Gli acquerelli di Ottavio
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Book preview
Gli acquerelli di Ottavio - Ottavio Paravia
Ringraziamenti
Prefazione
Ottavio ha vent’anni e il suo sguardo sul mondo ha le caratteristiche di un acquerello. Lui scrive come chi dipinge all’aria aperta osservando la realtà che lo circonda, vicina e lontana, poi torna ai suoi colori e diluisce con l’acqua il nero cupo della solitudine, il rosso violento delle innumerevoli prove cui la vita ci sottopone, le mille sfumature camaleontiche di verde che può assumere la ricerca dolorosa della nostra identità. Le diluisce trasfondendone il senso profondo in piccoli racconti allegorici di una raffinata leggerezza che mantengono, miracolosamente inalterato, il peso specifico dei temi cui alludono.
L’autore guarda il dolore del mondo e del nostro vivere attraverso un velo di tenerezza, ma con pennellate precise e definitive come la tecnica dell’acquerello impone.
E nel suo semplice incidere colori d’acqua e parole leggere con dentro storie più grandi di loro, trova anche soluzioni, senza annunciarle, senza pretendere che qualcuno si fermi un attimo ad ascoltarlo. È un gesto fluido, il suo, innocente e inarrestabile. Un gesto che semplicemente conduce: al giardino di Marindonì o a una partita di scacchi molto particolare, o, ancora, ad accarezzare la coda di un gatto feroce ma innamorato. E così Ottavio ci fa sentire l’amore, i legami familiari, il senso di appartenenza, come unico antidoto allo smarrimento di non sapere chi siamo in un mondo sempre più cupo e ostile.
L’acqua multiforme e colorata dei suoi acquerelli accoglie le sue visioni e le traduce in un linguaggio universale, accessibile a tutti.
Lui racconta con estrema semplicità usando parole, immagini, personaggi, piccole storie memorabili che si imprimono nell’animo del lettore che in esse si può riconoscere.
Per questo motivo ho curato l’editing della bozza, immergendomi in questi racconti e apprezzandone la caleidoscopica bellezza.
Patrizia D’Errico
Visioni
Con l’arrivo dell’estate mio cugino Edo ed io decidemmo di organizzare una settimana di vacanza, lontani dal caos urbano. Non ero solito frequentare Edo nel quotidiano, ma fin da piccoli ogni estate vivevamo insieme almeno un’esperienza avventurosa. Era il nostro modo per ricordarci che eravamo cugini, per rinsaldare un legame nato da circostanze familiari che non avevamo scelto da piccoli, ma da grandi sì.
Quel giorno lasciammo la città di Salerno con l’auto di mio zio e ci dirigemmo ad Acciaroli, un paesino della costa Cilentana noto per le spiagge bianche ed il mare particolarmente cristallino. Partimmo all’alba con la macchina piena fino a scoppiare e durante il viaggio dovetti ascoltare le infinite storie di Edo. Non sapevo mai quanto fossero realistiche fino in fondo, ma ascoltarle mi divertiva. Era un modo per recuperare il tempo che nella quotidianità non vivevamo insieme probabilmente a causa di gusti sportivi, studi, amici, diversi. Intanto, assaporavamo entrambi il momento in cui ci saremmo stesi su quella bianca spiaggia.
Con la falda del cappello rivolta all’indietro, un’espressione birbante non corrispondente alla sua natura introversa, Edo si avvia nella narrazione di una serie di eventi accadutigli.
«Allora il tipo mi fa: Lei non ha alcun diritto di parcheggiare lì, quello è il mio posto,
e allora io gli dico, Ah, sì? E allora la prossima volta scrivici il tuo nome
. A quel punto, il tipo…»
Lo interruppi: «E a quel punto scende dalla macchina il fratello maggiore, che è alto almeno due metri e largo come un armadio a due ante, e ti chiede gentilmente di andartene. In quel momento entro in scena io, ti trascino alla macchina tra mille scuse e ce ne andiamo».
Edo scoppia in una fragorosa