Quella mattina prima di morire
By Jo Jakeman
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About this ebook
Un esordio incredibile
Fin dove sei disposta a spingerti per ottenere vendetta?
«Un esordio ben riuscito, con un ritmo incalzante, tantissimi colpi di scena e un sofisticato black humor.»
The Guardian
«Un’avvincente storia di vendetta.»
Mail on Sunday
«Perfetto per chi ha amato Big Little Lies.»
Bustle.com
«Colpi di scena e un finale inaspettato rendono questo thriller imperdibile. Jo Jakeman ha giocato una carta vincente per il successo.»
Booklist
«Un thriller estremamente attuale. Una moderna favola sulla vendetta che fa accelerare i battiti del cuore.»
Julia Heaberlin
Jo Jakeman
Nata a Cipro, ha vissuto per molti anni a Londra. Vincitrice della prestigiosa competizione letteraria Friday Night Live al Festival di scrittura di York, è stata pubblicata in 10 Paesi con il suo romanzo d’esordio, Quella mattina prima di morire.
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Quella mattina prima di morire - Jo Jakeman
Indice
Capitolo uno. Il giorno del funerale di Phillip
Capitolo due. 22 giorni prima del funerale
Capitolo tre. 21 giorni prima del funerale
Capitolo quattro. 20 giorni prima del funerale
Capitolo cinque. 16 giorni prima del funerale
Capitolo sei. 16 giorni prima del funerale
Capitolo sette. 12 giorni prima del funerale
Capitolo otto. 12 giorni prima del funerale
Capitolo nove. 11 giorni prima del funerale
Capitolo dieci. 11 giorni prima del funerale
Capitolo undici. 11 giorni prima del funerale
Capitolo dodici. 11 giorni prima del funerale
Capitolo quattordici. 10 giorni prima del funerale
Capitolo quindici. 10 giorni prima del funerale
Capitolo sedici. 18 anni, 6 mesi e 11 giorni prima del funerale
Capitolo diciassette. 10 giorni prima del funerale
Capitolo diciotto. 10 giorni prima del funerale
Capitolo diciannove. 10 giorni prima del funerale
Capitolo venti. 10 giorni prima del funerale
Capitolo ventuno. 10 giorni prima del funerale
Capitolo ventidue. 10 giorni prima del funerale
Capitolo ventitré. 7 anni, 19 settimane e 5 giorni prima del funerale
Capitolo ventiquattro. 10 giorni prima del funerale
Capitolo venticinque. 10 giorni prima del funerale
Capitolo ventisei. 10 giorni prima del funerale
Capitolo ventisette. 9 giorni prima del funerale
Capitolo ventotto. 9 giorni prima del funerale
Capitolo ventinove. 9 giorni prima del funerale
Capitolo trenta. 9 giorni prima del funerale
Capitolo trentuno. 5 anni, 5 mesi e 1 giorno prima del funerale
Capitolo trentadue. 9 giorni prima del funerale
Capitolo trentatré. 8 giorni prima del funerale
Capitolo trentaquattro. 8 giorni prima del funerale
Capitolo trentacinque. 8 giorni prima del funerale
Capitolo trentasei. 1 anno, 3 mesi e 5 giorni prima del funerale
Capitolo trentasette. 8 giorni prima del funerale
Capitolo trentotto. 8 giorni prima del funerale
Capitolo trentanove. 7 giorni prima del funerale
Capitolo quaranta. 7 giorni prima del funerale
Capitolo quarantuno. 43 giorni dopo il funerale di Phillip
Ringraziamenti
narrativa_fmt.png2366
Copertina © Sebastiano Barcaroli
Titolo originale: Sticks And Stones
Copyright © Jo Jakeman 2018
First published as Sticks and Stones by Harvill Secker,
an imprint of Vintage.
Vintage is part of the Penguin Random House group of companies.
Jo Jakeman has asserted her right to be identified as the author of this
Work in accordance with the Copyright, Designs and Patents Act 1988
Traduzione dalla lingua inglese di Roberta Bonuglia
Prima edizione ebook: agosto 2019
© 2019 Newton Compton editori s.r.l., Roma
ISBN 978-88-227-3522-5
www.newtoncompton.com
Realizzazione a cura di Caratteri Speciali, Roma
Jo Jakeman
Quella mattina
prima di morire
OMINO.jpgNewton Compton editori
Per James
Pietre e bastoni possono rompermi le ossa,
ma le parole non mi faranno mai male.
