Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Nessuna è più bella di te
Nessuna è più bella di te
Nessuna è più bella di te
Ebook223 pages3 hours

Nessuna è più bella di te

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Alexia è una studentessa di Lettere moderne all’università di Roma e vive con Paola, la sua migliore amica. Lei non si sente come le altre, si tiene lontano da ogni coinvolgimento emotivo, da tutto ciò che può renderle la vita complicata o almeno più complicata di quanto già è: ha un segreto e lo custodisce con cura, non per sé, ma per proteggere chi ama. Un giorno però i suoi occhi incontrano quelli di un musicista tatuato, dal sorriso sexy, pericoloso e con un’incredibile voce in grado di distrarla da tutto il resto. Lui è il candidato ideale per cacciarsi nei guai e per rischiare di distruggere il muro che con fatica ha innalzato intorno a sé. Alexia sa che innamorarsi, per una come lei, è un rischio troppo grande…
Adelia Marino
è italo-canadese e vive in Germania. Ama leggere, aggiornare il suo blog e scrivere. Adora parlare con chi condivide la sua stessa passione ed è una divoratrice di serie TV. Deve alla nonna il suo amore per i libri. La Newton Compton ha pubblicato Ogni giorno per sempre, Il mio segreto più dolce, E poi ho trovato te, Mai come te e Un altro battito del tuo cuore.​
LanguageItaliano
Release dateMay 28, 2019
ISBN9788822734327
Nessuna è più bella di te

Related to Nessuna è più bella di te

Titles in the series (100)

View More

Related ebooks

Romance For You

View More

Related articles

Reviews for Nessuna è più bella di te

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Nessuna è più bella di te - Adelia Marino

    Capitolo 1

    La sveglia suona ininterrottamente e io nascondo la testa sotto il cuscino. Dio solo sa quanto odio quel dannato bip. Allungo una mano alla ricerca del telefono che è sul comodino e la spengo. Me ne sto sotto il piumone ancora per un po’, prendendo in seria considerazione la possibilità di saltare i corsi di questa mattina.

    «Stai ancora dormendo?», urla Paola dall’altra stanza. Borbotto stringendo il cuscino più forte sulla testa per non sentirla, alla fine però mi arrendo e mi alzo. Esco dalla mia stanza e vado nella piccola cucina dove trovo Davide alle prese con la colazione. Un sorriso buffo gli appare sulle labbra e mi fa l’occhiolino.

    «Buongiorno, caffè?», domanda. Sbuffo e alzo gli occhi al cielo, so che mi sta prendendo in giro. Sa che non mi piace e che la mattina ho bisogno di latte e cereali. Mi avvicino all’isola della cucina e lui allunga la tazza e gli ingredienti per la mia colazione.

    «Ce l’hai fatta», dice Paola uscendo dalla sua stanza. Ha legato i capelli biondi, si è truccata e indossa un maglioncino viola, che le arriva a metà coscia, e dei leggings neri. Come al solito porta diversi accessori addosso, splendida e femminile come sempre, non come me, che sono il tipo da felpa, jeans e Converse. Mi stiracchio e vedo lo sguardo di Davide cadere sul tatuaggio che mi orna il fianco.

    «Non è ancora finito?», chiede. Scuoto la testa.

    «No, passerò questo pomeriggio allo studio, così finiranno di colorarmi gli ultimi petali». Vado in camera, mi levo gli shorts e la canottiera con cui dormo e indosso il mio solito outfit: una felpa bordeaux, dei jeans neri e le Converse. Prendo lo zainetto, dove ho infilato i quaderni e i libri che mi servono e raggiungo Paola. Prima di uscire mi do un ultimo sguardo allo specchio. I capelli scuri, lisci e lunghi mi ricadono oltre le spalle, gli occhi blu come quelli di mio padre sono ancora gonfi dal sonno. Infilo il giubbotto, il cappello di lana e gli occhiali da sole, Paola mi aspetta all’ascensore del palazzo. Abitiamo sulla Tiburtina, che già di prima mattina è piena di gente fin troppo attiva per i miei gusti.

