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Tutti i problemi dell'amore
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Tutti i problemi dell'amore

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About this ebook

Autrice bestseller di «New York Times», «Wall Street Journal» e «USA Today»

In ogni famiglia c’è sempre una pecora nera. Nella famiglia reale di Danimarca, ci sono io. Il mondo mi conosce come Principessa Stella, ma io non mi sono mai sentita nobile. Sono una madre single, divorziata, piena di guai e costantemente messa in ombra dal magnetismo di mio fratello, il re Aksel. Non che la cosa mi dispiaccia, sono abituata a stare in disparte. Per me tutto quello che conta è mia figlia Anya: ha nove anni ed è la cosa più importante della mia vita. Pensavo di aver trovato un equilibrio, magari precario, ma pur sempre un equilibrio, fino a quando il mio mondo è andato in tilt dopo l’incontro con il Principe Orlando di Monaco. Ci ho messo poco a capire perché i media l’avessero definito “canaglia reale”. Non riesco a resistere al suo sorriso insolente, anche se dovrei fare di tutto per stargli lontana. E così dopo un indimenticabile incontro a luci rosse, ho deciso di non rivederlo mai più... Almeno fino a quando il destino non ha stabilito diversamente.

Karina Halle
è cresciuta a Vancouver, in Canada. Ha una laurea in sceneggiatura e una in giornalismo e ha collaborato con diverse riviste. È autrice di numerosi libri, tra cui la serie Dream (Patto d’amore, Offerta d’amore, Gioco d’amore, Bugie d’amore, Debito d’amore), il cui primo volume è stato in classifica per settimane su «New York Times», «Wall Street Journal» e «USA Today». Con la Newton Compton ha pubblicato anche Dopo tutto sei arrivato tu, Ricordati di me, scritto con Scott Mackenzie, Il principe svedese, Un cuore di ghiaccio e Il nostro amore quasi perfetto.
LanguageItaliano
Release dateFeb 3, 2020
ISBN9788822743381
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    Tutti i problemi dell'amore - Karina Halle

    Capitolo uno

    Stella

    Ogni famiglia ha bisogno di una pecora nera, anche quelle reali.

    E nella casa reale danese, quella pecora nera sono io.

    Potrei fregiarmi del titolo di principessa, ma al giorno d’oggi non sembra voler dire granché. In generale, il mondo mi ha dimenticata, eppure in qualche modo sono ancora perseguitata dai tabloid che amano fare a pezzi le mie capacità genitoriali e ciò che indosso (e chi non sto frequentando). In qualsiasi momento puoi prendere una copia di «Hello Magazine» e trovarci una mia foto in copertina, di solito in un angolino, chinata, con un paio di leggings trasparenti che, lo giuro, sembravano coprenti quando sono uscita di casa. C’è una freccia che punta dritta alla mia cellulite e all’orribile biancheria intima. Nell’articolo che accompagna questo avvincente scoop giornalistico ci si chiederà poi se il fatto che mi sia lasciata andare abbia contribuito all’assenza di una vita amorosa e al mio stile di vita quasi monastico, aprendo allo stesso tempo l’annoso dibattito: i leggings possono essere considerati pantaloni?

    Almeno, su quest’ultimo punto, so bene come la penso.

    Inutile dire che non perdo un solo minuto dietro a riviste del genere. In effetti, esco di casa raramente, perché so di andare dritta incontro a quello schifo. Sono abbastanza contenta di fare l’eremita nella nostra tenuta nel Sud dell’Inghilterra, dedicando tutta la vita alla mia bambina, Anya (che sembra diventare tremendamente più grande – e intelligente – ogni giorno che passa). Solo noi due, nascoste dal mondo.

    Eccezion fatta per quelle poche occasioni in cui sono chiamata ad assolvere i miei doveri reali, come ogni volta che mio fratello, il re di Danimarca, decide di lasciare il palazzo e andare in vacanza.

