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Ultima ratio
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Ultima ratio

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About this ebook

Il clima di festa del regno di Nerone sta per finire in tragedia.
Il senatore Caio Sulpicio Galba si sforza di ignorare la gravità della situazione, quando una vergine Vestale viene trovata morta in circostanze misteriose ed è costretto ad indagare.
Emergono scoperte sconcertanti. Che rapporti poteva avere una sacerdotessa di Vesta con l’ambiente della prostituzione romana? E perché sembra esserci un legame con la corte imperiale? Un danzatore, bellissimo e pericoloso, propone al senatore un baratto. E se Caio si creerà nuovi e potenti nemici, pure, tornerà a innamorarsi.
Ma l’assassino lo previene di un passo e i cadaveri si accumulano.
Sarà una lettera dal regno dei morti a svelare il responsabile della catena di delitti.
LanguageItaliano
Release dateMay 12, 2020
ISBN9788835825968
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    Ultima ratio - Francesca Vannini

    trovò.

    Antefatto

    La prostituta rovistò nella borsa dei trucchi posata sullo sgabello e ne tolse un barattolino contenente pomata rossa per labbra.

    «Ma non ti piacciono i ragazzi, Quartilla?».

    La fanciulla che era con lei arrossì. «Ti ho già spiegato perché non posso, Dafne, e poi credimi, non ne ho questo gran desiderio; se un giorno mi sposerò, allora, forse… ma adesso non voglio affatto un amante…».

    La prostituta sorrise, non era bella, con quel viso troppo tondo, ma era giovane e la vita non l’aveva ancora sciupata troppo. Un velo di trucco sapiente, poi, anche se di poco prezzo le aggiungeva freschezza. «So che con il mestiere che faccio dovrei avere perso ogni tipo di illusione, ma non riesco davvero a capire il perché tu sia tanto restia, dopo tutto il servo dell’amante della tua padrona è un bel ragazzo e certo, capisco che tu sogni il matrimonio… ma sono nata schiava anche io e le schiave sono a disposizione del padrone. Chi potrebbe biasimarti, quindi, per non essere più vergine? Certo non ti impedirebbe di sposarti, un giorno, se venissi liberata… E ora che puoi scegliere… avessi potuto scegliere io!».

    Mentre finiva di prepararsi, pensava alla bettola buia dove era stata stuprata dal suo primo lenone e davvero stentava a capire. Potere scegliere, almeno per la prima volta, un giovane amante cui darsi con gioia, invece che venire costretta da un brutto vecchio a pratiche disgustose, le sembrava una fortuna che era proprio un peccato non cogliere. «…Poi, guarda Quartilla, che il sesso con un bel giovane è uno dei piaceri più grandi che ti possa offrire la vita, e uno dei pochi che non ti possono essere tolti neanche se non sei padrona di te stessa! Che hai da perdere?».

    Quartilla gettò indietro i capelli sottili. «È inutile, non puoi davvero capire».

    In quel momento qualcuno bussò alla porta ed entrò senza attendere risposta. Era un uomo enorme con la tunica macchiata di vino e un muso cupo già scuro di barba. Guardò le due donne e fece cenno alla più giovane di uscire. La prostituta si dipinse sulla faccia un sorriso che alla luce fioca della stanza pareva quasi gioioso.

    Abituata a ubbidire, Quartilla uscì senza fare commenti.

    «Non sapevo che avessi una compagna», lo sentì dire appena chiusa la porta, la donna replicò che lavorava sola, e che la ragazza era solo un’amica.

    Piena di vergogna per essere stata scambiata per una puttana, Quartilla se ne tornò al piano di sotto ad aspettare.

    La porta della stanza della sua padrona era chiusa. Lui doveva essere già arrivato.

    Sentiva un dolore al basso ventre, quell’atmosfera di dissolutezza la stava contagiando.

    Qualcosa le formicolava nella pancia già prima, mentre Dafne le parlava di pratiche indecenti come fornicare col maschio.

    Era male fare quelle cose al di fuori del matrimonio. Non lo dicevano forse tutti nella comunità? Eppure, come altre volte, finì con il fare qualcosa che, assolutamente non avrebbe dovuto. Si avvicinò alla porta proibita, esitò, poi sbirciò da una fessura e vide qualcosa di assolutamente straordinario.

