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Non svegliate Don Eupremio
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Non svegliate Don Eupremio
Ebook387 pages4 hours

Non svegliate Don Eupremio

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About this ebook

Dalle parti di Savelletri (Br) Irma Battistelli, quindicenne figlia di operai, scompare nel nulla. Il corpo sarà ritrovato dopo un mese in un pozzo in disuso nelle campagne della vicina Fasano. Il proprietario del terreno, Don Eupremio Amoruso, è un mafioso novantenne esponente di una fazione dissidente della SCU e sta scontando l’ergastolo agli arresti domiciliari. Non avendo egli autorizzato l’omicidio, furente per lo sgarro, scatena la sua cosca alla caccia del pedofilo. Il maresciallo dei Carabinieri Alfonso Guarna, vedovo inconsolabile e da poco trasferito al Comando di Bari in seguito a un grave errore sul lavoro, è assegnato di rincalzo alla piccola tenenza di Fasano e subito si trova a fronteggiare il vecchio ma ancora lucidissimo boss. A Roma nella multinazionale dell’informatica Spire s.p.a. tre giovani e scalcinati manager laureati in legge aspettano con terrore l’ennesimo piano industriale, che probabilmente li priverà del posto di lavoro…
LanguageItaliano
Release dateMay 11, 2020
ISBN9788835828884
Non svegliate Don Eupremio

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    Non svegliate Don Eupremio - Vito Introna

    NON SVEGLIATE DON EUPREMIO

    di Vito Introna

    Prima edizione: dicembre 2019

    Tutti i diritti riservati 2019 BERTONI EDITORE

    Via Giuseppe Di Vittorio 104 - 06073 Chiugiana          

                     Bertoni Editore 

    www.bertonieditore.com

    info@bertonieditore.com          

    È vietata la riproduzione anche parziale e con qualsiasi 

    mezzo effettuata, compresa la copia fotostatica se non autorizzata.

    Vito Introna

    NON SVEGLIATE

    DON EUPREMIO

    La presente è un’opera di fantasia. 

    Ogni riferimento o somiglianza con fatti storici, 

    personaggi o luoghi reali è puramente casuale.

    PREFAZIONE

    Un romanzo dei giorni nostri, attualissimo nella sua complessità, variegato fino all’inverosimile. Una trama che si infittisce piano piano, come un ricamo che rivela punto dopo punto tutti i suoi colori e le loro sfumature, tutti i rilievi con i loro garbati ossimori. Sembra la sceneggiatura di una bella fiction, perché al suo autore non sfuggono i dettagli, né dei personaggi, né delle situazioni che essi vivono; situazioni che si evolvono autonomamente, ora a dipanare la matassa del giallo ora a ingarbugliarla. 

    Un giallo che solo in apparenza divide gli individui in buoni e cattivi perché, come accade nella realtà, tali categorie non sono affatto ben definite; già dalla sua presentazione ogni singolo personaggio rivela essere ciò che non ti aspetti, se conosci il ruolo che riveste: chi sta dalla parte della Legge ha nella vita privata una condotta non proprio ineccepibile, chi sta al di fuori della Legge rivela invece tratti di positività inaspettati. Don Eupremio Amoruso – tanto per dirne una – con quel nome che promette bene e cognome che ne ribadisce l’etimo, parole che sembrano stridere e ironizzare sulle occupazioni poco encomiabili dello stesso, rivela poi una saggezza e una umanità tutta sua in un discorso, quello di Don Luigi, che non fa grinze: «A don Eupremio ci piace che la gente lavora tranquilla, chi sta male non travagghia bene»; «Per fare gli affari ci vuole il cervello, ma anche il cuore… e Don Eupremio ce lo ha grande così».

    Una scrittura fluidissima quella di Vito Introna a descrivere la Puglia del terzo millennio in tutte le sue icone e in tutte le sue manie, in tutta la sua ricchezza di pensiero e in tutte le sue azioni, immersa in un ameno paesaggio. Solo in apparenza Non svegliate Don Eupremio è il teatro della malavita locale e degli annessi problemi che affliggono il Sud; in realtà l’opera è uno spaccato di vita quotidiana dell’intera Italia, che pur fra mille problemi mantiene inalterata la sua solarità e non rinuncia a far parlare il cuore. 