    Una volta, non andava mai da nessuna parte. Questo perché il povero Aksel era depresso per la morte della sua terribile, infedele ex moglie Helena (che, ehm, spero riposi in pace). E si è ritrovato sul trono molto prima di quanto avrebbe desiderato. Essendo un padre single di due bambine, Aksel era completamente assorbito dai suoi ruoli di sovrano e di genitore.

    Tuttavia, ha perso quel suo modo di fare sempre scontroso e severo quando si è innamorato perdutamente della sua tata. Sì, la tata australiana delle sue ragazze, Aurora, l’ha fatto suo e ora sono sposati. Hanno due vivacissimi gemelli maschi di un anno, e lei è la nuova regina di Danimarca.

    Sono felice per loro. Davvero, lo sono. Aksel se lo merita, Aurora è adorabile e ha abbastanza fegato da farlo rigare dritto. Sono incredibilmente felici con la loro famiglia allargata. E come la mettiamo con il fatto che lei è regina, mentre io sarò per sempre una principessa? Onestamente, non è un grosso problema. Non sono mai stata preparata per salire al trono e non era nei miei programmi.

    Il vero problema è che gli sposini sono ancora in piena luna di miele (i gemelli non li stanno certo rallentando), e svolazzano sempre in giro per il mondo: Marocco, Grecia, Argentina. Nominate un Paese e loro ci sono stati, questa volta con tutti i bambini al seguito.

    Perciò, devo intervenire in qualità di reggente e fare le veci di Aksel. È come se fossi la sostituta del re e, proprio come per un insegnante supplente, la paga fa schifo e nessuno mi rispetta.

    «A che ora dovrebbe essere qui la famiglia reale?», chiedo a mia zia Maja, come se non l’avessi già fatto un milione di volte.

    «Alle quattro, hanno detto», mi fa, osservando l’orologio del nonno nell’angolo della stanza. «Ma chi lo sa, con quei tizi».

    Quei tizi sono la famiglia reale di Monaco. Per chissà quale motivo hanno deciso di visitare la Danimarca, per poi farsi un giro nei vari regni del Nord Europa. È così, con i reali. Quando non sono a casa, vanno a visitare dei loro pari. Non saprei dire perché. Insomma, sarà forse perché abbiamo qualcosa in comune? O è solo per parcheggiarsi in altri palazzi, e ispezionare il modo in cui viene gestita la baracca? Sicuramente non tutte le famiglie possono andare d’accordo fra di loro, in particolare quando ci sono in gioco tutti quei soldi, la politica e degli ego dannatamente ingombranti.

    Comunque, la famiglia reale di Monaco viene a farci visita. Sanno che Aksel non è qui, l’ho detto molte volte a Penelope, la principessa consorte, ma hanno deciso di venire lo stesso. Non li ho mai incontrati prima (non sono stata in compagnia di molti reali, di recente), ma ho sentito varie voci su di loro.

    Soprattutto, che sono un bel po’ strampalati.

    Intendiamoci, non è un gran segreto, perché i giornali scandalistici hanno sempre qualcosa da raccontare sui vari lifting e intrallazzi della principessa consorte Penelope con i suoi toy boys, sull’ossessione del principe Pierre per i safari di caccia, e poi ci sono i ragazzi, i gemelli ventenni, il principe Francis e la principessa Matilde, che sono piuttosto tranquilli e carini, a differenza del loro fratello maggiore, il principe Orlando. Lo conosco solo perché è stato soprannominato canaglia reale dai media sin da quando era un adolescente, e viene menzionato su certi giornali per le sue feste scatenate, tanto quanto io lo sono per essere una madre single e divorziata.

    «Vorrei avessero aspettato che Aksel fosse qui», dico a Maja, stringendo le mani. «Non so perché abbiano insistito così tanto. Cosa sono io per loro? Nessuno».

    Mia zia aggrotta la fronte sottile e mi rivolge uno sguardo deciso. «Sei qualcuno, Stella».