    L’emozione fu così forte che la testa prese a girarle e si nascose nel sottoscala. C’erano ragni ma non li guardava. Però in fondo alla sua testa, in basso, a sinistra era come se li sentisse camminare su e giù per la tela. Facevano un rumore come graffiante. Assurdo. Che rumore possono mai fare dei ragni? Voleva schiacciarli con la pianella, ma non poteva alzare la mano.

    Era buio, sentiva un sudore freddo imperlarle la fronte, cosa le stava succedendo? Era forse una punizione per avere spiato uno spettacolo che non era per lei? Era così certamente! I suoi occhi erano impuri, aveva spiato e ora stava morendo.

    Le orecchie le ronzavano, niente del suo corpo le rispondeva. Una sensazione di autentico panico la prese, poi la testa divenne troppo pesante per poterla sostenere e scivolò senza rumore sul pavimento.

    Per un tempo lunghissimo navigò in un freddo, umido buio.

    Strane voci si mischiavano al ronzio assordante nell’interno del suo cranio. Moriva… o no, peggio!

    Quando rinvenne sentì qualcosa di umido tra le gambe, sollevò con cautela la gonna e vide che era sangue: per un istante si fece prendere dal terrore di avere una ferita interna, ma poi rammentò che sapeva che le sarebbe successo. Era successo alla sua padrona, succedeva a tutte… era diventata donna, ormai non ci credeva più, aveva quasi quattordici anni… poteva avere figli… ma era così brutta… senza seno, con quelle braccia scheletriche che parevano sempre fuori posto, non come la sua padrona, che era adorabile. Quale uomo avrebbe mai voluto riscattarla dalla schiavitù per sposarla e darle dei bambini?

    Si asciugò alla meglio, si alzò con un certo sforzo e sentì dei rumori strani provenire dalla stanza: qualcosa che veniva sollevato, trascinato… uscì con cautela dal suo nascondiglio e non seppe mai come fece a trattenersi dal gridare.

    Due uomini trascinavano via un corpo di donna, la testa di lei ciondolava all’indietro e i capelli strisciavano sul pavimento.

    Oh Dio! Dio dei Profeti!.

    Era terribile! Come era potuta succedere una cosa simile?

    E poi… Non potevano non sapere che c’era anche lei, l’avrebbero cercata, l’avrebbero presa e avrebbero stretto il suo collo fino a far venire la faccia blu anche a lei. Uno dei due aveva un’espressione strana, allucinata, come era possibile che la follia si nascondesse così in uomini che parevano tanto normali! Com’era possibile che nessuno si fosse mai accorto che era pazzo?

    Oh Dio, oh Dio proteggimi ti prego!.

    Fuggì dall’ingresso principale senza curarsi di chi la guardava correre. Fuori l’aria era gelida ma le schiarì le idee, un posto dove andare c’era, bisognava trovare la direzione al buio e bisognava trovarla in fretta. Gli odori della notte della suburra l’assalirono. Quando arrivò al crocicchio dietro la taverna si fermò un istante per pensare a quale strada prendere; un braccio la afferrò bruscamente alla vita. Urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni. Si voltò e scorse un ghigno d’ubriaco. Con la forza raddoppiata dalla disperazione tirò una gomitata nel ventre dell’uomo e fuggì nel vicolo.

    Era quasi l’alba, nella casa della dea, le sacerdotesse si davano il cambio nella custodia del sacro fuoco e cantavano le preghiere del mattino.

    Due porte erano sprangate.

    Nel tempio, il Palladio, fine e principio di Roma, guardava fisso nel vuoto, con i suoi occhi crudeli di divinità arcaica dipinti da un artista troiano, morto duemila anni prima.

    I

    Da quando il prefetto Faenio Rufo, che era un debole, andava cedendo sempre più il controllo della guardia pretoriana a Tigellino, le incombenze si accumulavano rapidamente sul tavolo del centurione Marco Aspro e svolgere ogni compito cominciava a sembrare impossibile.

    Tuttavia, Aspro continuò a leggere.