    Francesca De Santis

    Il tonfo nell’acqua profonda fu assorbito dalle pareti di cemento.

    La bambina semisoffocata si agitò annaspando, emise un breve urlo inarticolato, poi la piccola falce di luce si chiuse; giacque nel buio, sprofondando sotto la melma.

    I

    «La Costa Azzurra è fantastica, fiche dappertutto e certi locali! Peccato che il mare faccia schifo.»

    «Io l’anno scorso mi sono rilassato - si intromise Andrea - ero in Sardegna e posso dire che un mare come quello dell’Ogliastra non esiste da nessun’altra parte del mondo.»

    Fabrizio stava per ripartire con l’esaltazione di Ile de Porquerolles ma notò che Saverio, il taciturno impiegato addetto ai rapporti col Parlamento, si ostinava a dare loro le spalle.

    «Saverio, tu niente vacanze?» lo provocò.

    L’altro si volse infastidito, fumava nervosamente davanti a un bicchierino di caffè dek e a una copia del Corsera di due giorni prima.

    «Sì, sono stato in Puglia a Capitolo.»

    «A casa tua insomma.»

    «No io sono di Bari, più sopra.»

    «Beri?» lo irrise Andrea.

    «De mammet!»

    «Sempre così permalosi voi baresi…» troncò il romano.

    Saverio non replicò e riprese a leggere, mentre i due continuarono a scambiarsi ricordi di viaggio, sperando che qualche tipa del marketing o delle risorse umane si affacciasse in sala fumo.

    «A Cannes ho conosciuto una bionda, era di Verbania, un po’ bora ma talmente fica che…»

    «Basta!» tuonò Giorgio Falconi dalla porta. «Voi due - additò Andrea e Fabrizio - andate a lavorare che fra poco arrivano i nominativi dei nuovi membri della Commissione Giustizia. E tu - si rivolse a Saverio - che fai?» 

    «Finisco la sigaretta se non le dispiace.» 

    «Ti vedo sempre qui, quanto fumi?» 

    «Due pacchetti al giorno. Non dovrei?» 

    «No, ma vorrei sapere che ne pensa Maffei.» 

    «Non lo so. Tanto il nostro amato capo del personale non fuma e oggi non c’è.» 

    «Quando la gatta manca…» 

    Per accontentarlo Saverio abbozzò un goffo passo di danza, strappando l’ilarità a tutti e tre, spense la sigaretta e uscì.

    Giorgio entrò a sua volta nella sala a vetri per un caffè al volo, inserì una moneta da cinquanta centesimi nell’apparecchio e diede una scorsa al corriere lasciato aperto sul tavolino:

    Inspiegabile scomparsa di una sedicenne in provincia di Brindisi. La giovane Irma Battistelli, dopo essersi trattenuta in compagnia di alcuni coetanei presso la spiaggia libera adiacente Lido Sabbiadoro, è scomparsa nel nulla intorno alle diciannove. Nessun avvistamento, nessuna segnalazione e il suo cellulare risulta irraggiungibile. I Carabinieri della tenenza di Fasano stanno setacciando tutte le telecamere di sorveglianza presenti nel circondario, anche se non si esclude una fuga volontaria della giovane, descritta dagli amici e dagli stessi genitori quale ribelle e poco incline a rispettare le regole.

    «Chissà con chi se n’è scappata» sorrise Giorgio. Bevve il caffè e tornò a lavorare, non lesinando una nuova ramanzina a Fabrizio e Saverio: il primo era al cellulare e il secondo chattava allegramente su Facebook.

    Stronzi! Vanno puniti! disse fra sé rientrando in ufficio.

    Saverio si stava riposando dopo una dura serie di squat col bilanciere e il suo sguardo incontrò quello di una tipa bionda in sovrappeso.

    «Ma che me stai a guardà er culo?»