    «Ale, mi stai ascoltando?», domanda Paola. Le sorrido e impreca a bassa voce. «Sul serio, secondo me hai un deficit dell’attenzione», mi mordo un labbro per non ridere.

    «È ancora troppo presto per me», mi giustifico e lei scuote la testa.

    «Ma se sono le dieci…», obietta esasperata.

    «Appunto», rispondo di rimando.

    Una volta arrivate all’università le nostre strade si separano: lei si dirige al dipartimento di Psicologia, mentre io a quello di Letteratura.

    Poi, qualche ora più tardi, ci ritroviamo in sala mensa per pranzare insieme.

    «Com’è andata?», s’informa mentre riempiamo il vassoio di cibo pessimo e poco salutare.

    «L’insegnante di scrittura creativa ci ha dato un tema da fare. Dobbiamo descrivere qualcosa capace di distrarci dal mondo che ci circonda», rispondo io addentando una manciata di patatine ormai fredde.

    «Quindi per te non è difficile, sei perennemente fuori da questo mondo, voglio proprio leggerlo questo tema», dice ridendo mentre risponde a un messaggio.

    «Davide?», chiedo e lei annuisce. Stanno insieme ormai da qualche mese e lui si è praticamente trasferito a casa nostra. Non fraintendetemi, non è un problema, è un ottimo cuoco e suona la chitarra, ma stanno insieme da poco e ho paura per come Paola possa prenderla se le cose non dovessero finire bene. Non sono il tipo che crede nell’amore, i miei genitori si sono fatti la guerra per anni prima di divorziare e, una volta separati, hanno iniziato a litigare per chi dovesse avere me. Alla fine, ha vinto mio padre, ma solo perché mia madre è sparita con un tizio di nome Juan, insomma sono l’ennesima figlia di divorziati.

    «Lo stai facendo di nuovo…», sento lamentarsi la mia migliore amica.

    «Scusa», lei annuisce e bevo un po’ di Diet Coke.

    «Io e Davide stasera andiamo a mangiare fuori per festeggiare i nostri tre mesi insieme», afferma mentre io mi alzo per svuotare il vassoio.

    «Auguri», le dico facendole l’occhiolino.

    Dopo i corsi vado allo studio per completare il tatuaggio che mi percorre tutto il fianco e termina sul ventre. Sono una serie di fiorellini di ciliegio, delicati e graziosi, per ricordare a me stessa la mia rinascita, be’ almeno quella che un giorno avverrà, prima o poi.

    Quando entro, trovo Marco che parla con un ragazzo che mi dà le spalle. È molto alto e la mia attenzione cade sulla maglietta bianca, larga, e sui jeans blu che, devo ammetterlo, gli stanno veramente bene. Indossa un berretto, la visiera è girata verso di me. Appena Marco mi vede, sorride e mette una mano sulla spalla del ragazzo, poi mi viene incontro.

    «Alexia!», mi chiama con un largo sorriso, che ricambio. Mi abbraccia e lo stringo a mia volta. Da sopra la sua spalla noto che il tipo che prima mi dava le spalle si è girato e ci guarda. Ha un accenno di barbetta e uno sguardo incredibilmente intenso. Non saprei descrivere il colore dei suoi occhi: sono verdi, caldi, pieni di pagliuzze dorate. Non avevo mai visto occhi così belli. Accenna un sorriso e mi fa l’occhiolino, per tutta risposta aggrotto la fronte confusa. Mi stacco da Marco, che mi passa un braccio intorno alle spalle. «Le sto facendo un vero capolavoro lungo il fianco», dice al ragazzo misterioso. Lui alza un sopracciglio.

    «Mi piacerebbe vederlo».

    Scordatelo.

    Scuoto la testa incapace di dire qualsiasi cosa, il tatuatore ride al mio fianco. «Mattia, lei è Alexia», il ragazzo allunga una mano verso di me e io la stringo. Nel momento stesso in cui la mia mano tocca la sua, una strana sensazione mi attraversa tutta e, per un attimo, è come se mi tremasse il cuore. Alzo lo sguardo e vedo che anche lui mi guarda un po’ stranito. Che abbia provato la stessa cosa?