    Quindi sospira, poi tamburella le dita magre sul ginocchio. Siamo entrambe irrequiete, sedute fianco a fianco su sedie scomode nella sala di ricevimento. Ha un nome vero e proprio, ma non ricordo quale: tutto quello che so è che, da ragazza, vedevo gli ospiti incontrare qui i miei genitori. Appesi al muro ci sono un sacco di vecchi dipinti di monarchi importanti, così come alcune belle ceramiche sui tavoli ai lati della stanza. Le pareti hanno una carta da parati a strisce bianche e blu chiaro e c’è questo odore, come se secoli di pot-pourri si fossero infiltrati nelle pareti, che mi dà un forte mal di testa.

    «Inoltre», aggiunge, «sono matti. Tutti. E quella principessa, Penelope, è così dannatamente invadente. Ha detto che avevano programmato questo viaggio da un sacco, ma quando ho chiamato Aksel, mi ha assicurato che non lo avevano mai contattato prima. Quindi, sono anche dei gran bugiardi». Fa un sospiro, sollevando il mento.

    Ottimo. Quindi, mi toccherà intrattenere un gruppo di bugiardi invadenti per un po’. In passato, non ho dovuto impegnarmi molto quando mi è toccato fare da reggente perché la maggior parte delle persone sapevano aspettare fino al ritorno di Aksel. Ma questi, a quanto pare, non sono la maggior parte delle persone. Grazie a Dio, è solo una cena. Con un po’ di fortuna, parleranno solo loro e poi berranno abbastanza da stancarsi e tornare a casa. O ovunque alloggeranno.

    Oh, aspetta.

    «Stanno qui?», chiedo a Maja.

    Mi rivolge un altro sguardo tiepido. «Certo. Le camere sono tutte allestite. Dove altro dovrebbero andare? In un Best Western?».

    Be’, no, ho pensato che forse avrebbero optato per uno degli hotel più eleganti di Copenaghen, come fanno di solito. Oh, chi lo sa, evidentemente non sono abituata a tutto questo.

    All’improvviso Erik, uno dei membri più giovani dello staff, l’apprendista maggiordomo, o qualcosa del genere, fa capolino nella stanza.

    «Sono qui», dice, con tono agitato e gli occhi spalancati.

    Non è un buon segno.

    Cerco conforto nella zia, ma la sua bocca è una linea ferma, che di fatto è la sua espressione tipica, mentre entrambe ci alziamo in piedi.

    Prima che possa dire qualcosa, la porta della stanza si spalanca e Henrik, il capo della servitù, annuncia gli ospiti.

    «Vi presento Sua Altezza Serena, il principe Pierre di Monaco», dice, inchinandosi proprio mentre il principe entra nella stanza.

    È un ometto basso e rotondo con i capelli grigi e grandi baffi folti. Avete presente il padre del principe azzurro in Cenerentola? Sì, sembra proprio lui. Un cartone animato di re.

    Henrik sta per annunciarci, come indica il protocollo, ma il principe si limita a barcollare verso di noi e spingere la mano contro la mia, afferrandola forte e scuotendola vigorosamente.

    «È un vero piacere conoscervi, Altezza», dice in un inglese dall’accento marcato; i suoi baffi si muovono mentre parla, mostrando grandi denti simili a quelli di un coniglio. «Siete così bella. È un peccato che nessun uomo si ritenga degno di essere il vostro re». Mi prende la mano e ne bacia il dorso.

    Sta accadendo così in fretta che riesco a malapena a pronunciare una parola, anche se voglio ricordargli che sono solo una principessa, non una regina. In più, i suoi baffi mi fanno il solletico, e penso che tutto questo sia abbastanza inappropriato.

    Nel frattempo Henrik si schiarisce la gola, sbalordito dai modi del principe. «Posso presentarvi Sua Altezza Serena, la principessa consorte di…».

    «Oh, tutti sanno chi sono, tutti», fa la principessa consorte Penelope a Henrik con un gesto sprezzante, mentre si affretta nella stanza, in un abito da ballo nero che sembra appartenere all’epoca vittoriana, con quelle maniche lunghe, il collo alto e tutto il resto. Suppongo sia meglio delle scollature profonde e degli spacchi vertiginosi che le vedo indossare di solito sui giornali…

    «Pierre, puoi lasciarla andare adesso», lo rimprovera Penelope, scostandolo con un colpetto d’anca. «Mi dispiace tanto per mio marito», mi dice, prendendomi una mano tra le sue e dandole una stretta moscia, le unghie lunghe e appuntite che quasi mi perforano la vena del polso. «Non conosce le buone maniere». Quindi, guarda Maja. «Dovete essere la zia. È un vero peccato quello che è successo a vostra sorella».