    Sorpreso dall’accusa insensata replicò: «A te? Ma vaffanculo, cessa di una mitomane!»

    L’istruttore, accorso sul posto, vide Saverio grosso e peloso contro di lei alta e slanciata… salvo che per gli antiestetici rotoli laterali. Dopo un istante di indecisione chiese a lui di lasciare la sala pesi e, sordo alle sue proteste, lo costrinse ad andare via.

    Andrea giocava a FIFA WORLD 2011 stravaccato sul divano di casa, ma non ne imbroccava una: la Roma era già sotto di tre gol e il Barcellona non le dava quartiere. Stringeva il joystick con un accanimento tale da poterlo rompere in qualsiasi momento ma, per quanto s’ingegnasse, la palla a Totti non arrivava mai e puntualmente i blaugrana ripartivano convinti, umiliando il povero De Rossi.

    Sabrina lo chiamò dalla sala da pranzo.

    «Abbassa il volume cazzo, sto studiando!»

    «Ma se ho le cuffie!» urlò lui.

    «Allora vuoi diventare sordo. Abbassalo ti prego, domani ho l’esame.»

    Quella stronza delle sua fidanzata aveva deciso di prendersi la seconda laurea a trent’anni e lo tormentava da mesi: perennemente in silenzio, ogni sera a letto presto, cene spartane, niente vita sociale… Andrea stava meditando di disfarsene. Era alto e ben proporzionato malgrado un lieve cedimento del punto vita, i folti capelli castani per ora resistevano, tanto valeva rimettersi in gioco il prima possibile.

    Fabrizio si preparò la cena, accese la televisione e cercò invano un telegiornale. Il Nero d’Avola rese meno immonda la minestra di farro, ma non bastò a lenire il rimpianto che lo coglieva ogni sera a quell’ora. Maria se ne era andata da quasi un anno, portandosi via i bambini. Era tornata a vivere dai suoi, a Catania, non vedeva Francesco e Simona da allora. Era stato stupido a lasciare il pc acceso, sua moglie non aveva avuto problemi a leggere la fitta corrispondenza fra lui e quella maledetta troia riminese. Katia l’aveva irretito in una fosca trama di fughe travestite da convegni di lavoro, alberghetti, sesso spinto e alcol a fiumi.

    Preso atto che sua moglie aveva mangiato la foglia, Katia era rimasta silente per un mese rinviando i successivi incontri a data da destinarsi. Alla fine era riapparsa su facebook in dei selfie che la ritraevano abbracciata a un altro, un tomo palestrato grande il doppio di lui.

    «Restiamo amici!» gli aveva proposto.

    Da lei non aveva più sentito altro.

    Saverio, ancora irritato dall’inutile discussione in palestra, si fermò al bar sotto casa per una birra, finendo con lo scolarne tre e tornare a casa alticcio e barcollante. Si addormentò sul divano ancora in tuta, salvo poi non sentire la sveglia delle sette e presentarsi in ufficio con un’ora di ritardo.

    Andrea provò ad addormentarsi accanto a Sabrina, ma le sue odiose, decrepite audiocassette didattiche gli rimbombavano nel cervello.

    «Spegni quel cazzo di walkman!» strillò, ma lei fece finta di non sentirlo. Esasperato andò in salotto, si versò un whisky e si addormentò sul divano sotto un vecchio plaid.

    Fabrizio recitò il rosario cercando conforto al proprio disagio. Il suo animo, marchiato dal peccato e dalla giusta punizione divina, non trovava pace. Rivoleva sua moglie, per quanto bisbetica e intrattabile. Aveva nostalgia dei bambini, delle loro grida, dei loro piccoli litigi. Ma soprattutto gli mancava Katia, unica artefice di tutti i suoi problemi: lei che aveva scoperchiato la pentola del suo bigottismo, salvo poi ritapparla non appena aveva accennato a un’eventualità di matrimonio.

    Alla fine ingoiò due pasticche di sedativo e riuscì a chiudere gli occhi, non prima di aver ringraziato Dio.

    II

    «Puoi farlo?»