Uno
Il giorno del funerale di Phillip
Pensavo che mi sarei sentita libera e leggera, ma nel momento in cui le tende si chiudono attorno al feretro foderato di raso di Phillip Rochester, mi sembra di avere un mattone nello stomaco.
Naomi è seduta in prima fila, si muove in continuazione, mentre la congregazione bisbiglia alle sue spalle. Si vedono le rughe sotto ai suoi occhi, dove il mascara è colato penetrando tra le crepe del fondotinta. Mi chiedo per quale motivo stia piangendo, perché considerando quello che lui ha fatto, sono certa che non sia per quell’uomo.
Il parroco ha descritto una persona che assomiglia talmente poco al Phillip che conoscevo che quasi mi è scesa giù una lacrima. Ma è il momento delle bugie e delle falsità, non delle osservazioni sincere.
Con il pollice sinistro giocherello con la fede. Non ho un anello di fidanzamento. È una cosa pacchiana, Immie. Tu non sei quel tipo di ragazza. Sono trascorsi cinquecentoquarantotto giorni da quando Phillip mi ha lasciata. So che dovrei togliermi la fede, ma tutto il sapone del mondo non basterebbe a liberarmi da questa falsità. Anni di abusi coniugali mi hanno fatto ingrossare le mani, il girovita e il cuore.
Sono seduta cinque file più indietro, nel posto più vicino al muro, come si addice alla ex moglie. Ma a pensarci bene, siamo sicuri che sia la sua vedova?
Il divorzio non l’abbiamo mai finalizzato. I documenti sono ancora sopra alla credenza assieme alle bollette non pagate e ai messaggi di condoglianze. Ma pensa un po’. Io. Una vedova.
Alcuni sostengono che non dovrei neanche essere qui. Gli amici della mia vecchia vita fanno di tutto per evitare di fissarmi, ma è più forte di loro. Quando i nostri sguardi s’incrociano mi salutano con un timido cenno, come per scusarsi, subito dopo fingono di guardare stupiti che ore sono e si affrettano verso l’uscita della cappella. Non ce n’è uno tra loro che mi abbia chiamata quando Phillip mi ha rimpiazzata. Hanno semplicemente traslocato con lui nella sua nuova vita, insieme ai CD di Bruce Springsteen e alla macchinetta del caffè.
Mia madre, accanto a me, alterna continuamente versi di disapprovazione e sospiri, non sa se essere arrabbiata o triste. Ha promesso di non parlare durante la funzione e, anche se è stato faticoso, ha tenuto fede al suo impegno. Il suo sguardo mi sta trapanando le tempie. Di sicuro le starà uscendo il fumo dalle narici come le succede sempre quando è contrariata. Mamma tende a esprimersi più attraverso gli occhi che attraverso la bocca, e mi sto pentendo di non averle detto di tenere chiusi anche quelli.
Eravamo in disaccordo sul fatto che Alistair dovesse partecipare al funerale del padre. Lei riteneva che, avendo sei anni, sia troppo giovane. Io invece penso che debba dirgli addio, per tenere in piedi la sceneggiata che Phillip ci mancherà. Ha vinto mia madre. Non vale la pena combattere certe battaglie. E così abbiamo appeso dei bigliettini a dei palloncini pieni di elio. Sono saliti su, su, sempre più su, fino a scomparire. Ciao, ciao, papà. Che tu possa marcire all’inferno, Phillip.
Ci sono dei fiori molto semplici davanti al forno crematorio e il Canone di Pachelbel fuoriesce da chissà dove. Tutto è stato orchestrato con cura per mascherare la tristezza della morte e disinfettare le pareti dall’odore di decomposizione. Per ripulire il palato, se preferite, tra la morte e la veglia funebre. Naomi ha prenotato una sala per la funzione all’Old Bell, ma io non ci andrò, per evitare che lo sherry mi sciolga le labbra: non voglio ritrovarmi a sorridere in un modo che non si addice a un funerale.
