Amour fin de siècle
By Laila Cresta
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Romance - romanzo breve (92 pagine) - Nel mondo fin de siècle, un amore sul mare immune da ogni pregiudizio, proiettato verso un mondo più libero e più giusto, ignaro delle nubi che si addensano nel cielo del ‘900.
Nel 1894 il mondo è in bilico fra il passato e il futuro: l’elettricità è all’inizio, le barche impiegano i motori riadattati delle prime auto. Alla fine del suo ultimo anno di scuola, Baciccia Traverso, in attesa del suo primo imbarco, è in vacanza in riviera da un amico, fra belle bagnanti straniere che si spera “la diano”, e barchi in processione sul mare. Una piccola “ninfa del mare” lo affascina e lui, del tutto incapace di pensare a quanto possano essere considerati socialmente distanti il figlio di un deputato e una ragazzina senza scarpe e senza busto, vive il loro amore con una passione che si approfondisce con l’incidente che colpisce la fanciulla, finché lui s’imbarca e la nave che lo trasporta incappa in un fortunale. Passano i giorni, e i mesi, senza che di lui si sappia più nulla. Prima di partire, però, Baciccia aveva dato modo a Stellina di diventare la stilista che sognava di essere, e che aveva la capacità di diventare. “Non sarà mai libero chi non lavora, neanche le donne”, dice il padre deputato, che era partito da Quarto con Garibaldi e i suoi Mille.
Laila Cresta è di Genova e ama aggirarsi, con le sue trame, sul mare e nei luoghi della sua Liguria. Ha insegnato per 42 anni, abbinando però sempre la scrittura, specie poetica, al lavoro. Il suo primo romanzo, un noir del 2011 (Povera Piccola) è oggi è reperibile in poche copie presso l’autrice. Da quando si è ritirata, la scrittura è la sua unica occupazione. Ha vinto diversi concorsi di poesia ed è specialista di haiku: se n’è occupata per anni sulla Writers Magazine Italia, ha pubblicato due saggi sull’argomento (fra cui Mondo Haiku, Delos Digital) e anche una silloge, Watashi no haikai (il mio haikai: la mia silloge di haiku, youcanprint). È autrice di saggi sulla grammatica italiana: La Grammatica fondamentale, per gli adulti, e La Nebulosa Grammatica, per i bambini, Delos Digital. Invece, Una corsa a ostacoli – Disagio e Inserimento nel mondo della Scuola, Il canneto editore, è un saggio sull’educazione, anche speciale. Nel 2019 ha pubblicato il romanzo Lo zio d’America (Antipodes Edizioni) e nel 2018 il giallo Una sconvolgente estate: nel mar delle Cicladi, sempre per la Antipodes. Altri romanzi e gialli si trovano su Amazon. Nel 2020 sono usciti per Delos Digital: Per amare Miranda (Storia rinascimentale di passione e gelosia, 1483) e Il valore di una donna (da Palermo alla Repubblica di Genova). Da otto anni organizza il Concorso Internazionale di Poesia Occ. e Haiku, di Genova, di cui ha pubblicato sette antologie.
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Book preview
Amour fin de siècle - Laila Cresta
9788825411737
A suor Maria, la maestra del mio lasilo
,
a Sestri Levante negli anni ’50.
Tutta Sestri la adora, anche se dicono che non sia molto amata dalle alte gerarchie: non l’hanno neanche nominata Madre Superiora, che qualche anno fa se l’aspettavano tutti, ma lei ha continuato imperterrita ad accogliere tutti i suoi ex bambini, qualunque cosa fossero diventati. Diceva che di delinquenti non ce n’erano, fra loro!
(suor Maria, nel romanzo Amour fin de siècle
, come nella realtà degli anni ‘50 )
Capitolo I – Infanzia, addio
Lo sguardo si perdeva su quella bellissima baia che il ragazzo non vedeva da anni, così piccola, raccolta, con le sue casette che sembravano sorgere direttamente dalla sabbia, e i suoi scogli su cui andare per muscoli, per patelle, per gritte! E le baie a Sestri Levante erano addirittura due, schiena contro schiena, e l’altra aveva una sabbia fine e un orizzonte più ampio. Ti gh’è due facce comme i Sestrin!
, dicevano in Liguria, per rimproverare a qualcuno la sua doppiezza
.