    L’uomo lo scrutò, la faccia del visitatore sfumava nella penombra fra le pieghe dell’impermeabile.

    «Tutto si può fare, ma ci sarà un costo.»

    «Quanto?»

    «Almeno trentamila euro.»

    «Trentamila euro per clonare una sim? Sei pazzo?»

    L’hacker si alzò, non superava il metro e mezzo. «Se vuoi una sim parallela che annulli quella autentica sono mille euro e su Ebay troverai chi ti farà il lavoro per la metà. Tu però mi hai chiesto altro.» 

    «Sì, insomma… Quando la sim tarocca è in funzione quella originale deve andare in standby. Puoi farlo?»

    «Sì, ma costa. Il prezzo lo conosci.»

    Il visitatore si chinò, mostrando per un attimo il viso schiacciato. «Amico, mi chiedi una fortuna. Sei sicuro che non mi beccheranno?»

    «No, se farai come ti dico. Quando accendi il cellulare devi essere sicuro di trovarti nel raggio di cinque chilometri dalla sim originale, non importa se sia attiva o offline. Poi non devi spegnerlo più. Se il tuo cellulare si scarica o si spegne, per qualsiasi motivo, distruggi la sim e dopo aver sfilato la pila butta via tutto.»

    «Trentamila…»

    «Trentamila. Il chip del Mossad da solo ne vale ventimila, diecimila per il disturbo non me li dai? Ci lavorerò sopra almeno una settimana.»

    Il visitatore annuì, poi uscì gravemente. L’hacker abbozzò un sorriso, inforcò un paio di spessi occhiali e si rimise al lavoro.

    Svetlana pedalava a fatica lungo il pendio, la murgia si stava rivelando fin troppo impegnativa per le sue esili gambe. Suo padre e sua madre erano rimasti a lavorare a valle nel latifondo di Don Eupremio e lei, ancora per un anno, sarebbe stata esentata da quel tipo di vita. Dopo l’estate, lo sapeva, si sarebbe iscritta alle scuole superiori, avrebbe tentato il liceo linguistico di Carosino come tante sue coetanee. E, come tutte loro, l’estate successiva avrebbe festeggiato la bocciatura lavorando in campagna con i genitori.

    Che vita di merda, poi non ha ragione la nonna quando dice che fra Ceaucescu e la democrazia andava bene cinquanta e cinquanta pensò triste, mentre con un’ultima impuntata sui fianchi superava la cima del colle. Accostò al lato del sentiero per rifiatare, il caldo torrido e la mancanza di alberi, tipica della maledetta Puglia, decuplicavano la sua stanchezza.

    Lontano, sulla destra, fra rocce e resti di antichi muretti a secco, intravide un albero di fico e, lasciando la bici per terra, corse a ripararsi sotto le sue foglie. Non era un granché, ma sempre meglio degli spelacchiati ulivi selvatici.

    Se non fosse ridiscesa presto i suoi l’avrebbero chiamata e mai sia li avesse costretti a interrompere il lavoro per cercarla… Non volle pensare a quante ne avrebbe prese. Come già accaduto tante volte.

    Mentre attingeva copiosamente dalla bottiglietta di plastica che portava sempre con sé, fu distratta da uno strano rumore. Un fruscio o uno scricchiolio, un suono vago ma abbastanza vicino, lo percepiva distintamente malgrado lo sferragliare del trattore a valle. Si guardò intorno, alla sua destra a un certo punto apparve il busto di un uomo in canottiera che si inerpicava sulla gravina. Era un tipo asciutto con un berretto bianco calzato in testa e grandi occhiali da sole neri. Alla fine l’uomo arrivò in cima e si sedette su un macigno per riprendere fiato, dandole le spalle. Era di media statura, largo di spalle e dalle braccia nude molto chiare, segno che non lavorava in campagna. Sudatissimo, inspirava a pieni polmoni tossendo a tratti, lo sentì sputare per terra un paio di volte, poi si alzò fissando un punto davanti a sé. Lo vide voltarsi nella sua direzione, ma il sole a picco l’abbagliò, impedendogli di scorgerla. Tuttavia la bici adagiata al suolo era un chiaro biglietto da visita. E se fosse stato un tipo pericoloso? La faccia schiacciata e il naso camuso lo rendevano ripugnante, il sudore che gli colava sulla fronte e l’andatura goffa contribuivano ad accrescere la sua repulsione… Ma non tutto ciò che è brutto è pericoloso, si disse.