Mentre il corteo funebre ci supera, usciamo dalla nostra fila di panche con il libretto della funzione in mano. Nella foto che c’è davanti a noi, Phillip sembra un grottesco fantasma sghignazzante. Gliel’hanno scattata prima della promozione al dipartimento investigativo della polizia, una decina di anni fa. Una volta mi piaceva molto con quell’uniforme.
Mamma si è messa in fila per fare le condoglianze a Naomi. Sarà una conversazione breve, non hanno molta stima l’una dell’altra. La mia migliore amica, Rachel, sta parlando con l’investigatore Chris Miller. Indossa uno scialle rosso annodato attorno alle spalle. Si è rifiutata di vestirsi di nero. Come lei ha giustamente notato, il nero sarebbe un segno di rispetto. Lei e Chris avevano un’opinione simile di Phillip. Speravo che fosse Chris a condurre le indagini sulla sua morte, ma hanno voluto qualcuno che venisse da lontano. Qualcuno che fosse neutrale.
Avverto la presenza di Ruby dietro di me, ma sto attenta a non incrociare il suo sguardo. Indossa un vestito translucido di un colore violaceo, è l’abito più sobrio che possiede. È la prima volta che le vedo delle scarpe ai piedi. In genere va in giro scalza, oppure ogni tanto indossa delle infradito sottili. Mi chiedo se sia solo un gesto conformista o se si sia semplicemente attrezzata per venire a ballare sulla tomba di Phillip. È seduta nella fila in fondo, il più lontano possibile dal feretro, come si addice al suo stato di ex ex moglie. La prima Signora Rochester, la donna con la quale Naomi e io abbiamo dovuto misurarci, tiene un fazzoletto bianco sotto al naso, come un Pomo d’ambra contro il contagio del lutto.
Mi alzo in piedi e mi faccio strada cercando di schivare le occhiatacce e i gesti di disapprovazione, finché non sento il sole sul viso e l’odore dell’erba appena tagliata. Strizzo gli occhi per la luce accecante, mi sfugge una lacrima traditrice.
Uno sconosciuto mi tocca il gomito con la mano fredda per farmi intendere che capisce come mi sento. Ma come potrebbe? Ci sono solo tre persone qui che possono capire quanto sia appagante sapere che Phillip Rochester è morto come meritava: Naomi, Ruby e io.
Due
22 giorni prima del funerale
Il Barn era una di quelle classiche vecchie case rimesse a nuovo. C’era un solo piano, ma non lo si poteva certo definire un cottage. Grandi mattoni color sabbia e piccole finestre scure con le cornici ridipinte di verde dimostravano la cura con cui ci si era mantenuti fedeli alla storia. Era stato usato soltanto materiale di riciclo, recuperato con grande meticolosità da robivecchi e case d’asta. Cose vecchie utilizzate per sembrare nuove, e cose nuove usate per sembrare vecchie.
Non avevo mai messo piede nel Barn. Era ridicolo che dei fienili fossero così di moda quando in fin dei conti non erano altro che ricoveri per animali. I contadini avevano fatto una fortuna vendendo i loro capanni fatiscenti e i relativi permessi edilizi. Ma a pensarci bene non potevo immaginare un ambiente migliore per Phillip e la sua giovenca.
Ho suonato il campanello e ho aspettato che l’eco si propagasse lungo tutto il corridoio. Mi sono sistemata l’armatura: la borsetta a tracolla, i guanti ben tirati sul polso e la sciarpa attorno al collo.
Non era facile vedere Phillip nella sua nuova vita, nella sua nuova casa, con la sua nuova fidanzata. Ma dovevo farlo per Alistair.
Avevamo deciso di comportarci da adulti. In modo civile. Per il bene di nostro figlio. Ma c’era un piccolo dettaglio da risolvere: finalizzare il divorzio. E questa cosa stava tirando fuori il peggio di entrambi.
Sulla carta dovevamo dividerci tutto in modo amichevole.
Nel bene e nel male.
In ricchezza e in povertà.
In salute e in malattia.