    Mi irrigidisco, anche se Maja lascia scivolare tutto con un sorriso educato. Qualsiasi riferimento a mia madre, che è ricoverata permanentemente in ospedale a causa del morbo di Alzheimer, di solito mi fa venire i brividi. Le persone non sembrano capire la situazione e dicono un sacco di cose a sproposito.

    Per fortuna, Penelope va oltre e si gira di scatto per fare un cenno alla porta dove si trova Henrik, inquieto e incerto su come procedere. A essere sincera, nemmeno io sono sicura di cosa dovrei fare.

    «Falli entrare, ci penserò io a presentarveli», dice Penelope.

    So che Penelope non è cresciuta in una famiglia reale, e nemmeno borghese. È spagnola, ed è stata allevata da una madre single a Barcellona. Ha vinto vari concorsi di bellezza, che in seguito le hanno permesso di diventare una famosa presentatrice televisiva, attirando così l’attenzione del principe Pierre, dopo che la sua prima moglie, la principessa Selene, è morta di cancro al seno quando Orlando aveva solo nove anni. Anche se Penelope è una principessa consorte da ormai venticinque anni, ho l’impressione che non abbia ancora imparato bene i protocolli e le buone maniere.

    E così, con Henrik che si toglie di torno facendo un passo indietro, lanciandomi uno sguardo che significa chiaramente non so che fare, entra in scena il resto della famiglia reale monegasca.

    «Questo è mio figlio Francis», dice Penelope con orgoglio, mentre un ventenne con i capelli castani a spazzola, gli occhiali con la montatura nera e le labbra carnose si avvicina. Indossa un abito nero e una camicia blu polvere con una pochette abbinata nel taschino della giacca.

    «Piacere di conoscervi, principessa Stella», mi dice con un inchino, a cui non posso fare a meno di sorridere, seguito da un occhiolino. «Ho sentito molto parlare di voi».

    «Tutte cose belle, spero», gli dico.

    «Dipende dal punto di vista», risponde senza problemi.

    Prima che io abbia il tempo di chiedermi cosa intendesse dire, sua madre presenta sua sorella, la principessa Matilde.

    Matilde è l’immagine sputata di Francis: alta, capelli castani, occhi nocciola dal taglio seducente incorniciati da ciglia pesanti e scure che sembrano un eyeliner naturale. Sono sicuramente gemelli.

    Come se potesse sentire quello che sto pensando, Matilde mi fa un sorrisetto e dice: «Non preoccuparti, sono la gemella buona». Poi mi fa un rapido inchino, tendendo il lato dell’abito, tutto a strati di tulle color carne, un po’ principessa, un po’ boho-chic. «Incantata», dice, prima di raggiungere velocemente sua madre con passo danzante, il vestito che fluttua dietro di lei.

    Sto pensando a quanto sia affascinante e originale, quando all’improvviso tutta l’attenzione va alla porta.

    C’è qualcun altro? Ma certo.

    «Infine, il figlio maggiore di mio marito, il principe Orlando», dice Penelope, mentre l’uomo entra camminando dalla porta. E quando dico camminando, intendo dire che lo fa pavoneggiandosi come se avanzasse sospinto dalla sua stessa sicurezza, e fosse il padrone di ogni stanza degli edifici in cui mette piede.

    Okay, quindi: se ci basiamo sulle apparenze, potremmo dire che stiano tenendo il meglio per ultimo, perché il vero nome del principe Orlando dovrebbe essere principe Sexy. Un metro e novanta, spalle larghe e petto ampio, questo pezzo d’uomo è vestito con un raffinato completo blu, cucito su misura. Ha la carnagione abbronzata tipicamente mediterranea e un fisico da carro armato, i capelli biondi tagliati corti sui lati e più lunghi sopra, con un velo di barba sul viso. In genere, non vado matta per i biondi (mio fratello è biondo, questo non aiuta), ma il principe Orlando è di un’altra categoria.