    «Mattia De Angelis», si presenta. «È un piacere conoscerti».

    «Alexia Karlsson». Quanto siamo formali. «Anche per me», mi affretto a rispondere sforzandomi di sorridere.

    «Andiamo?», domanda Marco e io annuisco, poi riporto lo sguardo verso la mia mano ancora stretta a quella di Mattia, gli lancio un’occhiata: «Ehm, mi servirebbe», dico indicando le nostre mani. Lui sorride.

    «Se vuoi posso tenertela mentre finisci il tatuaggio», alzo gli occhi al cielo e libero la mano.

    «Non sono una fifona», dico allontanandomi mentre lo sento ridacchiare.

    Capitolo 2

    Marco termina finalmente di colorare gli ultimi petali, poi mi mette della crema e del cellophane mentre io mi sistemo la felpa. «Come vanno i corsi?», chiede e io alzo le spalle.

    «Bene, a te il lavoro?», lui mi sorride.

    «Si avvicina Natale e a qualcuno piace regalarsi un tatuaggio, direi bene», Marco è un tipo a posto. Lo avevo conosciuto per caso quando mi ero trasferita a Roma. Mi piaceva la sua compagnia, in amicizia chiaramente.

    Lo saluto e mi avvio verso casa. Decido all’ultimo momento di fermarmi in un pub lì vicino. C’è musica dal vivo e non ho poi così tanta voglia di tornare a casa, dove probabilmente incapperò in Davide e Paola, intenti a festeggiare in modo più intimo. Entro nel pub e vado a sedermi su uno degli sgabelli al bancone, ordino qualcosa da bere e aspetto di sentire un po’ di musica. Decido di spostarmi e trovo un tavolino libero, prendo gli appunti di scrittura creativa e sfrutto l’occasione per iniziare a scrivere qualcosa, ma poi una voce mi distrae dal mio compito. Alzo lo sguardo, seguo la voce e mi ritrovo a fissare Mattia, il ragazzo che avevo conosciuto appena qualche ora prima; adesso è qua e sta cantando.

    Rimango lì ferma, il tappo della penna fra i denti e lo guardo. Per quanto mi riguarda, potrebbe scoppiare la terza guerra mondiale intorno a me, ma non me ne accorgerei: la sua voce mi ha rapita completamente.

    Quando la canzone finisce e il suo timbro graffiante cessa d’incantarmi, un gruppo di ragazzine lo acclama a squarciagola, lui si limita a fare un sorrisetto e si allontana per bere prima di riprendere a cantare. Mi concentro di nuovo sul tema, ma non ho idea di cosa scrivere. Quel ragazzo continua ad apparire nella mia mente, ma soprattutto la sua voce non fa altro che distrarmi Sospiro seccata e decido di tornarmene a casa, quando qualcuno si siede davanti a me.

    «Ti sembra il posto migliore dove studiare?», chiede una voce. Mattia è lì in piedi, con un sorriso strafottente stampato in faccia mentre fa un cenno al quaderno.

    «Posso studiare dove mi pare, fino a prova contraria», sbotto nervosa, un po’ per lui un po’ per me. Incrocia le braccia sul tavolino e si sporge verso di me, decisamente troppo direi.

    «Non ti ho detto che non puoi studiare qui, ho detto che non mi sembra il posto ideale per farlo», alzo le spalle e mi appoggio allo schienale della sedia per mettere una buona distanza fra noi, però mi rendo conto di essere arrossita.

    «Mi piace studiare nella confusione, non riesco a immaginarmi in un posto troppo silenzioso», ammetto, senza riflettere troppo sul fatto che sto parlando degli affari miei con un tipo appena conosciuto.

    «Io preferisco starmene in disparte quando scrivo», dice aggrottando la fronte.

    «L’hai scritta tu quella canzone?» gli chiedo con le labbra un po’ schiuse per la sorpresa. Noto che il suo sguardo ci indugia sopra e le serro immediatamente. Lui annuisce con la testa e continua a guardarmi.

    Devo andare via, tipo subito!