Quel paesotto rivierasco era stato il luogo delle vacanze infantili di Baciccia, il paese d’origine della mamma, ed era lì che lui aveva imparato a nuotare, sotto la sorveglianza di nonno Giannetto che aveva abitato in un carruggio
che finiva al mare, ed era ben lieto di insegnare a lui, dopo che non aveva potuto farlo con la sua bambina: il comandante Parodi aveva navigato tutta la vita, al comando di una di quelle navi che portavano in crociera per il Mediterraneo principi e artisti
. Per Baciccia, la competenza del nonno era un esempio e il ragazzo ne era molto orgoglioso. Lui e nonna Ernestina se li era portati via il colera, e al ragazzo pareva che ne avrebbe sempre sentito la mancanza: per un po’, addirittura, non aveva neanche più voluto andare a Sestri, con tutto che lo amava tanto, quel bellissimo paese di mare. Senza la sdraio e l’ombrellone del nonno, la rotonda
che dava sulla spiaggia di Levante non gli sembrava neanche più la stessa.
Certo, Sestri Levante non era la sua Genova, in cui il ragazzo era nato e dove abitava, ma ci si stava così bene! Baciccia era davvero grato all’amico Steva, che lo stava ospitando a Sestri per una vacanza scolastica molto particolare: l’ultima, prima di cominciare a lavorare. Il compagno aveva frequentato il ginnasio con lui, al Convitto Colombo
di Genova.
Tanto Baciccia che Steva, figli d’arte, aspiravano a diventare Comandanti di Marina e ambedue i ragazzi, dall’età di quattordici anni, avevano frequentato il Nautico San Giorgio di Genova.
Si trattava di una delle più antiche e prestigiose scuole tecniche italiane: dal 1827, il suo compito era quello di formare allievi ufficiali di coperta e di macchina per la Marina Mercantile, e costruttori navali per la cantieristica. Quindi, da quel momento, ambedue i ragazzi al Colombo erano diventati esterni: avevano cioè frequentato le lezioni al Nautico andando poi in Convitto a studiare. Naturalmente, Baciccia Traverso, che abitava a Genova, era sempre stato solo semiconvittore, mentre il suo migliore amico, Stefano Raffo, Steva, essendo rivierasco, in Convitto aveva anche dovuto dormirci, in uno di quei cameroni sorvegliati da un assistente a cui un grande paravento garantiva un minimo di intimità e un relativo riparo dai dispetti e dalle monellerie degli studenti.
Baciccia e Steva avevano avuto solo sei anni, quando erano entrati al Convitto. Steva era stato un bambino minuscolo e spaventato, e Baciccia, grande e forte e di buon carattere com’era, presto era diventato il suo protettore e il suo miglior amico.
L’ora di andare a letto, però, per il piccolo Steva era un incubo.
Alle cinque, i genitori di Baciccia, o a volte la governante, venivano a prenderlo per portarlo a casa, e Steva restava in collegio. Si sentiva abbandonato, e non poteva non sentire un minimo di rancore verso l’amico che se ne andava via con la mamma tutti i giorni, mentre lui la mamma non l’aveva neanche più.
Meno male che c’era stato o Bruzon, Manlio Bruzzone, il suo Assistente alle elementari: tutte le sere, l’Assistente andava a dare la buonanotte ai bambini, uno per uno, e, quando li trovava piangenti, li consolava con storie e chiacchiere, giocava con loro, li faceva ridere. Il ragazzo pensava che fosse merito suo se lui si era abituato al collegio abbastanza in fretta, e aveva smesso di piangere. L’assistente era un repubblicano convinto e aveva combattuto col padre di Baciccia, di cui era buon amico.
Da due anni, cioè dal 1892, in concomitanza con le cerimonie per l’anniversario della scoperta dell’America, il Convitto aveva assunto la denominazione ufficiale di Convitto Nazionale Cristoforo Colombo
e a Baciccia il nuovo nome era più simpatico del vecchio: Regio Convitto
! Per il figlio di Andrea Traverso, deputato del giovane Parlamento Italiano per un nuovo partito progressista, era un vanto aver studiato nelle sale in cui lo aveva fatto anche Giuseppe Mazzini, che era morto solo una ventina d’anni prima. Oltre tutto, il padre di Baciccia, a 17 anni, era stato tra i patrioti partiti dal parco della villa del sindaco di Quarto che li aveva ospitati, per imbarcarsi con Garibaldi, e per suo figlio questo era sempre stato motivo di orgoglio.
