari s’è pure divertito. E parla di coscienza in ordine? Un cassonetto pieno di spazzatura è più pulito di lei!»

    «Non le permetto…»

    «Basta con quella faccia da verginella indignata, non le si addice. Parliamo di affari, piuttosto. Lei farà una seduta di ipnosi. Una terapia che le servirà per sbarazzarsi del suo ingombrante scheletro nell’armadio, una volta per tutte.»

    «Ma davvero … e a chi dovrei farla? E perché?»

    «Non si deve preoccupare di questo. Sa benissimo di chi sto parlando. Come sa anche che è in cura da lei da poco meno di un anno, ormai. Senza alcun risultato apprezzabile. Come vede, ho preso le informazioni necessarie. Non deve far altro che sventolargli davanti agli occhi questa possibilità. Solo una singola seduta di ipnosi per portare allo scoperto le cause reali del suo malessere.»

    «Non acconsentirà mai. La maggior parte dei miei pazienti ha già affrontato senza successo le radici delle proprie nevrosi. Sanno cosa li tormenta, e trovano sollievo solo nelle terapie farmacologiche e nei colloqui settimanali» rispose cauto. Non voleva ammettere di aver compreso di chi stessero parlando, né tanto meno svelare segreti professionali con leggerezza colpevole. Non si poteva mai sapere da che parte venisse il pericolo. Se fosse stata quella la trappola? Indurlo a rivelare dettagli personali? In questo caso, se la sarebbe cavata con affermazioni generiche.

    «Troppo comodo per lei. Psicofarmaci e sedute costosissime, una bella dipendenza che dura anni e produce guadagno. Ma stavolta farà un’eccezione. Troverà un sistema, vedrà. Tutte quelle lauree appese al muro saranno pur servite a qualcosa. Una bella terapia sperimentale, un’unica seduta e questo foglio sparirà. Mi pare un accordo conveniente. Un’oretta di chiacchiere per liberarsi di un fantasma vecchio di anni.»

    Tancredi annuì in silenzio, consapevole di essere stato messo con le spalle al muro. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per togliersi da torno quella visione spiacevole. Con lo sguardo corse di nuovo alle massicce travi in legno, su cui un cappio annodato sarebbe stato opportuno, per poi riportare con un certo sforzo la sua attenzione alla richiesta che gli era stata fatta con tanta precisione.

    «Lei registrerà l’intera seduta. Sa bene cosa voglio sapere, ascolterò dalla voce di quell’uomo. Poi cancelleremo la registrazione. E tolga di mezzo la sua segretaria. Nessuna traccia della seduta. Nessuna traccia del nostro colloquio.»

    Intascò i fogli, riponendoli con cura nel soprabito, poi uscì dalla stanza ponendo i piedi con attenzione uno davanti all’altro. C’era una sorta di ira repressa, oppure era odio gelido, nei movimenti di quel corpo, una rabbia senza nome che Tancredi conosceva bene. Ma anche qualcos’altro che lì per lì non riusciva a identificare. Forse del dolore fisico, una nevralgia, o un problema articolare, si notava da come camminava, con cauta circospezione, come se aspettasse di ricevere una scossa da un momento all’altro.

    Però non era un problema suo, aveva altro a cui pensare. Perché convincere un paziente a sottoporsi a una terapia sperimentale sotto la minaccia di non rinnovare la prescrizione degli psicofarmaci da cui ormai dipendeva era sempre possibile, ma avrebbe potuto creare complicazioni a lungo termine. La questione andava gestita con intelligenza, la seduta di ipnosi doveva essere proposta come una soluzione innovativa, rivoluzionaria, all’avanguardia. Un’opzione riservata a pochi pazienti, facendo balenare la possibilità di un’accelerazione della guarigione. Servita su un vassoio d’argento, con eleganza. Gestire la minaccia di un ricattatore da quattro soldi non gli sembrava cosi difficile. La maggior parte delle volte bastava pagare un giusto prezzo, in questo caso il compenso pattuito sarebbe stato di ordine morale. Gli sarebbe costato ancora meno. Per sottolineare il suo distacco dalla faccenda, non si era dato neanche la pena di accompagnare l’ospite inatteso fino alla porta, accontentandosi di sentire sbattere l’uscio.

    Finì con calma di sorseggiare il cognac, lasciando scorrere lo sguardo in giro per la stanza. Era da un po’ di tempo che valutava la possibilità di aggiungere un piccolo camino in marmo bianco di Carrara al suo studio, nello stile del Canova, da tenere acceso d’inverno. Con delle fiamme vere che avrebbero contribuito a rendere l’atmosfera confortevole e l’ambiente ancora più rilassante e sofisticato. Doveva ricordarsi di parlarne all’amministratore del condominio e se necessario favorire le pratiche per il rilascio dei permessi elargendo qualche regalo a funzionari disponibili. Si sentiva ottimista, quel vecchio scandalo sepolto nelle pieghe del tempo lo considerava già liquidato secoli prima. Era solo un ritorno di fiamma, che scalda ma non brucia. Senza alcuna importanza. Cosi come era senza importanza la persona da cui proveniva la minaccia. Quella figura anonima e dai modi dimessi, che simulava una sicurezza che non provava affatto. Con un movimento elegante del polso, lo psichiatra fece scivolare sulle pareti del bicchiere ciò che restava del cognac e lo bevve con calcolata calma. Ma quando si accorse che le ultime gocce scivolavano amarognole in bocca, un’improvvisa inquietudine lo aggredì fino a costringerlo ad alzarsi e correre in bagno a sciacquarsi il volto, che sentiva scottare come se la temperatura fosse salita all’improvviso.

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