    Calende di Dicembre (1 Dicembre, 62 d.C.), Roma Rapporto della ronda notturna al Centurione Marco Sulpicio Galba Aspro:

    Venti risse sedate nella Suburra; dieci al Quirinale; tre sul Celio; dodici a Trastevere.

    Dieci cadaveri ritrovati: quattro riportati dal Tevere: irriconoscibili; uno di sesso maschile… uno di sesso femminile, età presunta 15-20 anni, ritrovato agli Horti Sallustiani: di identità sconosciuta.

    Quando arrivò al fondo della tavola cerata, il centurione notò che c’era una postilla scritta dal suo attendente in via del tutto ufficiosa:

    Uno dei ragazzi della guardia notturna dice che gli sembra di riconoscere la vittima. Dice che se è come egli pensa, è cosa grave.

    Aspro si alzò di scatto e arrivò in due passi alla porta dell’ufficio.

    «Aufidio! Aufidio!».

    Il suo attendente arrivò correndo dalla stanza accanto. «Signore?».

    «Chi sarebbe questo soldato tanto perspicace che ha notato tutte queste cose scritte qui?».

    «Antonio Falco, signore».

    «E allora mandamelo, per Diana! Non stare lì impalato, lo voglio qui subito!».

    «Signorsì, signore».

    Il ragazzo si voltò e corse verso l’alloggio delle guardie a cercare il commilitone. Dal tono del centurione aveva capito che s’avvicinava aria di tempesta.

    Poco dopo Aspro lasciava la caserma, con una faccia da mettere paura, diretto a casa del fratello.

    Villa le Baccanti, Anzio.

    Lucio Anneo Seneca ad Antonia Minore presso la tenuta di Anneo Cornuto in Sicilia.

    Antonia nostra, parlavamo di te, io e la mia Paolina e pensavamo a quale gioia sarebbe averti qui ad Anzio a trascorrere un periodo con noi. Persino l’inverno è dolce nella baia e gli dei, o chi per essi, sanno bene che di durezza quest’anno ne abbiamo avuta fin troppa.

    Dicono che sono fuggito, Antonia e c’è chi mi biasima sommessamente e chi con aperto dileggio mi viene a citare passi di mie opere in cui invito alla fermezza. Certo, fermezza; ma non diviene forse inutile follia resistere contro forze schiaccianti quando nessun bene ne può venire ad alcuno? Non conviene forse arrendersi all’evidenza di avere fallito? Non sarebbe forse superbia, accanirsi a restare accanto a Cesare, pur essendo la mia presenza ormai del tutto inutile e anzi esasperante?

    Nerone non sarà l’Imperatore Filosofo.

    Questa non sarà l’Età dell’Oro.

    Mi ero sbagliato. E non vi è altro da dire.

    E inoltre, mi sarebbe stato davvero possibile fare di lui un Imperatore filosofo? Si può progettare l’età dell’oro? Non era forse un progetto ambizioso e folle nato dai miei sogni giovanili e da quelli di Agrippina? Essere come Aristotele e Alessandro: il filosofo che plasma il sovrano… ma la verità è che Agrippina era un mostro, Nerone non è Alessandro ed io stesso non sono Aristotele.

    Ho chiesto a Cesare di consentirmi di ritirarmi a vita privata e tra le lacrime che ostentava, chiamandomi caro maestro, vedevo la scintilla di gioia di sentirsi finalmente libero dall’ultimo laccio. Troppo di me gli parla di oppressione. Del controllo della madre, dello stato, del buonsenso, non so dirlo. Ma so che ognuno di essi gli giunge oltremodo sgradito e ormai intollerabile.

    Ho proposto a Cesare di restituirgli tutto ciò che mi ha donato. Al suo rifiuto mi trovo smodatamente ricco. Come sempre, ferocemente invidiato.

    E sono braccato persino qui, tramite lettere falsamente gentili, o commenti riportati, dalle frecciate di quanti mi rinfacciano di inneggiare alla vita frugale in ville principesche, di deplorare la schiavitù tra migliaia di schiavi, e persino di proclamare l’importanza della fedeltà coniugale e della continenza, io, che affondai nell’abbraccio di una principessa giulio-claudia. E almeno per quest’ultima cosa, che fu non un piacere, bensì una dura prova nella mia vita; una malattia, perché il sangue dei Cesari sa diventare veleno per chi li ama, sento l’assoluta ingiustizia del biasimo. E la gratitudine per l’unica che non pronunciò mai una parola in merito: mia moglie Paolina.