Il Convitto, che in origine era stato un convento dei gesuiti il cui collegio era nella attigua via Balbi, era passato sotto l’autorità di Napoleone all’epoca della Repubblica Ligure, ed era di tipo militare, ma la qualità dell’insegnamento era molto alta.
Il Convitto era un luogo affascinante, persino leggermente inquietante, tanto da favorire la curiosità e quindi lo studio. La sua origine cinquecentesca, conventuale e gesuitica, aveva determinato una struttura edilizia molto particolare e sotto quello che passava per il piano terra c’erano altri cinque piani. Secondo Bruzzone, appassionato di storia, era l’attuale primo piano interrato che era stato il piano terra, poi venivano il piano dei magazzini, quello dei depositi, e finalmente quello di un deposito un po’ particolare, la santabarbara, in cui un tempo si custodivano le munizioni, e che era ovviamente dislocata nella zona più interna e sicura del convento. Sotto di essa, per sicurezza, doveva necessariamente esserci un altro piano ancora, ma era inaccessibile. I Gesuiti erano un ordine di tipo militare, nato per andare senza esitazione a predicare anche fra gli infedeli. E non solo con le armi di Cristo.
Qualche anno prima, con l’idea anche di festeggiare in qualche modo la fine dei primi tre anni di ginnasio in attesa di andare al più impegnativo Istituto Nautico, Baciccia e Steva avevano rischiato di perdersi nei fondi del collegio, e peggio, con qualche altro incosciente come loro. Pur sapendo che, per ragioni di sicurezza, era una cosa proibitissima, i ragazzi un giorno avevano deciso di continuare a scendere per quelle scale buie, anche dopo essere arrivati a quello che, in teoria, era il piano più basso, sotto quello dell’enorme porta carraia che portava al grande cortile interno. Magari, aveva pensato Baciccia, in qualche momento della lunga storia di quella città abbarbicata su bricchi che scendevano a picco sul mare, avevano magari nascosto qualcosa, interrandolo. Se invece aveva ragione Bruzzone, quei piani erano sempre stati interrati, fuorché il primo: ma erano vuoti? Scendendo sotto il livello della strada, i ragazzi avevano trovato i piani bui che naturalmente li avevano incuriositi molto, e avrebbero voluto sapere cosa contenessero.
Cercando di non far baccano per paura di provocare dei crolli, i ragazzi avevano vagato per le antiche sale abbandonate, ingombre di vecchi banchi, di bauli e di oggetti non sempre riconoscibili, forse anche antiche attrezzature scientifiche. Le luci delle loro candele creavano inquietanti giochi di ombre in movimento, allungando e deformando quelle dei ragazzi.
– Sembriamo una banda di fantasmi! – rise Steva, a voce bassa.
I ragazzi furono molto intrigati dagli ambienti chiusi a chiave in cui naturalmente non erano potuti entrare. Cosa potevano mai contenere? L’assistente, alle loro domande successive, aveva risposto solo cose vecchie
, e aveva raccomandato di non correre mai più un rischio simile: loro erano tornati indietro solo quando avevano cominciato a vedere che le solette su cui avevano appena transitato presentavano, viste dal di sotto, vistosi cedimenti, con le cannette a vista
.
In uno degli ambienti chiusi però, nel piano dei depositi, tra il telaio deformato di una delle porte e il muro, si era formata una fenditura, e loro non resistettero a sgusciarci in mezzo, per dare un’occhiata dentro.
Era una biblioteca. O lo era stata. Le librerie erano lungo il perimetro, e vicino a esse il pavimento poteva essere abbastanza sicuro, avevano pensato i ragazzi. Il resto dello spazio era ingombro di tavoli da studio e, qua e là, il pavimento presentava evidenti avvallamenti in cui probabilmente avrebbe presto ceduto. Con un’incoscienza degna della loro età, i ragazzi erano entrati e avevano camminato rasentando le librerie. Baciccia pensò che, certamente, la biblioteca fosse già stata saccheggiata, chissà quando, o magari erano stati i Gesuiti stessi a portar via i testi, andandosene: gli scaffali erano semivuoti e quei monaci erano sempre stati troppo colti per abbandonare dei libri rari e antichi. Però, si chiedevano i ragazzi, incuriositi, che libri potevano aver nascosto, in una biblioteca sotterranea?
Qua e là, mucchietti