Fosse stato per Phillip, mi sarei dovuta prendere il male, la povertà e la malattia, mentre a lui sarebbe toccato il resto. Il mio avvocato mi ha detto che ci avremmo rimesso entrambi ad andare in tribunale. Le ho risposto che con uno come Phillip non avrei vinto in ogni caso.
Alistair non ha sofferto quando suo padre ci ha lasciati. Anzi, deve aver pensato che la vita era diventata molto meglio. Per me è stato così. I fine settimana alternati sono trascorsi tra mascelle serrate e sorrisi di circostanza. Di recente, però, Phillip aveva iniziato a pretendere più di quanto fossi disposta a dare. Voleva trascorrere più tempo con Alistair in presenza di una donna che era una sconosciuta. E pretendeva che dormisse, si fa per dire, più spesso da lui. E più lui pretendeva, meno io ero disposta a concedergli.
Dopo una sequela di telefonate a vuoto e di lettere dell’avvocato ignorate, avevo accettato di farmi una chiacchierata
con Phillip. Ma lì in piedi davanti al Barn, al calare della sera, non avevo ancora deciso cosa dirgli.
Ho allungato il dito nel guanto per suonare di nuovo il campanello e in quel momento ho sentito il rumore di una porta che veniva aperta, e poi di passi sempre più vicini.
La fidanzata ha aperto con addosso poco e niente. Voleva far passare una fascia di tessuto di jeans attorno ai fianchi per una gonna. Mi sono chiesta quanto pagassero per il riscaldamento. Ha incrociato le sottili braccia sotto al petto e si è appoggiata contro lo stipite della porta fissandomi con un debole sorriso che le solleticava appena gli angoli della bocca.
I suoi lunghi capelli rossi erano senza dubbio tinti, ma si addicevano alla carnagione pallida e agli occhi marroni. Aveva delle ciglia sconvolgenti, esageratamente spesse e lunghe. Vere? False? Avrei potuto chiedermi la stessa cosa di quella donna. Per non parlare del seno.
«Imogen. Che bella sorpresa», ha detto.
La bocca avrebbe dovuto avvisare anche la faccia di quello che diceva perché l’espressione non era affatto convincente.
«Ciao, Naomi. Lui c’è?», ho chiesto.
«Non è ancora tornato».
«Posso aspettarlo dentro?»
«Lo sapeva che saresti passata?».
Ci siamo guardate: lei si aspettava che io me ne andassi, e io mi aspettavo che lei fingesse almeno un briciolo di buone maniere. Anche se le mie buone maniere mi impedivano di dirglielo.
«Entra pure, ma prima togliti le scarpe».
Parlava con una strana cadenza nasale, che ricordava quella degli allevatori di ovini del nord del Derbyshire. Magari era per questo che si sentiva a suo agio al Barn.
Per educazione le ho detto che aveva una bella casa, e in effetti non era una bugia. Profumava di pulito: di vaniglia, di gigli e di lenzuola stese ad asciugare al sole. Ogni cosa era color crema o grigio pallido, sembrava di muoversi attraverso le nuvole. Stai attenta alle turbolenze, ho pensato. Con uno scatto ha girato la testa verso di me, tant’è che mi sono chiesta se lo avessi detto ad alta voce.
«È stupenda», ho detto, «è davvero stupenda».
Ha atteso che mi sfilassi gli stivali. L’ho vista fissarmi i calzini. Mi ha dato molto fastidio, mi sono sentita trasandata e in disordine rispetto a lei, alle sue unghie laccate e alle sue sopracciglia perfettamente disegnate.
«I lavori di ristrutturazione sono stati un vero incubo. Le travi», ha indicato sopra le nostre teste, «sono quelle originali dell’abbazia locale. Dicono che le usarono per costruire la fattoria dopo che l’abbazia andò a fuoco. C’erano dei vincoli su queste travi. Abbiamo dovuto ottenere un permesso speciale per rimuovere il controsoffitto, e abbiamo dovuto fare molta attenzione».
Aveva l’aria infastidita, in netto contrasto con l’orgoglio che provava per la sua casa.
«Veramente?», ho detto. «Tutte queste grane per del legno di seconda mano».