    «Chi c’è?» urlò l’uomo spaventandola.

    Continuò a ruotare lo sguardo, poi puntò dritto verso il fico selvatico.

    «Sono io, la bici è mia. Mi stavo rinfrescando all’ombra.»

    «Ah, e tu - mormorò lui andandole incontro - prendi il fresco sul mio terreno?»

    «Mi scusi, non lo sapevo.»

    «Sei da sola?»

    «No - rispose lei uscendo dal fogliame - ci sono i miei a valle. Anzi ora vado prima che mio fratello venga a cercarmi.»

    «Se vuoi un passaggio ho la macchina» e indicò il ripido sentiero dal quale era arrivato.

    Svetlana fu nauseata dalla sua puzza di sudore, quell’uomo oltre che brutto le pareva viscido, il suo modo di gesticolare e l’accento insolito non l’incoraggiavano ad accettare.

    «No, mi spiace, mio padre non vuole che accetti passaggi da sconosciuti.» Fece per andarsene, ma l’intruso le sbarrò la strada.

    «Sei albanese?»

    Svetlana, spaventata, mosse un passo indietro. «No, sono rumena. Mi scusi, devo proprio andare.» 

    «Aspetta - insistette, serrandole un polso - senti un po’.»

    «Mi lasci, mi sta facendo male!» urlò lei.

    Il vento a favore propagò l’urlo nella direzione giusta e di fatti, dopo qualche istante, il trattore tacque e una voce potente la chiamò.

    «È papà, se non mi lascia andare se la vedrà con lui.» 

    «Ah sì? - rise l’uomo, mollando la presa - Vai pure, volevo solo chiederti un paio di informazioni.» 

    «Io non so niente, non esco quasi mai.» 

    «D’accordo, allora vai. Ma ricordati di non entrare mai più nelle mie terre.» 

    «Va bene, se magari mette un cartello…» 

    «Vedremo. Addio!» 

    L’urlo di suo padre risuonò nuovamente e lei, sollevata, rispose che stava tornando e finalmente inforcò la bici.

    Il tipo strano ridiscese dalla strada per la quale era arrivato, scomparendo subito alla vista.

    La bambina, ancora col cuore in gola, tornò nei campi arati dove il padre e la madre l’attendevano a braccia conserte.

    Per evitare di buscarsi un ceffone, raccontò loro di essere stata fermata e redarguita dal padrone del podere accanto, un italiano strano che parlava con un accento mai sentito prima: un tipo molto antipatico.

    Evitò di riferire che se suo padre non avesse urlato forse l’avrebbe presa e portata via: ci mancava che la rinchiudessero in casa per tutta l’estate. No, avrebbe evitato quella collina ma non meritava di vivere da reclusa anche nella bella stagione.

    Tuttavia il padre, innervosito dal contrattempo, apparve subito preoccupato.

    «Non credo che fosse il padrone del terreno, tutta questa area è di Don Eupremio, che ha novant’anni. I suoi figli stanno a Milano, il nipote che vive qui ha diciannove anni ed è alto e magro. Quell’uomo ha detto una cazzata.»

    «Non lo so papà.»

    Bahishikim Bordeianu, un metro e ottantasei per centouno chilogrammi, aveva quarantacinque anni e prima di trasferirsi in Puglia a fare l’agricoltore era stato un discreto elettricista a Bacău, dove aveva continuato a lavorare nella società municipalizzata in cui erano stati impiegati suo padre e suo nonno. Poi l’azienda aveva chiuso i battenti e, a ventinove anni, si era ritrovato disoccupato con l’irrequieta moglie Victoria, che non aveva troppa voglia di fare la badante all’estero, e due figli piccoli. Dopo un semestre di tribolazioni aveva deciso di affidarsi a un misterioso personaggio che ogni domenica raccoglieva adesioni e proseliti in piazza Zara.