    Non fraintendetemi, di solito non sono il tipo di donna che va in giro a squadrare gli uomini in questo modo. O almeno, non lo sono mai stata fino a quando il mio ex marito non me ne ha fatte passare di tutti i colori, quindi penso di meritarmi un po’ di divertimento. Non ricordo l’ultima volta che sono stata con qualcuno, figuriamoci l’ultima volta che ho messo gli occhi su una persona vagamente attraente. Inoltre, il principe Orlando sembra il tipo che fa altrettanto con le donne, quindi non mi sento così in colpa per tutti quegli sguardi e quei pensieri sconci.

    Naturalmente, comunque, mi trattengo. Il principe Orlando si sta guardando intorno come se dovessi ritenermi onorata della sua presenza, non viceversa, e questo mi fa subito alzare la guardia. Un playboy, o puttaniere, come si chiamano al giorno d’oggi. L’ultima cosa che serve loro sapere è che sono davvero sexy quanto sono convinti di essere.

    I nostri sguardi si incontrano, e per un attimo la mia freddezza vacilla, perché c’è qualcosa nei suoi occhi che mi fa mancare la terra da sotto i piedi. Il loro colore mi fa immaginare di essere a Capri, a guardare il mare vicino alla riva, dove la luce si riflette sulla spiaggia di ciottoli. Acqua fresca e limpida, incredibilmente azzurra. Viva e rinfrescante.

    Ma non è solo quella limpidezza, è il calore che hanno dentro. Un calore che non mi aspettavo di vedere. Per una frazione di secondo è stato quasi come guardare qualcuno che mi conosceva.

    Poi, un ghigno gli attraversa le labbra, portando un’ondata di arroganza nel suo sguardo, e riesco a ricompormi e a mantenere il senno.

    Alzo il mento, serro le labbra in un modo che renderebbe orgogliosa la zia e aspetto, tirando fuori ogni parte principesca e altezzosa di me mentre lo squadro dall’alto in basso.

    Il principe Orlando si ferma proprio di fronte a me e si morde il labbro per un momento, prima di inchinarsi, finalmente. «Principessa», dice, e giuro che lo pronuncia come fosse un soprannome. «Che bella casa avete».

    «È di mio fratello», lo spengo, e sento mia zia schiarirsi la gola dal fondo della stanza. Immagino che la cosa giusta da dire sia grazie. Dopo tutto, questa è casa mia tanto quanto di Aksel.

    «Giusto, dimenticavo», dice Orlando, scrutandomi prima di scrollare le spalle. «Comunque, non sembrate appartenere a questo posto».

    Mi acciglio. E questo cosa significa? È forse la cosa giusta da dire a un reggente?

    Ma prima che io possa chiedergli di spiegarsi, Penelope gli si avvicina e lo afferra per il braccio. «Ora che queste noiose presentazioni sono finite», interviene sorridendomi, «che ne dite di servirci un aperitivo, prima di cena? Sono sicura che avete del liquore scandinavo che saremmo entusiasti di assaggiare».

    Lancio un’occhiata a mia zia, cercando di non sembrare confusa e agitata, ma lei sta annuendo educatamente al principe Pierre, che le sta parlando tutto emozionato, mentre allarga le mani per raccontarle di quel pesce che gli è sfuggito.

    Rivolgo a Penelope il mio sorriso più compiaciuto. «Bene, allora seguitemi».

    So che in precedenza avevo detto che essere la reggente è un po’ come essere una supplente, ma è anche come fare da domestica. In questo caso, so che Aksel, al ritorno, si accorgerà di tutte le stanze in cui si sono intrufolati gli ospiti e degli armadietti dei liquori che hanno spazzolato.

    Oltrepasso Henrik, scambiando uno sguardo sconcertato con lui, ed esco dalla stanza percorrendo il corridoio verso il soggiorno. Questo di solito non è il luogo in cui si intrattengono gli ospiti, ma so che è dove Aksel e Aurora trascorrono molto tempo la sera, quando i bambini sono andati a letto, e vi tengono le loro prelibatezze.