    E così, solo con me stesso, mia moglie, i miei famigliari, guardo finalmente in volto la coerenza. Questo spettro che mi perseguita da sempre. Nell’irritazione di quanti pretendono che io incarni ciò che vado proponendo come modello del vivere morale.

    Ma io, io che pure la via indico, sono soltanto un viandante.

    Amica mia. In questa notte dell’anima, ti attendo.

    Per Caio Sulpicio era stata una mattina inconcludente trascorsa in parte alla Basilica Iulia per vedere chi c’era e in parte a visitare gli artigiani della Botteghe Novae. Quando Aspro arrivò al suo palazzo di Trastevere, egli era appena uscito dai vapori del bagno e le massaggiatrici gli stavano ungendo il corpo. Dall’altro lato della stanza una ragazza scostò timidamente il tendaggio che divideva le terme dal suo spogliatoio e gli annunciò con voce incerta che suo fratello desiderava parlargli con estrema urgenza.

    Il patrizio sollevò un sopracciglio seccato: «Che può mai esserci di tanto urgente?».

    Il passo del centurione attraversò senza incertezze la porta stuccata, senza dargli il tempo di ricomporsi.

    Tutto di Aspro stonava in quel contesto sontuosamente lezioso di marmi e decori dorati e il militare non pareva neppure in vena di fare complimenti alle ragazze che, prima del suo ingresso, s’erano controllate impercettibilmente negli specchi. Dopo avere appena salutato, Aspro strappò di mano alla sconvolta ancella un panno di lino e lo porse al fratello. «Caio, ti prego», disse a bassa voce chinandosi appena sul corpo disteso, «ho bisogno di parlarti da solo e presto, manda via tutto questo gineceo o andiamo nel tuo studio. È accaduto un fatto gravissimo».

    Gli occhi grigi di Caio si adombrarono. Non pregò l’ospite di seguirlo perché già lo precedeva. Forte del suo mantello militare, per fare prima, Aspro attraversò il cortile e quel freddo pungente, fu per Caio, che arrancava avvolto in un telo da bagno, il degno coronamento di una giornata iniziata male che prometteva di finire anche peggio.

    Caio accese due lucerne nello studiolo, rischiarando l’ambiente dal pavimento coperto di tappeti orientali e sedette, Aspro, invece, riempiva con la sua statura il piccolo spazio. Si guardò intorno nervoso, come se si potessero nascondere nello studiolo chissà quali spie, e con la faccia più truce del mondo disse: «Caio, Lelia Drusa è morta».

    In un primo momento, il patrizio, non ricordò affatto chi fosse costei e, a dispetto della povera donna, tanta tensione drammatica gli parve eccessiva.

    «Apprezzabile concisione tutta militare! Vieni qua, mi spaventi a morte facendomi temere chissà quale tragedia e poi mi dici che Lelia Drusa è morta. Sono desolato… ma chi sarebbe mai questa poveretta?», il breve segno tra le sopracciglia di Aspro si approfondì in un solco.

    «Caio, tu non hai capito, parlo di Lelia Drusa la vergine vestale, la conoscevo persino io che non passo la vita a spettegolare con i cortigiani… non puoi non ricordarla, è di stirpe Giulio Claudia, imparentata sia con la famiglia imperiale che con quella di nostra madre. È morta questa notte, assassinata».

    «Assurdo! Che sciocchezze vai blaterando? In tutta la storia di Roma non è mai successo che venisse assassinata una vestale, è… sarebbe infausto, spaventoso. Chi mai potrebbe avere l’interesse? È impossibile!».

    «Sarà impossibile, però la ronda ha ritrovato il suo cadavere questa mattina, vicino ai Giardini di Sallustio, in più hanno catturato anche un ragazzetto che ha giurato di avere visto una lettiga deporre lì il corpo e andarsene. E quando gli abbiamo chiesto perché non avesse avvertito subito le guardie, ci ha guardato come se fossimo tutti matti; sai che ha risposto?».