    Cinquecentomila Lei, a tanto ammontava il suo debito per venire in Italia. Si era legato alla mafia per dare ai suoi figli la speranza di un futuro e disperdere le voci che volevano Victoria amante fissa di un bell’imbusto di ufficiale della Gendarmeria.

    A conti fatti non ne era valsa la pena. Il debito era stato estinto l’anno precedente, ma nel frattempo troppe cose erano cambiate in peggio: Svetlana e Ion, il maggiore, non erano versati nello studio e nemmeno amavano il lavoro. Victoria non aveva mai sopportato il trasloco in un’antica casa colonica, nei campi lo aiutava poco e non faceva altro che sbuffare e lamentarsi, rendendo le poche ore di coabitazione un inferno.

    Il signore misterioso ogni mese mandava due esattori, un italiano e un rumeno. Le tre volte in cui non aveva potuto consegnare l’intera rata si era ritrovato, nell’ordine, con un occhio pesto, due denti spezzati e un cane sventrato.

    Alla fine non aveva retto, denunciando i suoi aguzzini. Era stata la rovina: le colture erano state date alle fiamme con tutta la casa, si erano salvati per miracolo e Victoria era rientrata in Romania, lasciandolo da solo ad accudire un quattordicenne e una undicenne.

    Per fortuna aveva saputo che nelle vicine campagne del fasanese cercavano nuovi agricoltori stanziali e, brigando molto con un funzionario del collocamento, al prezzo di euro novecento, era riuscito a farsi assumere nell’azienda di Don Luigi Locascio, fiduciario di Don Eupremio Amoruso, latifondista e usuraio da generazioni.

    Lì finalmente aveva trovato un equilibrio, la paga era decente e Victoria, vinta dai pianti di sua figlia, era tornata.

    Svetlana non era una brava ragazza, non amava studiare né lavorare e spesso si truccava fin troppo pesantemente. Ma non diceva bugie e il suo racconto non giustificava l’espressione terrorizzata con la quale era scesa dalla collina.

    Don Luigi e Don Eupremio dovevano essere informati immediatamente.

    III

    Saverio confabulava al cellulare con la fidanzata. Nella Spire s.p.a. tutti sapevano che non poteva che essere lei, vista la posa inconfondibile che il robusto collega sfoggiava nell’occasione: occhio liquido, sigaretta che gli si spegneva fra le dita e mascella serrata per non urlare. Ogni tanto poi, quando la logorrea di lei aveva il sopravvento, le urla di Saverio si sentivano eccome e Andrea accorreva a sbracciarsi al centro dell’open space, fingendo di dirigere un’orchestra nell’ilarità generale. Come stava per accadere.

    «Basta! Sono tre volte che ti fai fottere a matematica, quando cazzo ti laurei più? Stiamo diventando vecchi, idiota. Che cazzo piangi a fare? Cercati un lavoro!»

    «Oh oh! - fece eco Fabrizio - L’hanno segata di nuovo. Il Matrimonio dei sogni slitterà ancora.» 

    «Sì, quando lui andrà in pensione» annuì acida Martina, una cicciona imposta alla Spire da un magnate degli autotrasporti e subito calatasi nella parte del futuro capo-dipartimento.

    «Secondo me lei c’ha un altro. Lui è così cretino che, da quando lo conosco, non ci ha mai provato con nessuna in ditta» rispose Fabrizio.

    «E chi se lo piglia? I baresi non piacciono alle romane.» 

    «E i siciliani?»

    «Un po’ di più, ma quelli normali.»

    «Che secondo te io non sono normale?» si drizzò nella sua modesta statura.

    Martina lo guardò sprezzante, poi lisciandosi i folti capelli abbozzò un sorriso che avrebbe voluto essere canzonatorio, ma che ai più parve bovino. «Non direi…»

    Saverio uscì scuro dalla sala fumo e subito calò il silenzio. Solo Andrea, giunto troppo tardi per il siparietto da direttore d’orchestra, intuì la situazione e si lanciò in un altro improbabile sketch comico.