    Non sono abituata a fare la padrona di casa, nemmeno a casa mia. Il più delle volte siamo solo io e Anya, con l’aiuto occasionale di Margaret, la mia tata. Anya in questo momento è con lei, poiché non volevo portarla via dal suo campo di equitazione per venire a Copenaghen. I nostri tipici venerdì sera di solito sono a base di giochi da tavolo e un bicchiere di vino (per me, non per Anya). Forse un reality show, se proprio mi va.

    Eppure, eccomi qui, con indosso una veste luccicante un filo troppo stretta, alla guida di un gruppo di reali in cerca dell’armadietto dei liquori segreto del sovrano. Anche se in questo palazzo ci sono cresciuta, mi sento tremendamente fuori posto. Ciò che presumeva il principe Orlando a quanto pare è vero.

    Una volta che siamo tutti riuniti nella stanza e inizio a tirar fuori l’acquavite e il liquore di more dal mobile-bar di Aksel, Maja mi afferra per un braccio e mi trascina appena fuori dalla porta.

    «Che stai facendo?», mi dice sottovoce. «Non rientra nei piani».

    Alzo gli occhi al cielo. «Se ancora non l’hai capito, non c’è nessun piano. E tra l’altro, potresti intervenire un po’ di più e guidarmi. Non so quello che sto facendo».

    «Sei tu la reale, Stella, non io», mi dice. «E sei tu la principessa, anche quando non sei reggente. È compito tuo».

    «E, come ho appena detto, non so quello che sto facendo», le ricordo. «Dimmelo tu. Che devo fare? Volevano un drink scandinavo e ora ci si sbronzeranno tutti. Dobbiamo servire gli ospiti, no?».

    Scuote la testa, serrando le labbra. «Non credo proprio che ad Aksel piacerà tutto questo».

    «Aksel non ha altra scelta. È lui quello in giro a bighellonare, ovunque si trovi. Chissà dov’è finito questa volta, in Grecia?»

    «Cipro».

    «Abbiamo un complesso residenziale anche là, ora?».

    Annuisce. «Laggiù nessuno va a rompergli le scatole».

    «Buon per lui», dico seccamente, incrociando le braccia. «Nel frattempo io qui devo intrattenere la famiglia reale del Principato di Monaco, che sembra sintonizzata su una strana lunghezza d’onda, con un programma paradossale. Per favore, dimmi che si fermano solo una notte».

    Alza le spalle. «Così pare, a quanto ne so», poi sospira e guarda verso la hall, dove c’è Henrik che viene verso di noi, palesemente a disagio. Gli fa cenno di avvicinarsi. «Come siamo messi con la cena? Gli chef non possono fare più in fretta?»

    «Ne avranno almeno per un’altra ora», risponde lui scusandosi. «Posso fare qualcosa per dare una mano?»

    «Sai fare dei giochi di prestigio?», gli domando. Lo vedo aggrottare la fronte, quindi aggiungo: «Forse desiderano un po’ di intrattenimento».

    Anche se stavo chiaramente scherzando, Henrik annuisce. «Se avete una chitarra, potrei suonare qualcosa».

    «Suoni la chitarra?», gli chiedo.

    «Ho trascorso buona parte della mia gioventù a suonare per le strade».

    Questa mi è nuova. Benché sia sulla quarantina, Henrik sembra parte di questo palazzo sin dalla notte dei tempi, prima come autista e poi come capo maggiordomo. «Conosci qualcosa, non so, di danese? Di scandinavo? Qualche canzone folk?»

    «Conosco Wonderwall».

    Ma certo.

    Alzo la mano per fermarlo. «Sai che ti dico? È tutto a posto. Ci penso io».

    Scrollo le spalle e torno in sala a testa alta, con un sorriso educato sulle labbra.

    Il principe Pierre e la principessa Penelope sono stretti insieme su un divanetto, l’elaborato abito color ebano di lei che copre gran

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