Mi sono tolta i guanti e la sciarpa, li ho piegati e li ho infilati a forza nella mia borsa di Mary Poppins, insieme ai fazzoletti usati, ai vecchi scontrini e alle carte dei Pokémon.
Anche se non fosse stata la matrigna del weekend di mio figlio, e non avesse avuto la metà dei miei anni, e dei miei chili, Naomi non mi sarebbe piaciuta lo stesso.
Le persone che non sapevano come fosse veramente Phillip pensavano che fossi gelosa. Se mi lamentavo di lui credevano che fossi arrabbiata, perché mi aveva scaricata per una donna più giovane. Se fossi stata al posto loro, probabilmente avrei ipotizzato la stessa cosa. Non conoscevo bene Naomi, e nemmeno mi importava di perdere tempo a farlo.
Tanto non sarebbe durata a lungo. Secondo me, era superficiale e narcisista. Era troppo carina per essere anche una bella persona, l’universo non funziona così.
Naomi era ciò che faceva sì che Phillip sembrasse fico. Era la sua amante, l’insegna al neon che annunciava che il suo pisello funzionava ancora. Per il mondo esterno, Phillip aveva trovato un nuovo amore dopo il fallimento del nostro matrimonio. Anzi, poco prima, se aveste letto i suoi sms ogni volta che usciva dalla stanza. Io ero una madre single che si avviava ai quaranta. Ero stata abbandonata. Ero come una valigia che era stata maltrattata e poi lasciata a girare sul nastro trasportatore di un aeroporto.
«Caffè o tè?», mi ha chiesto.
«Hai il caffè in capsule?»
«No, solo quello istantaneo».
«Prendo del tè, grazie».
Per un istante mi ha fissata negli occhi, subito dopo ha cominciato a sbattere le palpebre come se mi stesse dicendo in codice Morse: Ma guarda che stronza. Poi è scomparsa in cucina. Era più forte di me. Non ce la facevo a non renderle impossibile la vita.
L’unica cosa da bere di cui avevo voglia era troppo chiara e me l’aveva servita con il ghiaccio. Ma come avremmo fatto a sopravvivere a una situazione così imbarazzante se non ci fosse stato il tè a riempire i vuoti, se non avessimo avuto il tè a tenerci occupate le mani, a riempirci la bocca e a impedirci di dire quello che pensavamo?
Mi sono guardata intorno in quella stanza poco arredata, mentre con le mani giocherellavo con la cinghia della mia borsetta. Phillip odiava la confusione. Si vergognava di invitare la gente a casa nostra perché non ero capace di rispettare i suoi standard di ordine. Non so se sia stato lui a farmi venire il terrore per il disordine o se io abbia sempre avuto questa tendenza. Ovviamente lui si faceva chiamare Phil ormai. Si era reinventato. Chissà chi stava cercando di convincere.
Sul tavolino di faggio, sotto alla finestra, c’erano tredici cornici differenti. Tredici. Mi sono irrigidita. Dio mio, perché erano tredici? Ho preso in mano la foto di Phillip in cui indossava una maschera da snorkeling e l’ho fatta scivolare in borsa, tra le pieghe della mia sciarpa. Dodici. Molto meglio. Un bel numero tondo. La tensione nelle spalle è diminuita e il getto di ansia nel petto si è ridotto.
Ho sorriso tra me e me, soddisfatta di aver risolto una situazione potenzialmente difficile. Il mio terapista mi aveva insegnato alcuni esercizi di respirazione, ma a volte era più facile eliminare il problema alla radice. L’ultima cosa che desideravo era avere un attacco di panico davanti alla Fidanzata.
Ho osservato le altre foto, che ora erano in numero pari. Phillip e Naomi sulla spiaggia, a un matrimonio, mentre baciavano dei delfini. Naomi vestita da Catwoman e Phillip da Batman paffutello. Metteva sempre quel costume alle feste. Essere l’eroe che combatte il crimine era sempre stato importante per lui. Aveva quello che mi piace chiamare il complesso dell’eroe. Lo avevano bocciato agli esami per diventare pompiere, e a causa della sfilza di assenze a scuola – e dei suoi pessimi voti – non era stato ammesso all’aeronautica militare britannica. Il corpo di polizia stato una valida alternativa, anche se l’uniforme non era altrettanto seducente.