    Chiudo il quaderno, lo metto nello zaino e mi alzo, lui mi guarda silenzioso e io muoio di vergogna sotto quello sguardo intenso e indagatore. «Ciao», dico senza nemmeno aspettare la risposta alla mia domanda, mi giro per uscire quando una mano calda e forte trova la mia. Riconosco subito quel tocco, anche se è solo la seconda volta. Lo guardo perplessa.

    «Ti accompagno alla macchina?», mi chiede e scuoto la testa.

    «Non sono in macchina, abito qua vicino», lui sembra rifletterci un attimo.

    «Allora ti accompagno, è tardi, non mi va che torni da sola». Io alzo un sopracciglio.

    «Non ho bisogno della scorta, torno sempre da sola e non è mai successo niente», lui alza le spalle.

    «Fallo per me, per la mia tranquillità mentale», mi dice e io scuoto la testa divertita.

    «Temo, anche se ti conosco appena, che per la tua tranquillità mentale avresti bisogno di uno psicologo», gli dico e scoppia a ridere. Mi lascia la mano e usciamo dal pub. Siamo piuttosto silenziosi mentre raggiungiamo la porta del palazzo dove abito. «Sono arrivata», mi schiarisco la voce. Prendo le chiavi per aprire il portone, ma non faccio in tempo a farlo che Davide lo spalanca ed esce a grandi passi. Una volta fuori sposta lo sguardo da me a Mattia e poi di nuovo su me.

    «La tua amica è una pazza, non so neanche come mi sia venuto in mente di prendere in considerazione di mettermi con lei, ho chiuso!», urla prima di allontanarsi. Apro la bocca per dire qualcosa, anche se sono fin troppo sorpresa per riuscirci. Cosa cavolo è successo?

    «Meno male che non succede mai niente», mi ero quasi dimenticata di lui, lo sento ridere e lo guardo.

    «Be’ è colpa tua», rido a mia volta e lui scuote la testa avvicinandosi.

    «Ah sì?», si è avvicinato di nuovo troppo e devo mettere delle distanze. Faccio un passo indietro.

    «Grazie per avermi accompagnata, anche se non te lo aveva chiesto nessuno, ora vado a controllare come sta Paola…», lui annuisce.

    «Grazie per esserti fatta accompagnare, visto che te l’ho chiesto io», alzo gli occhi al cielo mentre rientro. Appena arrivo nel nostro appartamento trovo Paola sul divano che piange, così vado al frigobar che abbiamo in sala, prendo la bottiglia di Jack Daniel’s e la apro, porto due bicchierini, verso il whiskey e ne passo uno alla mia amica; poi mi siedo accanto a lei e aspetto che sia pronta a parlare. Nel frattempo cerco di non pensare a quegli occhi e a quella voce che mi hanno quasi fatto dimenticare il mio nome.

    Capitolo 3

    Non ho idea di che ora sia, ma sento il cuore che batte all’impazzata contro il mio sterno e sto sudando. Mi porto una mano al petto e apro gli occhi mentre cerco di capire dove mi trovo e cosa ci faccio qui. Sono in un letto, che fra l’altro non è neanche il mio. Paola è vicino a me, almeno un indizio che mi faccia ricordare qualcosa di ieri sera. Lei dorme beatamente, mentre io mi metto seduta implorando al cuore di calmarsi. Mi guardo intorno. È una normale camera da letto, solo che in giro ci sono vestiti da uomo, qualche poster di ragazze mezze nude e il proprietario di quella camera è senza dubbio un tifoso della Roma. Mi alzo e noto che ci sono due porte, vado verso una delle due sperando che porti in bagno. Bingo! Faccio scorrere l’acqua e mi lavo la faccia, sento i battiti del cuore poggiando l’indice e il medio sul polso destro mentre tengo d’occhio l’orologio. Poi ricordo che non ho preso quelle stupidissime pillole che mi accompagnano dall’infanzia, ogni mattina e ogni sera. Paola non ha fatto altro che riempirmi il bicchiere e io non ho fatto altro che riempirlo a lei, com’è finita? Che adesso non ho idea di dove siamo.