    «Come ti butta Saverio? Quando viene la donna?»

    «Lascia perdere…»

    «Non è che lei a Beri c’ha er compare?»

    Tutti in coro prevennero la nota risposta: «Beri d’mammet!».

    Ma Saverio non aveva alcuna voglia di scherzare e spintonò malamente il meno massiccio Andrea che, colto di sorpresa, andò a scontrarsi con Falconi.

    «Diamoci tutti una calmata! - urlò Giorgio, sforzandosi di apparire cattivo - Seduti. E tu Saverio, se proprio devi litigare con la tua ragazza, fallo fuori dall’orario di lavoro.»

    «Quale ragazza? Io da adesso sono felicemente single» rispose lapidario.

    «Allora tanti auguri. Torniamo al lavoro! Tra poco arrivano le news sulla nuova giunta regionale della Sardegna e…»

    Le ultime risate si spensero, Andrea, guardando torvo Saverio, si rassettò la costosa giacca di lana merinos e andò a prendere un caffè in saletta. Fabrizio, offeso con Martina, cominciò il solito giro esplorativo su Ebay e Alibaba.com. Martina, a sua volta, percepì alle proprie spalle i mormorii delle altre impiegate, che dopo soli tre giorni di convivenza in open space avevano praticamente smesso di rivolgerle la parola.

    Vi licenzierò tutte, stronze di merda! pensò, poi alzato lo sguardo osservò Saverio, suo dirimpettaio insieme a Fabrizio. Era livido dalla rabbia, il nasone increspato e la faccia torva mal rasata incutevano un misto di paura e ribrezzo.

    Anche questo stronzo andrà via, prima ancora di quell’altro pensò all’indirizzo di Fabrizio.

    «Almeno il fotomontaggio lo voglio gratis.» 

    «Gratis è una parola assente dal mio vocabolario.» L’hacker incrociò le braccia all’indirizzo dell’uomo in penombra.

    «Sto sganciando trentamila euro e mi rifiuti quattro foto tarocche?» 

    «Tu vuoi un intero book con pose molto improbabili. Per renderlo credibile e non farti ridere dietro fanno seicento euro. Se poi vuoi proprio la perfezione novecento.» 

    «Sanguisuga!» 

    «No, sono soltanto una persona seria. Piuttosto, la terza rata quando arriva? La supersim è pronta!» 

    «Tu non preoccuparti, se si chiude la situazione che dico io… considerati già pagato. Ma per il book facciamo cinquecento!» 

    «Niet. Mi spiace, così lavoro in perdita.» 

    Irritato si avvicinò afferrando l’omino per il bavero, ma quello fu più veloce e, dalla tasca del grembiale, estrasse fulmineo una piccola pistola.

    «È pericoloso toccarmi, si piglia la corrente e si muore. Ora se vuoi lasciarmi…» con lo sguardo alluse alla mano guantata di nero che gli serrava la collottola.

    «Ecco, bravo. Allora ti aspetto quanto prima con i pippi. La strada la conosci, non occorre che mi saluti.» 

    Continuò a tenere l’arma spianata fino a quando il personaggio uscì dalla stanza e la ripose solo allo sbattere della porta. Poi ci ripensò, impugnata l’arma si affacciò sul corridoio e accese la luce: per fortuna era stata una precauzione inutile.

    Andrea quella sera aveva dato il peggio di sé: dopo aver messo in croce l’allenatore per un’intera settimana era partito centravanti titolare e subito aveva bombardato il portiere avversario da ogni posizione. Alla fine del primo tempo però il risultato si attestava sul due a zero per la Benetton e il coach della Spire, dopo aver urlato ininterrottamente per quarantacinque minuti, non aveva più fiato.

    «Andrea - mormorò roco - ti ho contato: sei tiri a lato, uno sul palo e due addosso al portiere. Spero almeno che ti abbiano pagato.»

    «Io? Mister, semplicemente ho ancora le polveri bagnate, stavo scaldando i motori!» 

    «È

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