Il lavoro gli aveva persino fatto conoscere la bellissima Naomi. Mi aveva raccontato di quella donna che era scoppiata a ridere in modo incontrollabile, dopo che l’aveva fermata per eccesso di velocità. Ma mi aveva detto che era una cara e simpatica vecchietta che non avrebbe dovuto guidare, non un’adolescente attraente che non avrebbe dovuto fare gli occhi dolci al marito di un’altra.
Le violazioni al codice della strada in genere finivano in due modi. O i conducenti s’inventavano qualche scusa (erano in ritardo, non avevano visto il limite di velocità, la moglie stava per partorire, un genitore era in punto di morte). Oppure lo accusavano di essere troppo pignolo, di derubare dei poveri innocenti del denaro guadagnato con il sudore della fronte, chiedendogli perché non stesse arrestando dei veri criminali.
Ma la donna al volante si era limitata a gettare la testa indietro e a ridere.
«Sa perché l’ho fermata?», le aveva chiesto Phillip.
«Perché sono un’idiota?»
«Il limite di velocità in questa zona è di 50 all’ora».
«Non andavo a 50», gli aveva risposto.
«Cosa c’è di tanto divertente?»
«È inutile negarlo, vero? Ora posso dire addio alla patente. Mi hanno già tolto una valanga di punti. Preferisco ridere che piangere».
Solo molto tempo dopo ho scoperto che le aveva annullato la multa con la scusa che probabilmente per sbaglio aveva registrato la velocità dell’auto che viaggiava dietro di lei. Ovviamente lei ci teneva molto a ringraziarlo, e c’è solo una cosa che Phillip trova soddisfacente quanto catturare i cattivi: catturare le ragazze.
Naomi è entrata nella stanza, i suoi passi sono stati assorbiti dal soffice tappeto.
«Ecco il tè», ha detto, poggiando le tazze sul tavolo lucido e immacolato, privo di ditate di bambini, di segni di ciotole e bicchieri.
«Grazie. Stavo ammirando le vostre foto». Mi sono messa tra lei e il tavolo in modo che non notasse che ne mancava una.
«Perché?».
Sono rimasta spiazzata. Perché? Perché sono una ficcanaso? Perché voglio sapere se la tua vita è meglio della mia?
«Non saprei», ho detto. «Sono belle».
Ha sollevato le spalle e si è lasciata cadere sul divano. Io mi sono seduta al lato opposto e le ho sorriso.
Era la prima volta che Naomi e io eravamo nella stessa stanza senza Phillip che si aggirava attorno a noi come un leone attorno alla preda. Avrei potuto togliermi qualche peso dallo stomaco. Avrei potuto mettere in scena il numero della moglie tradita. Sarebbe stato il momento perfetto per farmi chiedere scusa. Non che m’importasse che si fosse presa Phillip, ora lui era un suo problema, ma il normale senso del decoro avrebbe dovuto pungolarle la coscienza e indurla ad affrontare la tensione tra noi.
Phillip e io avremmo dovuto porre fine alla nostra relazione anni fa, ma ho voluto aggrapparmi al sogno dell’infanzia che mi era stata negata. Ero cresciuta senza un padre e non volevo che ad Alistair succedesse lo stesso. Alcune persone dicono che sono testarda, io mi considero determinata
. Non era il fallimento del nostro matrimonio che mi infastidiva. Non m’importava di aver perso un marito, ma di aver guadagnato una nemesi. Un’altra persona da tenere in considerazione, visto che per natura non sono un tipo molto socievole.
«Phil dovrebbe tornare dal lavoro a momenti», ha detto, guardando l’orologio.
«Bene», ho risposto, controllando l’ora a mia volta. «Quindi oggi è andato al lavoro? Perché sono andata alla centrale e mi hanno detto che questa settimana non lavora».
Ha evitato il mio sguardo. C’era un’espressione sorpresa, nascosta dietro a quelle sopracciglia perfettamente disegnate, ma ha parlato con un tono di voce basso e calmo. «Mi ero dimenticata. È dal dottore».