    «Mi sembri comunque oltremodo ansioso di dirmelo», replicò Caio che cominciava a sentire la tempia pulsare dolorosamente per l’ansia.

    «Ha risposto che non poteva sapere che si trattava di una persona importante e che di cose così ne succedono tante», ebbe un gesto di stizza e continuò «Che tempi! E noi che ci spezziamo la schiena per mantenere un po’ d’ordine in questa maledetta città, in balia di bande rivali, di eserciti di guardie del corpo al soldo di questi e quelli e ci sentiamo dire che i delitti non vengono denunciati perché ne succedono tanti».

    «Se quel che si dice è vero», interloquì Caio alludendo al prossimo arrivo della guardia germanica a proteggere la persona dell’Imperatore al posto dei Pretoriani, «avrete presto un aiuto».

    Aspro finse di non sentire e continuò il suo discorso. «Il ragazzo comunque pare non sapesse molto di più. Dopo un po’ che ripeteva le stesse cose lo hanno lasciato andare. E noi non sappiamo neppure il luogo del delitto perché le lettighe se ne vanno in giro trasportando cadaveri come se nulla fosse».

    Caio temette che il fratello si lasciasse trasportare in una delle sue filippiche contro il lusso e corse ai ripari. «Non essere sciocco, le lettighe non trasportano cadaveri, in genere. Piuttosto, che tipo di lettiga era? Modesta, di quelle prese a nolo, insomma, o altro?».

    «Di quelle prese a nolo no di certo, il ragazzo ha parlato di una cosa lussuosa, anche se non l’ha vista bene, gli è parso avesse intarsi luccicanti di metallo nell’intelaiatura e i quattro angoli sormontati da statue d’uccelli… una cosa tipo le tue, insomma».

    Una cosa tipo le sue… Caio rimase un attimo in silenzio. Pensare se ricordava d’aver mai visto una lettiga simile era semplicemente ridicolo. Ogni cittadino privato ragionevolmente agiato possedeva almeno una portantina e se poi, come pareva, si trattava di un nobile, o peggio ancora di un cortigiano, il numero di questi mezzi inevitabilmente saliva. Pure, una cosa gli pareva ovvia:

    «Deve essere molto sicuro di sé quest’assassino», commentò. «Per andarsene in giro con un cadavere in una lettiga così vistosa. Il rischio non è grande, è vero, ma nella sua situazione avrei scelto un veicolo più discreto».

    Aspro si strinse nelle spalle. «Forse l’omicidio non era stato premeditato. L’assassino s’è trovato alle strette e ha agito come ha potuto».

    «E com’erano i portatori? Il ragazzo li ha visti?».

    «Non bene, dice che erano due soli uomini d’aspetto comune e anche al buio se fossero stati numidi impennacchiati o quelle assurde energumene britanne che usi tu per farti portare a spasso, se ne sarebbe accorto di certo. Comunque hanno fermato il mezzo vicino ai giardini, ne hanno tirato fuori il corpo e lo hanno lasciato poco lontano. Non ha potuto vedere se nell’interno c’era una terza persona perché le tende erano calate. La cosa strana» continuò dopo una breve pausa, «è che hanno perso tempo a sistemare il cadavere il meglio possibile, come volessero farlo stare comodo, insomma hanno deposto il corpo della ragazza vicino a un cespuglio ancora verde, le hanno incrociato le mani sul petto, tirato il velo sul viso… considerando che rischiavano la pena capitale ammetterai che è piuttosto curioso come comportamento».

    Aspro si gettò di peso sul divanetto che, tra scansie ricolme di libri, ornava una parete. La fragile intelaiatura scricchiolò paurosamente. «Ma, dei di Roma, se si poteva andare a piedi ai tempi della Repubblica, non si potrebbe farlo anche adesso?».

    «Non limiterebbe il numero dei morti, temo», ribatté Caio con falsa dolcezza.

    Fermo restava che era problema con la potenzialità di sfociare in un dramma.