    Una volta che i battiti sono tornati regolari esco e decido che è il caso di capire dove siamo, così da svegliare Paola e tornare a casa. Esco dalla stanza e mi ritrovo in un piccolo corridoio, qualcuno russa. Arrivo in quello che deduco essere il salottino, una stanza semplice ed essenziale, dove c’è una vecchia poltrona, un grosso televisore, un angolo bar, una libreria stracolma di cd e sul divano, in pantaloncini, con un braccio tatuato penzoloni, gli occhi chiusi e le labbra schiuse c’è Mattia, senza maglietta. Mi avvicino per svegliarlo, ma invece rimango a fissarlo mentre dorme, quell’aria angelica che dubito assuma mai da sveglio.

    «Mi fissi», un sorriso gli compare sulle labbra.

    «Stavo solo decidendo come svegliarti», mento.

    «Un bacio andrebbe bene» risponde lui, strafottente.

    «Io stavo pensando di svuotarti una bottiglia d’acqua sulla faccia», ride e si mette seduto.

    «Perché non fai il caffè?»

    «Non ne bevo», lui alza le spalle e mi guarda.

    «Io lo bevo invece», dice sorridendo, io sbuffo e mi dirigo verso la macchinetta, situata nella piccola cucina che è separata dal salotto da un muretto basso. Ma che cavolo avrà da sorridere?

    «Mi dici cosa cavolo ci faccio qui?»

    «Potevi dirmelo che stavi tornando a casa tua per ubriacarti, sarei salito con te. Invece sei arrivata con la tua amica al pub completamente andata, mentre blateravi di non so cosa… Non potevo proprio lasciarvi là, vi avrei portate a casa, ma non riuscivate a trovare le chiavi e non facevate altro che ridere, quindi la cosa più semplice era portarvi qui». Sento le guance in fiamme mentre cresce il desiderio di nascondermi da qualche parte per la vergogna fino alla fine dei miei giorni.

    «Mi dispiace, potevi lasciarci lì, avremmo trovato un modo per entrare, non è la prima volta che ci siamo ridotte in quel modo». Alza un sopracciglio.

    «Quindi hai l’abitudine di ubriacarti», insinua Mattia. E io gli verso il caffè.

    «No, no, solo raramente, ma quando lo faccio mi impegno», rido e ride anche lui, si avvicina e prende la tazzina.

    «Sei piuttosto interessante e meno ostile da ubriaca».

    «Tu invece sei uno zuccherino…», mi fa l’occhiolino e vado verso la stanza da letto. «Chiamo Paola così togliamo il disturbo». Mi prende la mano, di nuovo.

    Porca miseria, penso, e sento di nuovo quella sensazione.

    «Tu puoi rimanere quanto vuoi», dice in modo così serio che quasi ci credo.

    «D-devo andare», balbetto. Recupero Paola e andiamo a casa.

    Capitolo 4

    Arrivo al pub verso le nove di sera, dopo aver dormito praticamente tutto il giorno grazie alla bravata fatta con Paola. Spero di riuscire a concentrarmi almeno un po’ sul tema, ma inizio a pensare che non riuscirò mai a scriverlo. Sono molte le cose che mi distraggono dalla realtà, in verità cerco sempre un modo per allontanarmi da questo mondo, forse è troppo difficile da accettare, forse non riesco ancora a capirlo bene. Sono seduta al mio solito tavolino, vicino alla finestra, in un angolino, quando una voce comincia a riempire la stanza.

    Il mio è un difficile passato

    ho combattuto sempre, da bravo soldato

    cercando in ogni dove

    qualcuno che mi salvasse.

    Dio quanto mi appartengono quelle parole… e quella voce, che riesce a scavarmi dentro.

    Guardo Mattia che, nello stesso momento, mi rivolge uno dei suoi sorrisi. Forse non sta nemmeno sorridendo a me, forse sì, non lo so, ma so che quello che provo quando lui è nei dintorni mi fa paura. Potrebbe anche spezzarmi il cuore, un giorno. E ci stiamo conoscendo troppo in fretta.

    Le tue

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1