«Niente di serio, spero».
«Cosa?»
«Il motivo per cui Phillip è andato dal dottore».
«Ah», ha guardato fuori dalla finestra, la mente persa chissà dove. Le sue sopracciglia si sono avvicinate conferendole un’espressione pensierosa. «No».
«Che peccato».
Ho allungato la mano per prendere la mia tazza, e mi sono resa conto che dovevo esserle sembrata odiosa. M’infastidiva che Phillip avesse tirato fuori il peggio di me. La mano mi tremava per lo sforzo di rimanere calma e ho versato un po’ di tè sul tavolo. Il liquido lattiginoso è gocciolato sul tappeto color crema prima che riuscissi a metterci la mano sotto.
Naomi ha sussultato. Poi ha fatto un respiro profondo.
«Ops!», ho detto. «Scusami».
Era tutta rigida. Anni di convivenza con Phillip mi avevano resa un’esperta del linguaggio del corpo e riuscivo a cogliere i segnali e le vibrazioni impercettibili nell’aria. Mi aspettavo che si arrabbiasse – un altro residuo della convivenza con Phillip – e invece è successa una cosa che mi ha inquietato ancora di più.
La paura le ha acceso il viso come una cometa. È stato un lampo fulmineo, avrei potuto non accorgermene se non le avessi guardato le mani. Si è massaggiata la pelle tra il pollice e l’indice. Conoscevo quel punto carnoso. Mi sono ricordata cosa si provasse. Per un momento non ci siamo mosse. Io la fissavo.
Il sudore ha iniziato a pungermi la fronte, e all’improvviso ho cominciato a sentire freddo. Si è aperta una porta sul passato e i ricordi sono entrati come una raffica di vento gelato. Phillip aveva l’abitudine di piegarmi il pollice all’indietro finché non cadevo in ginocchio. Lo faceva sempre con quello della mano destra, esattamente lì dove Naomi si stava massaggiando. Questo metodo non avrebbe interferito con le faccende domestiche, i panni da stirare e la preparazione della cena. Lo aveva imparato all’addestramento della polizia. Massimo dolore, minimo sforzo. Non era una cosa grave, non avrebbe comportato niente davanti a un tribunale, ma io sapevo cosa si provava.
Naomi si è accorta che la stavo guardando e ha fatto uno scatto.
I suoi occhi spalancati per la paura di un attimo prima si sono rimpiccioliti e sono diventati severi. Ho aperto la bocca per parlare. C’erano tante cose che avrei voluto dirle, ma, mentre le parole sgomitavano per trovare il giusto ordine, Naomi è andata con passo altero verso la cucina. Le mie parole di conforto hanno fluttuato oltre le travi e sono rimaste appese lì come ragnatele.
Mi sono alzata e ho riguardato le foto. Il modo in cui Phillip cingeva il corpo di Naomi in una delle immagini adesso mi sembrava esagerato, come se la stesse tenendo troppo stretta. Lei aveva un sorriso forzato. Non c’era da stupirsi che ci fossero tredici cornici. Il tredici è un numero sfortunato per alcuni. Ed è sfortunato per lei.
Naomi è tornata di corsa con un panno e uno spray. Ha cominciato a tamponare le macchie sul tappeto. All’improvviso era diventata fragile, come se la luce potesse attraversarla senza generare un’ombra. Avrei voluto avvicinarmi, toccarle la spalla, ma quel passaggio improvviso dal disprezzo alla simpatia mi aveva colta di sorpresa.
«Mi dispiace. Posso fare qualcosa per aiutarti?», le ho chiesto.
La domanda era sufficientemente ambigua da potersi riferire al tè versato, oppure a molto, molto di più. Io, tra le righe, intendevo molto di più.
«No. Sto bene».
«Non mi ricordo mai quali prodotti si usano per le macchie. E tu? Ah, sì, il sale mi sembra, giusto? No, forse quello si usa per il vino rosso. A casa mia è più probabile che versi il vino che il tè. Non che io beva più vino che tè… è solo che è più facile versare quello, no? Dev’essere per colpa dei bicchieri. Forse dovrei mettere il vino nelle tazze».