    La venerazione che il popolo aveva per le Vestali era assoluta e la loro inviolabilità era un postulato della morale romana. Caio Sulpicio non si faceva illusioni sul fatto che entro breve la notizia sarebbe dilagata per tutta la città, di bocca in bocca, con inorridito piacere e che a poco a poco un panico superstizioso avrebbe cominciato ad avvolgere l’Urbe. Era morta assassinata una donna sacra e poteva essere interpretato fin troppo facilmente come un segno del malcontento degli dei o persino dell’intenzione divina di abbandonare Roma. E in quel periodo così tormentato, con guerre ai confini orientali e nordici e un Imperatore che non faceva mancare gli scandali e spendeva a piene mani, lo scatenarsi di un delirio di superstizione nella capitale era l’ultima cosa che doveva succedere. Cesare ne avrebbe chiesto conto a Tigellino che a sua volta avrebbe messo Aspro alle strette e non c’era una traccia.

    «Nefasto… un evento davvero nefasto!», bisbigliò Caio tra sé, «Non mi hai neppure detto come è stata uccisa».

    «Strangolata con una cordicella che le è stata trovata ancora al collo… credo che fosse la sua stessa cintura sacerdotale, perché era una treccia di pelle rossa, con i simboli della dea Vesta incisi in alcune piastre decorative, come quelle che portano di solito le sacerdotesse a cingere la sottoveste o l’abito comune che indossano all’interno della casa e l’abito era sciolto, nessuna donna uscirebbe così discinta, anche se coperta dal mantello».

    Intanto Caio cominciava a ricordare. Si disegnavano nel vino i drappi di velluto purpureo che ornavano il Palazzo Imperiale, gli si affacciava alla mente una figura di donna bianchissima, un incedere altero e l’espressione superba di quel volto infantile. Aveva la fronte ampia e gli zigomi altissimi, tagliati in maniera elegante, che rivelavano la chiara appartenenza alla stirpe dei Cotta: Aurelia stessa, madre di Giulio Cesare avrebbe potuto avere quel volto.

    L’aveva vista spesso a corte, troppo per una vergine vestale il cui compito era la custodia del fuoco della dea in silenzio e castità. Di frequente, la sua veste monacale e il suo copricapo a molteplici matasse di lana, si confondevano tra le dame multicolori che popolavano il Palazzo Imperiale. La cosa interessante era che ogni volta Lelia pareva avere una scusa plausibile per essere presente e riusciva a far sembrare quei piaceri terreni così infinitamente lontani e staccati dalla sua eterea persona che ci si dimenticava di dubitare. Non parlava mai e fra tante donne famose per il loro spirito, quel silenzio incuriosiva. Quella sua aria lontana che non era sufficienza e non era disprezzo ma che aveva molto di entrambi, unita al voto di castità, eccitava la fantasia degli uomini fin troppo.

    Caio si chiese se lei, con i suoi diciassette anni, se ne rendeva conto e se, anzi, la sua giovinezza, castrata dalla monacazione, non le avesse reso i sensi più acuti ed esasperato i desideri. Persino Nerone l’aveva notata, sensuale e folle come sempre, colpito da quella grazia fragile esaltata dal rigore dell’abito e dopo l’ultima sua apparizione a corte, ne aveva parlato per giorni.

    L’ultima volta che Caio l’aveva vista, infatti, Lelia accompagnava la vestale Massima Lucrezia Domiziana a porgere gli auguri al Pontefice Massimo e Imperatore: era il compleanno di Nerone.

    La festa era stata organizzata in un clima di segretezza assoluta, poiché i costruttori della nascente Domus Aurea avevano preparato una sorpresa per gli ospiti del Principe. Si era ben lontani dall’avere completato il palazzo. I progetti di Nerone per la Domus Aurea, con plastici e disegni, occupavano un’area enorme e venivano continuamente mutati per il capriccio del principe o per quella che Nerone definiva un’intollerabile mancanza di spazio. D’altra parte, fuori dalla Domus Aurea vi era pur sempre Roma, e neppure a Nerone pareva possibile invadere i suoi quartieri senza ritegno. Ma le parti già terminate erano di un lusso superiore a ogni possibile immaginazione.

    Il palazzo nascente era la cornice ideale per quella corte di persone brillanti, alcune delle quali di origine piuttosto dubbia, che s’impegnavano nel compito di aiutare Nerone a sperperare i miliardi di sesterzi dell’erario

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