Ho azzardato una risatina che si è persa nella vastità della stanza.
Mi ha ignorata.
«Vuoi che vada via?».
L’impulso di fuggire mi aveva inumidito di sudore il labbro superiore. L’indecisione tra combattere o scappare mi faceva battere il cuore a mille. E non ero in vena di combattere.
Aveva asciugato il tavolo e quasi tutto il tè sul pavimento, ma sul tappeto c’era ancora la macchia.
«Oppure posso restare, se hai voglia di parlare un po’ con me, prima che Phillip torni a casa».
Si è accasciata scostandosi un capello dal viso. Ho stretto forte la mia borsa e mi sono seduta lentamente sul bracciolo del divano.
«Non sederti lì! Lui si arrabbia molto quando le persone si siedono sui braccioli».
Mi sono alzata immediatamente.
«Scusa. Che stavi per dire?»
«Niente. È meglio se te ne vai».
«Sei sicura?».
Ho controllato l’orologio. Aveva detto: «Phil dovrebbe tornare tra poco».
Sarebbe tornato a casa da un momento all’altro, pronto per affrontarmi riguardo al divorzio, o per fare il prepotente con Naomi.
Oppure si sarebbe arrabbiato con me per il tè che avevo versato sul suo stupido tappeto. All’improvviso, il fatto di dover parlare con lui non mi è sembrato più tanto importante, rispetto all’istinto di sopravvivenza, e così ho frugato nella borsa, ho spinto da una parte la cornice che avevo rubato, e ho tirato fuori una spessa busta bianca.
«E va bene. Se sei davvero sicura che non ci sia niente che io possa fare…».
Ha spruzzato il detergente sul tappeto e ha cominciato a strofinare la macchia con movimenti circolari.
«Potresti chiedere a Phillip di chiamarmi? Devo parlargli dei documenti del divorzio. Insomma, immagino che, come me, anche voi vogliate lasciarvi questa storia alle spalle. Ecco, posso affidarti questa? Nel caso il suo avvocato non gliel’avesse già consegnata».
Ho posato la busta sul tavolo mentre Naomi stava ancora tamponando la macchia.
«Credo che un accordo formale farebbe comodo a tutti, no? Così… ognuno si prenderà le sue responsabilità».
«Certo che hai un bel coraggio», ha detto, alzandosi in piedi.
«Che cosa?»
«Dal giorno in cui ti ha lasciata non hai fatto altro che mettere tuo figlio contro Phil».
«Io?»
«Sei gelosa perché hai avuto un matrimonio senza amore…».
«No, ti sbagli di grosso!».
«…e stai rovinando il rapporto tra Alistair e suo padre. Ti farai odiare da tuo figlio!».
C’è stato un istante di silenzio, un istante lunghissimo, in cui sentivo solo il mio respiro. I nostri visi erano talmente vicini che riuscivo a vedere la rabbia negli occhi di Naomi. Era in imbarazzo, ma stava per esplodere. Conoscevo quella sensazione.
Era il momento di dirle che la capivo, che sapevo di cosa fosse capace Phillip. E invece ho espirato lasciando che le parole si disperdessero nella brezza come i semi dei denti di leone.
Qualsiasi senso di solidarietà era scomparso quando aveva tirato in ballo Alistair.
«Be’, se è questo che pensi…».
Sono uscita dalla stanza, mi sono fermata solo per rimettermi gli stivali. Naomi mi ha gridato dietro che stavo rovinando la vita a tutti, e che ero gelosa perché ero rimasta sola. Vecchia strega arrabbiata, mi ha detto. Mi sono consolata pensando che comunque ci avevo provato e che non potevo fare altro.
Naomi mi urlava ancora dietro mentre mi chiudevo lentamente la porta alle spalle. Il suo scatto d’ira mi aveva dato la scusa che cercavo per scappare via da lei e dalla vita che una volta era la mia. Forse avrei dovuto sorridere mentre accendevo il motore e m’immettevo sulla strada principale. Forse avrei dovuto essere soddisfatta che lei non stesse vivendo la vita perfetta che fingeva di vivere.
Ma non era poi tanto diversa da me.
Ho scrollato le spalle e una pioggia di lacrime